Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Melanto    02/02/2012    8 recensioni
Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Alla disperata ricerca del Principe scomparso, mentre nel cielo rosseggia un'alba che odora di guerra. Una lotta contro il tempo per ritrovare la Chiave Elementale, prima che finisca nelle mani del Nero, e salvare il pianeta.
Siete pronti a partire?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Elementia Esalogy'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota Iniziale: Vi consiglio, se non l'avete fatto, di leggere il frammento "La Piuma di Yayoi" della raccolta "Elementia: Fragments" perché molto di quello che è stato scritto in questa parte del capitolo fa riferimento a ciò che è avvenuto in quel piccolo frammento di vita.


ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 12: I Briganti di Ghoia (parte III)

Ghoia, Dogato di Tha Cerròs – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-occidentali

Si era gettato tra gli alberi, incurante di quanto le fronde delle foreste Lulha potessero essere intricate e lasciando che i rami e le foglie lo schiaffeggiassero senza riguardi, tanto non le sentiva. Non sentiva il dolore fisico, perché aveva quello interiore che valeva per tutti. E lo stava sventrando.
Yuzo lo avvertiva scavare a piene mani, e nella mente si formò l’immagine mostruosa di artigli che sfondavano il torace per guadagnare l’uscita. Artigli neri e lunghi. Sanguinanti.

“Somigli così tanto a tuo padre.”

No!
Lui non somigliava a nessuno!
Nessuno!
Nessun padre, nessuna madre. Nessuno!
Perché non erano niente per lui, perché non esistevano(1).
Digrignò i denti e strinse gli occhi; il petto gli faceva un male dannato e il volo era irregolare, quasi non riuscisse a controllarlo, come le emozioni. Doveva stabilizzare l’incantesimo di Autocontrollo, doveva soffocare tutti quei pensieri che si rincorrevano, impazziti.

“Somigli così tanto a tuo padre.”

Padre?
Quale padre?
Quello che l’aveva scaricato nel primo orfanotrofio?
Quello che gli aveva voltato le spalle senza mai tornare una volta, una, anche solo per dirgli: ‘mi dispiace’?
Quello che aveva preferito levarselo dai piedi perché non era che un peso?
Non era suo padre, non lo avrebbe mai accettato come tale.
L’unico padre che aveva era il Console, tutto ciò che lo aveva preceduto non era niente per lui, non esisteva.
Non era niente, non esisteva.
Non era niente, non esisteva.
Nessun padre, nessuna madre.
Non era niente, non esisteva.
Non esisteva.
Non esisteva.
Non esistete! Non siete niente per me! Niente!
Lo gridò fin quasi a farsi esplodere i polmoni. La testa stretta nelle mani per zittire tutte le altre voci che si accalcavano, che chiamavano e parlavano.

“Somigli così tanto a tuo padre.”
“Allora è davvero il figlio di Bashaar?”

Con gli occhi serrati, urtò un tronco di conifera, perdendo del tutto il controllo sul volo. Precipitò; l'intrigo di rami cercò di attutire la caduta, ma non gli impedì di ruzzolare al suolo, sollevando polvere e strappando erba. Si fermò col viso premuto nella terra e il respiro affannato.
Rimase immobile in quella posizione, esausto per non aver saputo dosare le energie: era come se avesse corso senza sosta per chilometri.
Tutt’attorno, c’era solo il rumore delle foglie che si muovevano al vento leggero infilatosi tra le fronde. Così come la luce: erano spilli sottili che infilzavano il terreno. Uno di questi si infranse sul campanellino che gli aveva regalato il mercante: giaceva abbandonato a poca distanza da lui. Yuzo lo fissò con solo metà viso, mentre l'altra metà era schiacciata al suolo.
Continuava a ripetersi che non erano niente, che non esistevano.
Il verde e bianco del campanellino sembrarono intrappolare la luce del raggio di sole, facendola propria.
Nessuno esisteva.

“Somigli così tanto a tuo padre.”

Le dita strisciarono tra i fili d’erba strappata e quelli che erano rimasti aggrappati alla terra, trascinando foglie e fiori spezzati. Si allungarono, sforzarono, tremarono e alla fine riuscirono a toccare il fiore di vetro, seppur solo con la punta.

“Tuo padre.”

Le labbra si aprirono e chiusero mentre respirava a fatica. Il fiato si condensò in suono.
“…Bashaar…”

La cucina della locanda aveva chiuso i battenti.
Per quel giorno, il Daaku sarebbe divenuto il quartier generale della Resistenza. Gli uomini di Ghoia erano già tutti presi da ciò che andava fatto in previsione dell’arrivo del Delegato Dogale e nella locanda non era rimasto nessuno se non i tre Elementi e Haruko.
“Il primo ricordo che ho del padre di Yuzo è della sua schiena.”
Seduti al lunghissimo tavolo in legno, dalla lavorazione molto grezza, Hajime e Teppei ascoltavano le parole dell’ostessa. Mamoru era seduto proprio sul ripiano; le braccia poggiate sulle ginocchia e le nocche a sorreggere il viso dall’espressione grave.
“Allora non avevo che dieci anni e mi apparve… enorme. Mi trovavo nelle foreste fuori dal centro di Ghoia a cercare erbe mediche. Mio padre era il Naturalista di questa città e io già sapevo della presenza dei briganti nelle nostre campagne. Quello che non immaginavo, fu che proprio un brigante sarebbe accorso per salvarmi la vita.” Haruko inspirò lungamente, mantenendo le dita intrecciate sul tavolo e fissandole, quasi potesse leggere tutti i suoi ricordi in esse. “Il Delegato Dogale si chiama Erik Van Saal(2) e, come avete potuto constatare, quelli che spaccia per uomini della Guardia Cittadina in realtà non sono che mercenari che si vendono al miglior offerente. Sospetto che il Doge nemmeno lo sappia, come non sa nulla di quello che è avvenuto e continua ad avvenire in questa città. E noi non possiamo neppure tentare di allontanarci per provare ad avvisarlo perché ci ucciderebbero tutti. Ci abbiamo già provato.” Erano reclusi nella loro stessa città. “Quel giorno, mentre cercavo erbe, sulla mia strada comparvero tre soldati e non avevano buone intenzioni. Ricordo che provai a fuggire, correndo più veloce possibile ma la paura mi fece cadere e loro ci misero un attimo a raggiungermi. Sperai che la terra potesse inghiottirmi e farmi sparire, ma ciò non avvenne. In quel momento, pensai fosse arrivata la fine e avevo ragione. La fine arrivò, ma non per me.” Le labbra tese si sciolsero in un sorriso d’affetto sincero. “La sua schiena oscurò il sole.”

“Conosci una bella canzone, bambina?”

“Mi chiese di cantargli qualcosa e di chiudere gli occhi.”

“Non aprirli fino a che non te lo dico io.”

“Ero talmente terrorizzata che gli obbedii ciecamente. Mi turai le orecchie, serrai le palpebre e cominciai a intonare il primo motivetto che mi venne in mente. Feci di tutto per ascoltare solo me stessa, la mia voce, e non le grida dei soldati che si lanciavano con ferocia contro quello sconosciuto. Poi… più nulla, ma continuai a cantare imperterrita. Anche quando mi prese in braccio.”

“Ma non avete qualche canzone più allegra da queste parti?”

