Mi ci è voluto più di un anno per riprendere in mano questa storia, me ne rendo conto. Ma adesso è FINITA, e sono pronta a condividerla con voi.
Spero solo abbiate pazienza :)
Un bacio :*
Capitolo sedici
Erano le undici
di sera. Avevo finito di disfare la valigia dopo cena.
Non avevo portato tutte le mie cose, contando di rimanere solo qualche giorno.
Il tempo di chiudere il mio “conto in sospeso”: poi sarei
tornata a Parigi. Quel posto mi stava stretto, ormai.
Stavo per mettermi a letto, col pigiama e una rivista, ma qualcuno bussò alla
mia porta. Sudai freddo, temendo che fosse mia madre. Non avevo più voglia di
evitare le sue domandine: ero stanca dal viaggio e volevo solo dormire.
“Avanti.” dissi.
La testa di Edoardo sbucò da dietro la porta. “Posso
entrare un attimo?” disse.
Mi sciolsi in un sorriso. “Certo, entra.”
Mio fratello entrò nella mia stanza, chiudendosi la
porta alle spalle. Mollai la rivista per terra, e mi sedetti sul letto a gambe
incrociate. Lui mi imitò, sedendosi di fronte a me. Le
sue pantofole giganti di Homer Simpson
mi fecero ridere.
“A casa senza di te non è più lo stesso. Mi manchi tanto”. Disse lui.
Gli feci un sorriso triste, sentendomi in colpa. Lo guardai negli occhi, e
lessi la tristezza in essi. Lo conoscevo. Appoggiai
una mano sul suo ginocchio in un gesto d'affetto.
“Anche tu mi manchi tanto... Ma non ce la faccio più a
rimanere qui. Vorrei tanto portarti con me a Parigi!”
“Sarei solo d'intralcio... E poi pensaci, la mamma rimarrebbe completamente
sola...” disse lui.
Corrugai la fronte. “Edoardo, non abbiamo più il cordone ombelicale. Pensaci.”
Edoardo sospirò. “Lo so, Adrienne. Ma ad ogni modo, sarei davvero soltanto d'intralcio a te. Io
qui ho la mia vita e... i bei ragazzi francesi mi prenderebbero per il tuo
fidanzato, e non ci proverebbero con te.” aggiunse, sorridendo.
Io risi. “Non dire scemenze. Non saresti assolutamente d'intralcio.”
Edoardo fece un ghigno, e calò il silenzio. Sapevo
dove stava andando a parare.
“Vuoi dirmi cos'è successo o devo costringerti, Adrienne?”
Scrollai le spalle. Ero preoccupata.
“Niente di così rilevante.” cercai
di buttare lì.
“Non dirmi cazzate. Dai, parla.” incalzò
mio fratello.
Sospirai, e mi buttai all'indietro sul letto, mettendomi le braccia dentro la
testa. Non volevo guardarlo negli occhi. Provavo vergogna.
“Okay. Non ti piacerà. Abbiamo fatto l'amore, e poi è scappato senza
dirmi nulla la mattina dopo. Lasciandomi solo una poesia di Baudelaire,
cosa alquanto insensata nonché degna di un vigliacco.”
sussurrai, fissando il soffitto. Alcune stelle
fosforescenti erano rimaste ancora attaccate, dopo tutti quegli anni. Le altre
erano rovinosamente cadute giù. Mia madre doveva averle buttate, perché non le
avevo trovate a terra. Tutto era stato pulito.
Io invece, mi sentivo schifosamente sporca.
Continuai a fissare il soffitto, in silenzio. Edoardo non disse niente per un
po', e anche se potevo sentire il suo sguardo addosso, facevo l'indifferente.
“Tipico di Alex, eh?” disse,
vagamente ironico.
Sospirai profondamente. Mi vergognavo sempre di più. “Sì, tipico di Alex.”
