I
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...
Nella vita c’è sempre qualcosa da capire.
Potrebbe essere una cosa da nulla, tipo il perché ero nudo. Oppure qualcosa di
molto più complicato, tipo ... chi ero. In entrambe, la vita, ti lascia
camminare da qualche parte. Anche se non sai dove, lei ti abbandona al tuo
destino. Avverso o no, neanche lei lo sa.
Ora toccava a me scoprirlo.
Erano almeno due ore che camminavo. Il sole
sorrideva nel cielo facendomi sentire energico. Davanti ai miei occhi si
distendeva solo un grosso tratto di sabbia. Avevo sete e dovevo trovare al più
presto un oasi in quel deserto. Ogni tanto mi divertivo a schiacciare i palmi
delle mani facendo partile qualche raggio. Lo seguivo con lo sguardo come se
m’indicasse la strada da prendere. Ma poi mi rendevo conto che la direzione era
stata un evento casuale e continuavo verso l’ignoto.
Aguzzai la vista, come fa un falco quando
punta la sua preda, notai delle cose muoversi, evidentemente quella era la
fine. C’era solo un piccolo problema, dovevo presentarmi in quel posto senza
nulla addosso. Il sole stava quasi per tramontare, dedussi che non mancava
molto al sorridere della notte. Così timido e senza meta mi sedetti ad
aspettare.
La luna arrivó dopo un bel po’, succede
sempre per tutte le cose che aspetti. Anche se devi attendere solo un paio di
minuti, sembra un’eternità. Stavo ricominciando ad entrare nuovamente in quel
meccanismo complicato del tempo.
Mi alzai e cominciai ad avvicinarmi a quella
città. Tante luci mi scrutavano dall’alto. Tutti i negozi erano chiusi e man
mano che mi addentravo constatai che non c’era nessuno.
Sentii un fischio, mi voltai. Da una serranda
un uomo mi faceva cenno di entrare. Mi fidai. Se qualcosa sarebbe andato storto
gli avrei fatto un bell’applauso.
– Avanti, vieni qui!
Entrai, quella stanza aveva veramente
tantissimi “comfort”. A terra, negli angoli si notavano tre cartoni, due
impegnati e uno no. Evidentemente doveva essere il letto di chi mi aveva fatto
entrare, che ora stava comodamente urinando fuori. Non s’importava della mia
presenza, in fondo non aveva torto. Quello che doveva sentirsi a disagio ero
io. Poco dopo entrò e chiuse la serranda dietro le sue spalle. Mi allungò la
mano, non volevo stringerla, mi faceva schifo e così gli mostrai il cerchio
blu.
Mi afferrò il polso e io non ero riuscito nel
mio intento: quello di non farmi toccare da quel tizio.
– Ma che roba è?
Un altro si alzò incuriosito e prese l’altro
polso – anche qui, guarda!
Mi fissarono e volevano una spiegazione da
me. In realtà non sapevo cosa rispondere.
– Ma da dove vieni?
– Dal deserto.
– C’hai proprio una brutta cera.
– Bill, siamo cortesi con gli ospiti – si
rivolse a me – come mai vai in giro con la “salsiccia all’aria”?
Lo guardai perplesso, evidentemente si
riferiva alla mia nudità – mi sono svegliato così e sono scappato.
– C’hai proprio l’aria assonnata.
– Come ti chiami, forestiero? – domandò
quello che era rimasto seduto a terra.
Cercavo tra i miei ricordi, ma non mi veniva
in mente nulla. Il tipo in quel corridoio me l’aveva messo un nome, forse già
era mio o forse se l’era inventato a momento; questo non potevo saperlo.
– Frederick
– Sembra che ti abbiano rubato tutto, anche i
ricordi.
Quello a terra sembrava essere il più
intelligente di tutti, mi guardò da sotto il suo cappello da baseball e diede
un altro morso alla mela verde che stringeva in mano.
– C’hai freddo Fed … Fredi … uomo strano?
L’altro gli diede un ceffone – Frederick, si
chiama. Imbecille!
– Ma, c’ha un nome complicato. Non è colpa
mia se la madre c’ha messo ‘sto nome strano.
– Non ho tanto freddo.