“Quando mi disse che potevo aprire di nuovo gli occhi ero sul retro di casa, a Ghoia. E la prima cosa che feci fu di correre a piangere da mia sorella maggiore.” Haruko levò lo sguardo su di loro, stava ancora sorridendo, con lo stesso affetto. “Mia sorella, Arya. La madre di Yuzo.” Appoggiò il viso nella mano. “Credo sia stato allora che Bashaar ha deciso di prendere il controllo della città, per strapparla alle grinfie di Van Saal. E Arya c'entra di sicuro, ne sono sempre stata convinta. Anche se non gliel’ho mai chiesto, penso sia stata lei a parlargli delle condizioni in cui versava Ghoia.”
Hajime incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio. “Un brigante che ‘aiuta’ delle persone per buon cuore e non per tornaconto personale? Suona un po’ strano…”
“Sì, è vero, ma Bashaar e i suoi compagni non erano veri briganti. Si erano rinominati tali perché non avevano altra identità.” Haruko cambiò nuovamente posizione, poggiandosi contro la spalliera della sedia. “In realtà, erano evasi. Evasi di Bàkaras.”
Mamoru si intromise con foga, drizzando la schiena. “Bàkaras?! La Nave dei Deserti(3)?!”
“E’ stata dismessa solo da una quindicina d’anni…” masticò Teppei che ne aveva letto spesso nei libri di storia. “Era la più importante tra le carceri di massima sicurezza.”
“Bàkaras non era un carcere. La camuffavano come tale.” Haruko aveva una smorfia di spregio e un sopracciglio inarcato. “In un carcere c’è almeno un minimo di dignità, mentre a Bàkaras… i condannati erano costretti a uccidersi a vicenda. Era un’arena mobile in cui vigeva la legge del più forte. Se non uccidevi, venivi ucciso e non c’era possibilità di scampare alla lotta.”
“Quindi il padre di Yuzo…” Mamoru apparve pensieroso mentre cercava di ricostruire le vicende storiche di quegli anni. Tornando così indietro, arrivò a una sola conclusione. “…veniva dal Dogato di Kalavira?”
“Il vecchio dogato dei Gamo(4)?” precisò Hajime, sporgendosi in avanti, mentre Haruko annuiva.
“Sì, era di Kalavira, quando ancora esisteva e non era stato smembrato. Suo padre, Alevhar, era un falegname. Lavorava per uno dei signori locali quando fu condannato. Lo accusarono d’aver ucciso la propria moglie e la moglie del nobiluomo presso cui prestava servizio. Secondo quanto mi è stato raccontato dagli altri briganti, perché né il padre né il nonno di Yuzo parlavano mai della vita precedente alla reclusione, le prove che presentarono a suo carico furono costruite, come se stessero a tutti i costi cercando un colpevole; e a Kalavira la legge la faceva chi pagava di più. Ma io ho conosciuto Alevhar e posso giurare su ciò che ho di più caro che non avrebbe mai potuto fare una cosa simile: era una persona buona e calma, nonostante tutti gli orrori che aveva vissuto a Bàkaras. Voleva bene a mia sorella come fosse stata figlia sua e stravedeva per Yuzo!” Haruko si fermò, inspirando a fondo per sedare la rabbia. “Fu un’orribile ingiustizia. Tutta la loro vita è stata un’ingiustizia! Bash aveva undici anni quando venne incarcerato assieme a suo padre, perché tanto a Kalavira non si guardava in faccia a nessuno e i Gamo non erano conosciuti per essere uomini clementi, ma duri come la pietra. Quando è riuscito a evadere, di anni ne aveva ventidue. Capite? Tutto quel tempo rinchiuso in quell’Inferno a uccidere gli altri detenuti per poter sopravvivere!” L’ostessa guardò ciascuno di loro con occhi lucidi prima di passarvi rapidamente un lembo del grembiule che aveva legato in vita. “Non aveva un carattere facile ed era temuto e rispettato perché faceva sempre quello che diceva. Sempre. Anche a costo di apparire spietato. Quando lui e i suoi compagni arrivarono nei dintorni di Ghoia, rimasero per un po’ nascosti. Fu Arya la prima persona che avvicinarono: Bash la minacciò puntandole un pugnale alla gola. Mia sorella era un'Erborista, faceva da assistente a nostro padre, e loro avevano bisogno di qualcuno che curasse i feriti in seguito all'evasione.”
Per Mamoru fu chiaro da chi Yuzo avesse ereditato la magia ma, soprattutto, l’istinto paterno e la vicinanza che sentiva verso i legàmi, soprattutto quelli familiari: per gli Erboristi, la famiglia era considerata qualcosa di sacro. Ma pensò anche che, proprio in virtù di questo, sua madre non avrebbe mai potuto abbandonarlo. Mancava qualcosa, ma non interruppe l’ostessa.
“Arya rimase con loro per un po’ e poi la lasciarono andare. Così ci raccontò di questo gruppo di fuggitivi che si facevano chiamare briganti. Per lei era già chiaro che non fossero una minaccia.” Haruko fece strusciare la sedia sul cotto che piastrellava le cucine, alzandosi in piedi. In pochi attimi scomparve in una delle stanze adiacenti, dove c'erano i suoi alloggi, e ne tornò con uno scampolo di pelle di daino ripiegato. Lo aprì sul tavolo e ne cavò dei fogli in condizioni perfette. Erano i manifesti dei ricercati, ce n'erano tantissimi, ma la donna ne affiancò tre, in particolare.
Finalmente, i tre Elementi furono in grado vedere con i propri occhi che volto aveva il padre di Yuzo e, anche se l’uomo era molto più maturo, la somiglianza non lasciava alcun dubbio.
“Li ho conservati per tutto questo tempo” spiegò la donna, facendoli scorrere. “Loro sono Arya, Bashaar e Alevhar.”
“Per tutte le Dee!” sbottò Teppei, esponendo quello che era anche il pensiero di Hajime. “Non avevo pensato potessero somigliarsi così tanto!”
Mamoru, invece, aveva preso tra le mani il manifesto che ritraeva la madre del volante. La osservò lungamente e in quello sguardo, seppur non disegnato con particolare attenzione, ebbe come un senso di déjà-vu. Bashaar gli somigliava terribilmente nei tratti del viso, ma negli occhi… negli occhi c’era Arya, di quello la Fiamma non aveva alcun dubbio.
“I briganti facevano sempre riferimento a Bash e a suo padre, e quando Arya decise di unirsi a loro divenne un elemento fondamentale, grazie alla sua magia. Mia sorella fu la pioniera, in questo senso. Dopo di lei, molte altre donne si aggregarono e quello che era stato un piccolo gruppo, cominciò a divenire una comunità sempre più grande. Iniziarono a sposarsi, formare famiglie, creare una nuova vita, e Ghoia non era mai stata così tranquilla e serena come negli anni in cui Bashaar e i briganti se n'erano presi cura.”
“Van Saal li ha costretti ad andarsene? Se potessimo fare in modo di avvertirli o raggiungerli, sarebbe fantastico! Yuzo potrebbe incontrarli!” L’ottimismo e il fervore di Teppei erano sempre stati contagiosi e travolgenti, ma a volte erano ciechi, come in quel caso, perché non sapevano cogliere l’ingranaggio mancante nelle storie raccontate da Haruko, nella successione di eventi, nel presente. E per Mamoru, quello stesso ingranaggio trovò il suo posto quando vide l’ostessa distogliere lo sguardo.
“Non se ne sono andati. Sono stati uccisi. Tutti. In solo giorno.”
Teppei ingoiò il sorriso perdendo il suo entusiasmo, mentre la Fiamma avvertiva di colpo le mani farsi gelide, come se il fuoco si fosse ritirato all’improvviso. Spento.
“Cosa avrebbero potuto fare in cento, donne e bambini compresi, contro il triplo degli uomini armati di tutto punto? Bashaar e i briganti rimasero al villaggio che avevano costruito, difendendolo strenuamente fino alla morte. Mentre le mogli e i loro piccoli vennero portati sulle montagne per sfuggire alla mattanza, ma dall’alto si poteva vedere tutto.” Inspirò con una certa fatica. “C’ero anche io quel giorno e c’era Yuzo con me. Arya gli diede qualcosa affinché dormisse e me lo affidò. Mi disse di stare nascosta nella caverna: c'era una rientranza, coperta da uno spesso velo di rampicanti. Ricordo che da principio non sentivo nulla, se non le parole concitate delle donne che si informavano su quello che avveniva di fuori, poi iniziai a sentire grida, pianti. E voci di uomini. Erano irate, piene d’odio e capii subito che non appartenevano ai briganti, ma a quei bastardi degli sgherri di Van Saal. Hanno massacrato la gente come fosse stata carne da macello, senza un minimo di pietà nemmeno per i bambini. Gli era stato dato ordine di fare piazza pulita e non si tirarono indietro. Tranne uno.” Haruko annuì adagio, le labbra sempre piegate verso il basso. “Scoprì il luogo dove restavo nascosta con Yuzo. Quando me lo vidi davanti seppi di essere morta però… però lui mi fece cenno di non fiatare e richiuse l’entrata, nascondendo meglio l’anfratto affinché nessun altro lo scoprisse. Quando fui in grado di pensare a quei momenti senza avere attacchi di panico e pianti isterici mi resi conto che quell’uomo… era terrorizzato almeno quanto me.” Tornò ad asciugarsi gli occhi col grembiule. “Ricordo... ricordo ancora quell'odore pungente di fumo(5), che entrava fin dentro le ossa, e il calore... Venni fuori da lì solo molto, molto tempo dopo, quando fui certa che non ci fosse più nessuno e il silenzio era divenuto di tomba. Non so nemmeno io come ho fatto a non morire per ciò che mi trovai davanti. La caverna era stata… trasformata in un immenso… forno. I cadaveri al suo interno bruciati, senza rispetto, gli uni sugli altri. Arya…” Si portò le mani alle labbra, la voce ridotta a un filo sottile e i ricordi che si facevano lacrime. “…Arya era fuori dalla grotta, sul pianale. Quegli assassini avevano incendiato la foresta e lei… i suoi poteri venivano dagli alberi… li controllava lei… e… le ustioni l’hanno uccisa… dall’interno… mentre Bash… Bash era al centro del villaggio… inchiodato al suolo… trafitto da una delle sue stesse spade…”
Mamoru serrò la mascella così forte che sentì il sapore del sangue scivolare nella bocca. Lo sguardo fermo infilzava un punto del pavimento senza vederlo. Le mani nuovamente calde, bollenti, il sangue bruciava, tornava a essere vampa impazzita e furente. Avevano osato usare il suo elemento per fare quell'orrore e non riusciva a non pensare che anche la madre di Yuzo, come la propria… a causa del fuoco… Maledizione!
Strinse il pugno, conficcando le unghie nei palmi.
Van Saal non era un uomo. Nessun essere che poteva fare una cosa simile in maniera indiscriminata poteva essere considerato uomo. Nessun essere che massacrava per il puro piacere di farlo potesa essere considerato uomo.
E non era accettabile che un mostro simile continuasse a camminare libero su quelle terre, continuasse a comandare e a farla da padrone, terrorizzando la povera gente.
E non era accettabile che quello stupido volante fuggisse ancora, senza voler ascoltare, senza voler capire.
Non poteva più permettersi di essere cieco, doveva sapere la verità. A ogni costo.
E dopo ne sarebbe morto, ma questa volta non l’avrebbe lasciato soffrire da solo, non sarebbe rimasto ad ascoltarlo piangere da dietro una porta chiusa. Avrebbe preservato il suo cuore da qualsiasi caduta, e se era proprio così che doveva andare, se proprio doveva cadere, allora sarebbero caduti. Insieme.
“…non sapevo che fare… non potevo riportare Yuzo a Ghoia, loro… loro avrebbero potuto cercarlo…” Haruko scuoteva il capo mentre narrava gli ultimi, terribili momenti. “La città più vicina che non ricadeva sotto l’influenza di Van Saal era Mizukoshi… e io… Era l’unica soluzione che avevo… l’unica… Sono stata io a lasciarlo davanti a quell'orfanotrofio.”
Con un gesto secco, Mamoru saltò giù dal tavolo dirigendosi alla porta con passo deciso e collerico.
“Dove stai andando?” lo fermò Hajime.
“A cercare l’idiota.”
“Non sarebbe meglio dargli un po’ di tempo?”
“No.” Mamoru fu categorico. “L’ultima volta che l’abbiamo fatto è successa una catastrofe e con un bastardo come quel Van Saal nei paraggi che vuole ucciderlo sarebbe come offrirglielo su di un piatto d’argento. Basta fare le chiocce; Yuzo deve imparare a sbatterci la faccia, contro certe cose, e non fare lo struzzo.” Si fermò sul limitare della soglia, rivolgendosi ad Haruko. “Vorrei che mi indicaste dove si trova il vecchio villaggio dei briganti.”
L’ostessa si ripulì gli occhi alla buona, alzandosi svelta e tenendogli dietro. Mamoru si eclissò oltre le porte, raccomandandosi con Hajime e Teppei di aspettarlo alla locanda.
Quando però sia lui che la zia di Yuzo furono nei pressi dell’ingresso principale del Daaku, la Fiamma si fermò, parlando con un tono più basso.
“Avrei una cosa da chiedervi” disse serio. “Il Console sapeva tutta la storia? Come ha fatto ad arrivare fin qui?”
“Il Console è venuto a Ghoia circa quattro anni fa. Aveva fatto fare delle ricerche e sapeva una parte di ciò che era successo. Fui io a raccontargli tutto per intero” spiegò Haruko.
“Perché proprio qui? Ci sono tante città accanto a Mizukoshi, come faceva a sapere che era proprio di Ghoia?”
“Perché lui aveva capito che uno dei suoi genitori doveva essere un Erborista, poi è stato facile che arrivasse da noi. Vedi, Arya, poco prima che avvenisse la tragedia, aveva lasciato un glifo sul piccolo Yuzo. Per proteggerlo. E' una pratica che fanno spesso gli Erboristi.”
“Un glifo?” fece eco la Fiamma, inarcando un sopracciglio.
“Sì, è un incantesimo di protezione che si esaurisce quando viene rilasciato. Una sorta di sigillo. Doveva preservare il bambino qualora avessero cercato di attaccarlo e, secondo quanto detto dal Console, il glifo è entrato in azione mentre a scuola stavano portando avanti un incantesimo di tipo invasivo.”
Mamoru sgranò gli occhi. “Invasivo?! Vi ha spiegato che tipo di incantesimo fosse?” Quella cosa gli piaceva poco.
“Non è entrato nel dettaglio. Mi disse solo che Yuzo aveva perso conoscenza e quindi non si è mai accorto di nulla. Anzi, mi ha pregato, qualora lui fosse arrivato qui, di non dirgli come sono andate veramente le cose, ma di inventare, invece, che è stato rilasciato durante il sonno.”
Mamoru parve ancora più confuso da quell’alone di mistero e non poté non domandarsi che razza di incantesimo stessero portando avanti per arrivare a far addirittura svenire il volante.
Quattro anni prima, Yuzo ne aveva quindici.