“Mi chiedo come tu faccia a cascarci ogni volta.”
“Non ne ho idea, Edoardo. Ha uno strano potere su di me...”
“Me ne frego del potere che ha su di te, deve smetterla. E
devi smetterla anche tu. Com'è possibile, Adrienne?
Com'è possibile che ogni volta tu debba stare male per lui, che tu debba
ricorrerlo, che tu debba perdonarlo? E lui, cosa ha fatto per te? Ha mai fatto
qualcosa?”
Ascoltai mio fratello attentamente. Dire che
aveva torto sarebbe stato da idioti.
“Hai ragione.” mormorai, abbassando lo sguardo.
“So che ho ragione. Ma poi non credo che tu a Parigi
non abbia mai incontrato nessuno.”
“Non esattamente. Ma nessuno...”
“So già cosa stai per dire,” disse lui sbuffando.
“Nessuno ti piace come lui.”
“Non parlarmi così...” lo
rimproverai, “Sembri la mamma. Per favore, non l'ho detto a lei proprio per
evitare la sua solita ramanzina.”
Edoardo non disse nulla, soltanto mi guardò intensamente.
“E poi qui non si tratta di piacere e basta... Lo
sai. Io lo amo, lo amo davvero.”
“Scusa se sono così cattivo con te, ma non penso che lui ti ami tanto quanto lo
ami tu. O magari non ti ama affatto. Quale ragazzo si
comporterebbe come lui si è comportato con te?
Andiamo! E' ridicolo.”
Scrollai le spalle, pensando ancora una volta che avesse ragione, ma
arrendendomi alla mia stupidità.
“Adesso cosa vorresti fare?” mi chiese ancora lui.
“Lo cercherò.” gli risposi,
decisa. “E voglio proprio vedere cosa ha da dirmi. Non pensare che io non mi sia stancata di essere trattata in questo
modo. Sono venuta qui proprio per questo, Edo.”
Lui annuì. “Va bene, ti credo. E' tardi, che dici se
andiamo a dormire?”
Gli sorrisi. “Sarebbe una bella idea.”
Mio fratello si alzò dal mio letto e mi diede un piccolo bacio sulla fronte.
“Buonanotte, a domani.”
“A domani.”
Edoardo mi guardò ancora per qualche secondo. “E' bello averti a casa.” disse, evidentemente felice. Gli
occhi mi si riempirono automaticamente di lacrime.
*
Mi svegliai tardi, dopo una notte agitata – non ero
più abituata a dormire nel mio vecchio letto – tempestata da numerosi incubi nonsense. Quando scesi le scale e feci il mio ingresso in
cucina, mia madre era sicuramente già andata a lavoro e mio fratello era chissà
dove; la casa era immersa nel silenzio e attaccato al frigorifero c'era un post-it di mia madre, il quale diceva
che se volevo fare colazione il necessario era lì dentro.
Ma io non avevo molta fame. Il pensiero di dover
affrontare Alex faccia a faccia, nonostante ne fossi
più che convinta, mi rendeva veramente nervosa. Avevo
paura di quello che lui avrebbe potuto dirmi, perché senza dubbio se era
scappato via da me in quel modo, senza lasciare neanche una sua traccia,
sicuramente doveva significare qualcosa. E non era
qualcosa di buono.
Lui non mi voleva... Non mi amava. Era perfettamente
inutile sperare il contrario. Mi chiesi seriamente se Alex
mi avesse mai amata, in tutti quegli anni trascorsi
insieme. Ma pensai che, quando finalmente avrei sentito la sua voce dirmi che non mi amava davvero, mi sarei rassegnata del
tutto e sarei tornata a Parigi consapevole di aver chiuso un brutto conto in
sospeso, per sempre.
Ripensai alla facilità con cui mi aveva sempre fatto del male, e soprattutto
alla facilità con cui io l'avevo perdonato, la prima volta, e anche la seconda.
