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Autore: Florelle    13/09/2006    1 recensioni
Ispirata dalla canzone "Un giorno Disumano" di G.Nannini (Cuore,1998). "Prendine" "Cos'è?" "Prendi e basta, poi mi diari che ho ragione" ad una persona molto importante, che sta vivendo qualcosa del genere.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno disumano. Ero veramente stanca, la notte precedente avevamo fatto le tre con i nostri amici in discoteca. Si era ballato, riso, bevuto e poi come pazzi eravamo tornati salvi a casa. Sentivo ancora la testa pesante per gli eccessi della sera prima. “Buongiorno, amore.” Mi salutò Rudy, mettendomi una mano sopra la fronte. “Buongiorno e buonanotte. Sono stanca, resto a letto.” “Ma se sono le una! Forza, dormigliona, alzati.” “Non mi sento per niente bene, oggi. Ho un forte mal di testa.” “Vedrai che ti rimetto in sesto. Vatti a fare una bella doccia calda e poi ne riparliamo.” Andai a farmi la doccia e mi vestii, ma il mio mal di testa non voleva passare. “Ho preparato il pranzo.” Mi annunciò baciandomi il collo. Sprofondai sopra alla sedia, sbocconcellando una fetta di pane. “Siamo depressi oggi, eh? Scommetti che ho qualcosa che ti tira su?” “Non ci credo, non mi aiuterebbe nemmeno un’aspirina.” “Meglio, molto meglio.” Terminato di pranzare mi alzai per cercare il mio pacchetto di Marlboro rosse ed un accendino funzionante. “Questa è l’unica cosa che mi tira su.” Dissi accendendomi una sigaretta. “Aspetta e vedrai” mi rispose con aria misteriosa. Questo era Rudy, il mio ragazzo. Aveva diciotto anni, biondo, alto e magro, veramente il mio bambinone. Non che fossi tanto più vecchia di lui, ma aveva atteggiamenti ancora fanciulleschi. Suonava la chitarra in un gruppo underground: Ska, punk, rock, un po’ di tutto. Appena lo sentivi suonare te ne innamoravi. Estrasse fuori un pacchetto di sigarette, logoro. “Prendine.” “Cos’è?” “Prendi e basta, poi mi dirai che ho ragione.” Si accese anche lui una di quelle. “Se ti credi che io mi metta a fumare gli spinelli, ti sbagli di grosso, tu sei completamente pazzo” “Guarda che fanno molto più male quelle sigarette che i miei spinelli! Sono la stessa cosa, una legale, l’altra illegale, ma è droga lo stesso. E forse ti rovina più la vita fumare le tue Marlboro.” -Perché non mi hai detto mai che fumavi? Si può sapere perché me l’hai sempre tenuto nascosto?!- Ero furiosa, le lacrime mi riempirono gli occhi. -Avevi detto tu di non darci troppe regole, di non fare gli sposini, che ognuno continuasse a vivere la propria vita purché non danneggiasse l’altro. Sono state le tue parole, mia cara.- Ero distrutta. Rudy mi si avvicinò lentamente e mi accarezzò i capelli. -Ricordati che ti voglio bene.- Mi accostò lo spinello alle labbra.. Disperata lo guardai negli occhi verdi ed in quel momento avrei voluto inoltrarmi in quel bosco e non uscirne più. -Sei bella quando piangi.- Feci un tiro, per vedere di nuovo il suo sorriso splendere. Quant’ero stupida a comportarmi così. -Visto?! Non è successo niente.- -Promettimi che…- -Non fare la mogliettina premurosa.- Si rintanò in camera a comporre ed io tentai di mettermi a studiare. Per molto tempo rimossi dal mio inconscio questo problema. Mi dicevo che in fondo mi fidavo di lui. E poi ammetto che qualche volta mi lasciavo andare in quell’oblio insieme a lui. Sono solo pavide scuse, la verità è che il mio egocentrismo aveva preso il sopravvento. Pensavo a me, all’università, al lavoro di piano bar che mi aveva stufata ed a quell’esordio che non arrivava mai. Finché una sera, dopo il lavoro, tornai a casa e non c’era. Non un messaggio, non un biglietto, nessun modo di rintracciarlo. Andai in paranoia, pensai che gli fosse accaduto qualcosa di brutto. Invece dopo mezz’ora tornò a casa. Cercai disperatamente di sgridarlo, ma lui era strano, continuava a cercare di abbracciarmi ed a sbaciucchiarmi pateticamente. Capii finalmente che vaneggiava, era completamente partito. -Hai bevuto?- -Che dici? Sto bene, sei tu nervosa e depressa. Non mi vedi?- -Rudy, che hai fatto? Non ti sarai drogato?- Non so come mai mi venne in mente, fu una specie di sesto senso. -No, tu sei una pazza nevrastenica!- Ero arrabbiata e delusa. Ci scambiammo una serie di parolacce, senza ottenere un risultato. Mi si avvicinò e mi tirò un pugno in faccia. -Sei solo una nevrotica gelosa del mio successo.- Scoppiai a piangere, ma si rinchiuse nell’altra stanza e non mi badò. Restai a piangere, finché non fui vinta dal sonno. La mattina dopo mi svegliò il trillo della sveglia e cercai di alzarmi. Bussai impaurita alla porta di camera. -Rudy, fammi entrare.- -Torna a letto per piacere.- -Devo andare a lezione, ti prego, fammi entrare.- -No.- -Mi dispiace per ieri sera.- Mi aprì finalmente la porta. -Perché non resti con me? Non volevo essere violento, abbracciami. Resta con me, faremo l’amore, mi farò perdonare.- -Devo andare a lezione.- -Che vuoi che sia… E’ tutto così bello oggi.