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Autore: WendyAddams    02/02/2012    2 recensioni
Raccolta di brevi racconti critici basati su avvenimenti quotidiani, a volte addirittura futili, che dipingono come il mondo e soprattutto i tipi umani possano essere riportato al mondo degli insetti.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silvia guardò per la terza volta la netta barra rossa che era apparsa al centro della finestrella all’estremità del bastoncino di materiale plastico appoggiato sul bordo interno della finestra del bagno. Aveva fatto tutto correttamente. Non aveva esposto il bastoncino a temperature elevate (eventualità altamente improbabile, dato che durante il tragitto dalla farmacia a casa sua la scatoletta aveva rischiato piuttosto di venire congelata dalla fredda pioggia invernale), né aveva sforato con i tempi: aveva aspettato cinque minuti esatti.  Tornare indietro a comprare un’altra confezione certo non sarebbe stata una passeggiata piacevole, visto il tempo. Avrebbe fatto meglio a prendere una confezione doppia … Non era certo quello il caso di giocare al risparmio. Ma nella sua situazione, era sin troppo evidente che ulteriori accertamenti sarebbero stati soltanto superflui. Il mestruo le mancava da due mesi, proprio da quando Mirko era partito per il suo stage a Monaco di Baviera. Da allora aveva iniziato a soffrire di attacchi di nausea e di fame vorace. Il momento più critico era giunto proprio la sera prima quando, tornata dalla palestra, aveva letteralmente dovuto gettarsi in bagno per liberarsi da un conato di vomito che aveva minacciato di riversarsi rovinosamente sul parabrezza dell’auto di suo padre. E doveva ringraziare il cielo che i suoi quella sera fossero alla riunione settimanale dell’oratorio (avevano deciso di andarci nonostante sua madre non fosse riuscita a trovare nell’armadio una gonna che la smagrisse almeno un po’), altrimenti la sua casa sarebbe stata teatro di una tragedia ad atto unico.
Silvia guardò per un’ultima volta la barra rossa; poi, con un gesto brusco, gettò il bastoncino in un sacchetto di plastica , insieme alla confezione di cartone e allo scontrino della farmacia, lo chiuse con un doppio nodo e lo spinse in fondo alla borsa. Attraversò il corridoio a passi pesanti, guardandosi i piedi come istupidita. Dalla grande finestra irrompeva l’intensa luce bianca del mattino. I goccioloni di acqua ghiacciata che le avevano rallentato il ritorno a casa poco più di un’ora prima si erano trasformati in fitti fiocchi di neve, ed il debole sole, nascosto dietro alla coltre di nubi, li faceva scintillare in maniera innaturale.
Silvia si abbandonò sul pouf di gommapiuma, gettando la borsa sul divano. Restò per alcuni istanti con la testa tra le mani, ad occhi chiusi, poi spostò lo sguardo sulla sua borsa. Era sprofondata per metà dietro al cuscino, proprio come la sua testa l’ultima volta che lei e Mirko avevano fatto l’amore prima che lui partisse, poco più di due mesi prima. Poi, di colpo, abbassò gli occhi di nuovo. Senza che se ne fosse resa conto, la sua mano destra aveva iniziato ad accarezzarle il ventre con ampi, gentili gesti rotatori.
Una breve risata nervosa le uscì dalle labbra. Come diavolo avrebbe fatto a dirlo ai suoi genitori? Aveva ancora vent’anni, ed era esattamente a metà del suo corso di laurea triennale, che a questo punto si sarebbe allungato di chissà quanto, se mai sarebbe terminato. Che avrebbero pensato i suoi conoscenti, i suoi compagni, i suoi vicini nel vederla con il pancione? E i suoi parenti, come avrebbero accolto la notizia? Non aveva ancora presentato Mirko a nessuno, eccezion fatta per zia Anita, che li aveva sorpresi baciarsi dopo la pizzata di chiusura della stagione dell’oratorio estivo. Ma erano preoccupazioni di secondaria importanza. Silvia era innamorata di Mirko, era questa l’unica cosa che importava.
