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Autore: Flaqui    30/01/2012    8 recensioni
-Bada a te. Un giorno troverai una falla nel cielo, e allora tutto l’universo cadrà giù. E allora si che saremo tutti nei guai!- aveva detto mia madre quando, a sedici anni, le avevo accennato alla mia visione, un po’ troppo rosea a dire il vero, del futuro che si prospettava.
Io avevo scosso la testa, incredula. –Vuol dire che l’aspetterò con ansia, questa falla nel cielo!- avevo replicato con un sorrisetto malizioso.
Quando avevo sedici anni avevo già progettato tutta la mia vita. Tutto andava per il meglio. La mia band stava scalando le classifiche e il nostro nome era famoso e conosciuto in tutta l’Argentina. Avevo un ragazzo che mi amava con cui sognavo di sposarmi, un giorno, e di avere dei figli. La mia famiglia e i miei amici erano uniti e mi sostenevano, chi più e chi meno, aiutandomi e seguendomi passo, passo.
Splendevo come una stella nel firmamento. Perché avrei dovuto preoccuparmi di una piccola falla nel mio cielo?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una falla nel cielo'
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Dedicato a MissTata55 che allieta le mie giornate e che davvero non so più come ringraziare, a Celin che mi ha fatto provare enormi emozioni, ad Alexiel94 senza il cui aiuto e supporto costante non sarei qui, a ginnasta_98 che la mia piccola stellina, a marthiagojaznacho che scrive di cose vere, alla meravigliosa EleDoc che non si stanca mai di recensire e a lalikky che, anche se ormai non scrive più in questo fandom, rimane a sostenermi!
So che ultimamente non sono stata molto presente e me ne dispiaccio! So che siete arrabbiate e ne avete tutto il diritto. Ma intendo farmi perdonare. Questo, ragazze, è per voi!

 

4 - Nodi



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Non importa in qualunque parte del mondo ti trovi, la luna non è mai più grande di un pollice…
(Dear John)

 
Quando mia madre, la mia vera madre, dopo avermi ritrovata dopo tanti anni, aveva voluto sapere cosa avessi fatto in quei lunghissimi tredici anni in cui eravamo state separate, mi ero apprestata a raccontarle, entusiasta che qualcuno finalmente si interessasse a me, ogni più piccolo, insignificante particolare della mia esistenza. Uno in particolare era stato l’inizio di una lunga riflessione che mi era servita in molti modi negli anni a seguire.
Quando avevo dodici anni, a quel tempo ero in un riformatorio a Buenos Aires, probabilmente l’unico in cui sono riuscita almeno in parte a prendere un po’ di sollievo dalle mie lunghe e dolorose peripezie, Suor Monica, un donnone dai tratti nordici, capelli biondi e occhi azzurri ghiaccio, aveva fatto partecipare tutti noi bambini ad un corso di sopravvivenza.
Era qualcosa come “tutti nella natura”, un misto di strani canti corali, falò nel cortile del vecchio palazzo in cui si teneva il corso, e ovviamente i nodi. Tanti nodi. Se non li sapevi fare potevi anche andartene a frignare dalle suore… o picchiare gli altri bambini finchè non facevano anche i tuoi nodi (Come facevo io). Era una cosa dell’estrema importanza per il tipo che ci faceva lezione.
Il signor Torres, me lo ricordo ancora, aveva una assurda camicia giallina, con una grande macchia di caffè sul davanti che cercava invano di coprire con una cravatta verdone cupo. Non ero mai stata una grande esperta di moda ma vedere i suoi mocassino scuri con i calzini bianchi che zampettavano sul sentierino in ghiaia non era una delle migliori esperienze che si possono avere nel campo dello stile.
In ogni caso, fino a che mia madre non me l’aveva fatto notare, avevo sempre pensato che quella fosse stata un’esperienza inutile, senza significato. Era semplicemente tempo perso dietro stupide “situazioni di emergenze” e ore passate a “controllare i propri sentimenti”. Poi, però, mia madre mi ha detto che non importa quanto tu possa essere seriamente interessato ad una cosa o quanto tu possa essere bravo a farla, se non comprendi il concetto base, allora non concluderai mai niente.
E il concetto base di tutti quei campeggi, delle risse, dei nodi e delle corse sotto la pioggia mentre saltellavo un piede dopo l’altro nei copertoni delle gomme in uno strano percorso militare, era solo uno.
Tenersi pronti.
Tenersi pronti a quell’enorme e strano campo minato della vita, in cui devio saper affrontare le stupide situazioni d’emergenza, devi saper controllare i tuoi stupidi sentimenti e soprattutto devi saper fare degli stupidi nodi. Anzi, forse i nodi sono addirittura l’aspetto più importante del tenersi pronti.
Perché, si sa, la vita è una grande bastarda e la sfiga sua grande amica, cammina a braccetto con lei, mentre Madonna Fortuna, con tanto di benda è rinchiusa in un qualche luogo sperduto da cui comunque non riuscirà ad evadere. Non per  venire da te, comunque.
E in questa assurda società c’è sempre bisogno di qualcuno che sappia fare i nodi, anche solo in senso figurato. Con un nodo ti allacci una possibilità. Con un nodo trattieni una persona. Con un nodo ti cuci la bocca.
Con un nodo puoi sollevare il mondo.
Non io, ovviamente.
Perché io, non ostante tutto, sono un disastro con i nodi.
 
