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Autore: shamrock13    30/01/2012    6 recensioni
Non mi va proprio di scrivere un introduzione a questo racconto, perché non voglio svelare assolutamente nulla prima che lo scopriate voi leggendolo.
Dico solo che è un altro racconto che tratta di un fatto interessante ma marginale dei romanzi e va a curiosare su come tutto quanto sia avvenuto, molto tempo prima che il giovane Harry calcasse questa terra.
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One-Shot 8° classificata al contest Give it a second chance! - Seconda edizione, storie edite e inedite indetto da Fabi_Fabi col punteggio di 47.5/50.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Fanny/Fawkes, Olivander
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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One-Shot 8° classificata al contest Give it a second chance! - Seconda edizione, storie edite e inedite indetto da Fabi_Fabi col punteggio di 47.5/50.
 
 
 

Gemelle
Non ho mai creduto nelle coincidenze…

 
L’uomo camminava nel prato con passo tranquillo e misurato. L’erba asciutta sotto i suoi piedi, verde e folta, veniva piegata da una leggera brezza, calda e piacevole.
 
Respirava a pieni polmoni l’aria carica di odori di una delle ultime sere estive del nord della Gran Bretagna.
 
Il cielo era di un azzurro limpido che si faceva via via più scuro mentre ad ovest era tinto di viola e di rosa; il sole era appena calato oltre l’orizzonte. Le poche nubi, alte e vaporose, mostravano tracce di oro nella parte bassa, mentre quella alta già tendeva ad un cupo grigio scuro.
 
Lasciò spaziare lo sguardo su ciò che lo circondava: i prati, di un verde brillante e piacevole. Alla sua destra, un po’ più lontana, la fitta foresta dalle tinte scure; alla sua sinistra, in basso, il lago, il cui colore virava ormai al nero.
 
L’uomo varcò le colonne di un cancello e si voltò, risalendo con lo sguardo fino alla cima della collina che aveva appena disceso. Là, con le torri più alte ancora illuminate dalla luce solare che faceva sembrare i merli e le affilate punte dei tetti in preda ad un incendio, stava l’enorme castello di Hogwarts.
 
Il viandante estrasse la bacchetta con la destra e si tastò il petto con la sinistra, assicurandosi che quello per cui aveva affrontato quel viaggio, contenuto in un astuccio in morbida pelle di daino e avvolto in un panno di candida seta al suo interno, fosse ancora al suo posto. Ciò fatto ruotò su se stesso, la bacchetta levata in aria.
 
Crack!
 

***

 
Solo un’ora prima una pozza di luce solare cadeva ancora nell’ufficio dell’insegnante di Trasfigurazione da una delle alte finestre che illuminavano la stanza.
 
L’atmosfera del locale rifletteva quella interiore del suo occupante: trasmetteva pace e serenità. I suoni del castello giungevano attutiti dalle finestre e da oltre la porta; i suoni interni alla stanza invece si perdevano tra gli scaffali colmi di oggetti e di libri, giungendo ovattati alle orecchie.
 
L’aria era piacevolmente calda e pregna del familiare odore della pergamena.
 
Un fruscio attirò l’attenzione dell’uomo dietro la scrivania, che sedeva su una grossa sedia di legno intagliato foderata con grossi cuscini trapuntati di una scura tinta di viola. Gli occhi azzurri sopra il lungo naso adunco cercarono la fonte del rumore.
 
Sul suo trespolo Fanny aveva arruffato le piume e si era spostata lateralmente di qualche centimetro, cercando una posizione più comoda. Albus Silente guardò per un po’, incantato, le piume dell’animale cambiare colore riflettendo la luce mentre si muoveva, poi tornò a fissare la porta. Teneva i gomiti appoggiati ai braccioli della sedia e le mani, con le punte delle dita congiunte, davanti alla bocca; gli indici toccavano la punta del naso, i pollici quella del mento.
 
Un sommesso ronzio si alzava da una piccola ciotola in ottone sulla scrivania dell’uomo. Staccò la mano destra dalla sinistra e la allungò verso il piccolo recipiente. Con un gesto straordinariamente rapido ed agile calò pollice ed indice nel contenuto della ciotola e riemerse stringendo tra le dita un’Ape Frizzola.
 
La portò alle labbra e la assaporò ad occhi chiusi. Il respiro pesante e il sommesso russare di alcuni quadri alle pareti, unito al lieve ronzio delle caramelle sulla scrivania, forniva un sottofondo decisamente rilassante a quel pomeriggio.
 
