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Autore: A Dream Called Death    31/01/2012    1 recensioni
< Pensi a lei qualche volta? > chiese poi.
< In continuazione > risposi.
Mi alzai dallo sgabello.
Lui mi fissò, incuriosito.
< E come faccio a sapere che con lei al mio fianco tornerò a vivere? Può essere l'anestetico al dolore? > chiesi.
< Lei non è l'anestetico al tuo dolore... Ma potrebbe essere la cura definitiva. >
Anno 2006.
Il tour mondiale di American Idiot è stato appena cancellato ed i Green Day tornano in America dopo tre mesi dalla partenza.
Ma qualcosa è cambiato, fuori e dentro il gruppo.
Per Billie Joe Armstrong lo scontro con le ombre del passato non è mai finito.
I pensieri, i dubbi e le insicurezze di un uomo che deve fare i conti con se stesso: una vita spesa per la musica e per la propria band, ma anche colma di bugie e alcol, nemico ed amico da sempre del protagonista, unico rimedio al dolore ed alla rassegnazione.
Ma un incontro lo sconvolge, mescola i pezzi del puzzle della sua vita, lo mette di fronte alla cruda realtà: non si può fingere per sempre, si deve trovare il coraggio di prendere la decisione più difficile di tutte... Essere felici.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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In quel momento, qualcuno bussò alla porta della camera.
John.
-Billie?-.
I nostri occhi continuarono a fissarsi.
L'eco della mia domanda persisteva ancora nell'aria.
Ma la ragazza non mi rispose.
Rimase in silenzio, chiedendosi probabilmente quale sarebbe stata la
risposta più giusta da dare alla mia folle richiesta.
-Sì?- domandai, verso la porta chiusa.
Guardai la ragazza, non fece alcun cenno.
-Sì- risposi al mio interlocutore.
John aprì lentamente la porta, aspettando alcuni secondi prima di osservare
la stanza (colto forse dall'imbarazzo).
Non notando nulla di strano, aprì completamente la porta, rimanendo sull'uscio.
-Jane!- esclamò, esterrefatto, osservando la figlia in piedi.
Corse da lei, afferrandole le mani.
Stravolto dalla felicità.
-Sei in piedi! Come... Torna a letto!- disse.
Io lo bloccai.
-Sta bene- affermai.
In seguito mi pentii di ciò che avevo appena fatto. In fondo, non avevo alcun
diritto di allontanare John da lei, pur tenendo conto che il figlio di Jane era
anche il mio. Non avevo il diritto di dividere, anche se inconsciamente, padre
e figlia: ma tutto ciò che riguardava lei un pò mi apparteneva.
Ed io ne ero geloso, terribilmente geloso.
-Io...- farfugliò John.
-Lei?- .
-Io sto andando dal reverendo Edward. Mi domandavo se... verresti con me?-
chiese, rivolgendosi al sottoscritto.
Soffocai una gelida risata.
-Io con la religione non ho nulla a che fare. Non ho mai pregato nella mia vita
e non credo che lo farò mai, non fa parte di me- ammisi, schiettamente.
-Vieni con me dal reverendo- ripetè.
Io scossi la testa.
-Non possiamo lasciare Jane da sola in casa, dopo quello che è successo- dissi,
tentando di dissuaderlo dalle sue intenzioni.
-Al piano di sotto c'è la signora Hewitt, la mia vicina: è lei che ha tenuto Jane
quando era piccola, le terrà compagnia in queste ore-.
Non ero pienamente convinto di voler andare: affrontare un demone a mani
nude non era semplice.
Mi arresi, accettando solamente di accompagnare l'uomo.
Salutai Jane e scendemmo le scale.
La Saint Chad's Chattedral è uno dei luoghi culto più importanti nella panoramica
della città: proprio qui operava questo famoso reverendo Edward, molto adorato
dal padre di Jane e dall'intera comunità religiosa.
Affrontare quel prete non mi entusiasmava, anzi, per me voleva dire portare
a galla vecchi rancori.
Non sono mai stato un uomo religioso, l'ho sempre ritenuto un modo assurdo
per sfuggire alla triste realtà della vita. Non riuscivo a trattenere il mio disprezzo
verso quel mondo, così lontano dal mio, così assurdo.
Entrammo.
Seguii John, si dirigeva verso la stanza circolare.
Le immagini che si presentarono avanti a me, aumentarono il mio malessere
del momento: il fatto di trovarmi lì non mi portava tranquillità.
Dalla porta alla nostra destra, venne avanti un uomo.
Alto, capelli grigi, occhiali.
Tutto ciò che mi faceva ricordare l'immagine di un prete.
John gli presentò la mano, con l'altra tenne il cappello.
-John! Mi ha fatto piacere la sua visita di ieri sera, non pensavo che sarebbe venuto
a trovarmi anche questa mattina. O almeno, non così di buon'ora- ammise.
-Ho bisogno di parlarle di Jane...-.
-Come sta sua figlia? Si è ripresa? Cosa la tormenta?-domandò.
