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Autore: _diana87    31/01/2012    5 recensioni
[Possibile alzamento di rating per i temi trattati]
"Qualcuno dice che la guerra più grande da combattere è quella interiore, contro noi stessi."
Un pacco bomba esplode al 12esimo distretto. Un caso o un attentato? Fatto sta che quello stesso giorno Castle viene inviato dalla sua casa editrice in Israele per scrivere qualcosa di diverso, un racconto-reportage sulla primavera araba in corso; nel frattempo Beckett, Ryan ed Esposito vengono scelti per addestrarsi insieme ai marines in Iran. Separati dalla guerra che irrompe all'esterno, Castle e Beckett riusciranno a ritrovarsi? Ma sopratutto la battaglia più grande per Beckett sarà quella interiore: combattere contro i suoi demoni che le riportano alla mente quando rischiò di morire.
Storia narrata dal punto di vista di Kate Beckett.
Storia classificata all'11° Turno dei CSA al 1° posto nella categoria "Sad".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Keep followin' your daily routine'
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CAP

Manca poco al finale!! Che ne sarà di Rick? E Kate?

Ma sopratutto... la verità riguardo la missione salterà fuori?

Lo scoprirete solo... leggendo! XD

Ah primo esame del 2012 è andato, ora ne ho un altro a febbraio e poi se ne riparla a giugno XD

 

 

 

La guerra, se ci penso bene, ha un suo fondo di correttezza.

 

 

 

"Adesso dovrai dirmi la verità, Samuel..." lo confronto, senza mezzi termini, pugni chiusi, sguardo felino "...cosa sta succedendo qui? Cosa stiamo realmente facendo qui in Iran?"

McNeil sa che non può sottrarsi al mio sguardo.

Sa che prima o poi la resa dei conti sarebbe arrivata.

Mi aspetto che rigiri la frittata per l'ennesima volta e che magari s'inventi che sono furiosa per il ferimento di Rick e quindi dovrei calmarmi. Invece prende un'altra direzione del tutto inaspettata. Sospira, è stanco.

"Che cosa sai, Kate?"

"So quello che mi ha detto il terrorista, tale Yussuf, che voi ci avete fatto intervistare."

E' stanco, è stufo. Stanco della guerra, stufo di mentire e mentirmi. Continua a sospirare, si siede, si rigira i pollici e poi mi invita a fare lo stesso.

"Cosa ti ha detto?"
Ecco che esce di scena Kate ed entra Beckett, la tosta detective del 12esimo distretto. Fa' finta che sia un altro dei tuoi interrogatori. Comportati come se fosse la solita routine.

"Le bombe che loro ci mandano è un diversivo per tenerci impegnati, in modo che noi soldati e poliziotti pensiamo sia una guerra. Mentre voi comandati sapete che è solo una strategia per avvicinarci sempre di più ai giacimenti di uranio. Perchè non volete distruggerli... volete appropriarvene!" sbatto il pugno sul tavolo della nostra tenda. Sicura e decisa, non stacco mai gli occhi di dosso dall'agente. "E' così, vero??"

Di nuovo quello sguardo stanco. Forse anche rassegnato. Ha gli occhi lucidi quest'uomo davanti a me, e improvvisamente si è fatto piccolo.

"Non posso più mentirti, Kate. Perciò ti dirò la verità. E' così." fa delle pause tra una frase e l'altra in modo che io immagazzini per bene le informazioni ricevute.

Come un computer, analizzo parola per parola e giungo alla conclusione che almeno è stato sincero... ma la Beckett che è in me, rialza di nuovo un muro. E poi mi alzo anche io, sconvolta da tale dichiarazione.

Che la verità fa male, non è una novità

"Mi spiace, Kate, ma cerca di capire il perché io l'abbia fatto..."

"Il protocollo, non è vero?" le mie braccia sono posizionate ai lati del tavolo, in modo che possa guardare Samuel in faccia. "E che mi dici di tutti quei soldati che sono morti? Che mi dici di Tacker? Bridget? E..." non riesco a pensare a cosa potrebbe succedere a Rick.