Ero così felice che lui fosse tornato da me, che non avevo
neanche sfiorato la possibilità di fare un passo indietro, analizzare la
situazione e chiedermi: Ne vale davvero la pena? Avevo sempre pensato che la
mia vita non fosse nulla senza di lui, ma era davvero così? Avevo sempre fatto
girare la mia vita attorno alla sua figura, ma ormai avevo dimostrato agli
altri e a me stessa che riuscivo comunque a condurre
una vita più o meno normale, senza di lui.
Nella mia testa stavano cominciando a frullare dei nuovi, strani pensieri. Non
ero più una ragazzina del resto, nonostante le mie onnipresenti insicurezze, e
nonostante la mia onnipresente timidezza, a discapito della mia recente fama da
mangiatrice di uomini.
Bevvi solo un bicchiere di succo all'ace, appoggiata
al tavolo della cucina, mentre osservavo dalla finestra il nostro piccolo
giardino. Un timido sole si affacciava tra le nuvole, ma non sembrava ancora
pronto a spuntare del tutto. Dopo di ché, velocemente,
mi feci una doccia calda, infilai un jeans e un maglioncino
e uscii di casa, accendendomi una sigaretta. Ricordavo ancora perfettamente il
tragitto che mi portava alla casa di Alex, e i piedi sembravano muoversi automaticamente. Quante
volte avevo percorso quella strada?
Quando arrivai davanti alla sua abitazione – anche quella sempre la
stessa – schiacciai la sigaretta quasi finita sull'asfalto e feci un grande e
profondo sospiro.
Arrivai davanti il portone blu e suonai il campanello. Aspettai all'incirca trentacinque secondi – li contai – e poi una
donna di mezza età aprì la porta. La madre di Alex.
“Desidera?” mi disse. Non mi aveva riconosciuto.
“Emh... So che non si ricorda di me, ma ecco, sono Adrienne... La... l'amica di Alex.” balbettai, improvvisamente
in difficoltà. Ero davvero cambiata così tanto?
Lei strabuzzò gli occhi e mi guardò meglio. Poi sorrise radiosamente, perché
doveva aver realizzato.
“Adrienne?!
Ma sì, sei davvero tu, riconoscerei i tuoi bellissimi occhi ovunque!
Come stai cara?”
“Bene, davvero bene, e lei?”
“Si va avanti! Ma che maleducata, perché non entri?
Prendi un caffè e parliamo un po', pensavo fossi a
Parigi, Alex me l'ha detto un sacco di tempo fa!”
Oh, grandioso.
“La ringrazio veramente un sacco, e vorrei rimanere, ma vado piuttosto di
fretta... Non è che potrebbe fare venire qui fuori Alex, un secondo? Dovrei dirgli una cosa.” dissi velocemente, sorvolando il discorso di Parigi. Non
avevo assolutamente voglia di fare conversazione, né di mostrarmi comprensiva e
gentile.
La madre di Alex ridacchiò,
dandomi parecchio sui nervi, tra l'altro.
“Lui non abita più qui!” disse.
La guardai sorpresa. “Ah no?”
“No, no. Si è trasferito già quasi da un annetto, in un condominio al centro.”
Rimasi parecchio allibita da quella notizia. Si sentiva già grande e maturo
abbastanza da poter andare a vivere da solo? Io non gliel'avrei mai permesso.
Come si manteneva se non aveva neanche un vero lavoro? I suoi genitori dovevano essere impazziti.
“Oh, non lo sapevo... D'accordo allora, per favore, potrebbe darmi
l'indirizzo? Ho bisogno di...”
“E' successo qualcosa?” chiese subito lei, iniziando ad insospettirsi da
tanta insistenza.
Feci un sorriso veramente falso. “No, no, è tutto ok!
Voglio solo fargli una bella sorpresa, non se l'aspetta di sicuro di
rivedermi...”