John indicò la mia persona.
-Lui è Billie, non si preoccupi se nota un volto familiare in lui, è un personaggio
molto conosciuto- affermò John, sorridendomi.
-E' la prima volta che la incontro, Billie. Sia il benvenuto nella casa del Nostro
Signore- mi disse l'uomo.
Io lo fissai, da capo a piedi, ma il mio sguardo non lasciò intendere nulla.
Mi tese la mano, io non la presi.
-Allora, Billie... vuole seguirmi nelle mie stanze? Ho idea che le abbia molto di
cui discutere-.
-Non ho niente da dirle- ribattei, secco.
Nonostante la mia risposta, il prete si allontanò avvicinandosi alla porta dalla
quale era appena uscito. John, invece, andò a sedersi.
Con passo lento, seguii l'uomo, che mi indicò di raggiungerlo.
Ci trovammo in una stanzetta.
Il prete si sedette, libro alla mano, volgendo lo sguardo avanti a se.
Io mi sedetti al suo fianco, gambe distrattamente accavallate.
-Stia bene a sentirmi, prete- iniziai.
-Non sono venuto qui per ascoltare i suoi fottuti discorsi, se mi trovo qui è solo
per accompagnare il padre della donna che amo. Quindi si tolga dalla mente di
potermi fare da confessore, io non ho niente da dire ne a lei ne al suo Dio-, sbottai,
irritato, tenendo a fatica il filo del discorso.
Padre Edward si tolse gli occhiali.
-Esiste un solo Dio, Billie, per tutti- affermò.
Io iniziai a ridere sonoramente, alzandomi in piedi.
-Ahahah... DI0- urlai, guardandomi attorno, - Dio... dov'è? Lei lo vede, lo ha mai visto?
No, perchè, sa, se così fosse dovrebbe spiegarmi dove si trova questo famoso
''Dio'' o come lo chiamate voi. Sa, io lo odio. Odio tutto ciò che lo riguarda, odio tutto
ciò che lo rappresenta, odio tutti quelli che ne parlano. Odio tutto questo- ammisi,
indicando la stanza.
-Io... Io penso che voi siate solo un branco di smidollati ipocriti illusi. Perchè non
posso essere io, Dio? Non sarei forse più umile, non farei forse più carità? Non aiuterei
forse tante disgraziate famiglie allo sbaraglio? Tante fottute persone miserabili?
Non è forse questo vostro Dio che ha creato questo mondo? Non è forse per colpa
sua che se ne vanno i figli, i padri, i mariti, le mogli?Andiamo, guardiamoci in faccia...
Dio non esiste. E se esistesse... vorrei ammazzarlo-.
Troppo preso dal mio sfogo, non mi resi realmente conto della natura blasfema delle
parole che avevo appena pronunciato, ne tantomeno mi chiesi quale poteva essere
la reazione di quell'uomo di chiesa di fronte ad esse.
Così forti, avevano sorpreso anche me.
Non riuscii però, ad intravedere dell'odio nel suo sguardo.
Tutto ciò mi provocò un ulteriore fastidio.
Avevo appena messo in discussione la sua fede, eppure lui... lui non sembrava esserne
affatto turbato, per nulla sconvolto.
I suoi occhi lasciavano trasparire solo compassione nei miei confronti.
-Me ne vado- sbottai, afferrando la giacca appoggiata alla sedia.
-Io penso invece che tu sia un uomo molto coraggioso-.
Ero ad un passo dalla porta, mi fermai.
-Lei non sa un cazzo di me- ribattei.
-Ci vuole coraggio per fare quello fai, ci vuole ancora più coraggio per essere ciò
che sei. Ma tu, come stai?- domandò.
Non riuscivo a credere alle mie fottute orecchie.
Non volevo credere alle mie fottute orecchie.
Era da tempo che non sentivo pronunciare più quella domanda.
Erano mesi, anni forse, che nessuno si degnava di chiedermi come cazzo stavo.
Alla gente importava solo che io rimanessi una star indiscussa, con molta vita attorno,
nessuno si era mai realmente chiesto come diavolo stavo, cosa pensavo, cosa volevo.
Nessuno.
Ne Mike, ne Trè.
Mia moglie ancor meno.
Bastava solamente che io rimanessi, ai loro occhi, il Billie di sempre: quello carico,
quello che non ha paura di nulla (o meglio, finge di non aver paura), quello che ha
sempre vissuto giorno dopo giorno come se non potesse più vivere l'indomani.
Erano tutti fottutamente convinti che io stessi bene, che avessi ancora voglia di
spaccare il mondo. Questa voglia, in realtà, era venuta a mancarmi già da molto tempo.
Eppure, nessuno se ne era mai accorto.
Avevo l'impressione che nessuno volesse più scavare a fondo nell'anima, per
poter comprendere il forte disagio che accompagnava i miei giorni.
Nessuno, tranne quell'uomo.
Le parole giuste, quali erano?
Da dove dovevo partire? Da Jane, da mio padre?