“Quanti anni avevi?”
“Quindici.”
“Hai sofferto?”
“Un po’, però ricordo molto poco ciò che è accaduto. C’era qualcosa che premeva per entrare, poi quel calore insopportabile. Bruciava da morire. Infine il buio. Quando mi sono svegliato ero nella mia stanza.(6)

Quindici anni, un incantesimo invasivo, perdita di conoscenza.
Nella mente di Mamoru si formò una sola parola che potesse legare tutti e tre quegli elementi. E la parola era: onice.
Con astio si passò una mano nei capelli, intrappolando un’imprecazione tra i denti. Era dunque da quello che il glifo aveva cercato di proteggerlo: dalla Magia Nera.
“Qualcosa non va?” domandò Haruko, attirandosi la sua attenzione. La Fiamma si limitò a scuotere il capo, cambiando discorso.
“No, è tutto a posto. Piuttosto, come posso arrivare al villaggio dei briganti?”
“Avrei un'altra proposta.” La donna gli poggiò una mano sul braccio, aggrottando le sopracciglia. “So io dove devi portare Yuzo.”

Era rimasto immobile in quella posizione nemmeno lui sapeva per quanto. Ipotizzò dovessero essere passate ore perché aveva scorto il riflesso della luce sul campanello cambiare posizione. Il sole si era spostato.
Quando si decise a variare la sua stasi sentì di aver recuperato un po’ di energie. Col dito fece scivolare il campanellino verso il palmo e lo afferrò, chiudendolo nel pugno. Usò quest’ultimo come appoggio per fare forza e mettersi almeno in ginocchio.
Aveva male un po’ ovunque, a causa dell’impatto, ma non era niente di importante.
Si sollevò, staccando il viso dal suolo. Vi passò il dorso dell’altra mano per ripulirlo alla buona, poi crollò sui talloni respirando lentamente, in maniera controllata.
Le mani sulle gambe e la schiena tenuta più dritta possibile. Si sentiva un po’ intontito ma poteva farcela. Chiuse gli occhi e cominciò a fermare tutte le sue vacillanti barriere. Le stabilizzò, ne eresse di altre. Qualsiasi cosa pur di ritrovare la lucidità e il controllo. Senza si sentiva perduto e poi era l’unica arma che aveva per affrontare ciò che lo avrebbe aspettato a Ghoia.
Doveva tornare indietro, lo sapeva. Anche perché qualcuno avrebbe finito col cercarlo e visto che l’ultima volta che era fuggito in quel modo era successo un disastro, decise di non voler rischiare.
Mamoru doveva essere furioso.
Lo sentiva.
Yuzo aprì gli occhi e inspirò a fondo un’ultima volta, prima di mettersi lentamente in piedi. Si guardò attorno e cercò di comprendere quale fosse la via per rientrare in città, poi iniziò a camminare con passo malfermo.
Nella testa percepiva che l’incantesimo di Autocontrollo non era stato eretto al meglio, ma incredibilmente non riusciva a renderlo più stabile e la cosa lo infastidì. Nemmeno quando era piccolo l’aveva mai fallito in modo tanto palese. Avrebbe dovuto sforzarsi molto di più del solito per tenerlo in piedi e far sì che tutto il resto non potesse ferirlo ulteriormente. Dopotutto, a lui dei suoi genitori non importava nulla, non aveva motivo di scappare. Anzi. Li avrebbe affrontati a testa alta. Oppure li avrebbe lasciati nell’indifferenza, come loro avevano fatto con lui.
Sì, avrebbe agito così. L’indifferenza feriva più di qualsiasi altra emozione. Perfetto.
Su quella decisione, il passo si fece più sicuro e lui fu in grado di uscire dalla foresta per raggiungere la strada che portava alla città.
Distacco. Controllo. Freddezza. Indifferenza.
Controllo.
Controllo.
Odio.
No! Controllo.
Mamoru lo avrebbe rimproverato aspramente.
Controllo.
Poteva affrontare anche lui, certo.
Controllo.
Paura.
Controllo! Controllo!
Di lontano scorse l’ingresso a Ghoia e, quasi l’avesse chiamato, la Fiamma che camminava con passo collerico verso di lui; non aveva affatto una bella espressione.
Si sentì ferire ancor prima di poterci parlare.
Dolore.
Yuzo si fermò a qualche passo da lui, percependo come l’altro avesse voluto incenerirlo sul posto. E quelle iridi pece erano insostenibili, tanto che il volante abbassò le proprie, sconfitto.
Mamoru non cambiò espressione quando colmò la loro distanza, trovandosi finalmente l’uno di fronte all’altro. Lo fissò a lungo senza dire una parola e cercando di capire cosa diamine gli stesse passando per la testa, i suoi pensieri, i suoi sentimenti e gli sembrarono chiari nel loro essere contrastanti. Inspiegabilmente, era sempre stato immune all’Autocontrollo di Alastra dietro cui Yuzo seguitava a nascondersi, fingendo distacco. Lo sapeva riconoscere all’istante e quello non era il solito incantesimo, era imperfetto, quasi non riuscisse a completarlo.
In quel momento percepì chiaramente la sofferenza del volante che si trovava oltre l’Autocontrollo e schermata dietro quella lastra di vetro infrangibile di cui si era accorto quando si trovavano a Dhyla; urlava disperata, batteva i pugni per avere una via d’uscita, ma Yuzo non la lasciava andare, seguitando a segregarla in un angolo del cuore. Forse per non sentirsene dominato, schiacciato, o forse per il timore di ammetterne l’esistenza.
A ogni modo, Mamoru non si fece commuovere.
“Quanto ancora vorrai scappare?” gli disse con durezza, ma l’altro continuò a mantenere lo sguardo basso e a tacere. “Non puoi più farlo ormai, quindi smettila e parla con Haruko. Pensavo l’avessi già capito a Sendai che non serve a nulla fuggire.”
“Io non ho niente da dirle.”
“Tu no, ma lei sì. E l’ascolterai con attenzione.”
“A me non interessa sapere di cosa vuole parlarmi.”
“Per tutte le Dee, Yuzo! Si tratta dei tuoi genitori!”
“Non lo sono più!” Il volante alzò finalmente lo sguardo su di lui e a Mamoru sembrò di udire di nuovo lo stesso rumore avvertito prima che fuggisse via. “Hanno perso questo diritto quando mi hanno lasciato a Mizukoshi! Quando non hanno più voluto curarsi di me! La mia famiglia è il Console, non loro! La mia casa è Alastra, non Ghoia! Loro non sono niente per me!”
Lo schiaffo lo colpì senza che il volante lo vedesse arrivare. La mano della Fiamma ancora ferma a mezz’aria e l’espressione tagliente sul viso impassibile.
Adagio, Yuzo si toccò la guancia e la sentì calda.
“Non t’ho mai sentito dire tante stronzate tutte assieme.” Il tono del giovane era asettico e gelido. “Prima di parlare a vanvera dovresti esser sicuro della verità.”
Quel crepitio, la sensazione di frattura si fecero più forti alle orecchie dell’Elemento di Fuoco quando l’altro tentò di replicare e gli vide perdere lucidità, come se non sapesse più cosa dire per giustificarsi.
“T-tu non puoi capire e non puoi costringermi a-”
“Non posso capire? Io?!”
Yuzo sussultò e si pentì all’istante di quelle parole; era l’ultima persona a cui avrebbe dovuto dire una cosa simile. Aggrottò le sopracciglia, seguitando a mantenere distolto lo sguardo. Per quanto ci provasse, con Mamoru era completamente inutile ricorrere agli incantesimi, non sortivano alcun effetto se non quello di farlo imbestialire di più.
“A quanto pare predichi bene ma razzoli male, volante. Sei una sequela di saggezza e belle parole solo con gli altri, mentre il primo a fare orecchie da mercante ai tuoi stessi consigli sei proprio tu.” Gli ringhiò la Fiamma tra i denti, il viso vicino e minaccioso. “E in quanto a costringerti” sibilò, afferrandogli il polso in una presa salda, “staremo a vedere se non posso farlo.”
Yuzo incrociò il suo sguardo astioso, fissandolo allarmato, poi venne strattonato in direzione opposta alla città. Cercò di divincolarsi, ma la presa non accennava ad allentarsi nemmeno di un millimetro.
“Dove… dove mi porti?! Lasciami andare! Ti ho detto che non voglio parlare con lei! Lasciami, Mamoru!”
Sta’ zitto!
Di nuovo, uno sguardo incandescente e un abbaiare furioso zittirono ogni protesta. Realizzò di averlo visto così imbestialito solo quando si trovavano a Dhyla.
Mamoru contrasse la mascella, cercando di recuperare un filo di calma, uno solo, almeno per il momento.
“Stai. Zitto” sillabò adagio tornando a tirarselo dietro.
Se fosse stato più lucido, magari Yuzo si sarebbe reso conto di come Mamoru perdesse le staffe in quel modo solo quando in ballo c’era qualcosa che gli stava particolarmente a cuore. Ma in quel momento lui era terrorizzato all’idea di dover affrontare i suoi genitori e la verità, una verità che non voleva sentire perché tanto già la conosceva, no? Perché lui sapeva che l’avevano lasciato a Mizukoshi perché non lo volevano con loro, perché non gli volevano bene e perché era solo un peso, giusto? Era quella la verità e non ce n’erano altre… e allora perché aveva così paura di sentirla con le proprie orecchie? Perché non riusciva ad affrontare l’intera situazione con maggiore distacco? Perché non riusciva a pensare ad altro se non al fatto che li avrebbe visti? Li avrebbe avuti davanti, avrebbe scoperto i loro volti, sentito le loro voci.
