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Autore: GiadiStewart    30/01/2012    4 recensioni
Dal primo capitolo:
Ho perso anche lui, lo definirei il mio primo amore, quella persona così simile a me che mi ha capita e mi ha aiutata, mi ha consigliata e mi ha protetta. Il mio Tate, che ormai non era più mio, ma che si era limitato ad essere l’ “inquilino” che si aggira in questa casa più cauto possibile per non incontrare me o la mia famiglia. Certe volte speravo di incontrarlo per sbaglio nel seminterrato, ma era talmente attento e scaltro che riusciva ad evitarmi, ma se tanta era la voglia di vederlo, tanta era anche la voglia di affrontarlo mai perché ormai non eravamo più niente, ci eravamo costruiti uno spesso muro impossibile da buttare giù, e che soprattutto non volevo buttare giù perché quello che aveva fatto a mia madre era imperdonabile e al solo pensiero di quel brutto ricordo mi venivano i brividi e la bile risaliva fino alla gola per il disgusto e disprezzo che si era creato in me.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il mio cervello continuava ad arrovellarsi su quanto fosse sbagliato creare un legame con Kurt, non potevamo essere amici perché lui non doveva stare qui, era sbagliato e pericoloso ed avrebbe rischiato la vita a restare qui. Ancora non riesco a capire come cavolo i suoi genitori si ostinino ad non trasferirsi da un’altra parte, sono ancora in tempo e se più il tempo passerà più le loro vite si accorceranno com’è successo con noi.
Mia madre e mio padre stanno facendo di tutto per farli scappare dalla paura e il risultato è: niente; ormai non sanno più cosa fare, e io? Beh io non ho mai preso a queste cose perché stavo uscendo da una situazione dolorosa –anche se non ne sono ancora uscita completamente- e non ho intenzione di cominciare adesso anche se un po’ mi dispiace lasciare soli i miei genitori a fare tutto.
Ora dovevo andare da Kurt per dargli il suo meritato premio anche se separarmi da quelle piccole casse sarà molto doloroso, ma d’altronde dovevo mantenere la promessa; erano interminabili i minuti che tenevo in mano quella scatoletta, dico scatoletta perché non so per quale misterioso motivo avevo ancora la confezione delle casse quindi ne approfittai per sbarazzarmene e ci feci un pacchetto con un fine fiocco blu tanto per dare un po’ di presentazione.
Inoltre, non sapevo ancora che scusa utilizzare per essermi piombata in camera sua e non potevo usare sempre la stessa se no mi prendeva per intrusa ed era meglio evitare, quindi preferii optare per la prima cosa che mi sarebbe venuta in mente quando me lo chiederà.
Mi alzai da quel letto malmesso che aveva perfino la forma del mio corpo visto che la gran parte della giornata ero distesa lì, a passo lento raggiunsi la porta, ma non riuscii ad aprirla di un centimetro che si richiuse immediatamente con un tonfo forte e che mi fece sussultare e sapevo chi era. Lo potevo riconoscere dal suo respiro a pochi centimetri dal mio collo che mi provocava i brividi su tutto il corpo, presi ad osservare quella mano che serrava la porta, quella mano che aveva toccato ogni parte del mio corpo con dolcezza e delicatezza, come se non dovessi essere presa con violenza, ero preziosa per lui e dovevo essere considerata come tale. Adesso quella mano però mi stava bloccando la strada, rigida sul legno duro della porta; subito la rabbia che era rimasta nascosta chissà dove, venne fuori come se quel pensiero risvegliò tutto quello che Tate aveva fatto. Purtroppo non riuscivo ancora a perdonarlo perché nonostante mi abbia amata come se fossi l’unica, nonostante mi abbia capita, nonostante abbia cercato di tirarmi su il morale, tutto il male che aveva provocato prevaleva sul resto e non potevo comandare i miei sentimenti, non potevo dire in un giorno qualunque: ti perdono e ti amo. No, non potevo farlo perché ero troppo fragile e testarda per farlo.
La sua mano piano piano si rilassò e si staccò dalla porta e allo stesso tempo mi girai anche io, volevo cercare di non mostrarmi sofferente di fronte a lui, sempre con quelle lacrime che usciva quando sentivo la sua presenza o che fosse proprio davanti a me come è successo l’ultima volta; volevo mostrarmi forte, indifferente.