Oppure dai continui viaggi attorno al mondo che mi affaticavano?
Dalla mia giovane malattia?
-Fino ad un anno fa...- iniziai, posando la giacca, -sapevo chi ero, sapevo tutto. Ora non
so più nulla. Mi guardo allo specchio e fatico a riconoscermi. Non so più chi sono, non
ho più coscienza di me stesso. Tempo fa... credevo di fottere il mondo. Invece, mi sono
accorto che l'unico ad essere fottuto sono stato io. Ho sposato mia moglie molti anni
fa, era la donna della mia vita...-.
Mi sentii crollare.
Le forze mi stavano nuovamente abbandonando.
-Io... Io non sono più l'uomo che sono sempre stato, non sono più l'uomo che credevo
di essere. Tutta la mia vita mi sta opprimendo e la persona che vedo in televisione non
esiste più. Ero convinto di avere tutto ciò che si potesse desiderare, ma ora... ora più
mi guardo indietro più vedo che in realtà non ho nulla. Sto crollando, forse sono già
crollato. Non so più cosa sto facendo, sono vent'anni che tradisco mia moglie con
un uomo... un uomo che viene a casa nostra tutti i dannati giorni. E lei... Lei lo ama come
se fosse suo fratello, cazzo!- urlai.
Mi voltai.
-Guardi, cazzo. Guardi bene. Guardi cosa sono diventato. Ma quale rockstar, ma quale
celebrità! Mi guardi! Non so più riconoscere la realtà... La verità è che io... io sto
morendo-.
Silenzio.
-Ti capis...-.
-NO, LEI NON CAPISCE- urlai, arretrando.
-C'è qualcosa che ami ancora nella tua vita?C'è qualcosa per cui tu ti senta ancora vivo?
Se c'è, devi inseguirla, devi afferrarla perchè solo quella è la tua ancora di salvezza. Se
non hai più voglia di vivere, devi trovare un motivo per farlo. Devi ritrovare te stesso-
affermò l'uomo.
C'era qualcosa che ancora mi teneva in vita.
C'era qualcosa che amavo profondamente.
Ma come potevo amare qualcosa che facesse parte di me, se tutto ciò che detestavo era
proprio la mia immagine? Come potevo provare tanto amore e tanto odio?
-La verità è che io non ho più tempo... arrivederci- dissi, uscendo di scatto dalla porta.
Mi affrettai a percorrere la sala d'uscita senza guardarmi inditro, un pò come avevo
sempre fatto nella mia vita.
Ero sulla strada di casa, quando il telefono maledetto squillò nel taschino.
Pensavo fosse spento.
Non sapevo se rispondere o meno, alla fine pensai che poteva trattarsi anche di Jane.
Quindi risposi.
-Sì?-.
Un attimo di silenzio.
-Big?-.
Trè.
Era da molti giorni che non avevo sue notizie, tuttavia la sua voce era talmente bassa
che stentai a riconoscerla.
-Big! Non posso parlare molto al telefono, solo qualche secondo- ammise il batterista.
-Dove sei?- domandai.
-Rinchiuso dentro uno sgabuzzino dell'albergo, sono in incognito, gli altri non sanno
niente. Mike mi ha fatto promettete che non ti avrei chiamato. Dove sei?-.
Io non risposi.
Mi si gelò il cuore.
-Sono preoccupato, Big... Per te, per noi, per tutto il resto. Qui le cose non vanno bene,
cosa sta succedendo? Perchè siamo rinchiusi in questo fottuto albergo?- continuò.
-Io... Io non so se verrò- ammisi, gelido.
-Cosa significa?-.
-Sto disfacendo tutto, Trè-.
-Cosa vuol dire, Bi...-.
-Vuol dire che mercoledì non tornerò con voi-.
Silenzio.
-Tu... Ma che stai dicendo? Vuoi mandarci tutti a gambe all'aria? Vuoi distruggerci?
Perchè? Cosa sta succedendo, cazzo?- chiese, stizzito, alzando la voce.
-Succede che sto uscendo dal gruppo... e voi dovete dimenticarvi di me-.
Riattaccai il telefono e lo spensi definitivamente.
Fece una brutta fine, a dire il vero.
Il primo cestino incontrato durante il tragitto divenne la sua nuova dimora.
Non avevo altri mezzi per ritornare alla casa di Redditch se non quello di prendere
il treno.
Così feci.
Una volta arrivato, venti minuti dopo, suonai al campanello di casa Rosenberg e ad
aprirmi fu l'anziana signora Hewitt.
-Sì?- domandò con sguardo interrogativo.
-Può andare- ordinai.
-Ma io... Stavamo facendo il thè, io e Jane. Il signor Rosenberg ha detto che...-.
Io la spostai bruscamente al di fuori della porta.
-Molto gentile, arrivederci- dissi, chiudendole la porta in faccia.
Andai nella sala, cercando la ragazza, ma non la trovai.
Era al piano di sopra.
Iniziai a salire le scale.






   
 
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