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Autore: Lelenu    03/02/2012    7 recensioni
Indubbiamente sono fortunata ad avere la mia vita piena di fottutissime cose materiali.
Sono fortunata ad avere persone che mi vogliono bene.
Sono fortunata ad essere bella.
Ma quando questa fortuna ti si ritorce contro che si fa? Quando tutte le cose belle che hai sono la causa della tua distruzione, come ci si sente?
Quando quella bellezza di cui tutti parlano e che tutti ti invidiano viene violata, come puoi continuare a guardarti allo specchio?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Saaalvee. Uh, si lo so che sono in ritardo di quasi un mese! Ma a mia discolpa dico che è stato un periodo pieno di lavoro a scuola (causa fine quadrimestre), quindi, beh cercate di capirmi *fa gli occhioni dolci*
Beh, il capitolo l'ho sfornato, è tutto per voi e... Godetevelo!

Ci sentiamo giù ;)

I want you now more than ever


POV Kristen

Niente più umidità, niente più nuvole, niente più freddo insopportabile… Niente più Londra.
Erano passati 3 giorni da quando venni dimessa dall’ospedale e praticamente subito Rob aveva prenotato un volo per Los Angeles.

Un volo per casa.

Gli avevo detto, invano, che potevamo restare lì ancora per un po’. Passare del tempo con i suoi.  Far stare lui a casa sua.
Invece no.

Mi aveva liquidata con un “Qui io e te ci staremo il meno possibile”.
E in quei due giorni in cui rimanemmo nella città grigia, prima di partire, non ci fermammo un solo attimo.

Fu un continuo andare e venire da studi e cliniche mediche.

E un continuo cambiare discorso quando non eravamo lì dentro.

Mi portò da ben tre ginecologi e, sfortunatamente, tutti confermavano la mia gravidanza.

Io, probabilmente, ero talmente scombussolata da lasciar fare tutto a Rob. Era lui che faceva domande, che si informava, che chiedeva spiegazioni.

Era lui che non si dava pace dentro di sé.

Come ha fatto a rimanere incinta se prendeva la pillola?

C’è la possibilità che non sia di quel bastardo?

Quando si potrà fare il test di paternità?



Era una macchinetta che mai si fermava e smetteva di chiedere. Chiedeva, chiedeva, chiedeva… ma nessuno dava risposte certe. Nessuno poteva avere risposte certe e concrete per le prossime due settimane.

E’ vero, prendevo la pillola. Ma è anche vero che quella settimana, mentre Rob si trovava a Londra con me, dimenticavo spesso di prenderla, rapita com’ero dal lavoro e, soprattutto, dalla ginnastica notturna.

Quindi, anche se improbabile, era possibile rimanere incinta.

C’era la possibilità che non fosse di quel bastardo?

Me lo chiedevo ogni istante. Ogni istante ci speravo. E ogni istante pensavo e ripensavo alla notte prima del buio.

La notte prima, che aveva visto protagonisti me e Rob di momenti bellissimi, dolci, passionali… ultimi momenti prima che lui partisse per Los Angeles e ultimi momenti prima della perdita di me stessa.

Anni a fare l’amore con la persona che ami e, il regalo più bello che Dio dovrebbe fare a una coppia arriva con l’uomo cattivo?

No. Mi rifiutavo di crederci. Mi rifiutavo di abbandonarmi all’idea di portare dentro di me il frutto del male.

Non era così, non poteva esserlo e non doveva esserlo.

Dal canto mio non riuscivo mai ad esprimere la mia opinione. Non riuscivo a parlarne con lui. E non perché non volessi, ma semplicemente perché lui era sempre impegnato a trovare una qualche soluzione.

Arrivati a Los Angeles, non mi diede nemmeno il tempo di posare i bagagli che mi parcheggiò a casa dei miei, perché lui doveva necessariamente fare in modo di fissare un appuntamento con un non so quale medico, mentre io dovevo riposare e, a suo parere, stare dai i miei e avere la compagnia dei miei fratelli non poteva farmi che bene.