Jazmin che ha ricevuto la mia occhiata terrorizzata e supplichevole al tempo stesso, ha colto al volo il mio disperato bisogno di aiuto e l’ha allegramente ignorato, borbottando un “Devo fare pipì” e correndo in bagno.
Non appena l’isterica numero uno si è volatilizzata il sorriso dell’isterica numero due si è allargato ancora di più, brillante e gioioso, come un piccolo sole che illumina impietosamente l’ambiente circostante e le mie non tanto irrazionali paure.
-Tefi…-
-Il capo mi ha dato una promozione!- esclama, battendo le mani e saltellando eccitata, interrompendo il discorso che mi sono a lungo preparata a farle davanti allo specchio.
-Eh?-
-Il mio capo, il mio, capisci?, mi ha dato una promozione… cioè non è una vera e propria promozione, però… insomma, lei… ecco sai che il giornale dovrà pubblicare un numero speciale per la fine dell’anno? Bhe, Melanie mi ha affidato un intero servizio! Dovrò occuparmi di tutto, fotografo, modelle, vestiti… ma ci pensi? E se andrà bene… bhe, allora potrei davvero essere spostata al reparto “Bellezza e cosmetici” come avevo richiesto all’inizio!- Tefi inizia a parlare come un fiume in piena, spezzando la corda sottile con cui mi sono ancorata a riva, e trascinandomi nella corrente del suo entusiasmo –E allora farò davvero il grande salto e magari mi sceglieranno per andare a Parigi, quest’anno, finalmente! Ma ci pensi? Un servizio tutto mio!-
Io annuisco, maledendo me stessa per non essere capace nemmeno di fingere entusiasmo. Ma la verità è che, vederla così felice ed emozionata per una notizia così importante, mi fa solo pensare che sto per spezzarle il cuore in uno dei modi più barbari che esistano.
Rinvangare il passato.
Tefi, che sta ancora blaterando su quanto sarà emozionante la sua nuova vita da esperta di moda e sul suo futuro incontro con alcuni dei più grandi geni della moda che saranno tutti attratti dal suo stile impeccabile e innovativo, finalmente nota la mia espressione e si zittisce.
-Oh, scusami… dovevi dirmi qualcosa?- si morde le labbra, dispiaciuta.
-Ehm… ehm… ecco…- balbetto, torturandomi le mani e cercando di ignorare il suo sguardo sincero e incoraggiante e il suo sorriso splendente –Si tratta, uhm… del… matrimonio, ecco-
-Oh!- la sua espressione che si era vagamente tesa ai miei balbettii, si rilassa di colpo –Allora è questo! Mi stavi facendo preoccupare! Quale è il problema? La squilibrata non sa scegliere nemmeno i fiori?- chiede vivacemente, scostandosi con un gesto veloce i capelli dalla fronte e fermandoli dietro le orecchie.
-Ti ho sentito stecchino!- la voce di Jazmin che, ne sono sicura, si è nascosta da qualche parte ad origliare, è attutita e soffocata. Maledetta. Dovevi andare in bagno, eh? Poi Tefi si gira di nuovo verso di me, stringendosi nelle spalle e facendomi segno di proseguire.
-Ehm, no… i fiori li abbiamo scelti. Non è questo il problema- continuo. Mi giro di spalle fingendo di ordinare la cucina e sperando ardentemente che, magari non trovandomi davanti ai suoi occhi spalancati e indagatori, le parole riescano ad uscire più facilmente –Si tratta degli invitati-
Tefi si agita sulla sua sedia e afferra una barretta dietetica che Jazmin ha lasciato in giro –Capisco... qualcuno ha disdetto? Qualcuno non può venire?- chiede mentre osserva il numero di calorie che la barretta contiene.
-Ecco, il problema è esattamente il contrario-