Trovai il suo viso vicinissimo al mio e d’istinto abbassai lo sguardo non riuscendo a reggerlo, come potevo mostrarmi forte se solo i suoi occhi color onice mi facevano cadere in piccolissimi brandelli? Ero una stupida, ecco cos’ero!
“Guardami!” fu lui a parlare per primo con un tono freddo che mi fece scattare e alzare lo sguardo, teneva i denti serrati e i suoi occhi trafiggevano i miei con rabbia, quella fu la prima volta che avevo veramente paura di lui e anche se quello sguardo mi metteva in soggezione riuscii a sostenerlo, neanche una lacrima, neanche un leggero tremore, ma avevo paura.
“Che c’è?” non so con quale forza riuscii a rivolgergli la parola per prima
Lui continuò a fissarmi senza muovere un muscolo e mi sentivo così a disagio che volevo fuggire dai suoi occhi, ma invece lo guardai come se quei minuti fossero ore; le sue mani si strinsero in due pugni come se cercasse di mantenere il controllo e non rompere la prima cosa che si trovava sotto gli occhi.
“Non puoi.” Mi rispose telegrafico e con tono freddo e deciso; cercai di capire cosa intendesse con quelle due parole, ma non arrivai a nessuna soluzione quindi gli chiesi:
“Cosa?” con lo stesso tono
“Lui –disse infastidito- non puoi stare con quel Kurt, gli farai del male!”
“Come se te ne importasse qualcosa di lui” sussurrai più a me stessa che a lui, ma ovviamente Tate aveva sentito, sbatté ancora il pugno che aveva serrato poco prima sulla porta quasi rompendola e io mi spaventai, il respiro diventava accelerato e gli occhi inumidirsi.
No, lacrime, non ora!
Ma purtroppo non potevo controllarle e piano piano scesero lungo tutta la mia guancia, cominciavo a respirare a fatica, ma Tate non sembrava curarsene, cosa che prima faceva sempre, anzi continuava a fissarmi sempre con lo stesso sguardo; si avvicinò sempre di più a me e io feci un passo indietro, ma trovai subito lo stipite della porta segno che non avevo scampo e lui mi aveva intrappolata.
“Lo sai che mi interessi tu, Violet” disse addolcendo un po’ il suo tono, ma non era quello che conoscevo io, non gli apparteneva. Cosa era cambiato in lui? Perché mi trattava come così freddamente? Rivolevo il mio Tate.
Pochi secondi dopo mi accorsi del pensiero che avevo fatto e scossi la testa per scacciarlo subito, non potevo e non dovevo pensare così di lui.
“Avevi detto mi lasciavi in pace, che mi non avresti dato più fastidio se non ti volevo perchè ti importava più di me che di te stesso. Stai violando la promessa Tate” cercai di voltare la situazione a mio favore, anche se questo significava farlo sentire in colpa. Ero stupida, egoista, stronza o qualunque altra cosa, ma volevo che lui non mi parlasse più.
D’un tratto abbassò lo sguardo e pensai di avercela fatta e che se ne sarebbe andato lasciandomi sola e una parte del mio obiettivo era riuscito: farlo sentire in colpa, ma di andarsene non ne pensava proprio.
“Che cosa pensi che abbia fatto in questi sei mesi eh?! –mi trafisse gli occhi con il suo sguardo addolorato e con gli occhi lucidi e una piccola crepa si creò dentro di me- Pensi che non abbia pensato che saresti stata meglio senza di me dopo tutto quello che ho fatto? Pensi che mi sia dato alla pazza gioia mentre tu eri chiusa in quella stanza buia, a versare litri di lacrime e a sentirti singhiozzare ogni minuto? NO VIOLET! Sono un egoista, ti voglio e solo il pensiero che te ne devi andare da quello – si portò le mani tra i capelli il suo viso si trasformò in sofferente, tremava e le lacrime che non riusciva a trattenere uscirono fuori-. Ho bisogno di te Violet” concluse guardandomi negli occhi ormai arreso e senza avere la forza di dire altro, mi guardava aspettando una mia risposta, un mio gesto che non arrivava, lo guardavo anche io con gli occhi ormai gonfi e rossi. Mi sentivo vuota, le gambe potevano abbandonarmi da un momento all’altro anche se mi sostenevo alla porta, perché mi doveva dire tutto questo ora? Doveva per forza complicarmi in questo modo la vita? Mi sarei buttata tra le sue braccia e l’avrei tenuto stretto per ore, l’avrei perdonato, ma c’era qualcosa che me lo impediva, qualcosa come: “ha stuprato tua madre, deve stare solo con la sua sofferenza”, eppure c’era un parte di me che lo voleva perdonare, dimenticare tutto quello che aveva fatto e averlo di nuovo vicino a me, ma perché non riuscivo ad ascoltare questo lato di me? Cosa era successo in me dopo quel brutto ricordo di sei mesi fa?