A quell'affermazione convinsi del tutto la mamma di Alex, che mi diede l'indirizzo
della sua nuova casa e anche un bacio e un abbraccio.
“Torna a trovarci quando vuoi, sei sempre la benvenuta!” mi disse.
Non
sarei mai più tornata in quella casa, ovviamente. Ma
nessuno lo sapeva, meno che lei.
L'appartamento dove si trovava Alex era al centro
della città, lontano dalla sua vecchia abitazione che si trovava praticamente in periferia, come la mia. Al centro gli
appartamenti e i palazzi erano molti, la vita era molto più animata, c'erano
tanti negozi e auto.
Feci un'infinità di strada a piedi, dato che non possedevo alcun mezzo di
locomozione personale e prendere quelli pubblici mi
scocciava, e stanca, sudata e con i capelli in disordine arrivai davanti alla
palazzina di Alex. Un edificio
normale, piuttosto alto, di colore beige e con finestre ed imposte marrone
scuro. Piuttosto anonimo, a dire il vero. L'appartamento di Alex si trovava al terzo piano,
e per fortuna c'era l'ascensore. Non incontrai nessuno dentro il palazzo, per
mio grande sollievo, così non avrei dovuto spiegare
chi ero e cosa ci facevo là dentro.
Una volta arrivata al pianerottolo di Alex, per un secondo venni pervasa dal più puro panico. Mi
chiesi se stessi facendo sul serio e che cosa avrei pensato di concludere... Assolutamente niente, risposi a me stessa, ma
almeno avrei goduto dell'espressione di Alex una
volta che mi avrebbe avuta di fronte.
Senza pensarci più, suonai il campanello ed attesi.
Aspettai più di un minuto.
Davvero, passai due minuti della mia vita a fissare quella porta chiusa e
basta, senza pensare a niente. Poi si aprì.
Alex, in jeans e a petto nudo, era di fronte a me e
sorrideva. Ma non appena mi vide, il suo sorriso si
spense lentamente sul volto. Venne piuttosto
sostituito da un'espressione a metà tra il sorpreso e il confuso.
“Adrienne?” mormorò.
“No, tua sorella!” sbottai, sapendo che già non avrei potuto in alcun modo dimostrarmi
una persona matura e razionale. Nonostante fosse davanti a me mezzo nudo,
proprio come l'ultima volta che l'avevo visto e che ero stata con lui, e
nonostante la sua visione mi confondesse sempre un po', avevo soltanto una grande voglia di prenderlo a pugni e rivolgergli i più
brutti epiteti mai pronunciati prima.
“Piccola... Cosa ci fai qui?” disse lui, socchiudendo la porta dietro di sé e
facendo un passo verso di me. Io automaticamente indietreggiai, sconvolta pure
dal fatto che non mi facesse neanche entrare a casa sua.
“Non toccarmi e non chiamarmi piccola, Alex. Non
attacca più, questa patetica tecnica...” ringhiai.
“Sei arrabbiata.” osservò lui, come se avesse scoperto
in quel momento l'acqua calda.
Lo guardai con gli occhi sbarrati. “Secondo te?! Avrei
dovuto saltarti addosso e ringraziarti? Forse non ti sei ancora reso conto di
quello che mi hai fatto!”
Sentivo che la mia voce si stava alzando di tono ma
non m'importava che tutto il condominio ci sentisse. Se necessario, tutti
dovevano sapere che razza di stronzo era stato con me. Infatti, lui con l'indice fece segno di fare
silenzio. “Aspetta Adrienne, calmati. Se solo mi lasciassi...”
“Spiegare? No, sono stanca delle tue patetiche
spiegazioni. La verità è questa: Hai voluto una bella notte di sesso con me,
perché sei un essere schifoso, e poi te ne sei andato pensando che ti lasciassi
andare e che stessi male come un cane, come sempre!”
sbottai.