- -Devo andare. Si può sapere cos’hai? Ti sei drogato?- non riuscii a non alzare la voce. -Sei paranoica, non ti fidi.- Non sapevo cosa fare. Andai a lezione anche se ero incapace di seguire. Tornai a casa pensando e sperando che si fosse calmato, invece mi aggredì così: -Potevi anche non tornare.- Aveva un aspetto tremendo, mi spaventò. -Non ti senti bene?- -Zitta, chiudi quella bocca!- Mi insultò ferocemente. -Si può sapere che cosa ti sta accadendo? Che t’ho fatto ?!- -Non ti sopporto più! Sei oppressiva, maniaca e poi…. Tu non sai suonare!- -Cosa?! E’ questo che pensi di me? Ti odio!- A questo punto anch’io lo insultai. Uscì sbattendo la porta. Sprofondai in una depressione nera, chiusi tutte le finestre e restai sola al buio. Mi accoccolai stretta tra le mie braccia, con la testa reclinata all’indietro, le ginocchia al petto ed un’angoscia sempre più profonda che mi rodeva l’anima. Avrei voluto picchiarmi, annientarmi del tutto, morire. Avevo paura di me, della voragine interna che mi sprofondava in una tristezza devastante, del buio esterno della stanza e della mia situazione. Come una bambina a letto ha paura del buio e dei suoi mostri, ma non ha il coraggio di alzarsi ed accendere la luce salvatrice. Tremavo per il terrore di un’improvvisa sparizione o di un’apparizione repentina, attorniata da nuove violenze. Una sensazione così soffocante da farmi tirar fuori mozziconi di preghiere adolescenziali ad un dio mai onorato e mai conosciuto. Sentii aprire la porta e mi raggomitolai come un gatto per paura. Mi si avvicinò e mi abbracciò. -Mi dispiace tanto, ti amo e non pensavo certo quello che ti ho detto. Sei una grande, devi solo aspettare un po’ di fortuna. Sono un po’ stanco in questo periodo. Ho sbagliato, ma non ti devi arrabbiare, non lo farò mai più, lo giuro.- Mi coccolò tra le sue braccia muscolose. Per qualche giorno andammo d’accordo, poi le cose cambiarono. Diventò una routine: tornava a casa ad ore impossibili, drogato, litigavamo, poi lui mi chiedeva scusa ed io ci credevo. A volte mi picchiava, ma io lo perdonavo sempre, pensavo do scovare la sua vera anima sotto quella scorza chimica. Il mio io stava crollando, mi sentivo in colpa perché lo amavo senza essere in grado di aiutarlo e senza riuscire a lasciarlo, che per me sarebbe stato meglio. Mi odiavo. Riuscivo solo a scrivere pagine su pagine di inutili lamenti, mi rinchiudevo nella mia musica. Era il mio modo di resistere. Sempre più spesso mi sentivo sola con il mio dolore, con il mio cuore frantumato. Stavo per andare in pezzi, non mi riconoscevo più, dove era finito il mio carattere combattivo? Come avrei potuto affrontare il mondo in questo modo? Poi una sera successe qualcosa che mi fece reagire. Mi telefonarono dalla mia casa discografica, una piccola società con cui avevo un contratto da quattro soldi. -Avrebbe del nuovo materiale? Alcuni della BMG hanno esaminato il suo materiale e vorrebbero parlarle.- Non ci potevo credere, non dovevo perdere quest’occasione. Mi misi a lavorare sodo a nuovi progetti, ma la situazione con Rudy mi aveva logorato, ero come entrata in corto circuito, stavo male ed anche il mio fisico non ce la faceva più, rischiavo di non farcela. Mi misi di fronte ad una scelta terribile: o me o lui. Cosa desideravo di più? Cantare le mie canzoni. E per questo ero disposta a mollare tutto. Mi convinsi che dovevo allontanare il problema. Ormai mi ero lanciata nella mia impresa dritta verso l’irripetibile occasione che mi veniva offerta, adesso mi sarei riscattata, sarei stata indipendente e forse sarei riuscita ad aiutarlo. Se ci fossimo allontanati per un po’ anche lui sarebbe stato meglio. Ero euforica, niente più scenate, niente più sere nel buio angoscioso, niente più notti insonni, solo il mio sogno. Così una sera lo aspettai con gli occhi asciutti. Sonò il campanello con la sua faccia addormentata. -Ciao-mi salutò. -Addio.- -Che dici? Stai scherzando?- -Vattene via, non ti voglio più rivedere.- -Che cosa?! Non puoi farlo, non puoi cacciarmi in questo modo!- -Questa è casa mia, esci.- -Ma qui c’è tutta la mia roba.- -Te la farò avere.- Sapevo che non sarei riuscita a cacciarlo, se fosse entrato. -Ti prego, non essere così dura, non puoi lasciarmi, io ti amo.- Anch’io lo amavo alla follia, invece avrei dovuto imparare ad odiarlo. Era una lotta impari contro me stessa. Dovevo riuscire a stare zitta per una volta e a non pronunciare quelle fatidiche tre parole. -Addio.-dissi decisa, prima di sbattergli la porta in faccia. Corsi per le stanze, mi gettai sul letto e cercai di non urlare, ma non ci riuscii. Quel grido, prima piano e poi più forte mi usciva dalla gola senza che lo potessi controllare. Io gli volevo bene, ma volevo bene anche a me stessa. Forse il mio non era amore? Ancora oggi non lo so dire, so solo che quello fu il giorno più terribile della mia vita, ma non riuscii a piangere, ripetendomi che avevo fatto bene.
   
 
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