Passò qualche minuto, in cui Silente sfogliò pigramente alcuni fogli sparsi sul piano in mogano della scrivania, più attento al suono che essi facevano nell’aria immobile che alle parole vergate su di essi dalla sua mano e da altre, poi la quiete fu rotta da tre cauti colpi alla porta.
 
“Avanti.” La voce del mago era calda e tranquilla, rassicurante.
 
L’uomo che fece capolino dall’uscio era più giovane di Silente. Forse lo sembrava soltanto, perché i suoi capelli erano corti e la sua barba ben rasata. Qualcosa nei suoi occhi però faceva dubitare di quella prima impressione; erano azzurri, come quelli di Albus Silente, ma più chiari, quasi sbiaditi. Erano grandi poi, straordinariamente grandi e fissi, come se contenessero una sconfinata conoscenza e fossero perennemente impegnati nella sua contemplazione; il mondo sembrava essere, per quegli occhi, solo un fattore contingente.
 
“Olivander, amico mio.” Esordì il professore con un sorriso cordiale, alzandosi. “Vieni avanti, accomodati.” Indicò una delle due sedie poste di fronte alla grande scrivania, al centro della stanza.
 
“Grazie Silente.” Rispose quello, semplicemente. I suoi occhi si soffermarono per diversi secondi sulla fenice, che dormiva sul suo piedistallo con la testa sotto l’ala, poi avanzò e prese posto alla scrivania, accavallando le gambe e posando un piccolo astuccio in pelle sul legno di fronte a sé.
 
“Posso offrirti del Sidro? O magari un’Acquaviola?” domandò Silente, cordiale.
 
Olivander frugò con le mani nelle tasche del panciotto rosso ricamato in oro che indossava sopra una semplice camicia bianca, estraendone un cipollone d’argento. Fece scattare il coperchio è guardò l’ora. “Un po’ di Sidro andrà benissimo grazie.”
 
“Ne ho una bottiglia affinata in barrique di ciliegio, gli conferisce un sapore ricco e sorprendente.” Disse Silente, chinandosi ad aprire uno sportello a un lato della scrivania. “Viene dal sud della Francia.”
 
“E’ quella la fenice di cui mi parlavi?” domandò Olivander, guardando interessato Fanny.
 
“Lo è.” Rispose Silente, riempiendo due piccoli calici di cristallo con lo stelo lungo e sottile. Il liquido ambrato catturava la luce solare, mandando bagliori dorati e caramellati.
 
“Non molti possono vantare la compagnia di una fenice addomesticata.” Osservò Olivander, prendendo il bicchiere che Silente gli porgeva.
 
Lo portò al naso, inspirandone a fondo il bouquet. Coglieva la mela, ingrediente principale della bevanda, ma anche il sentore di ciliegia del legno delle botti era facilmente individuabile. Chiuse gli occhi e inspirò ancora, cercando tutte le molteplici note che riusciva a distinguere, rapito.
 
“Oh, non è merito mio. Lei ha scelto me.” Rispose Silente. Bevvero in silenzio, gustando il liquore.
 
Olivander fu l’ultimo tra i due a posare il bicchiere ma il primo ad alzarsi in piedi, con evidente impazienza. “Tu permetti?” chiese, indicando il piedistallo di Fanny.
 
Silente si alzò. La sua veste indaco portava, incastonati nella stoffa, dei piccoli brillanti e lanciava scintille di luce negli ultimi raggi di sole. “Ma certamente.” Disse, avviandosi per primo.
 
In prossimità di Fanny allungò la mano e le accarezzò la schiena. Quella si riscosse ed alzò la testa, guardando i due uomini con profondi occhi dorati. Si erse in tutta la sua altezza e spalancò le ali. Era uno spettacolo raro. Le fenici sono animali piuttosto schivi e vederne uno da quella distanza non è cosa semplice.
 
La testa, il collo e la schiena dell’uccello erano di un rosso acceso e tutte le piume avevano riflessi dorati, lo stesso oro degli occhi e del becco. Man mano che ci si avvicinava al ventre il piumaggio virava all’arancione e poi al giallo e si faceva più soffice e di dimensioni minori. Le grandi piume delle ali invece non seguivano un disegno predefinito; erano di ogni tinta compresa tra il rosso scuro e il giallo acceso, mescolate apparentemente a caso.
 
L’animale emise uno di quei suoi gorgheggi musicali e liquidi, che sembravano riverberare nelle corde più profonde dell’anima piuttosto che provenire dall’esterno.
 
