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Autore: mrspolla    01/02/2012    0 recensioni
comincia a credere in te stesso, perché tu vali. - la storia verosimile di una ragazza che sta per abbandonarsi ad destino.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«...quindi, la prima guerra mondiale comincia nel 1914 e finisce nel 1918. Nel  1917 entrarono anche gli stati uniti.  » - qualcuno stava singhiozzando, al piano di sotto. Lentamente scesi e sorrisi. Da bambina lo facevo sempre, mi affacciavo da sotto la maniglia e quando non riuscivo ad arrivarci piangevo. In silenzio sbirciai dalla porta della cucina: mia nonna era seduta vicino al tavolo, aveva la testa bassa e un foglio tra le mani. 
«non ce la farò mai, - disse mentre accartocciava con rabbia quel foglio – neanche se smettessi di mangiare.»
Entrai silenziosamente, presi il foglio gettato a terra, lo aprii delicatamente e notai che era una bolletta. Una bolletta di duecento euro.  La poggiai accuratamente sul tavolo e tornai al piano di sopra. Avrei potuto fare qualcosa per lei, per una volta. Nel terzo cassetto del mio comodino, tenevo i soldi che, da quando ero bambina, racimolavo. In tredici anni, avevo raccolto circa settecentocinquanta euro, che conservavo per quando sarei dovuta andare all’università. Tutti continuavano a ripetere che era molto costoso e mia madre, da quando avevo due anni e cominciai a dire di voler diventare una scienziata famosa, metteva uno o due euro ogni tanto. Quando crebbi abbastanza da accorgermene, cominciai a farlo io al posto suo. Ogni tanto, chiedevo a mio padre di cambiarmeli perché tutte quelle monete cominciavano ad essere ingombranti. Presi trecento euro e me li infilai in tasca. Cercai di fare in modo che mia madre non se ne accorgesse, ma chi stavo prendendo in giro? Non se ne sarebbe accorta neanche se glieli avessi sventolati davanti gli occhi, tanto era presa dai suoi affari. Faceva i conti anche lei, quel pomeriggio. Era il momento di pagare per tutti, a quanto pare. Scesi le scale e mio padre mi chiamò
«Lorena, dove stai andando?» – «Solo da nonna, papà.» 
gli risposi continuando a camminare indifferente. La porta era aperta e i fogli sul tavolo erano spariti. Mia nonna stava mescolando la minestra silenziosamente, mentre mio nonno stava prendendo posto sul divano sorridente.
«Lorinè – mi chiamò, - siediti con me.»
Andai a sedermi accanto a lui e mi abbracciò. Era sempre molto dolce con me, e mi chiamava sempre ‘Lorinè’. Era il soprannome che lui mi aveva dato. Accesi la tv, sotto sua richiesta, e lui cominciò a raccontarmi della sua giornata, passata in campagna come sempre. Non capivo perché mi chiedeva di accendere la tv, forse voleva soltanto un sottofondo per non sentirsi l’unico a parlare. Mi raccontò che la sua capretta aveva avuto un figlio, e mio nonno aveva assistito al parto. Purtroppo, non poteva aiutarla; esattamente un anno prima, aveva subito un intervento al cervello per non so cosa. Ero ‘troppo piccola per capirlo’, non che ora sia cambiato qualcosa. Stava bene, quasi perfettamente, ma aveva una gamba non completamente funzionante: non riusciva a piegarla né a distenderla del tutto e spesso non riusciva ad appoggiarsi sulla stessa, perciò cadeva. Fu un duro colpo per lui, inutile dirlo. Un uomo abituato a zappare, piantare, annaffiare e cavalcare costretto a rimanere su un letto per tre mesi, non poteva che stare male.
«... e così, ho deciso che si chiamerà Brooke» – «nonno, ogni tuo animale si chiama Brooke!» – «sono più di vent’anni che guardo Beautiful, l’unico nome della lingua che piace tanto a te che so pronunciare è Brooke o Rig, lo faccio per te. Voglio che mi ricordino te, con il tempo dimentico le cose, ma cerco di aggrapparmi a qualcosa.» 
Sorrisi. Era molto tranquillo rispetto ai mesi precedenti. Sospettai perciò, che quella tranquillità fosse dovuta al fatto che lui non sapesse nulla delle bollette.
«Tesoro mio, vieni con me a prendere la tovaglia da stendere sul tavolo» mi disse mia nonna, capii subito e la accompagnai. Scese al piano inferiore, presi la tovaglia e lei mi accarezzò un braccio
«Lui non sa nulla, non posso dirgli nulla.» Mi disse, con tono preoccupato. – «Sta tranquilla nonna, e questi sono per te.» 
le risposi mettendo la mano in tasca; presi i soldi e glieli diedi. Li prese, li aprì come per contarli e fece per darmi i cento euro che avanzavano: la bloccai e le feci segno di tenerli.