Ammetto che aveva avuto ragione. Mi ero rilassata e mi ero goduta la loro vicinanza –mi erano mancati tanto- ; l’unico problema era stato mia madre che, come mi aspettavo, stressava ancora di più di quando mi trovavo in ospedale.

“Ti preparo un bel tè, tesoro?” era almeno la centesima volta che lo chiedeva in quel dannato pomeriggio.

“No, mamma. Sto bene così. Cam a te come…”
“Kristen, devi mandare giù qualcosa!” ancora? Ma cos’ero una bambina? Va bene che non stavo esattamente al top del top, ma non ero malata, non fisicamente, ero solo… incinta.

“Mamma, la lasci in pace? Anzi, ci lasci in pace?” vidi sbuffare mia madre, ormai spazientita, mentre si dirigeva in cucina.

“Vieni qui, ranocchia!” mi disse mio fratello Cameron allargando le braccia nel momento stesso in cui mi rannicchiavo sul suo petto.

Mi era mancato il mio fratellone. Mi era mancato poterlo abbracciare e sentirmi protetta da lui.

“Allora… lui come…Si, insomma.. Rob…”

“E’ fuori di sé.” Mi guardò con un punto interrogativo stampato in faccia.

“ Nel senso che… è nervoso, frenetico, non si ferma un attimo. So perché lo fa, Cam. Lo fa per non pensare. Per darmi l’impressione che sta bene; ma devo essere sincere: non ho idea di come si sente davvero! Ogni volta che provo a prendere il discorso lui mi sfugge.”

“Sai che devi parlargli. Ma tu come stai? Intendo… per tutto”

E io come stavo? Non lo sapevo nemmeno io. Non riuscivo a decifrare una vera e propria sensazione. Non capivo cosa sentivo e non sapevo cosa pensare. Riuscivo solo a… ed essere un po’ più me stessa.

Forse perché mi trovavo di nuovo ad LA.

Forse perché c’era mio fratello lì con me.

Forse per questo… bambino.

Faceva strano pensarlo. Era strano pensare che dentro me stesse crescendo una creatura. Una creatura ancora invisibile ma che fra nove mesi  sarà tra le mie braccia. Una creatura che… poteva davvero essere un splendido regalo per la mia vita e per quella di Robert.

“Cam, voglio che sia suo.”

“Lo so. Andrà tutto bene; tra due settimane farai questo test e vedrai che fra nove mesi avremo un splendido baby-Pattinson e uno sclerato papà-Pattinson.”

E come sempre quel matto era riuscito a farmi sorridere.

Lo abbracciai il più forte possibile e gli soffiai un debole “grazie” sul collo.

Quando prima di cena Rob mi venne a prendere i miei insistettero un sacco per farci rimanere a mangiare lì ma, né io né Rob, eravamo in vena e, a dire il vero, avevo voglia di stare un po’ da sola con lui.

Avevo voglia di stringerlo a me. Di sentirlo  vicino.

 

“Pizza o cinese?” mi chiese mentre eravamo in macchina, con un tono di voce totalmente piatto.

“A dire il vero ho tanta voglia di cucinare per te” ed era vero. Volevo cucinare per lui. Volevo provare a tornare alle normalità.

“Non dovresti affaticarti”

“Sto bene. E voglio cucinare. Per te!”

“Si ma dovresti riposare”

“E tu dovresti smetterla!”

Non so se fu il mio tono, non so se fu perché un gatto ci tagliò la strada, ma lui frenò di colpo.

Lo vidi prendere un respiro profondo prima di riprendere a guidare in silenzio fino all’arrivo a casa.
Sapevo che si stava trattenendo dallo sfogarsi. Ma io non volevo questo. Non volevo che si tenesse tutto dentro. Avevo solo voglia di averlo accanto e di sapere ogni singolo pensiero che gli passava per la testa.