Olivander chiuse gli occhi a quel suono, poi li riaprì. “Devo ringraziarti, Albus. Non lavoro mai con materiali così pregiati, almeno per quanto riguarda le fenici.”
 
“Non ringraziare me, ma Fanny. Quella di donarti una piuma è stata un’idea sua.” Rispose il mago; dal suo tono sembrava stesse parlando di qualcosa di ordinario. Olivander non gli chiese come un animale potesse aver deciso di cedere una sua piuma per costruire una bacchetta magica.
 
Silente passò nuovamente una mano sul capo della fenice, la quale chiuse gli occhi a quel tocco, e sussurrò: “E’ ora, Fanny.”
 
Per tutta risposta l’uccello spalancò nuovamente le ali e le agitò. Una piuma, con uno sfarfallio dorato, si staccò dalle altre lunghe piume remiganti, fluttuando leggera nell’aria ferma dell’ufficio andandosi a posare sulle assi del pavimento.
 
Olivander si chinò rapido e la raccolse, scrutandola con attenzione. La sua voce tradiva una certa emozione.
 
“Perfetta. Se non ti dispiace Silente vorrei-”
 
“Guarda.” Lo interruppe lo stregone, indicando la Fenice. Quella aveva richiuso le ali e le aveva scosse nuovamente, per accomodarsi sul trespolo. Dall’altra ala si stacco una piuma, in tutto e per tutto simile all’altra. “Credo che Fanny abbia deciso di farti un altro dono.”
 
Olivander si chinò ancora, per recuperare la preziosa piuma.
 
“Non era nei patti.” Ricordò a Silente. “Non vuoi tenerla tu?”
 
“Mio buon amico, non saprei che farmene; le penne di fenice sono pessime per quanto concerne la scrittura: il lieve calore che emanano asciuga l’inchiostro troppo in fretta.” Disse con un sorriso nascosto dalla folta barba, castana come i capelli. “Inoltre, non ho mai creduto nelle coincidenze; se Fanny ti ha concesso una seconda piuma significa che quella ti servirà a qualcosa.” Concluse, gli occhi azzurri che rilucevano dei bagliori dorati emanati dalla fenice.
 

***

 
Olivander aprì la porta del suo laboratorio a Diagon Alley, impaziente come un bambino il giorno di Natale.
 
Le piume di fenice di solito gli arrivavano maltrattate e vecchie di qualche giorno in sgualciti pacchetti spediti dalla Turchia. Lavorare su piume che solo un'ora prima erano ancora legate all’animale che le aveva prodotte avrebbe dato ottimi risultati, ne era certo.
 
Il suo laboratorio era un piccolo locale sul retro del negozio in cui accoglieva i clienti. Era anch’esso stipato all’inverosimile di scaffali, casse e scatole, tutte contenenti ciocchi di legno e rami, in parte ancora da sfrondare. Al centro della stanza, sotto un lucernario, c’era un minuscolo banco da lavoro con sopra posati alcuni attrezzi per lavorare il legno. Ad un capo del banco era anche fissata una morsa.
 
Il pavimento era completamente ricoperto di trucioli e segatura, che saturavano l’aria del loro odore.
 
Olivander si sedette al piccolo sgabello, evocò un globo di luce che illuminasse il banco -più di un fabbricante di bacchette era rimasto senza un negozio perché aveva stoltamente pensato di illuminare il suo laboratorio con torce o lanterne- ed estrasse dal panciotto l’astuccio in pelle.
 
Con delicatezza reverenziale svolse il laccio che lo chiudeva ed estrasse l’involto di seta bianca. Sempre con la stessa cura separò i lembi del panno, portando alla luce le due piume di fenice. Emanavano un flebile calore e dei riflessi dorati come non ne aveva mai visti nel suo solito materiale da lavoro.
 
Estrasse una delle due piume e ripose l’altra nuovamente nell’astuccio che poi chiuse in un cassetto. La posò davanti a sé e, puntandovi contro la bacchetta, cantilenò un lungo incantesimo. Una volta conclusa la nenia la piuma si illuminò di una luminescenza violetta e proiettò una runa nell’aria.
 
Soddisfatto Olivander si alzò e raggiunse una delle casse posate a terra dove raccolse un grosso pezzo di legno di tasso, dal brillante colore bruno-rossiccio.
 
Tornò a sedersi e, posata la bacchetta, si mise al lavoro con pialla e raschietto, canticchiando come un qualsiasi artigiano.
 