«Sono per la prossima, arriverà presto, lo sai.» 
Mi baciò sulla guancia e mi abbracciò, come solo lei sapeva fare. Lei c’era sempre stata per me, quando mio cugino stava male, quando mio nonno non c’era o quando i miei erano fuori per lavoro e per una volta anche io avevo fatto qualcosa per lei. In un certo senso ne ero fiera. 
«Allora, si mangia o volete costringermi a scendere?» urlò mio nonno – «Stiamo arrivando nonno, sta tranquillo!» urlai ancora più forte.
Scoppiò a ridere, e non capii mai il perché.  Salimmo di nuovo e stesi la tovaglia sul tavolo rotondo al centro della stanza mentre mia nonna prendeva i piatti dallo scomparto. 
«Nonna, posso rimanere a cena con voi?»  le chiesi – «chiedilo a tua madre»  mi rispose seccata.
Anche se avevano ottimi rapporto, notavo che alcune volte mia madre non me ne dava il permesso o perché non c’era abbastanza da saziarmi o per non dare a vedere quanto io mangiassi. Ultimamente però mangiavo molto meno e nessuno se ne era accorta. Visto che la mia era una madre ‘moderna’ le inviai un SMS: “non mangio a casa per cena e resto a dormire da nonna. So che potrei anche salire queste due rampe di scale, ma proprio non mi va. Dopo cena vengo a prendere il pigiama.”
Non li pagavo, quindi non era un problema inviarli messaggi. Anche se avessi pagato, non mi importava. Non volevo sentire il suo ‘no.’. Mi sedetti a tavola, incurante del fatto che avevo lasciato che mia nonna servisse. Mi alzai di scatto, lei teneva molto alle buone maniere. Presi il mestolo prima che potesse farlo lei e cominciai a versare la minestra nei piatti. Al nonno un po’ di più, a lei un po’ di meno e a me, per la prima volta, meno di tutti e due. Mio nonno mi guardò incuriosito, convinto che stessi per versarne ancora. Invece misi a posto la pentola e mi sedetti tra loro due.
«Solo questo?» mi chiese ridendo – «si, sto cercando di mangiare meno.» Risposi a testa bassa. Avrei voluto prenderne ancora, la minestra che preparava mia nonna era buonissima, ma avevo due modelle per cugine che non smettevano mai di deridermi. Ripensandoci, nessuna delle persone che conoscevo non mi parlava dietro. Posò il cucchiaio e mi guardò negli occhi:
«nessuno ha osato dirti qualcosa, vero?» mi chiese arrabbiato - «no – risposi- niente di ciò. Semplicemente vorrei essere più bella.» – «sei già bellissima.» – «non ho più sei anni, nonno. Puoi anche smetterla con questa farsa.» conclusi alzandomi da tavola.
Improvvisamente, m’importava meno di zero delle buone maniere. Non volevo che continuassero a mentirmi, non stavo bene ed era evidente. Andai in bagno, mi avvicinai alla tavoletta e cercai di vomitare. Cosa volevo vomitare? Non avevo preso che un cucchiaio di minestra in tutto il giorno. Mi sedetti con le spalle al muro e cominciai a piangere. Presi lo specchio dalla mensola e mi guardai. Vedevo tutto in modo orrendo, così lo scaraventai a terra, rompendolo. Mi abbassai i pantaloni, per guardarmi le cosce. Aveva ragione quella ragazza, potevano farcene venti di prosciutti. Strinsi la mia gamba con tutta la forza che avevo, tralasciando il dolore. Volevo che diventasse come quando la stringevo in quel modo. Così uscii dal bagno e ignorando i richiami di mia nonna, con i suoi “Lorena! Vieni qui!”, e con le lacrime ancora sul viso andai in camera. Mi stesi a terra e feci… non lo so, saranno stati cento addominali. Facevano male, l’addome stava andando in fiamme, ma continuai. Trazione delle ginocchia al petto, over the top, alzata di gamba laterale e tantissimi altri. Fare esercizi mi faceva stare meglio, dal punto di vista psicologico. Dal punto di vista fisico non aiutava molto, perché dopo aver ‘mangiato’ mi provocavano solo nausea. Mi alzai da terra e mi diressi verso lo specchio: per una strana ragione, mi aspettavo che qualcosa fosse cambiato. Vedendo che  non era così, mi gettai sul letto tra le lacrime.
  
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