Quando aprì la porta cosa non potette fare a meno di notare le valige che avevamo lasciato nell’atrio quello stesso pomeriggio; fece per prendere due di quei bagagli per salirli sopra dicendo “Vado a disfarli…”
“Aspetta un attimo”
Non so se fece finta di non sentirmi o se semplicemente non voleva rispondermi ma, come se io non avessi detto nulla, continuò imperterrito a fare le scale.

Questa situazione mi stava distruggendo quel poco che ero riuscita a riavere di me stessa e non ce la faceva più. Non potevo materialmente farcela senza di lui.

Mi resi conto delle lacrime che inondavano il mio viso solo quando la mia vista risultò appannata da non permettermi di vedere il mio fidanzato che, come se non fossi stata nessuno, mi ignorava.

Rapidamente passai il dorso della mia mano per scacciare via quelle goccioline di sofferenza e dopo essere andata in cucina e aver preso un bicchiere d’acqua per calmarmi, presi coraggio e seguii Robert al piano superiore.

 

POV Rob

Le stavo facendo del male.

Ero un maledetto ragazzo del cazzo che non sapeva più cosa diamine fare.

Ero un fottuto fidanzato che faceva soffrire la donna che ama.

Buttai la valigia sul nostro letto nella maniera più sgarbata e nervosa possibile. Aprì con così tanta durezza la cerniera che si ruppe alterando ancora di più il mio morale.

“Cazzo!”
“Se non ti calmi romperai anche l’altra.” Eccola, sapevo che sarebbe salita. Lei non avrebbe mai lasciato perdere facilmente come speravo.

Io semplicemente non volevo riempirla di con i miei pensieri e le mie paranoie. Ne stava già passando abbastanza e io non avrei di certo messo il dito nella piaga.

La guardai negli occhi per qualche istante poi, sospirando, misi sul letto anche l’altra valigia e inizia a disfarla.

Non potevo continuare a trattarla così. Perché se da un lato non le davo il peso dei miei pensieri, dall’altro la stavo lasciando terribilmente sola.

“Ti fermi un secondo?” disse posando la sua mano sulla mia.

Non avevo il coraggio di guardarla negli occhi, perché sapevo che  avrebbe avuto lo sguardo spento, come ogni momento da quel maledetto giorno.

Io non ce la facevo. Era inutile. Non riuscivo a pensare alla possibilità che quello poteva non essere mio figlio.

Morivo al pensiero che dentro di lei esisteva qualcosa lasciatale da quell’animale.

“Ti prego guardami” i scongiurò con la voce di chi sta per scoppiare in un pianto disperato.

Non ce la facevo.

Non ce la facevo .

Non ce la facevo.

“Ho detto guardami!” prese il mio volto tra le sue mani costringendomi a fissare il mio sguardo nel suo.

Bruciava dentro vederla così. E faceva ancora più male che, adesso, era anche colpa mia.

“Ti prego di qualcosa. Qualsiasi cosa. Di qualunque cosa che non riguardi dottori o visite. Dimmi una fottuta frase che mi faccia sentire me stessa!”

Tremavano le sue mani intorno al mio viso mentre da suoi occhi scendevano fiumi di lacrime.

“Io… non… non lo so. Non so cosa dirti…”


Tremava.

Tremavo.

“Dimmi che mi ami. Dimmi che ci sei e che ci sarai. Dimmi che sei qui con me. Perché io non ti sento più…    t-ti  prego… dimmelo.”

Ormai singhiozzava ed io con lei.

Anche io le afferrai il viso tra le mie mani e poggiai la mia fronte sulla sua, respirando con affanno sul suo viso.

Io c’ero. Ci sarei sempre stato per lei.

“..ti amo…” era l’unica cosa che ero in grado di dire in quel momento.

Ed era vero. La amavo con tutto me stesso e, in quel momento, come mai prima d’ora.

Avevamo bisogno l’uno dell’altro.

Necessariamente, incessantemente, obbligatoriamente, asfissiantemente.