Si perse a guardare le tendine che davano sul cortile interno. Il motivo a melange giallo e grigio si abbinava splendidamente ai nuovi mobili color ghiaccio che arredavano il salotto. Sua madre aveva deciso di rifarlo completamente due anni prima, scegliendo di sostituire il mobilio di foggia tradizionale con gli accessori in stile minimal e modernissimo che tanto era di moda negli appartamenti di recente costruzione. Molto confortevoli e tecnologici, ma … Che orrore! Silvia preferiva mille volte il vecchio stile.  Ovunque sarebbe andata ad abitare con Mirko ed il bambino, avrebbero dovuto esserci delle tendine di pizzo, un divano enorme pieno di cuscini color pastello dalle forme bizzarre e, ovviamente, dei fiori.  Tante piccole piante grasse sparse tra salotto e ingresso, gerani e ciclamini sul davanzale di ogni finestra e, soprattutto, un bel gelsomino profumato, che si sarebbe arrampicato rigoglioso tutt’attorno alla terrazza durante i mesi estivi. Magari sarebbero anche riusciti ad avere un piccolo orticello con tanti ortaggi ed erbe aromatiche … No, non avrebbero mai potuto avere il tempo per curarlo.  Inoltre, la carriera di rappresentante di Mirko, sebbene lui fosse molto giovane, stava procedendo a gonfie vele, quindi in futuro sarebbe spesso stato assente per lavoro, o addirittura avrebbero dovuto trasferirsi all’estero tutti e tre. E il bambino sarebbe diventato così perfettamente bilingue. Che nome avrebbero potuto dargli (darle?)? Era una cosa alquanto buffa: Silvia e Mirko stavano insieme da più di due anni ormai, avevano affrontato tutti i tipi di argomenti, eppure non si erano mai messi a fantasticare su come avrebbero voluto chiamare i propri  figli. Se fosse stato per lei, nel caso di un maschietto avrebbe scelto il nome Fabio, come Fabio Volo. Quanto aveva pianto leggendo 3 metri sopra il cielo! O al limite Filippo; le piaceva molto il suono di quel nome.  Se invece fosse nata una bambina, la scelta sarebbe stata più ardua. A Silvia piacevano i nomi con molte “a”: Amelia, per esempio, oppure Amanda, Samantha o Arianna. Però amava molto anche il nome di Lucia, l’eroina dei Promessi Sposi, o Isabella, la protagonista della saga di Twilight. O avrebbe anche potuto chiamarla Eleonora, come la sua migliore amica … Ma le amicizie, si sa, spesso sono fenomeni stagionali. La sua prossima migliore amica avrebbe potuto benissimo chiamarsi Giulia, o Carmen, o Aisha ... Insomma, scegliere il nome in onore della migliore amica non era una grande idea, meglio scartarla.  E poi, magari a Mirko sarebbero venute delle idee migliori. In ogni caso, avrebbero avuto questioni molto più urgenti, prima. Silvia sentiva l’ansia accumularsi nel petto, e quando realizzò che quella sera stessa avrebbe dovuto vedere Mirko per la prima volta dopo i suoi due mesi di assenza, le vennero i crampi allo stomaco. Chissà quante cose le aveva portato da Monaco: fotografie, cartoline, sicuramente più di un regalo. Lei invece si sarebbe presentata con quella notizia. Ma a che sarebbe servito procrastinare? Lui sarebbe diventato padre nell’anno nuovo! E dopo avere pensato al lavoro di lui, agli studi di lei, alla casa e a tutto il resto, avrebbero finalmente potuto dilettarsi a scegliere il nome del bambino, insieme.
-Dio, quanto mi sei mancata!- Silvia non aveva nemmeno fatto in tempo ad oltrepassare la soglia di casa Giudici che Mirko l’aveva presa in braccio e tenuta stretta a sé fin quasi a farla soffocare.
-Ah Silvia, eccoti qui, finalmente! Giusto in tempo per la torta, ti abbiamo aspettato apposta per tagliarla!- strillò una voce acuta e squillante dietro di loro. –Mamma ha deciso di dare una piccola festa per il mio ritorno. Ha fatto portare un’enorme torta alla meringa da mio zio … Come quella che ti era tanto piaciuta alla festa a sorpresa per il tuo ultimo compleanno, ricordi? Forza, andiamo di là, sono tutti affamati come lupi!-. Ma Silvia non riusciva a muoversi.  Si era stretta nel giubbotto imbottito, le pareva di sudare freddo. L’unica necessità che sentiva era quella di parlare da sola con Mirko, con calma, nella sua stanza. –Silvia, cara, ma ti senti bene? Sei così pallida! Cos’è quel musetto triste? Stasera per la tristezza non ci sono né spazio, né tempo!- esclamò eccitata la signora, e all’ultima esclamazione la grossa vena in rilievo sulla tempia ossuta iniziò a pulsarle. I suoi orecchini pendenti si scossero e tintinnarono, come anche la lunga collana di brillanti abbinata perfettamente al suo abito corazzato da paillettes argentate. E il suo sorriso largo, a trentadue denti, incorniciato da un rossetto color glicine glitterato, la costrinse a rispondere che andava tutto bene, e a lasciarsi trascinare di peso in salotto.  Fra il lungo divano ad angolo, la tavolata e le poltroncine di vimini sistemate lungo la parete di fondo, erano radunate circa una trentina di persone. –Giusto i parenti più stretti- ammiccò la signora Giudici, con la piega del ciuffo che lottava disperatamente per divincolarsi dal fermaglio a forma di rosa che imperava subito sopra il suo orecchio. Silvia si guardò i vestiti: era uscita di casa con indosso un paio di jeans classico e un maglioncino di flanella a collo alto; calzava un paio di all-Star consunte, e aveva arrabattato i capelli in una coda di cavallo. Gli altri ospiti, invece, erano tutti elegantissimi: chi in giacca e cravatta, chi in tailleur o in miniabito. Persino i pochi bambini presenti erano impettiti in vestitini di ammirabile taglio e qualità.
