Anime & Manga > Rossana/Kodocha
Segui la storia  |       
Autore: Elpis    30/01/2012    7 recensioni
Questa ff è per quelli che, come me, leggendo il manga di Kodocha si sono chiesti: ma come farà Akito che non sa mettere due parole in croce a chiedere a Sana di sposarlo? Se per confessarle che la ama le dice “Non mi dispiaci”, per farle la proposta di matrimonio cosa le chiede “Non è che non mi vuoi sposare?”
Scherzi a parte questa storia è nata senza grandi pretese ( e in buona parte per via della mia insonnia notturna) ma spero che vi farà divertire anche solo la metà di quanto ha fatto divertire me scriverla.
Primo capitolo: La boutique degli orrori
Secondo capitolo: Il piano di Tsuyoshi
Terzo capitolo: Champagne ed aragoste
Quarto capitolo: Un anello rosa confetto
( La storia fa parte di una serie ma può anche essere letta a sé. )
Genere: Commedia, Demenziale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Endless Love'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

           







 

                                                                             Champagne ed aragoste


 

 
 

 
 
 

E pensare che la serata era incominciata bene. Mi ero fermato sotto casa sua alle otto in punto e per una volta in vita sua Sana era stata puntuale. Aveva aperto la porta con indosso un esiguo pezzo di stoffa che lasciava in bella mostra le gambe lunghe e sottili e con dei tacchi alti su cui barcollava appena. La tentazione di disdire tutto e trascinarla in camera da letto era stata difficile da dominare.
<< Allora? Si può sapere dove mi porti? >> mi aveva chiesto dopo un bacio leggero a fior di labbra.
<< Lo vedrai. >> avevo risposto laconico ingranando la marcia e appuntando lo sguardo sulla strada, sforzandomi senza successo di pensare solo al traffico.
Avevamo raggiunto il ristorante dopo appena dieci minuti e avevo dovuto ammettere fra me e me che era un posto molto elegante. La sala era grande, ariosa, con un gigantesco lampadario a goccia che pendeva sopra le nostre teste e una vetrata da cui si intravedeva la città sottostante, illuminata dalla flebile luce dei lampioni. Con un brivido di raccapriccio per l’altezza mi ero tenuto a una prudente distanza di sicurezza, osservando l’espressione stupita di Sana. I suoi occhi marroni avevano abbracciato la stanza, i tavoli con le linde tovaglie ricamate, l’argenteria lucente, il pavimento in marmo.
<< Aki, sei sicuro che sia il posto giusto? >> mi aveva chiesto con gli occhi sgranati.
Ma che fiducia, Kurata.
<< Sì, certo. >> avevo assentito atono mentre un cameriere ci veniva incontro.
Ci aveva accompagnato a un piccolo tavolo in disparte, proprio accanto a un gigantesco acquario colorato. Kurata lo aveva fissato incantata per qualche momento.
Mi ero seduto, stringendo convulsamente il menù e cercando di ignorare i prezzi esorbitanti. Nonostante gli insistenti tentativi di Tsu mi ero rifiutato di mettermi la cravatta, ma sentivo comunque un nodo in gola, che premeva fastidiosamente. Sana fissava i pesci in estatica ammirazione, apparentemente ignara del mio disagio.
<< Come sono andate le prove del vestito? >>
Quel pomeriggio Aya era passata a prenderla ed erano andate a misurare le pompose bomboniere che avrebbero indossato il giorno delle nozze. Per la verità non mi interessava affatto sapere quante ore avevano passato davanti allo specchio: il mio era solo un maldestro tentativo di attirare la sua attenzione e magari entrare anche in tema “matrimonio”.
<< Uh? Bene, bene. >> aveva risposto mentre con  l’indice giocherellava con una gigantesca aragosta che muoveva le sue antenne contro il vetro.
Avevo i palmi delle mani sudate e un blocco all’altezza dello stomaco. Non so cosa avrei dato perché quella tortura finisse il prima possibile.