Mi guardavano come se fossi un fenomeno da
baraccone. Le cose che più l’incuriosivano erano le miei mani. A dire il vero
... anche a me.
– Capo, lo facciamo ‘sto colpo?
Dopo questa domanda, Bill, si beccò un altro
ceffone dall’amico – zitto imbecille!
Zac, mi guardò da sotto il suo berrettino –
sei uno sbirro?
– Intendi ... se sto dalla parte della legge.
– Sì.
Rimasi per un attimo a rimuginare – non so
cosa facevo prima.
Mi stava classificando, come fanno tutti capi
che devono prendere un altro uomo nella loro azienda. Quella era un po’ strana,
ma aveva sempre un capo – ti va di guadagnarti un vestito?
Guardai il mio pene penzolare – anche un paio
di mutande.
– Sei dei nostri, forestiero – si rivolse a
Bill – dagli disposizioni, e fagli studiare bene il piano.
Bill sembrava essere felice. Fece due
colpetti di tosse, come fanno le persone importanti prima di illustrare un
progetto. Tirò fuori un foglio abbastanza grande da poter sembrare una mappa
fatta a mano – allora, noi siamo qui. Questo è il magazzino da svaligiare. Poi
... scappiamo qui. C’hai domande da fare?
Lo guardai perplesso – tutto qui?
– Ti sembra facile ... bisogna buttare giù
questa parete.
– Capo, se mettiamo la dinamite qui dici che
crolla? – Boom cominciò a toccarla.
Bill già aveva in mano due candelotti di
dinamite e attendeva una decisione.
– Basteranno, basteranno.
– Toglietevi.
Mi guardarono in modo strano cercavano di
capire cosa volessi fare.
Zac sbuffando si alzò e si mise alla distanza
di un braccio da me – allora, che sia ben chiaro, qui comando io.
– Nessuno lo mette in dubbio.
– Bravo, quindi stai zitto e facci fare il
nostro lavoro – si rivolse verso i suoi uomini – piazzate le cariche e quando
sarà il momento fatele esplodere.
– Spostatevi, ci penso io.
Il capo avvampò – sei fuori dalla squadra.
Proprio in quel momento accostai leggermente
i miei palmi. Il fascio di luce colpì il muro al centro riducendolo in mille
pezzi.
– Non sono stato io, non c’ho messo ancora le
cariche ...
Bill continuò a parlare ma gli altri mi
guardarono a bocca aperta.
L’allarme iniziò a suonare rompendo quel
silenzio imbarazzante.
– Sei fuori ... cioè resti fuori e aspetti
noi – mi ordinò.
Li vidi balzare dentro e correre alla
rinfusa, li persi di vista e rimasi ad attendere in compagnia del suono della
sirena. Evidentemente mi volevano proprio bene gli allarmi, non mi lasciavano
mai solo.
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Non ci misero troppo tempo, tornarono con tre
carrelli colmi di roba.
– Avanti, scappiamo. Prima che arriva “la
madama”*.
Non sapevo chi fosse, evidentemente doveva
essere la proprietaria del negozio. A quanto pare, era particolarmente
pericolosa per incutere quel timore.
Corremmo verso la strada prefissata sulla
mappa. Io ero per ultimo e ogni tanto mi toccava raccogliere qualche cosa che
era caduta. Girammo in un vicolo, tutti si bloccarono – maledizione, la
“madama”.
Certo che doveva essere veramente veloce,
questa. Evidentemente era una di quelle tipe che sono sempre pronte per andare
da qualche parte. Se le chiedi – perché dormi vestita? – lei ti risponde – e se
succede qualcosa?! – così passano la loro esistenza a fare progetti per “guai”
che potrebbero succedere. Anche se le percentuali che accadono sono bassissime,
loro fanno un bel programma di come comportarsi per l’evenienza. Magari se lo
tengono per loro. Non sia mai che accade davvero … subito cacciano il loro
progetto e convinte che tempo prima l’abbiano illustrato a tutti, dicono – hai
visto? Te l’avevo detto io? Vedi … – e sono anche contente del guaio che è
capitato.
– Boom, Piano B – ordinò Zac.
– Bill, Piano B.
– Frez … Fri …
– Frederick?!
– Bravo, piano B.
– Sarebbe?
Mi guardò perplesso, si voltò in avanti –
capo, qual è il piano B?