Non riuscì a trovare una risposta a nessuna delle domande, per quanto si sforzasse, e per quanto tentasse di liberarsi dalla stretta era incapace di fare anche quello, così arrancò dietro un ostinato Mamoru che lo trascinò di nuovo all’interno del bosco. La via principale e la stessa Ghoia non erano già più visibili alle loro spalle, tutt’intorno c’erano solo alberi dai fusti alti e sottili e dalle fronde sempre più intricate, tanto che la luce faticava a raggiungerli. Ovunque, il muschio iniziò a farla da padrone e i rampicanti si avvolsero ai tronchi di lecci come scialli attorno al collo di una donna.
Superarono un torrente che scorreva veloce, nascondendosi nel sottobosco, e si inerpicarono per l’ultimo tratto su sporgenze di roccia coperte da felci.
“Mamoru, smettila!” protestò ancora il volante e stavolta venne accontentato. La Fiamma lo spinse malamente in avanti, mollando la presa.
“Siamo arrivati” sentenziò duramente, superandolo con passo spedito.
Yuzo si fermò al centro di quella che gli apparve come una radura. Con sguardo intimorito osservò d'intorno. Anche se coperte di licheni, quelle sagome di roccia gli sembravano avere forme troppo particolari per essere di origine naturale e dovevano essere almeno un centinaio. Spuntavano dal terreno, in fila, qualcuna messa meglio, qualcuna inclinata.
Un’angoscia improvvisa lo investì e il petto cominciò a pungergli con tale insistenza che vi portò una mano per vedere se il cuore stesse battendo ancora.
La prima idea di quel luogo era che fosse un cimitero.
Un cimitero che nulla aveva a che vedere con quello visitato a Dhyla, dove aveva provato una malinconica sensazione di nostalgia. Ora, il sentimento che lo avvolgeva era dolore. Dolore puro. Si sentiva opprimere, schiacciare da un senso di impotenza inesplicabile. L’angoscia gli rodeva le viscere.
“Dove siamo? Portami via da qui… portami via…” sussurrò col fiato ridotto a un filo e sul punto di rompersi. Girò su sé stesso, la foresta era divenuta soffocante.
“Siamo dove devi essere” sbottò Mamoru, il tono affilato come il taglio di una falce, batté un colpo sulla roccia alle sue spalle e solo in quel momento Yuzo la vide. Era la base di una statua che, anche se coperta di muschio ed edera, aveva le forme ancora visibili. Forme piuttosto grezze, di chi vi aveva lavorato a lungo ma con sofferenza. Tre figure si ergevano illuminate da sottili aghi di luce: un uomo, una spada in una mano impugnata con la possente lama rivolta in basso, un’altra spada a riposo nel fodero; lo sguardo fiero, la testa alta. Accanto a lui, una donna restava in ginocchio. Le mani al petto e il viso al cielo, sembrava stesse pregando o lanciando un incantesimo; i lunghi capelli sciolti trasfiguravano in rami e foglie. Alle loro spalle un secondo uomo, più anziano del primo, tendeva un arco verso l’infinito.
“Eccoli qui.” Mamoru parlò di nuovo con la stessa causticità. “Tuo padre, tua madre e tuo nonno. La tua famiglia, Yuzo, e sono morti.”
Quell’ultimo battito di cuore vibrò con un rumore così cupo e profondo, nel petto del volante, che rimbombò per riflesso in ogni parte del corpo e dopo non fu più in grado di sentirlo, come se si fosse fermato.
Niente pillole indorate, niente gabbie di cristallo. La verità, nuda e cruda. E la verità era che non c’erano più.
Sua madre… suo padre… e anche suo nonno… non c’erano più.
Niente più volti da vedere né voci da sentire.
Morti.
E… e perché? Quando?
Scosse il capo con lentezza, nemmeno fosse stato una bambola che avesse esaurito la corda. Gli occhi inglobarono la possanza della statua, ricavata da un unico blocco di roccia, e si sentì improvvisamente solo, perduto. Una strana smorfia gli deformò i tratti mentre avanzava lentamente un passo alla volta e si domandava perché la stesse prendendo così male; in fondo, a lui non importava, no? Non gli importava nulla di loro; che fossero vivi o morti che differenza faceva?
Mamoru lo osservò vacillare e lesse confusione nei suoi occhi per quell’improvvisa incapacità di controllare la barriera dietro cui aveva isolato i sentimenti. In quel momento, capì che il rumore crepitante che era convinto di sentire veniva proprio da quel vetro, dalla muraglia. Scheggia dopo scheggia, frattura dopo frattura il dolore stava per mandarla in pezzi.
Ingoiò la voglia che aveva di difenderlo da tutto quello, perché Yuzo aveva bisogno di sapere le cose come stavano, senza filtri e senza protezioni, altrimenti non le avrebbe mai affrontate. Così, continuò a parlargli in tono duro.
“Esatto, non ci sono più. E sai perché? Perché credevano nella libertà. Come tutte le persone che sono qui.”
Yuzo guardò quel crogiolo di lapidi, sentendosi schiacciare da tante di quelle emozioni che non riuscì a dire nulla, ma le smorfie sul suo viso parlarono per lui, mentre la Fiamma gli si parava davanti.
“Uomini e donne, anziani e bambini, massacrati come animali perché avevano osato ribellarsi.”
Smettila! Smettila! Non voglio ascoltare!” gridò Yuzo cercando di sopraffarlo. Lesto si strinse la testa tra le mani perché faceva male, troppo male, ma la Fiamma lo costrinse con forza a guardarlo negli occhi.
No! Tu devi sapere, Yuzo! Devi sapere che tu e Haruko siete sopravvissuti a tutto questo! Devi sapere che se lei non ti avesse abbandonato all’orfanotrofio di Mizukoshi saresti morto anche tu! Lei ti ha salvato e tutto questo devi saperlo perché i tuoi genitori erano degli eroi che hanno dato la vita per quello in cui credevano! Eccola la verità! E tu gliela devi perché loro sono morti anche per te!” Fissò intensamente i suoi occhi affinché comprendesse ogni singola parola, fino in fondo. “Ti volevano bene. Te ne hanno sempre voluto e ti hanno protetto fino alla fine. Non dimenticartelo mai” concluse, il tono di colpo calmo. Lo lasciò andare, ma il volante, oramai, non lo vedeva più. Lo sguardo fisso oltre la sua spalla, inchiodato alla base di quella statua dove, nella pietra, erano scolpiti i nomi dei suoi genitori. La sua famiglia, quella vera. Quella che, per rendersi tutto più facile, aveva finto non fosse mai esistita, perché dimenticare chi non si era mai conosciuto era meno doloroso, perché raccontarsi bugie invece di scavare con le unghie e con i denti per sapere la verità era molto più facile. E quando Mamoru si fece da parte, lui mosse in avanti i suoi passi, avvicinandosi al monumento. Le dita tremanti seguirono il contorno delle incisioni, lettera per lettera, nome per nome. Vennero scolpiti di nuovo, questa volta dentro di lui.
Bashaar.
Arya.
Alevhar.
“…Morisaki” sussurrò, cadendo in ginocchio. “Mi chiamo Yuzo Morisaki…”
Con la stessa lentezza sollevò lo sguardo per osservare da sotto in su quella famiglia che aveva perduto troppo presto e in quell’attimo avvertì il crollare della muraglia invalicabile, della barriera oltre la quale aveva intrappolato ogni dolore. Sentì lo sgretolarsi dell’incantesimo di controllo dietro cui si era nascosto fin dalla prima volta che era stato capace di crearne uno e lo capì anche Mamoru, alle sue spalle.
Ancora in ginocchio, gli occhi di Yuzo si riempirono di lacrime mentre il respiro diveniva breve e veloce, e quando il cuore gli esplose nel petto riversò fuori tutto il dolore che aveva accumulato negli anni in un grido liberatorio.
Perché?! Perché ve ne siete andati?! Io avevo bisogno di voi! Perché non siete rimasti con me?! Perché?! Perché?! Perché?!
Uno, due. Pugni infiniti si infransero nel suolo, sollevando la terra. Ognuno più furioso di quello che l'aveva preceduto, si susseguirono fino a che Mamoru non li fermò. Alle sue spalle, lo bloccò in una stretta forte e protettiva.
“Buttali fuori. Buttali fuori, Yuzo.” Le parole della Fiamma arrivarono sussurrate ma decise. “Di tutta questa rabbia e questo dolore non hai bisogno. Grida fino a non avere più fiato, piangi fino a che non ci saranno più lacrime e liberati di loro così che non possano più farti del male. Mai più.”
E il volante pianse, pianse con tutto sé stesso, e gridò, come non ci fosse stato un domani per farlo ancora.