Non posso e non riesco neanche a pronunciare il suo nome.

Samuel sospira e si passa le mani sudaticce e increspate di cenere nei capelli.

E' disperato. Ma il suo sguardo sembra essere sincero.

Quello di uno che si sente in colpa. E fa bene ad esserlo.

Fa' per fermarmi, allungando il braccio. Ma io mi scosto, mi allontano sempre di più, e vado in retro marcia, come i gamberi.

Scuoto la testa, non voglio il suo braccio verso di me. Non voglio che mi fermi cercando di spiegarsi.

La colpa è in parte la sua: avrebbe dovuto dire almeno a me cosa stava succedendo realmente. C'è gente qui che è morta e che sta morendo. Come si fa a scherzare su queste cose?

Un altro passo indietro e lascio quell'uomo solo e rinchiuso nella sua tenda, sinonimo di clausura.

 

E' notte fonda. Ho passato molte ore al capezzale di Rick.

Gli ho toccato la fronte con una mano per sentire se i tremori si erano calmati, e con l'altra gli ho stretto la mano. Ad ogni ora che passavo lì, la stringevo sempre più forte.

Mi sono addormentata al suo capezzale. Lui disteso sul letto, posizione supina, immobile come una statua. Io seduta e con la testa poggiata accanto al suo corpo, un corpo sempre caldo.

I medici dicono che è un buon segno se è caldo, e io rispondo che lui ha sempre avuto una temperatura corporea superiore alla norma. Ricordo quando restammo chiusi in quella specie di cella frigorifera. Io stavo congelando, rischiavo l'ipotermia, ma lui mi ha teso il suo cappotto e mi sono coperta con quello, prima di perdere del tutto i sensi, accoccolata al suo fianco. Lui invece mi stringeva, mi abbracciava e mi diceva che sarebbe andato tutto bene...

Mentre il mio cuore è in tumulto per l'uomo che amo, al di fuori i combattimenti continuano.

 

Urla, schiamazzi, balzi in aria, non si finisce mai. Me ne sto dentro, al sicuro, ma non posso fare a meno di sentire. Un orecchio poggiato sul lettino e l'altro che ascolta, in silenzio. Stringo i pugni.

Dopo tutto quello che ho visto in un mese che sono stata qui, potrei considerare questa missione come un massacro. Ma un massacro è diverso da una guerra. La guerra, se ci penso bene, ha un suon fondo di correttezza. Tu ammazzi me, io ammazzo te. Siamo pari, moriamo, e non ci pensa più nessuno. Ma dal massacro non si può scappare. Uccide o ferisce centinaia di persone, tutte in un solo colpo.

Tu mi ammazzi Rick, io ammazzo te.

Tolgo dalla mia testa quell'orribile pensiero e mi decido a raggomitolarmi ancora di più su me stessa. Continuo a sentire le grida, richieste d'aiuto, ma pazienza. Non sono in vena di fare nessun gesto eroico. Beckett l'eroina si fa da parte per dar spazio a Kate la fuggiasca.

Di tanto in tanto, nei miei pensieri, mi rintano inginocchiata in un angolino piccolo e oscuro, per non sentire il mondo fuori di me. Perchè fuori il mondo è brutto. C'è la guerra, c'è un massacro. E io ne faccio parte.

 

Il sole del giorno dopo scaccia via i brutti pensieri, il sangue, i feriti, le armi, e riappacifica gli animi dei senza speranza. McNeil e Douglas fanno il resoconto dei morti. Una lista sempre più lunga che di giorno in giorno diventa difficile stilare. La regola del fare il censimento al contrario. Un bollettino di guerra in diretta.

In confronto a quei morti trasportati in barella con le braccia che escono penzolanti e macchiate di rosso da quei lenzuoli beige, le mie tre cicatrici non sono nulla. Ne ho una sulla fronte e due sulle braccia in posti che preferisco non guardare. Mentre osservo altra carne da macello che viene deposta nelle bare marroni pronte per essere spedite in terra di ritorno, come se fossero pacchi postali, il mio sguardo duro e severo incrocia quello di McNeil che quasi si vergogna mentre richiama gli ultimi dispersi nella battaglia della notte.