Colto da un’improvvisa frenesia trovai le sue labbra e fu come ricevere una profonda boccata d’ossigeno in grado di sedarmi e farmi dimenticare tutto per un pò solo per lei, per noi.

La presi per i fianchi e la spinsi fino a farla arrivare con le spalle al muro e lì, mentre tremava come una foglia che aveva paura di cadere da un albero, capii che nell’intero universo non c’era niente che non avrei fatto per lei e se questo significava crescere un figlio non mio, lo avrei fatto.

Mentre le sue mani viaggiavano nei miei capelli disperatamente, io alzai la sua maglia quel tanto che bastava per affondare le mie dita nella sua carne.

La volevo. Avevo bisogno di sentirla.

E lei, aveva bisogno di sentire me.

Come se mi avesse letto nel pensiero prese i lembi della mia felpa e li alzo fino a sfilarmela, lasciandomi a torso nudo.  Ci guardammo negli occhi con il respiro corto e notai che ancora piangeva.

“Kristen…”

“Shsss… Basta. Vieni qui e basta.” Mi prese per il collo e una volta incollate le sue labbra sulle mie, prese le mie mani e le porto sulla sua maglietta, portandomi a togliergliela.

Poi fece tutto lei: si tolse il reggiseno e si sbottonò i jeans.

Quando camminando all’indietro arrivammo sul nostro letto, Kristen non aveva praticamente più niente addosso e armeggiava con la mia cintura per togliermela il prima possibile.

Quando anch’io fui libero da tutti gli indumenti spostai con i piedi la valigia che era rimasta sul letto e, una volta tolti i boxer, presi posto su di lei.

Su di lei che era tutto. Su di lei era la mia vita.

Le carezzai lievemente il viso mentre scendevo giù lasciando una scia di baci lungo il suo collo, lungo il suo seno, lungo il suo ventre e sempre più giù, baciandole ogni livido con cui era marchiato il suo corpo, fino a sentirla gemere quando le mie labbra sfiorarono la stoffa dei suoi slip. Lentamente glieli sfilai per poi tornare a contemplarla lì, nel centro del suo piacere.

La sentivo gemere e tremare sotto di me mentre lei stessa mi guidava con le sue mani tra i miei capelli. Quando risalì lungo la strada che avevo percorso all’inizio e le sfiorai le labbra in maniera impercettibile, come fossero di cristallo. E senza pronunciare alcun suono mi mimò un ti amo, nell’istante in cui feci unire i nostri corpi.

E fu come tornare a casa. Sentirla mia. Volerla in quel momento più che mai. E desiderare al massimo renderla completa, proprio come me in quell’istante.

Facemmo l’amore come mai prima d’ora. Bisognosi di appartenerci e bisognosi di esserci l’uno con l’altra. E quando arrivammo all’apice insieme, mi resi conto che, qualunque cosa sarebbe successa, io ci sarei stato.

Con lei, per lei.

Sudati e ansanti ci abbracciammo e per una quantità infinita di minuti restammo in silenzio, mentre io mi limitavo a sfiorarle il viso e i capelli.

Fu lei la prima parlare ma solo dopo aver preso un respiro profondo.

“Rob, tra 15 giorni farò quel test di paternità e…”

“… e qualunque sia il risultato, io sarò padre di quel bambino.” Lo dissi tutto d’un fiato e, dopo un minuto dove il suo viso era totalmente coperto dallo sconcertamento, la vidi pian piano aprirsi in un sorriso che non le vedevo da tanto tempo e la strinsi a me il più forte che potevo.

Amavo lei con tutto me stesso e avrei amato quel piccolino. Adesso dovevo solo pensare che presto, sarei stato un papà.

 

OK, bene bene bene... A me il capitolo stavolta ispira più delle altre volte anche se, come sempre, non è sta gran cosa -_-
Spero di non essere stata volgare in questa prima scena di sesso presente nella FF e se a qualcuno ha dato fastidio o è sembrata troppo forte (anche se non credo),  chiedo scusa già da ora.

Baci a tutti e alla prossima.
Elena*








  
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