 

IRIS OST - Sad Love
(Drama version - strumentale)

Mamoru lo tenne stretto fino a che non lo avvertì rilassarsi. La fronte appoggiata contro la sua nuca.
Solo quando sentì una mano fermarsi sulle sue sollevò il capo, notando che Yuzo aveva smesso di piangere.
La luce era calata drasticamente rispetto a quando l’aveva portato nel cimitero e si rese conto che il sole doveva essere ormai al tramonto. Seguitò a non dire nulla, sulle prime, ma quando udì Yuzo prendere un profondo respiro, parlò.
“Come ti senti?”
Il volante non rispose subito, come se ci stesse seriamente pensando. In altre occasioni gli avrebbe risposto con uno dei suoi falsi ‘bene’ con cui solitamente tendeva a proteggere verità che non voleva palesare, ma in quel momento non ci provò nemmeno a nascondersi.
“Spezzato” ammise infine. Ingenuamente, era stato convinto che dopo essersi sfogato sarebbe stato meglio, ma si era sbagliato. ‘Meglio’, che era minore di ‘bene’, era una parola lontana verso l’infinito. Il dolore era ancora lì, l’angoscia era ancora lì; avevano solo attenuato la morsa. “Ti sei sentito anche tu così quando hai saputo della morte di tua madre?”
“Qualcosa del genere.” Mamoru sospirò. Il suo dolore era stato anestetizzato dalla rabbia che aveva provato verso di lei per il gesto che aveva compiuto. Più che spezzato, si era sentito tradito a morte.
“Non passerà tanto presto, vero?”
“Non pretendere di costruire una città in un giorno.”
La Fiamma non poteva dargli la certezza che sarebbe mai passato sul serio; forse si sarebbe solo indebolito, col tempo. Tanto tempo. Anche quello, Yuzo avrebbe dovuto comprenderlo da solo, un po’ alla volta, non era un qualcosa che le parole potevano spiegare in maniera esauriente, ma era una consapevolezza che il cuore avrebbe acquisito in autonomia da ogni razionalità.
“Erano tante informazioni, tutte insieme. Hai bisogno di un po’ di tempo per metabolizzarle nel modo giusto.” Dicendo questo, allentò la presa fin quasi a scioglierla, ma il volante gli fermò le mani prima che potesse ritrarle.
“Esiste davvero un modo giusto?”
Mamoru osservò la nuca dove spiccava la nera pietra d’onice, proprio sotto ai suoi occhi. No, non esisteva, ma non se la sentiva di togliergli anche quell’aspettativa, però non la confermò.
“Anche questo non puoi pretendere di saperlo subito.”
“E allora cos’è che posso sapere, adesso?” Yuzo esalò un profondo respiro, appoggiandosi contro il compagno. Sollevò il viso alle fronde dai colori falsati per il tramonto e i verdi più scuri tendevano al buio. “Cos’è che mi è rimasto? Quale certezza ho, nell’immediato presente, da cui cominciare? Un punto di partenza…”
Mamoru lo sorresse, riuscendo a scorgerne il profilo. “Il tuo punto di partenza è questo, Yuzo. Questo cimitero, quella statua. La certezza è la loro storia. Sta solo a te decidere se vuoi conoscerla. Haruko ti sta aspettando per raccontarti ogni cosa; è da una vita che aspetta di poterlo fare.”
“Lei… Siamo parenti, vero?”
“Tua madre era sua sorella.”
Il volante inspirò a fondo, smettendo di appoggiarsi a lui. “Mia zia.” Lasciò andare le mani di Mamoru, annuendo piano. “Ho una zia.”
“Anche quello è un punto di partenza” sorrise la Fiamma, sciogliendo l’abbraccio. Lentamente si alzò, portandosi davanti a lui. “Andiamo?”
Yuzo guardò a lungo quella mano tesa. Haruko, sua zia Haruko gli avrebbe raccontato quello che era successo ai suoi veri genitori, perché erano morti e per mano di chi. Non era sicuro di essere pronto davvero, ma non poteva più pretendere che gli eventi lo aspettassero ancora. Strinse le dita della Fiamma e si lasciò aiutare.
Adagio si mossero insieme per raggiungere la loro nuova destinazione, abbandonando alle loro spalle il cimitero di Ghoia.