“Violet…” mi chiamò Tate con voce flebile, mi circondò il viso con le mani, era di nuovo a pochi centimetri da me potevo sentire il suo respiro caldo, e io nostri corpi erano vicinissimi e capii cosa voleva fare, ma non mi spostai, non ne avevo la forza e volevo davvero che lui mi baciasse? Non lo so, ormai non sapevo più nulla.
“Ti prego, Violet” mi stava pregando di perdonarlo, non mi ero mai trovata in difficoltà come ora, non sapevo cosa dire, cosa fare, ero completamente smarrita.
Annullò piano la poca distanza che ormai ci separava, dandomi il tempo di ritirarmi se lo volevo, ma sapevo che in cuor suo sperava che non lo rifiutassi e che ricambiassi il bacio. Ormai i nostri nasi si sfioravano e le mie labbra erano dischiuse per accogliere le sue quando…
Il cellulare vibrò dentro la tasca dei pantaloni segno che era arrivato un messaggio e non so se maledirlo o ringraziarlo, ma fu abbastanza da far sospirare Tate e allontanarsi dal mio viso, io invece ero ancora in trance e quasi non capii dove fossi, ma poi mi ricordai del cellulare e lo presi dalla tasca e lessi chi me lo aveva mandato: Kurt. Lo aprii e c’era scritto:
“Non vorrai mica scappare con le casse, spero. Ti sto aspettando da mezz’ora!”
Sgranai gli occhi, mi ero totalmente dimenticata di Kurt, Tate aveva preso la maggior parte dei miei pensieri che l’incontro con Kurt finì nei meandri della mia mente.
Distolsi lo sguardo dal cellulare e guardai il ragazzo biondo che mi stava di fronte, che non mi stava guardando, ma guardava il cellulare e… aveva letto il messaggio;
“Devi andare” disse arreso e quasi mi venne da rispondere “no, resto qui”, ma la parte ancora razionale di me mi disse che era meglio andarsene che la situazione stava diventando troppo pesante quindi mi limitai ad annuire.
“Pensaci Violet” e sapevo a cosa si riferiva, ma non dissi nulla perché non ero ancora sicura di me stessa e non volevo dargli false speranze e poco dopo se ne andò, lasciandomi sola.
 
 
Poco dopo mi trovai a camminare tra i corridoi di quell’immensa casa per dirigermi verso la camera di Kurt, ormai la voglia mi era passata e avrei preferito rimanere sola in soffitta e inoltre temevo che Kurt vedendomi in questo stato mi chiedesse cosa mi fosse successo e che non sarei riuscita a trattenere tutte le lacrime, facendolo così allarmare o peggio, prendermi per pazza. Ed io non volevo questo.
Camminavo a passi lenti ed incerti come se non volessi arrivare davanti a quella stanza orami più che familiare, ma purtroppo la casa non aveva la capacità di allungarsi e di spostare sempre più lontano la porta e quindi ci arrivai in troppo poco tempo. Bussai con poca forza –che ormai avevo completamente smarrito- e pensai che forse non aveva neanche sentito, ma le mie ipotesi erano infondate perché non mi lasciò neanche il tempo di preparami ed aprì di fretta, sembrava che mi avesse aspettato dietro quella porta. Il suo viso sempre sorridente incontrò il mio spento e cupo anche se mi sforzai di fare un piccolo sorriso che non mi riuscì molto bene, poi mi ricordai del pacchetto e lo agitai davanti al suo viso facendogli capire che non me ne ero dimenticata e proprio in quel momento il suo sorriso raggiunse i suoi occhi azzurri oceano che contagiò anche me, si spostò poi da un lato per lasciarmi entrare e chiuse la porta alle sue spalle.