Mirko la abbracciò da dietro, le diede un bacio sull’orecchio e intanto, sorridendo, fece segno ad una zia vestita in lilla di iniziare a tagliare la torta. Poi, tenendola per mano, raggiunse il centro della stanza, e ringraziò tutti per avere accettato l’invito con così poco preavviso. Silvia sentiva gli occhi di tutti puntati su di lei. Non riusciva a muoversi. Aveva i piedi come congelati, e le mani rimanevano ostinate davanti al ventre.
-La torta  è pronta!- strillò la zia in lilla. Tutti si accomodarono chiacchierando animatamente, mentre Silvia, Mirko e la signora Giudici servivano le porzioni di torta. Era venuto anche il signor Giudici. Lui e la madre di Mirko avevano divorziato da quindici anni ormai, si vedevano solamente in rare occasioni, eppure alla signora continuava a non andare giù la sua incapacità di mettere da parte la Gazzetta dello Sport almeno davanti agli ospiti.
La zia in lilla aveva lasciato per Silvia una delle fette più grandi. –E’ troppo magra questa ragazza, Mirko, bisogna farla mangiare un po’-  aveva raccomandato a bocca piena, dimenandole le mani grassocce davanti alla faccia. Ma Silvia non riusciva a mangiare. Le sembrava che l’odore stesso delle sue amate meringhe le desse il voltastomaco. Mirko la guardava preoccupato.
-Che c’è piccola? Non era la tua torta preferita, questa?-
-Si, certo…è buonissima, però… Oh Mirko, ti dispiace se parliamo un attimo?-
Mirko si leccò via i residui di crema pasticcera dalle labbra, prese Silvia in braccio e iniziò a correre verso la sua camera, voltandosi verso gli altri con espressione istrionica, provocando uno scroscio di risa generale.
Mirko fissava il vuoto. Silvia era in piedi, davanti a lui, ma lui non sembrava farle caso. Aveva un’espressione disgustata, terrorizzata; forse stava rivivendo un film dell’orrore, o forse stava ricordando uno dei mostri orrendi delle storie che lo impaurivano da bambino.
-Ma ne sei sicura? Perché non hai fatto un secondo test?-
-Ho pensato che non fosse necessario- rispose Silvia, sfregandosi nervosamente le mani. –Insomma, il ritardo, i dolori…Tutto quadra.-
-Tutto quadra- ripetè Mirko con voce quasi spettrale, soppesando ogni sillaba con nette pause, guardandola negli occhi, ma senza vederla.
Silvia si inginocchiò davanti a lui, gli prese le mani nelle sue e sfoggiò il sorriso più convincente che le riuscì. –Domani mattina chiamerò l’ospedale-. Miro parve riaversi. Scosse le spalle e assentì. –Si, prima lo si fa meglio è-. Silvia sospirò, leggermente sollevata.
-So di un bravo ginecologo, un amico di mia madre. Se ci rivolgiamo a lui potremmo riuscire ad accorciare i tempi. Possiamo anche chiamarlo adesso, insieme.- Silvia gli strinse le mani , calorosamente. –Non dobbiamo perdere tempo, temo ci siano un sacco di noie burocratiche per l’aborto.-
Silvia si lasciò cadere a terra con un tonfo, le mani abbandonate dietro la schiena. – Silvia, ma che fai? Di là avranno sentito. Che ti succede? Stai male?- Ma lei non rispose. Aveva un’espressione disgustata, terrorizzata. Forse stava rivivendo un film dell’orrore.
  
  
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