Haruko li stava già aspettando sul limitare del bosco. Quando li vide, mostrò un sorriso incerto e imbarazzato. Strinse nervosamente le mani, abbassando lo sguardo al suolo.
“Non vi vedevo tornare e mi ero un po’ preoccupata. Scusate.” Si giustificò.
Mamoru le sorrise, rivolgendole un inchino, mentre Yuzo restava arretrato di un passo rispetto al compagno, quasi avesse paura ad avvicinarsi. Ed era strano vedere il volante che rifuggiva le persone, quando di solito era il primo a fare amicizia con chi stava loro intorno.
Mamoru si accorse delle occhiate che lanciava all’ostessa. Erano fugaci e le distoglieva subito.
“Allora, io torno in città.” La Fiamma fece per prendere concedo, ma Yuzo lo guardò smarrito e agitato. Mamoru sapeva che non poteva essere presente, per quanto desiderasse rimanere al suo fianco: era la sua famiglia, ed era con Haruko che avrebbe dovuto affrontare lo scoglio della verità; lui ci sarebbe stato per raccogliere i cocci che il dolore avrebbe lasciato dietro di sé. Per rassicurarlo, gli poggiò una mano sul braccio, accennando un sorriso. “Ti aspetto alla locanda.” Rivolse un cenno del capo all’ostessa e si allontanò.
Yuzo lo vide andare via ma non riuscì a dire nulla, però avvertì nettamente la perdita di quel minimo di sicurezza che la presenza di Mamoru era riuscita a infondergli fino a quel momento. Ora che non c’era più, si sentiva schiacciato dal senso di disagio e quando si volse per osservare la figura di Haruko, vide che anche lei era in difficoltà, ma gli sorrideva ugualmente con lo stesso calore che aveva avvertito quando gli aveva detto di somigliare a suo… suo padre. Deglutì con uno sforzo, sentendo la gola improvvisamente secca.
“Immagino che Mamoru ti abbia mostrato il cimitero dei briganti” disse lei con calma, mentre la parola ‘briganti’ gli si piazzò al centro della testa, scacciando tutte le altre. Briganti. Daaku. Quindi era questo il collegamento. I suoi genitori erano… briganti?
D’improvviso, si rese conto di avere tantissime domande cui desiderava avere una risposta.
Annuì, pur senza dire nulla. Lei sorrise un po’ di più.
“Allora vieni, ci sono altri posti in cui voglio portarti.”
Haruko si incamminò e lui le tenne dietro seppur a distanza di qualche passo. Tornarono a immergersi nella foresta, ma il percorso che seguirono gli parve differente. Di lontano, tra le cime degli alberi dove le fronde si districavano un po’, si riuscivano a scorgere i pendii delle prime montagne che già appartenevano al complesso del Nohro. E più camminavano, più divenivano vicine.
Tornarono a incrociare lo stesso torrente che aveva superato con Mamoru, ma da un punto diverso, più alto, e tra i tronchi e la vegetazione abbondante scorse quello che sembrava un vecchio sentiero. Anche se ricoperto per la maggior parte dall’erba, si potevano ancora vedere i solchi scavati nella terra. Alla fine del percorso sbucarono in quello che gli parve un rudere. Tra gli alberi ricresciuti e la gramigna, i rampicanti e i muschi notò sagome diroccate di case.
“Questo era il piccolo paesino che i briganti avevano costruito dal nulla, come loro dimora” spiegò Haruko, fermandosi al centro dell’area e Yuzo la imitò. Titubante, si guardava attorno, sperando, da un momento all’altro, di riuscire a scorgere qualcosa di familiare. Qualsiasi cosa. Ma poi si diede dello stupido perché era impossibile che potesse ricordare alcunché; era stato troppo piccolo allora.
Quindi osservò le case dalle facciate crollate, i tetti sfondati e le mura divorate dal verde come le vedesse per la prima volta, scrutandole tutte attentamente. Non gli diede l’idea di un luogo che era stato abbandonato, quanto distrutto.
“Cos’è… successo?” domandò piano, temendo la risposta.
“Hanno bruciato ogni cosa. Abbattuto le case a colpi d’ascia. Non volevano che rimanesse alcuna traccia di questa città e dei suoi abitanti.” Haruko camminò fino a un punto poco più avanti a dove si erano fermati. Si inginocchiò e poggiò una mano al suolo.
Solo allora Yuzo vi scorse una ghirlanda di fiori bianchi. Bianchi con le punte colorate di verde. Gli stessi del suo campanellino.
“Tuo padre è morto qui.”
Il volante cercò di ingoiare il groppo che gli aveva repentinamente serrato la gola, ma senza riuscirci. Gli occhi fissi su quei fiori le cui corolle oscillavano al vento, mentre la testa lavorava senza sosta per riuscire a immaginare il come, il perché. Per riuscire a trovare, di quell’uomo, anche il più piccolo e insignificante ricordo. Ma era uno sforzarsi a vuoto. Non ne aveva nessuno.
Haruko indicò verso l’alto, il costone della montagna che si affacciava a strapiombo sul villaggio. “Tua madre, invece, è spirata lassù. Su quel pianale.”
Il groppo si fece così grande che gli impedì addirittura di respirare, tanto che fu costretto a farlo con la bocca, e nella gola il sapore del sale scivolava lento. Qualcosa iniziò a bruciare e ribollire. Risalire.
“Chi è stato?”
Haruko tornò verso di lui. “Il Delegato Dogale.”
Il suo sguardo ebbe un guizzo di totale sgomento, tant’è che se ne accorse anche l’ostessa.
“Per questo non volevo che andassi da lui né che i suoi uomini ti vedessero. Ti avrebbero riconosciuto all’istante, sarebbe stato troppo pericoloso. Non volevo che rischiassi.”
Ma Yuzo non la udì, troppo preso dal pensiero che fosse stato proprio un uomo del Doge, un uomo di legge, ad aver ucciso i suoi genitori, ad aver distrutto un intero villaggio. Per quanto fossero stati dei briganti, non era questa la giustizia del Re, non era così crudele. Mai.
“Perché?” domandò, fissando di nuovo la ghirlanda come non vedesse altro. Ma ad Haruko non sfuggì il modo in cui gli era tremata la voce. E non era solo per la sofferenza o per il dolore: era rabbia.
L’ostessa gli prese la mano e solo allora il volante si accorse di aver stretto il pugno talmente forte d’aver fatto divenire livide le nocche.
Quel gesto riuscì a chetarlo, ma non fu in grado di guardarla a lungo negli occhi. Tanto che li distolse per farli arenare nuovamente su quei fiori abbandonati sull’erba, però non si ritrasse al suo tocco.
In quel luogo, in cui l’erba ricresceva sulla distruzione, per seppellirla e renderla meno amara e spaventosa, per darle un colore che non fosse quello della cenere, Haruko gli raccontò ogni cosa. Gli raccontò di quell’evaso da Bàkaras e dei suoi compagni che erano divenuti i Briganti di Ghoia, gli raccontò di quella Erborista che non aveva paura e di come lei e l’evaso avessero costruito un’intera comunità, trasformando ciò che era ritenuto fuorilegge in giustizia e di come insieme avessero combattuto il vero usurpatore, il vero assassino, il vero brigante. Gli raccontò di come si fossero amati e di come avessero amato lui, prima che la vendetta del pavido Delegato avesse separato tutti e tre, uccidendone due, e distruggendo la libertà di Ghoia col fuoco e la spada. Gli raccontò di quanto avesse corso, nella foresta, per portarlo a Mizukoshi e di quanto avesse sofferto nel doverlo lasciare ai piedi dell’orfanotrofio perché era l’unica possibilità che aveva di sopravvivere e di provare, almeno lui, a essere felice. Gli raccontò di come avesse pregato ogni giorno e di quanto si fosse sentita sollevata nel sapere che era stato adottato addirittura dal Console dell’Aria. Gli raccontò anche del glifo che Arya gli aveva lasciato e di come il suo padre adottivo sapesse la verità.
Gli raccontò ogni cosa, senza esitare e tenendogli costantemente la mano. Pianse mentre gli parlava, ma non si fermò nemmeno un attimo e lui l’ascoltò senza interromperla.
Assorbì ogni sua parola, ogni sua memoria, ogni suo dolore e ogni sua lacrima quasi fosse stato una spugna e fece trovare ordine a tutto ciò che si era precluso negli anni.
I suoi genitori l’avevano amato, ma era stato troppo piccolo per averne ricordi. Non aveva nemmeno un’immagine in cui poter provare a riconoscere sé stesso. Non aveva niente se non le loro ceneri e nel grigio non c’erano colori da associare ai capelli e agli occhi, non c’erano sorrisi né il calore delle loro braccia, non c’erano le voci che lo chiamavano. Nella cenere c’era solo il loro addio.
Le lacrime gli sfuggirono senza un lamento nel realizzare che erano morti troppo presto mentre lui era cresciuto troppo tardi e che, anche se era tornato lì, non ci sarebbe stato nulla che avrebbe potuto fare per salvarli, perché i morti non tornavano. Non gli era rimasto più niente di loro.
Mamoru aveva detto che il cimitero sarebbe stato il suo nuovo punto di partenza, assieme alla loro storia, ma si era sbagliato, perché quelli non erano che la fine. Nella morte non c’era alcun inizio, così come in una storia passata che gli anni avevano provveduto a seppellire, assieme alle ceneri.
Troppo tardi.
Troppo, troppo tardi.
Haruko gli carezzò il viso con affetto e lui si riscosse, sollevando lo sguardo dalla ghirlanda a lei. Fissò i suoi occhi con maggiore attenzione e stavolta il loro colore gli divenne familiare sul serio.
L’ostessa gli sorrise dolcemente. “Loro sarebbero felici di saperti qui, in questo luogo. Era il villaggio in cui avrebbero voluto crescerti. Solo il fatto che tu l’abbia visto è importante.”
Lui aggrottò le sopracciglia, scuotendo il capo. Con fermezza, ma senza essere brusco, si liberò dal tocco delle sue mani e si allontanò di un passo, asciugando le lacrime nella manica dell’abito.
“E a che serve? Che io sia qui non cambierà la cose. Non cambierà quello che è stato.”
“Questo è vero” sospirò la donna, osservando la sua schiena. “Ma gli ideali non muoiono.”
Yuzo la guardò. “Gli ideali?”
“Sì. Questi ruderi, il cimitero, la statua e il luogo in cui ti porterò adesso continuano a conservare tutti i loro ideali. Ne sono pregni, in ogni filo d’erba che è cresciuto su queste macerie, in ogni goccia di pioggia che è caduta sulle lapidi e nel cuore di ciascuno di noi che popoliamo la città: gli ideali dei Briganti di Ghoia, di Bashaar e Arya, continuano a vivere. Non li abbiamo dimenticati solo perché seguitiamo a chinare la testa.”
Gli ideali vivevano. Anche nel cimitero.
Era quello il vero punto di partenza?
“Dove vuoi portarmi?” chiese e a quella domanda Haruko tornò a sorridere.
“In un posto che ti piacerà più di quanto pensi.”
Sollevando appena la gonna, che ogni tanto toccava il suolo, l’ostessa si tornò a immergere nella boscaglia e a lui non rimase che seguirla. Salirono, inerpicandosi per un sentiero maggiormente stretto e nascosto. Si ritrovarono in una zona dalla vegetazione più selvaggia. L’erba era cresciuta alta e spesso s’alternava ai rovi tanto che se ne trovarono davanti una specie di tenda. La strada era bloccata, o almeno così credette Yuzo, ma Haruko impiegò un attimo a sollevare interamente lo strato di pruni.
Nascondeva un passaggio ed era fatto così bene da sembrare che non potesse esserci nulla oltre se non altra sterpaglia e foresta. Invece, il sentiero li guidò fino a un piccolo pianale ricco di denti di golkorhas(7). Le corolle gialle erano ormai state sostituite dalla morbidezza dei pappi bianchi che si staccarono quando vennero attraversati da un’improvvisa folata di vento. Yuzo li vide sollevarsi in una nuvola leggera e allontanarsi verso Sud-Ovest. Da quella parte c’era una perfetta visuale delle montagne Nohro in tutta la loro imponenza e i picchi innevati.
E il sole al tramonto investiva tutto l’anfratto e quella… casa.
Era modesta e in legno, piena di luce.
Haruko le si avvicinò, attraversando la distesa di fiori con movimenti che sembravano aver messo da parte la sofferenza mostrata quando si trovavano al villaggio dei briganti.
“Vieni!” esclamò, ed era già arrivata al portico, mentre lui era rimasto fermo. Gli fece cenno di avvicinarsi e Yuzo tornò a muoversi. I pappi l’avvolsero come si immerse in quel mare di fiori e gli volarono intorno prima di allontanarsi, portati dal vento.
La prima cosa di cui s’accorse fu lo stato perfetto in cui la casa era tenuta. Qualcuno, di sicuro Haruko, doveva andarci regolarmente per pulire; sembrava fosse abitata.
L’ostessa estrasse una chiave dal grembiule e aprì la porta. Entrò velocemente e corse ad aprire le finestre per permettere alla luce del tramonto inoltrato di illuminare l’ambiente.