Lui sospirò e cercò di poggiare le sue mani sulle mie spalle, forse per
calmarmi, ma lo allontanai. “Ho detto di non toccarmi!”
“Dai, Adrienne, prendo una maglietta e ne parliamo da
qualche altra parte.” disse,
rassegnato.
“Perché, non possiamo entrare a casa tua? Non voglio farmi vedere in giro
con...”
La porta del suo appartamento si aprì e ne sbucò fuori
la testa di una bellissima, giovane ragazza. Una testa con dei capelli lisci e
neri, piuttosto lunghi, e con un paio di disarmanti occhi marroni.
Una testa che non rivelava il proprio corpo, nascosto dalla porta, perché
evidentemente era nudo.
“Amore, cosa succede?” disse subito, guardando verso di lui. L'atmosfera
diventò gelida e mi bloccai a metà, guardandola, e capii ogni cosa.
Avevo capito perché non potevo entrare. Avevo capito perché Alex
aveva cambiato casa. Perché adesso lui viveva con
quella ragazza che lo chiamava amore, e la casa doveva essere di lei. Avevo
capito perché Alex era scappato da me... Perché lui
era già fidanzato, e io ero stata la sua piccola ed eccitante
avventura di una notte, un passionale ritorno al passato. Ma
non c'era posto per me nel suo presente e nel suo futuro, e aveva pensato che
tutto sarebbe passato inosservato, perché io non avevo mai avuto il coraggio di
rincorrerlo. Ma per fortuna, l'avevo fatto, quella volta.
“Niente, amore, tranquilla... Torno subito” disse lui, ma la ragazza
evidentemente non si convinse, perché rimase dov'era e
lanciò delle occhiate fulminanti da me a lui. Quasi mi faceva
pena, perché anche lei doveva essere assolutamente all'oscuro di essere stata
tradita. E in un certo senso, mi sentivo anche io tradita... Non nel
senso letterale del termine, ma mi sentivo tradita da quella persona con la
quale avevo passato i momenti più belli e felici della mia esistenza, e che ora
mi aveva trattata come se fossi un'estranea per lui,
come se fossi una delle tante, come se non contassi nulla. Forse ero sempre
stata accecata, e in realtà Alex era sempre stato
quel tipo di ragazzo? Forse avevo semplicemente conosciuto ed imparato prima a
volere bene, e poi ad amare una persona che semplicemente non c'era più, o che
non c'era mai stata?
Alex aveva sempre amato la libertà, aveva sempre
amato fare di testa sua, aveva sempre amato sparire e poi tornare a suo
piacimento, perché riusciva sempre ad avere sotto controllo
tutti gli avvenimenti e tutte le persone. Ma non
me, non quella volta, non più.
Lo guardavo, per la prima volta piena di odio verso i
suoi confronti. “Infatti non sta succedendo
assolutamente niente. Tolgo il disturbo” dissi
lentamente. Lanciai un'ultima occhiata a lui, scuotendo lievemente la testa in
senso di disgusto, e feci dietro front, col passo accelerato.
Alex provò a fermarmi. “Adrienne,
aspetta un secondo!”
“Vattene a fanculo, stronzo!”
gli urlai con tutto il fiato che avevo, scendendo tre piani di scale con una
velocità supersonica e con una furia che non pensavo di aver mai potuto provare
in vita mia.
Non c'erano lacrime nei miei occhi, quando uscii dal palazzo.
*
Non versai una lacrima neanche quando tornai a casa
mia, e cucinai qualcosa per i miei familiari, che erano ancora fuori. Neanche
quando una volta tutti insieme, piluccai il cibo e non
mangiai niente e risposi con un sorriso a tutte le domande di mia madre. Né quando mi sottraevo alle occhiate sospettose di mio fratello.
Non piansi quando passai il pomeriggio davanti alla televisione,
con lo sguardo vacuo, facendo zapping con aria poco interessata. Non piansi neanche quando dissi di essere molto stanca, verso le dieci
di sera, e mi infilai a letto.