<< Stai bene, stasera. >> avevo aggiunto mentre i miei occhi si soffermavano sullo scollo del vestito.
A questa parole Sana si era girata, fissandomi negli occhi con perplesso stupore, come se non le avessi mai fatto un complimento in vita mia. Be’ d’accordo era abbastanza raro, ma  non sono mai stato un tipo da smancerie… Mi ero pentito un po’ di non averle fatto altri apprezzamenti in passato quando vidi come le sue labbra si incurvavano in sorriso dolce, anche se un po’ confuso, e  un tenue rossore le incendiava le guance.
Il cameriere, venuto a prendere le ordinazioni, mi aveva salvato da dire qualcosa di sdolcinato e molto stupido.
<< I signori sono pronti per ordinare? >>
Lo avevo fissato, mentre Sana riprendeva a picchiettare contro il vetro dell’acquario e a fare delle buffe smorfie.
<< Non è che per caso avete del sushi? >> avevo chiesto speranzoso.
Quello mi aveva osservato schifato, come se avessi detto una bestemmia.
<< Temo di no, signore. >> aveva risposto compunto, girandosi verso Sana. << Ma vedo che alla sua signora piace quell’aragosta. >>
Sana si era girata, guardandolo con uno dei suoi sorrisi sbarazzini.
<< Oh sì! È troppo simpatica con quelle antennine… >>
<< Forse le piacerebbe che gliela servissi cotta al vapore? >> aveva suggerito, speranzoso.
Sana si era come congelata.
<< Come, scusi? >> aveva chiesto, fissandolo con la bocca spalancata.
Il cameriere era parso dispiaciuto.
<< Forse la preferisce cucinata in altri modi? >>
E da lì era iniziato il disastro.
 Sana si era alzata infuriata, sostenendo che era una barbarie mangiare l’aragosta dopo averla esposta così, come un trofeo, e che lei non lo avrebbe mai fatto. Il cameriere aveva cercato di rabbonirla, per poi esplodere con un irritato “Se non ci pensa lei a mangiarla, stia pur sicura che lo farà qualcun altro! “
Kurata aveva fissato l’aragosta come se fosse una figlia e io avevo sospirato osservando con rammarico la bottiglia di champagne che non avevamo nemmeno aperto e la serata romantica che sfumava senza nemmeno essere incominciata.
Eravamo usciti dal ristorante senza aver mangiato niente, in compenso in un secchio colmo d’acqua Kurata si era fatta mettere l’aragosta (viva) che pesava almeno quanto costava. Con il senno di poi avrei dovuto rinunciare a tutto e portarla a casa.
Invece mi ero ostinato a proseguire con quella pagliacciata e con lo stomaco che borbottava per la fame mi ero diretto verso il teatro.
Lo spettacolo era “Madama Butterfly”, un’insulsa tragedia stucchevole che mi annoiò fin dalle prime battute. Ma Sana era così presa, con i begli occhi luccicanti e i piccoli denti che mordicchiavano le labbra piene, che per un secondo mi ero illuso che sarei riuscito a salvare la serata. Fu a metà del primo atto che le mie speranze furono tragicamente deluse. La ragazza che le era accanto si sporse e le chiese a mezza voce:
<< Mi scusi ma… lei è per caso Sana Kurata? >>
Era bastata quella domanda che un animato brusio era iniziato a serpeggiare per la sala. Kurata aveva cercato di negare con un risolino stridulo, ma questo sembrava aver convinto ancora di più la folla. Alcuni avevano iniziato a sgomitare e a torcere il collo, nel disperato tentativo di fissarla, mentre i più audaci si erano alzati in piedi, chiedendole un autografo. Nel giro di cinque minuti metà pubblico ci aveva accerchiato, spintonando ed urlando ad alta voce, completamente ignara dell’opera e dei suoi attori. La protagonista era scoppiata in lacrime per l’umiliazione, fuggendo dal palco. 