Lui era rimasto sulla soglia, quando Haruko tornò a raggiungerlo.
“Cosa aspetti?” gli sorrise, prendendogli la mano e tirandolo all’interno. “Sei a casa.”
A quelle parole gli parve che la schiena venisse attraversata da un lunghissimo brivido.
Casa.
Casa sua.
Un divano, un tavolo e delle sedie, mobili, un camino, una libreria, ninnoli.
Casa.
Porte, finestre, altre stanze ancora nascoste.
Casa.
Gli tremarono le gambe.
“L’ha costruita Bashaar, tutto da solo, così come da solo ha scelto il posto in cui sarebbe sorta. Tua madre era un’Erborista e lui aveva cercato il luogo più adatto a lei. Non ha mai permesso a nessuno di avvicinarsi mentre la tirava su. L’ha finita il giorno prima del matrimonio. Ad arredarla però ci ha pensato Alevhar. Tuo nonno era un falegname davvero bravo.”
Yuzo camminò sul legno facendo talmente tanta attenzione da non farlo nemmeno scricchiolare. Temeva che ogni cosa potesse rompersi all’improvviso e scomparire in un attimo.
Casa.
La sua.
Ne aveva davvero una.
“Tu sei nato qui” rise Haruko. “E quel giorno è stato memorabile.”
Lui non sapeva dove girarsi e cosa guardare, desiderava poter poggiare gli occhi su tutto contemporaneamente, ma non era possibile e seguitava a sembrare più intimorito che emozionato. Toccò appena la superficie di un mobile accanto all’ingresso e subito ritrasse la mano, tanto che la zia lo guardò divertita.
“Vuoi sapere perché tutti ti osservano con così tanto sconcerto?” Gli domandò d’un tratto, attirandolo di più verso il centro della stanza. Yuzo spostò lo sguardo su di lei che gli indicava il camino. Sopra il camino.
Non aveva visto quel quadro appena era entrato. Gli era sfuggito nel rincorrersi degli oggetti che erano divenuti così tanti che non aveva più saputo dove girarsi, ma appena i suoi occhi si poggiarono sulla grande tela appesa alla cappa, ogni altra cosa, attorno a lui, scomparve.
Si dimenticò anche di respirare.
Bashaar era ritratto in piedi, appoggiato alla spalliera della sedia sulla quale era seduta Arya.
Erano uguali davvero.
La somiglianza non lasciava adito a dubbi sul fatto che fossero padre e figlio. Si distinguevano solo per il colore degli occhi e per quelle cicatrici. Ogni punto scoperto che era stato dipinto aveva un segno. Il viso, le braccia, le mani. Tracce di lotte passate, di sofferenza. Le tracce di Bàkaras. Di giustizia negata.
Eppure stava sorridendo. O, meglio, accennava un sorriso che però sembrava renderlo davvero felice.
I suoi occhi si spostarono e stavolta inspirò così a fondo da riempirsi i polmoni, mentre il cuore perdeva un battito nel rifluire dell’aria all’interno del petto.
Quella era sua madre.
Quel sorriso solare che le illuminava il volto, quei capelli biondi lunghissimi e mossi che le scivolavano addosso, quegli occhi… che erano i suoi occhi, lo stesso colore. Bella come non avrebbe mai saputo raccontare e che trasmetteva un’infinita gioia di vivere.
E allora… se l’uomo era suo padre e la donna sua madre… il bambino che lei stringeva… era… lui?
Una macchia rosa infagottata.
Loro…
Lui…
Insieme.
Quei volti si incisero nella sua mente in linee e colori, colmando tutti i vuoti della sua memoria, come tessere d’un mosaico. La traccia che fossero esistiti davvero, che non fossero solo racconti sconosciuti, che fossero stati uniti era lì davanti, l’unica a essergli rimasta.
Si mosse per raggiungerla senza nemmeno accorgersene. Girò attorno al divano, arrivò davanti al camino. La tela era alta sopra di lui e sembrava che i loro occhi lo seguissero a ogni movimento.
“Mamma… papà…” Toccò il quadro con la punta delle dita e l’insieme di emozioni che aveva dentro l’illuse che fosse caldo, quasi come se in esso fosse rimasto un ultimo soffio vitale che stava aspettando solo il suo ritorno per potersi dissolvere.
“Lo ha dipinto Hock Settedita, uno dei briganti” spiegò Haruko, appoggiata alla spalliera del divano. “Anche il Console è rimasto impressionato quando l’ha visto.”
Yuzo si volse. “Mio padre è stato qui?”
Haruko annuì. Lentamente gli si fece vicino. “Avete avuto la stessa reazione. Anche lui ha indugiato un po’, prima di avvicinarsi per toccare la tela.” Gli carezzò il viso con affetto. “Si è commosso. L’ho capito subito che ti vuole infinitamente bene.”
Lui distolse lo sguardo, piegando le labbra in un’espressione ferita. “Perché non me l’ha detto?”
“Se lo avesse fatto, tu l’avresti ascoltato?”
Il volante dovette ammettere che no, non l’avrebbe fatto. Quando era a Dhyla aveva accusato Mamoru di essere troppo testardo, ma a pensarci bene, era stato proprio l’ultimo a potersi permettere di parlargli in quel modo.
“Il Console Shiroyama sapeva che non avresti mai voluto affrontare l’argomento, perché provavi ancora troppo rancore. Non eri pronto e lui non poteva costringerti.”
Yuzo sollevò nuovamente lo sguardo. “Ma se lui sapeva quello che il Delegato stava facendo a questa città, perché non è intervenuto?! Avrebbe potuto dirlo al Doge! Avrebbe-”
“All’epoca era ancora un Master e, per quanto avesse avuto una grande influenza, i Doge non fanno riferimento esclusivamente al potere religioso. Inoltre… sono stata io a chiedergli di non agire.” Haruko scosse il capo, voltandogli le spalle. “Per anni ho desiderato di vederti per poterti raccontare ogni cosa, ma mi rendevo conto che non era giusto. Non era giusto che tu dovessi soffrire così tanto. Il Console mi aveva detto che eri felice, lì, alla scuola, e chi ero io per rovinare la tua felicità?” Tornò a guardarlo, torturandosi le mani. “Volevo tenerti lontano da tutto questo dolore. A maggior ragione adesso, che avevi trovato la tua strada. Arya e Bashaar non avrebbero mai voluto che tu soffrissi. Per questo chiesi al Console di non fare nulla. Era un nostro problema e tu eri già stato punito abbastanza per essere stato abbandonato. Ma lui era convinto che un giorno avresti saputo la verità, anche se non sapeva quando. Era fiducioso e credeva nella tua bontà. Non pensavo che quel giorno sarebbe arrivato così presto.” Tornò ad accigliarsi, mentre Yuzo restava in silenzio, ancora fermo presso il camino. “Domani Ghoia sarà piena di soldati. Il Delegato Dogale non perderà l’occasione di vedere il figlio dell’uomo che gli ha dato tanti problemi, in passato. Verrà per uccidere anche te…”
La vide portarsi una mano alle labbra per sforzarsi di ricacciare le lacrime, ma quando si mosse per avvicinarla e dirle che era impossibile poiché non doveva dimenticare che era un Elemento, Yuzo urtò qualcosa col piede. Qualcosa che era appoggiato al lato del camino e che cadde al suolo con un suono cupo e pesante. Metallico.
I suoi occhi trovarono la sagoma di una grossa scimitarra a riposo nel fodero che seguiva le forme della lama ampia e ricurva. L’elsa aveva una lavorazione particolare, che si avviluppava lungo l’impugnatura. Era stata lucidata alla perfezione eppure era chiaro che qualcuno doveva averla usata per molto, molto tempo.
“Quella è Dolore” spiegò Haruko. Con fatica, poiché molto pesante, la sollevò da terra e gliela porse. “E’ la spada con cui tuo padre è stato ucciso. La gemella, Vendetta, Van Saal l’ha portata via come trofeo.” Yuzo la prese dalle sue mani, mentre lei seguitava a raccontare. “Quando Bashaar giunse qui le aveva già con sé; non se ne separava mai. Venivano da Bàkaras, diceva sempre che rappresentavano i ricordi del passato e i propositi del futuro.”
Dolore e Vendetta. Tutto quello con cui suo padre era cresciuto, le sue compagne di vita e di morte.
“Non le faceva toccare a nessuno, nemmeno ad Arya. Non voleva che si avvicinasse al suo lato peggiore. Con l’ingenuità di quando ero bambina, ero sempre stata convinta che lei sarebbe riuscita a fargliele mettere da parte, un giorno. A fargliele dimenticare. Ma Bash non avrebbe mai potuto farlo e questo Arya lo sapeva e lo rispettava.”
Yuzo la strinse a sé e valutò quanto, effettivamente, fosse grande: la lunghezza della lama raggiungeva la caviglia e, contando il peso dell’elsa, la punta arrivava a sfiorare il suolo. Ci voleva un fisico imponente per maneggiarle e portarle entrambe al fianco e in questo suo padre non faceva difetto. L’aveva visto dal quadro: spalle ampie e braccia muscolose di chi aveva combattuto per tutta una vita e fosse abituato a fare lavori pesanti. Accanto a lui, sua madre gli era parsa così minuta e piccola. Un fiore di campo e lui la quercia che gli faceva ombra.
Haruko gli fece cenno di nuovo, affinché lo seguisse, e si avvicinò a una delle porte ancora chiuse. L’aprì, ma da quel lato il sole non batteva e l’interno si presentò più in penombra, oscurato anche dalla folta vegetazione che cresceva alle spalle della casa. Con passo svelto, la donna raggiunse una piccola candela sul davanzale della finestra chiusa, sfregò l’acciarino e la scintilla attecchì subito. La fiamma che ne nacque era debole e tremula, ma sufficiente per illuminare l’interno.
Il cuore saltò l’ennesimo battito e Yuzo pensò che se avesse continuato così avrebbe finito col morirne, ma sapeva anche che non avrebbe potuto controllarlo. Non c’era più nulla che potesse controllare di sé stesso, scivolava tutto dalle mani e dai pensieri. I suoi poteri erano la barca che aveva perduto timone e rotta, non avevano più senso. E tutto questo perché quella che si trovò davanti, una volta entrato nella stanza, fu una culla.
“Alevhar l’ha costruita con tantissima cura. Voleva che la tua camera fosse accogliente.” Haruko sfiorò le lavorazioni sulla testiera e lungo le sbarre: erano intagliati riproducendo rami e foglie che si intrecciavano le une alle altre. E sulla testiera vi era inciso un quadrifoglio. “Amava profondamente la Natura, anche per questo andava d’accordissimo con tua madre. Era molto devoto alla Dea Minore Azumi e voleva che questo quadrifoglio ti potesse portarti fortuna.”
Yuzo appoggiò Dolore accanto alla porta e poi avanzò. Adagio si affacciò aspettandosi quasi di vedere un bambino dormire placidamente, pugnetti chiusi, ma la culla era vuota. Ripiegata al suo interno vi era solo una coperta verde chiaro.
Mentre Haruko continuava a parlare, a raccontare aneddoti su quella stanza, Yuzo vide il tempo scorrere attorno a lui velocissimamente. Vide l’arredamento cambiare, la culla sparire sostituita da un letto. Giochi sparsi, risate nell’aria, soli che sorgevano e tramontavano e mobili che cambiavano. Libri, candele che si consumavano e venivano sostituite, tende e piante, voci che divenivano più mature, ma che continuavano a ridere ed essere felici.
La vita che avrebbe avuto se i suoi genitori fossero stati ancora vivi gli corse attorno impazzita, vissuta solo col pensiero mentre la realtà restava una sola e immutabile. La testa gli girò assieme al tempo ormai perduto che portava via tutto ciò che di tangibile poteva vedere, mentre l’invisibile continuava a vivere proprio come gli aveva detto sua zia. Gli ideali aleggiavano anche in quella stanza, vincevano la morte come le phaluat, che nella fine creavano un nuovo principio, ed era terribile che proprio lui, Elemento d’Aria, non ci avesse pensato all’istante, ma si fosse lasciato sopraffare dal proprio dolore.
Anche la lucidità della ragione si era perduta assieme al controllo, assieme ai suoi poteri, assieme a sé stesso. Lui si era perduto e non vedeva strade per potersi ritrovare.
Appoggiato alle sponde della culla, Yuzo si guardò intorno. Lo sguardo vagava di nuovo al presente, per quella cameretta che non aveva mai vissuto, ma tutto ciò che riusciva a pensare era che tutti avessero sempre cercato di proteggerlo: suo padre, i suoi veri genitori, suo nonno, Haruko. Tutti avevano fatto ciò che era in loro potere per preservarlo da quella verità scomoda e dolorosa, per preservare la sua vita come fosse la cosa più importante che avessero e lui, invece, come li aveva ripagati? Come aveva ricambiato tutto l’amore che gli avevano dato?
Con l’ingratitudine. Con l’odio. Con la menzogna. Con la presunzione che nessuno avesse mai potuto capirlo fino in fondo.
Si sentì la persona più orribile di Elementia.