Un clacson all'orizzonte ci interrompe e interrompe i miei pensieri. E' un camioncino bianco con un disegno di un bambino bianco con sfondo rosso. Sono i Medici Senza Frontiere.

Dal camioncino scende uno squadrone composto da cinque persone, e uno di questi è di New York e viene da parte del Sindaco.

"Siamo qui per Richard Castle."

Dio sia lodato.

 

Conduco i medici all'interno della tenda. Quello di New York resta con Rick, mentre gli altri quattro vanno a curare i soldati feriti degli ultimi giorni.

Una goccia di sudore trabocca da McNeil.

"Meglio tardi che mai."

Lo sento dire dietro di me, mi ha seguito, e gli rispondo senza guardarlo.

"Già."

Rick si alza lentamente dal lettino, e con cura fa attenzione alla sua gamba. Riconosce il medico e si danno la mano in segno di amicizia. Un sorriso lieve, visto che entrambi guardano la condizione di quella gamba e non possono essere felici. Io e Rick ci guardiamo e senza farmi vedere dagli altri gli lancio un bacio con la mano. Poi esco dalla tenda.

Sento di nuovo dei passi e mi giro: Samuel mi sta seguendo. Sono a dir poco seccata e sbuffo, poi riprendo a camminare. Ho il passo pesante coi miei scarponi neri, alzo tanta sabbia dietro di me.

"Kate ascolta..." mi blocco e poi dice quelle parole che danno il colpo di grazia "mi dispiace..."

Mordo il labbro.

"Ti dispiace?!" e lo aggredisco con le parole. "Io non so più se fidarmi di te, anzi... non voglio più avere niente a che fare con te!"

Bang.

Bang bang.

Sono colpi di pistola simbolici, ma in quel momento è come se fossero veri.

Io sono stata tradita da chi mi fidavo di più, e lui dice solo che gli dispiace. Forse ha perso le parole dopo avergli detto queste cose vere?

Mordo di nuovo il labbro inferiore, alzo un po' di sabbia con la mia camminata e ritorno da Rick nella tenda, da chi davvero mi ama e tiene a me.

 

"Sono davvero un pezzo di legno... guarda la mia gamba... potrei fare Pinocchio!" Rick si diverte punzecchiando la sua gamba destra, coperta di gesso.

Gli lascio il segno del rossetto rosso baciando il gesso duro, bianco e freddo.

"Cosa racconterai a tua madre e ad Alexis?"

Lui mi guarda e tace. Poi prende un gran sospiro.

"Cosa devo raccontare? Vediamo..." rotea gli occhi fingendo di inventare "...ciao mamma, mi hanno sparato alla gamba destra, forse è rotta, forse no, ma sto bene, tranquilla... un po' di riposo e riprenderò a camminare! Ah, le bombe sono diventate una routine..."

"Non fare lo scemo, Rick..." gli sorrido dolcemente e lui mi stringe entrambe le mani.

Ci guardiamo intensamente negli occhi. I suoi occhi blu profondi mi avvolgono e ogni volta mi calmano. Mi mettono una tranquillità assurda.

"Kate, so cosa stai pensando.. non devi sentirti in colpa per quello che mi è successo, okay? Sono stato io a cercarmela... e non me ne pento."

Mi prende per il mento e mi avvicina al suo volto. Un bacio velato, semplice, in cui ci assaporiamo come se fosse l'ultima volta.

La guerra e la sua correttezza. Gente armata che spara a gente armata. Gente che spera si riunisce con gente senza speranza. Questo è l'effetto contrario che produce questa situazione.

Mentre ci abbracciamo ponendo i nostri cuori a contatto uno con l'altro, entrambi sembriamo avere la mentre altrove, chiedendoci cosa ci porterà questa guerra, e sopratutto che fine sarà di noi?

 

   
 
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