FREDERICK
Prologo
Mi
svegliai e tutto era strano intorno a me. Come se da un momento all’altro mi
avessero messo in quel posto senza avvertirmi. Ero completamente stordito.
Scesi
dalla barella e cominciai a fare due passi all’interno della stanza. La testa
mi bruciava e in bocca avevo un sapore amarognolo. C’era uno sgabello, mi
sedetti e presi la testa tra le mani.
Cominciai
a massaggiarla con la speranza che quel dolore andasse via. Ma nelle mani c’era
qualcosa che non andava. Per un attimo le fissai senza sapere il perché lo
stessi facendo. Successivamente la convinzione che quello che vedevo non
appartenesse al mio corpo.
Mi alzai e andai dritto: avevo sete.
Si
parò una porta davanti ai miei occhi, era proprio di fianco alla barella. Forse
prima non l’avevo vista, o forse si era materializzata come un oasi nel
deserto. Entrai e trovai un lavabo. Come un cane randagio aprii il rubinetto e
cominciai a bere. Tutta quell’acqua sembrava non dissetarmi. Alzai la testa e
scorsi un vetro grigio, all’interno la faccia di un uomo che mi guardava.
Ebbi
paura.
Sembrava
che si stesse prendendo gioco di me, faceva gli stessi movimenti che facevo io.
Presi uno spazzolino posato in un bicchiere, gli tolsi il sigillo e comparve
una pellicola gialla: era il dentifricio.
Quell’uomo continuava a fissarmi da quella prospettiva. Solo quando
cominciò a lavarsi i denti capii che era uno specchio. Ma quello non potevo
essere io, quelli non potevano essere i miei occhi.
Vestito solo del mio sguardo comincia a cercare una via di fuga o
qualcosa che potesse aiutarmi. Continuavo a seguire l’istinto come un coniglio
in gabbia. Mi sedetti nuovamente sullo sgabello.
Cercai
nella mia testa qualcosa che potesse avere la parvenza di un ricordo. L’unica
cosa che riuscivo a vedere erano immagini vuote. Come quella stanza. Mi
concentrai cercando qualcosa, ma subito dedussi che quel posto non aveva una
via d’uscita.
Comincia
a fissare con curiosità le mie mani. Se le avvicinavo sembrava che quello che
c’era al centro avesse una reazione. Non appena le strinsi palmo su palmo un
qualcosa si materializzò all’interno. Mi ritrovai a terra, avevo battuto la
testa pesantemente. Non so cosa successe, ma davanti a me c’era una crepa nel
muro che rappresentava una via d’uscita. Un grido di sirene mi seguiva mentre
avanzavo verso l’unica strada disponibile. Le luci erano rosse e giravano
sempre nello stesso verso.
– Frederick.
Mi voltai, era un uomo: camice bianco,
occhiali da scienziato.
– Fermati dove pensi di
andare?
Ce l’aveva con me quel tizio.
Sentii un rumore metallico e passi avvicinarsi pesantemente. Erano uomini
armati di “tutto punto”.
– Frederick, non alzare le mani … fermati, tienile giù.
Feci come mi ero stato detto e mi avvicinai verso di loro con passo
calmo. Quelli indietreggiavano con i fucili puntati verso di me. Potevano farmi
fuori da un momento all’altro. Invece respiravo la loro paura.
– Fermati, torna indietro.
Continuavo il mio passo mentre nella faccia di quell’uomo si disegnava
il terrore. Ma non volevo fargli del male. Alzai le mani.
– FERMATI! Cosa fai?
Non l’ascoltai, feci un solo battito, come se fosse un applauso. Un
raggio si materializzò tra i miei palmi e partì. Il corridoio diventò blu e
tutti erano a terra immobili.
Continuai
verso la mia strada che mi portava da qualche parte ignota.
La
luce rossa non si vedeva più. Tutto era buio, tranne quella roba nelle mie mani.