 


[1]: riferimento al frammento "La Piuma di Yayoi" della raccolta "Elementia: Fragments".

[2]VAN SAAL: Erik Van Saal è l'allenatore del Barça nel Road to 2002. X3 Visto che purtroppo il manga di CT ha penuria di personaggi veramente cattivi (oltre Bala, ma l'avevo già usato! XD), ho dovuto trovarne un altro e sono andata a pescarlo tra quei personaggi che mi stanno cordialmente sulle balle. *ride* Van Saal rientrava nella lista XD. E poi è parecchio sprucico, con quei modi di fare che sembra sapere tutto lui. Allora mi son detta: "Van Saal, sei stato nominato!". Avrei potuto anche usare l'altro tipo che stava con Van Saal, Sebastian Cou, che era effettivamente un coglionazzo, ma non aveva la forza che serviva a me. Van Saal, invece, mi sembrava il personaggio ideale. :D Ergo, fategli un applauso, si è appena sacrificato per la patria! *applaude* (per vedere Van Saal: *clicca qui*)

[3]BAKARAS: è stata nominata per la prima volta e solo di sfuggita nel Capitolo 6: "Il Circo Acquatico" - parte III.

[4]: confrontare "Enciclopedia Elementale - Vol.4: Gli Ozora e i Gamo - La Faida tra gli Ozora e i Gamo"

[5]: riferimento al frammento "La Piuma di Yayoi" della raccolta "Elementia: Fragments".

[6]: Discorso affrontato nel Capitolo 10: "Il compleanno di Teppei" - parte III

[7]DENTI DI GOLKORHAS: ovvero... i comunissimi Denti di Leone X3. Visto che i Golkorhas sono chiamati 'leoni di montagna', beh, mi sembrava ci stessero bene, no? I denti di leone sono di colore giallo *clicca qui*, ma quando le corolle sfioriscono lasciano i semi, cioè i pappi. E i pappi sono quei cosini bianchi, piumosi, che da bambini venivano fatti soffiare via e si esprimeva un desiderio :3 Sì, i soffioni. *clicca qui*
Il nome tecnico della pianta è Tarassaco officinale (Taraxacum officinalis). :3


…Il Giardino Elementale…



Partiamo dalla premessa che la nota finale a questo capitolo l'avevo scritta la settimana scorsa, ma mi sono vista costretta a stravolgerla. XD
Avevo scritto per comunicarvi che i capitoli sarebbero passati da 18 a 17, poiché volevo accorpare (come avvenuto per il penultimo e l'ultimo capitolo) anche il 13° e il 14°. Peccato che alla fine sia spuntato fuori un NUOVO capitolo 13 praticamente dal nulla e che quindi i capitoli resteranno 18 XDDDDDD Sono psicopatica!
Questo nuovo capitolo 13 (già pronto e mandato dalla beta) doveva essere solo riassunto in quello che ora sarà il capitolo 14. Alla fine, mi sono resa conto che era meglio svilupparlo da solo, per un sacco di motivi che vi spiegherò nella nota finale di quel capitolo XD.
Inoltre, non penso di riuscire a scrivere per tempo il capitolo 14, per quanto ne abbia già una decina di pagine all'attivo. Dovrebbe contare circa quattro parti, se tutto va bene, se non andrà bene potrebbero variare tre le cinque e le sei. XD Il tutto è nella mani della mia logorrea.
So bene di aver messo le mani avanti già col capitolo 12 e poi sono riuscita a finirlo, però, insomma, non si sa mai.
Ovviamente, vi terrò aggiornati :D

Venendo a questo capitolo, invece, ecco questa era una delle parti che non mi sentivo di dividere e che, quindi, v'è toccato beccarvi tutta intera. Volevo che aveste un quadro completo dell'insieme e, sì, angst a profusione, ma non abbiamo ancora finito XD *MWHAHAHAHAHAHAHA*
Io ve l'avevo detto che Yuzo era un personaggio difficile; ormai lo conosco bene (XD), ed è per questo che mi fa penare ogni volta che devo andare a scavare nella sua testa. Perché elucubra, macina, i neuroni gli friggono il cervello ed è un complesso di tante cose insieme che riuscire a farle quadrare tutte non è semplice; anche se poi appare come un personaggio semplicissimo.
Ok, per stavolta la pianto qui, che vi ho già ammorbato un sacco XD.
Consiglio spassionatissimo: la musica che vi ho linkato, tratta dalla colonna sonora del K-Drama "IRIS", è BELLERRIMA. Ascoltatela! :3

Grazie infinite a tutti coloro che continuano a seguirmi con affetto e costanza. *-* Grazie di cuore!



Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

- Elementia: Fanart

Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

     

       
     
    Leggi le 8 recensioni
    Segui la storia  |        |  Torna su
    Cosa pensi della storia?
    Per recensire esegui il login oppure registrati.
    Capitoli:
     <<    >>
    Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Melanto