“Come sei entrata?” mi chiese, ecco lo sapevo che quella sarebbe stata la sua prima domanda così mi girai per incontrare il suo sguardo
“Ciao Kurt, sto bene grazie” dissi ironica e dal suo petto risuonò una piccola risata
“Ok, scusa –rispose alzando le mani come per arrendersi- anche se non sembri che tu stia bene” il suo sorriso si spense e divenne pensieroso e abbandonando le sue braccia lungo il corpo. Era una contestazione decisa, lui era sicuro che il significato del mio ‘stare bene’ era solo per dire la prima cosa che mi era venuta in mente e tutto questo mi aveva provocato una fitta allo stomaco inaspettata molto forte, deglutii non sapendo cosa dire e come se non bastasse, lui continuava a fissarmi aspettando una mia risposta. Voleva la verità per caso? O voleva che lo ammettessi?
“N-non è n-niente” balbettai cercando di non fargli capire che aveva colpito nel segno, anche se credo lo avesse già capito
Lui sospirò e disse: “Senti Violet, ti conosco da poco… anzi non ti conosco proprio, ma sei un libro aperto e si vede che stai male. Ora non voglio che ti confessi a me perché in fondo, chi sono io? Però ti prego, voglio conoscere la vera Violet e non credo che sia quella piagnucolona, solitaria e che si fa mille problemi, lo so che non sei tu” concluse e io mi sentii davvero inutile perché tutti cercavano di capire me, ma io non capivo loro. Era perché sono incapace? O perché non ci arrivo alle cose? Oppure capire le persone è il mio punto debole?
Avevo solo troppo casino in testa per Tate e adesso arriva lui che cerca di darmi compassione e pietà, ma non ne avevo bisogno perché stavo bene così.
Non avevo bisogno di nessuno, non ho mai avuto bisogno di nessuno e me la sono cavata sempre da sola ed ora arrivano i moralisti a tirarmi su l’umore?
No, no e ancora no. Da sola ce l’avevo sempre fatta e ce la potevo fare anche ora.
“Era il pacchetto che volevi no? Bene, te l’ho portato e adesso me ne posso andare” cercai di cambiare discorso e la voglia di andarmene era davvero forte, feci per aprire la porta della sua stanza e andare a rifugiarmi su quella soffitta che era diventata la mia casa, ma la sua voce mi fermò di colpo con la mano sulla maniglia 
"Aspetta! Non mi interessavano le casse della Apple, te le puoi tenere visto che costano tanto, io resto fedele al mio vecchio stereo -sorrise, ma io non ricambiai-. Era un pretesto per vederti, tutto qui" e mi riconsegnò il pacchetto che accettai. Non sapevo cosa dire, non sapevo se dire un semplice 'grazie' oppure ribattere per quella confessione che però sarebbe stata una falsa sfuriata perchè, se devo essere sincera, come mi era entrata in un orecchio mi era uscita dall'altro e questo era inaspettato da parte mia viste le mie poche frequentazioni con i ragazzi, di solito arrossivo visibilmente e mi imarazzavo, ma ora era tutto diverso. Non mi importava granché, e questo mi dispiaceva per lui, ma non volevo ferirlo decendogli quello che avevo appena pensato, quindi mi limitai soltanto a rivolgergli un'altra occhiata e ad aprire la porta per uscire dalla stanza. 
Prima di riuchiuderla però sentii ancora la sua voce che mi diceva: " Ti aspetto alla festa di domani, me l'hai promesso". 
Già... la festa, mi ero dimenticata anche di questo. Non risposi neanche a quella frase e mi chiusi la porta alle spalle e lasciandogli poche speranze non sapendo se potevo mantenerla o meno quella promessa. 



Note dell'autrice: 
Tadaaaaan! Ce l'ho fatta bella gente! Questo capitolo è stato davvero un lunghissimo parto, punto uno perchè la scuola non mi dava molte possibilità per scrivere e punto secondo perchè non sapevo proprio come impostarlo D: E siamo solo all'inizio, sono messa proprio bene insomma -.-'' 
Eh niente, che dire... dopo tante richieste, o meglio suppliche, quel biondino di Tate si è rifatto vivo non come il meglio dei galantuomi, ma meglio di niente xD 
Il prossimo capitolo ci sarà quel benedetto party e scoprirete finalmente il vero Kurt, quello senza costrizioni e sorrisi, sperando di riuscire a soddisfare le vostre aspettative u.u Btw, il capitolo in parte è pronto e spero che verso il fine settimana e poco prima riesco ad aggiornare in modo tale da non farmi aspettare ventordicimila anni per un capitolo °-° 
Vabbene, smetto di rompervi le balls e me ne vado xD 
Alla prossima, 
-Giada. 
  
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