Si schiarì la voce e con aria di chi da
ordini chiari e precisi – scappare.
Cominciammo a correre per i vicoli, secondo
me non sapevano che rotta seguire. Si ritrovarono in compagnia dell’affanno e
dovettero fermarsi in un vicolo buio per recuperare. Su un carrello, vidi un
vestito nero – ma questo è mio?
Annuirono.
Lo presi e notai che c’erano anche delle
mutande nuove. Erano con tanti cuoricini disegnati sopra. Non erano il massimo,
ma meglio di nulla. Ne infilai una …
– La “madama”, via, via, via!
Cominciammo nuovamente a correre. Era
veramente una donna formidabile. Aveva scovato subito il nostro nascondiglio.
Secondo me aveva un album, con tante caselle dove c’erano raffigurati tutte le
cose che potessero succedere. Sicuramente aveva tutte le figurine.
– Anche di qua, via, via, via!
– Via indietro, via.
I nostri carrelli cominciavano a perdere
carote, cipolle, pacchi di pasta e frutta secca. Io cercavo di recuperarne il
più possibile, ma non sempre ci riuscivo. All’improvviso, la ruota anteriore
del carrello del capo si ruppe. Lo vedemmo sbandare, prima a destra e poi a
sinistra. Corsi in avanti e cominciai a reggere il carrello dove cedeva. Ad un
certo punto, non potevo più continuare in quelle condizioni.
– Lascialo a me.
Non fiatò e fece come gli avevo detto.
Sollevai il carrello e continuammo a mettere in atto il piano B. Dopo poco vidi
che li avevo lasciati indietro di “brutto”. Mi fermai e aspettai che mi
raggiungessero. Mi portai in ultima fila. Continuammo la nostra corsa spietata,
Zac controllava sempre dietro in caso in cui la donna ci stesse seguendo.
Ma qualcosa andò storto e ci ritrovammo in un
vicolo cieco.
Indietro non potevamo andare, sicuramente
saremmo stati scoperti. L’unica cosa da fare era scavalcare quel muro e chi
comandava lo capì subito. C’era solo un piccolo problema: il malloppo. Erano
carrelli, non potevamo portarli dall’altra parte. Dopo trenta secondi a
studiare piani buttati li a caso, il comandante decise che Boom andava
dall’altra parte del muro, Bill vi saliva sopra, io allungavo la roba e lui …
faceva come tutti i capi: guardava e diceva – fate presto.
Cominciai a passare prima la pasta …
– Fate presto.
Poi, i barattoli di sugo …
– Fate presto.
I pezzi di prosciutto …
– Fate presto.
E mentre stavo passando i dolci, all’ultimo
pacchettino di cioccolato, Boom annunciò – ma invece di fare tutto questo
casino, perché non lo butti a terra questo muro?
– Fate presto … – stette per un attimo a
pensare – ottima idea. Spostatevi tutti, ci pensa il forestiero.
Posai quello che avevo in mano e unii i miei
palmi. Il muro cadde e potetti portare il pacchetto di cioccolato dall’altro
lato senza fare tutto il giro.
Guardammo la roba a terra sistemata
accuratamente, andammo a prendere i carrelli e la ricaricammo sopra.
Ci sedemmo un attimo a riposare mentre il capo
fumava una sigaretta. Quando ebbe finito, con tranquillità applicammo il piano
B. Cioè … scappammo con calma. Io portavo in braccio sempre il carrello colmo
di roba, fissavo gli altri due carrelli che erano quasi vuoti. I due se ne
accorsero e cominciarono a guardare il cielo fischiettando, come se volessero
dire – è solo un caso che il tuo carrello è pieno.
– Siamo arrivati – annunciò Zac con voce
stanca. Era quello che aveva lavorato più di tutti.
Entrammo in quell’appartamento ben arredato,
Bill e Boom cominciarono a sistemare la roba.
Il capo mi mostrò il bagno, feci una doccia e
mi misi il mio vestito nero.
Finalmente non ero più nudo.
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* Madama: Nel gergo della malavita, la polizia: attenzione,
arriva la madama!; o anche, un poliziotto: una m. veniva proprio diretta verso
di loro (Pasolini). - Vocabolario Treccani on-line -