-Il problema è che qualcuno viene al matrimonio?- chiese, inarcando il sopracciglio destro. Non la stavo guardando ma la conoscevo troppo bene. Quella era la sua voce scettica. E la voce scettica era sempre accompagnata dall’alzata del sopracciglio.
-Ecco, vedi… io… io e Thiago volevamo fare una rimpatriata, per il matrimonio. Sai, invitare i ragazzi della Casa- sussurrai, mentre lasciavo con insolita delicatezza il piatto sul lavandino.
Silenzio.
-Tutti i ragazzi della Casa, Tefi-
Silenzio.
Mi azzardai a lanciarle un’occhiata. Era ancora nella stessa posizione in cui si trovava quando mi ero girata. La barretta ai cereali in mano, sollevata all’altezza del mento, le gambe accavallate e il ciuffo di capelli sulla fronte. Il sorriso congelato.
Sembrava congelata in effetti. Una statua. Una statua che non accennava a muoversi, parlare, respirare. Il sorriso però era ancora lì.
Non sapevo se interpretarlo come una cosa positiva, non doveva averla presa così male, in quel caso, o una cosa negativa, magari era andata in shock, o si era paralizzata tutto d’un colpo.
-Tefi?-
Silenzio.
-Tefi, ti… ti senti bene?-
Con lentezza estenuante parve riprendere coscienza. Poggiò con calma la sua barretta sul tavolo, sciolse le gambe dalla loro posizione ingarbugliata e si scostò il ciuffo dalla fronte. Per un attimo smise di sorridere e abbassò lo sguardo, poi però, il tempo di un nano secondo, rialzò il capo e mi rivolse un’espressione serena.
-Certo, perché non dovrei?- chiese, sorridendo.
La sua tanto amata faccia da poker. L’aveva avuta sin da quando, a tredici anni, mia madre mi portò a casa la prima volta e me la ritrovai davanti. Lei e la sua faccia da poker. Mi aspettavo che si sarebbe messa ad urlare o a piangere, visto la bambinetta viziata che era, ma lei si era limitata a fissarmi con un espressione impenetrabile. Il che non fece altro che innervosirmi anche di più.
E anche in quel momento quella sua parvenza di calma e tranquillità mi diedero un enorme fastidio. E, se fino ad un attimo prima avevo sperato con tutto il cuore che la vicenda si concludesse così, senza lacrime e urla, ora mi sentivo quasi male, a vederla così. Sarebbe stato meglio se si fosse davvero sfogata.
-Senti io non ho ancora confermato nulla- mi affrettai a chiarire –Se vuoi dico a Thiago che non…-
-No-
-Ma se non vuoi…-
-Non ho mai detto questo-
-Tefi ascolta, so che…-
-Va bene così, Mar-
La fissai scettica e lei parve perdere un po’ della sua tranquillità. Giocherellò con il bordo del suo maglioncino e poi esclamò con voce flebile –Mi va bene, davvero. Dopotutto è passato molto tempo e ormai siamo persone adulte… non ci sarà nessunissimo problema a sopportarlo per un po’…-
La abbracciai, stringendola forte e pregando con tutto il cuore che quella storia finisse al più presto. Lei ricambio la mia stretta poco convinta.
 
Il matrimonio era un nodo molto complicato da eseguire. Per farlo bene sei persino costretta a scioglierne altri fatti in precedenza, spezzando l’equilibrio. E questa volta non c’è nessuna Suor Monica che ti aspetta con una bella zuppa calda anche se non sei riuscita a compiere bene il tuo nodo, non c’è nessun signor Torres che ti spiega come fare quel nodo tanto difficile e, soprattutto, non ci sono bambini da picchiare perché facciano il nodo al posto tuo.
   
 
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