Le sue mani si muovevano esperte mentre trasformavano il ciocco in una lamina sottile e piatta.
 
Quando fu soddisfatto del risultato vi posò sopra la piuma di fenice, come su un vassoio. Osservò l’insieme per qualche istante, poi brandì la sua bacchetta ancora una volta.
 
Substantia!” intimò.
 
La piuma si sollevo di qualche centimetro dal legno, fluttuò immobile e poi iniziò a contorcersi e a perdere la sua forma, fino a quando non divenne un unico filamento luminoso e rosso-dorato.
 
Con un movimento circolare del polso Olivander pronunciò un altro incantesimo. “Adstringeo!”
 
La lamina di legno di tasso che aveva appena scolpito prese vita a sua volta, avvolgendo il filamento dorato e stringendovisi attorno sempre più. Un lampo dorato abbagliò il costruttore per un instante mentre i due materiali si univano indissolubilmente e la bacchetta, completamente rifinita nella forma che essa stessa aveva scelto, ricadeva sul piano da lavoro con un suono di legno contro legno.
 
Olivander la prese, la osservò da vicino, la portò all’orecchio e poi la annusò chiudendo gli occhi. Parve soddisfatto. La posò da una parte, estrasse l’astuccio in pelle dal cassetto e liberò la seconda piuma.
 
La interrogò come aveva fatto con la prima. Si alzò e si diresse allo scaffale in cui teneva la quercia. Provò un ciocco, ma era incastrato. Ne provò un altro, ma lo scaffale era talmente stipato che avrebbe dovuto faticare parecchio per liberarne uno. Vide un pezzo di legno che sporgeva più degli altri, lo afferrò e lo tirò con forza.
 
Questa volta si mosse, ma mosse con sé anche l’intera scaffalatura, che ondeggiò pericolosamente.
 
Olivander si oppose con forza a quel movimento indesiderato e riportò il mobile nella sua posizione originaria. Con un tonfo sonoro, dalla cima della scaffalatura, un ramo grosso e contorto cadde direttamente sul piano da lavoro.
 
Olivander si avvicinò e lo sollevò per rimetterlo al suo posto.
 
… Inoltre, non ho mai creduto nelle coincidenze…
 
Le parole di Silente gli tornarono alla mente in un attimo. Sussurrò tra sé: “Agrifoglio e piuma di fenice. Insolito.”
 
Nonostante fosse un abbinamento curioso e tralasciando il suggerimento che la piuma stessa gli aveva dato, si sedette e si rimise all’opera; completò la seconda bacchetta con gesti sapienti e rapidi. Una volta terminato il suo lavoro prese entrambe le bacchette, spense il globo luminoso e si portò nel locale principale del negozio.
 
Estrasse da sotto il bancone due scatoline nere, lunghe e strette, foderate all’interno di seta grigia. Vi ripose con amore le due bacchette appena terminate, chiudendo sopra di loro i rispettivi coperchi. Posate una sopra l’altra infine, le collocò su di un alto scaffale polveroso affinché, pazienti come tutte le altre, potessero attendere il loro proprietario.
 
Per una di esse quell’incontro si sarebbe svolto solo di lì a qualche mese.
 
Spegnendo la luce del negozio Olivander salì la scala che portava al suo appartamento, chiudendosi la porta alle spalle.

 
 

NOTE DELL’AUTORE
 
Oggi, oltre ad essere straordinariamente in vena di scrivere, mi sento pigro e contemplativo. Credo si noti in questa One-Shot, almeno fino a quando Olivander bussa alla porta di Silente.
 
Lo so, non è un racconto d’azione; ho tenuto il ritmo molto basso e dato a tutto una patina ‘soft’. I personaggi che ho scelto in fondo sono più dei pensatori che degli uomini d’azione. Credo però che il racconto sia pervaso da una sua propria bellezza anche, e forse proprio, in virtù del carattere di questi due personaggi. Ho giocato molto col fattore estetico-sensoriale e con le descrizioni, prendendo spunto da un’informazione del tutto marginale che si trova nei romanzi: la parentela tra le bacchette di Harry Potter e Tom Riddle.
 
Inizialmente il personaggio di Silente era il preside che tutti conosciamo; in un secondo momento, riflettendo su quando questo episodio deve effettivamente essere accaduto, ho ritenuto che fosse il caso di ringiovanirlo parecchio, ai tempi in cui ancora era solo un semplice insegnante.
 
A voi il giudizio, due parole sarebbero davvero apprezzate.
 
Non smettete di leggere!
 
N.

  
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