Avevo strappato a forza Kurata dalle mani di quei dannati impiccioni e mi ero diretto a passo sostenuto verso la macchina, ringhiando per la frustrazione. Ignorando le sue lamentele, l’avevo incitata a salire, rassegnato a portarla a casa: decisamente avevo perso la speranza di passare una serata romantica.
Ma mentre guidavo Sana avevo visto il lunapark e mi aveva implorato di fermarmi, fissandomi con quei suoi occhi cioccolato a cui non sapevo dire di no. Avevo accostato, passandomi una mano fra i capelli e maledicendo tutti i Kami che mi venivano in mente. Lei invece non sembrava particolarmente dispiaciuta per aver saltato sia la cena che lo spettacolo ed era sfrecciata verso i gonfiabili, facendo gli occhi dolci al bigliettaio fino a quando quello non aveva chiuso un occhio sulla sua età e l’aveva fatta entrare comunque.
Così eccomi qui: frustrato, a digiuno e con l’aragosta appresso perché Sana temeva che potesse soffrire di solitudine se lasciata in macchina. La osservo saltare in alto, con le gote accese e il fiatone - il vestito che le si solleva fino alle cosce - ed avverto un dolore sordo al petto. Maledizione! Il calcio che pianto al distributore di palline a cui sono appoggiato è talmente forte che sento il piede formicolare. Avverto un tonfo sinistro e mi piego per controllare di non averlo rotto: ci mancherebbe solo di doverlo ripagare per concludere in bellezza la serata.
Un piccolo oggetto rotondo attira la mia attenzione, lo afferro rigirandolo fra le dita. Una pallina di plastica con dentro la sorpresa. Quando i miei occhi decifrano l’immagine che c’è sopra un sorriso amaro mi si dipinge sulle labbra: il regalo all’interno è niente meno che un anello colorato, di plastica. Davvero il destino ha un pessimo senso dell’umorismo!
<< A-chan!! >> urla Sana sbracciandosi e correndo nella mia direzione.
Ficco la pallina in tasca e ricaccio indietro il mio malumore, sforzandomi di apparire indifferente e non profondamente amareggiato. La vedo venirmi incontro con i capelli arruffati e il trucco un po’ sbavato. È così dannatamente bella e viva che le viscere mi si contraggono dolosamente.
Voglio passare tutta la vita con te, Kurata. Il solo pensiero di perderti mi fa piegare le ginocchia.
Vorrei avere il coraggio di dirgliele quelle parole, invece mi ritrovo a indicare sbuffando la macchina e ad intimarle di muoversi. Sana mi fa la linguaccia, da bambina dispettosa, poi però si mette buona sul sedile, fissando la strada.
All’improvviso, mentre ormai pochi isolati ci separano da casa, sussulta e mi ordina concitata:
<< Gira qui! >>
<< Come? >> chiedo perplesso e quella pazza si allunga sul volante, quasi strappandomelo di mano.
<< Qui a sinistra! >> urla, rischiando di farmi uscire di strada.
Il tempo di raddrizzare la macchina e accosto, fissandola infuriato:
<< Volevi farci ammazzare per caso? >>
<< Quante storie! Non è colpa mia se sei lento a capire! >> mi rimbecca, uscendo e sbattendo la portiera prima che possa ribattere.
<< Che aspetti? >> mi chiede da fuori.
Mi slaccio la cintura e la raggiungo, ancora incazzato per il suo comportamento infantile. Kurata mi prende la mano e mi guida nel parco, praticamente deserto a quell’ora di notte.
Solo quando ci fermiamo di fronte al gazebo in cui mi sono innamorato di lei tanti anni fa, sento finalmente che la rabbia scivola via, sostituita da uno strano calore che mi brucia la pelle.



 



 
 
Ciao a tutti!
Ecco infine svelato il grande mistero dell’aragosta. Un enorme grazie a chi commenta, segue o mette fra i preferiti questa ff. Rimane solo l’ultimo capitolo ( giuro che provo a metterci un pizzico, giusto un pizzico, di romanticismo in più), che sarà pubblicato la prossima settimana.
Un saluto e un bacio
Ely 

 

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rossana/Kodocha / Vai alla pagina dell'autore: Elpis