E lì, nel buio, realizzai di essere veramente sola.
Ma non piansi, non ancora.
Dopo qualche ora, ero riuscita a prendere lievemente sonno. Ero in uno stato di
dormiveglia, e avevo finalmente spento il cervello da tutti i pensieri orrendi
che mi avevano pervaso la mente in quella giornata da
dimenticare. Volevo solo risvegliarmi magicamente a Parigi, chiamare Eveliss, prendere un caffè con
lei, immergermi nel lavoro... Allontanarmi da tutto
quello schifo, allontanarmi da quella stupida città che non faceva altro che
ricordarmi della mia adolescenza, e di lui.
Ma mentre stavo definitivamente per crollare dalla sonno,
sentii la porta della mia camera aprirsi.
Sobbalzai, mi alzai a sedere e vidi il profilo di mio fratello Edoardo. Lui
accese la luce e venni immediatamente accecata.
“Cosa vuoi?” sussurrai piano, per non svegliare la
mamma, che sicuramente stava già dormendo e riparandomi gli occhi con una mano.
“Ho voglia di uno spuntino di mezzanotte... Ti va di farmi compagnia?” chiese
speranzoso.
Ovviamente sapevo che non voleva solo la mia compagnia, ma voleva
sapere cos'era successo; non mi avrebbe mai chiesto direttamente qualcosa,
perché lui aspettava i miei tempi e mi rispettava.
“Sì.” risposi semplicemente, dopo un breve attimo di riflessione. Non ero
obbligata a parlare per forza, con lui. Allontanai le coperte, mi alzai, e a
piedi nudi seguii mio fratello al piano di sotto. Non ci scambiammo neanche una
parola.
Una volta in cucina, mi sedetti appoggiando i gomiti sul tavolo e la testa sui
pugni chiusi. Osservai mio fratello mentre trafficava
con una padella e accendeva il gas.
“Hai visto se ci sono pomodori?” mi chiese.
“Finiti.” risposi.
Prese un pacco di uova dal frigorifero, ne spaccò quattro sul bordo della
padella e le versò dentro, agitandole poi con la forchetta e aggiungendo
dell'olio.
Prese due piatti, due forchette e due bicchieri e apparecchiò per me e per lui.
“Ehi, non ho detto di aver fame.” protestai.
Lui mi scoccò un'occhiataccia. “Non hai mangiato niente per tutto il giorno, ti
ho vista.”
Feci una risatina che voleva risultare sprezzante.
“Cos'è, mi controlli adesso?”
“No. Semplicemente ho visto che sguardo hai avuto per tutta la giornata e sono
preoccupato per te.”
Non risposi a questa affermazione, non sapendo che
dire e sentendomi la bocca asciutta.
Mise in tavola il succo d'ace che avevo bevuto anche
quella mattina e me ne versai un bicchiere, giusto per fare qualcosa. Edoardo
tostò anche due fette di pane e poi mise nei piatti le uova già pronte.
Si sedette di fronte a me, e mi guardò con un sorriso sincero.
Mangiai un boccone delle uova.
“Sono buone.” mormorai.
E davanti al suo sorriso, le mie difese crollarono.
Sentii una lacrima sfuggire dai miei occhi. E poi un'altra,
un'altra, un'altra ancora. Non sapevo più contarle.
Edoardo si alzò e venne verso di me.
“Ha un'altra ragazza.” dissi con la voce soffocata, prima
che le sue braccia mi avvolgessero in un abbraccio silenzioso. Non disse che me l'aveva detto, né che non avrei dovuto
piangere, né che mi meritavo di meglio, né che era uno stronzo.
No: semplicemente rimase ad abbracciarmi, in silenzio, finché le uova
diventarono praticamente immangiabili e finché esaurii
tutte le lacrime che ero in grado di piangere.