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Autore: _Calypso_    04/02/2012    2 recensioni
C’era ancora vita, nelle sue membra? Linfa verde che dà colore alle foglie, battito d’ali che porta al cielo anche il più piccolo degli uccelli, sangue che dal cuore giunge fino alla punta delle dita? Guardava le sue mani percorse dalle rughe e non poteva fare altro che aspettare che la morte arrivasse e che lo prendesse sotto la sua ala protettrice, togliendolo da quell’inferno di giorni tutti uguali. Esisteva ancora la speranza di una fine migliore?
[Partecipante allo "Storytelling" Contest indetto da Fabi_]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Titolo: La messaggera del mattino
Fandom: Harry Potter
Personaggi: Gellert Grindelwald
Genere: Introspettivo
Avvertimenti: Slash
Tipologia: Flashfiction
Rating: G/Verde
Contoparole: 667 (fdp)
NdA: Questa MI PIACE! cioè.




Suo padre gli aveva sempre detto che solo quando i capelli iniziano a cadere si diventa vecchi. Gellert vide un singolo, lungo filamento d’argento fluire nella coppa d’acqua che gli veniva riempita ogni sei ore, e capì che era tutto finito.

 

La messaggera del mattino
 

Il tempo scorreva come quel ruscello di fronte a casa sua: sembrava costante, ma c’era un punto dove si tuffava sottoterra e riemergeva soltanto qualche centinaio di metri più in là. C’erano dei giorni in cui volava, volava come le allodole che picchiettavano alle sue sbarre in cerca di cibo o attenzioni, altri in cui era stagnante come le paludi che circondavano Nurmengard.

Non riceveva visite – era vietato dal regolamento. Gli era proibito leggere i giornali o scrivere lettere. Non che laggiù, nel Mondo Reale, ci fosse qualcuno interessato a corrispondere con lui. All’inizio credeva che sarebbe impazzito senza libri o piccoli frammenti di pergamena su cui annotare le sue scoperte, i suoi desideri più reconditi o le sue ambizioni, ma la forza dell’abitudine riuscì a vincerlo con molta più rapidità di quanto avesse mai potuto immaginare. Qualche volta gli era permesso di guardarsi allo specchio: anziché il giovane mago che avrebbe dovuto governare il mondo, vedeva soltanto un povero vecchio, che faticava a camminare senza l’ausilio del suo bastone.

“Prova a prendermi, se ci riesci!” urlò Albus correndo nel prato verso il confine della proprietà dei Bath. I lunghi capelli rossi gli colpivano il viso e l’ampia veste grigia non lo ostacolava nei suoi movimenti, felini e aggraziati.

“Non voglio correrti dietro. Voglio correre con te.”

Erano soli in quella radura incantata: Gellert l’aveva protetta con complicati incantesimi da lui ideati, in modo che nessuno potesse intromettersi in quel piccolo Eden magico. Aspettò che Albus si sedesse accanto a lui e gli accarezzò i capelli; sorrise vedendolo reagire con un mugolio di soddisfazione e continuò la sua opera.

“Voglio vincere con te. Voglio che tu sia al mio fianco mentre saremo così magnanimi da risparmiare i nostri avversari. Non li finiremo, perché saremo così potenti che tutti avranno timore di noi. Saremo crudeli, invece, con chi non riconoscerà il nostro dominio. Pensa a quando non dovremo più nasconderci, liberi di essere superiori e di mostrarlo al mondo. Albus, riesci a immaginarci sulla vetta del mondo?”

Albus appoggiò la testa sul suo petto, intrecciando le sue dita con quelle di Gellert.

“Sì. Mi vedo con te quando trionfo. Per il Bene Superiore,” mormora. Le labbra dei due ragazzi s’incontrano; Gellert si separa dal bacio appassionato soltanto per ribattere qualche parola. A tenere loro compagnia in quella silenziosa mattina a Godric’s Hollow vi era unicamente il canto di un’allodola.

“Per il Bene Superiore.”

Non era successo niente.

Gellert non aveva dominato il mondo, né l’aveva fatto Albus nel modo in cui credeva di essere predestinato. Il loro sogno era stato interrotto dall’età e dall’avvenuta maturazione: Albus aveva fatto marcia indietro e l’aveva sconfitto, rinchiudendolo nella prigione da lui stesso creata per umiliare e torturare i Babbani. Pensava a una possibile vittoria, proprio quel trionfo che gli era scivolato via come la sabbia dalle dita. Si sarebbero divertiti, insieme; i padroni del mondo a contatto, mano nella mano mentre suggellavano l’ennesimo successo.

Ormai, Gellert non possedeva più nulla.

C’era ancora qualcosa che aveva significato, per lui?

C’era ancora vita, nelle sue membra? Linfa verde che dà colore alle foglie, battito d’ali che porta al cielo anche il più piccolo degli uccelli, sangue che dal cuore giunge fino alla punta delle dita?

Guardava le sue mani percorse dalle rughe e non poteva fare altro che aspettare che la morte arrivasse e che lo prendesse sotto la sua ala protettrice, togliendolo da quell’inferno di giorni tutti uguali. Esisteva ancora la speranza di una fine migliore?

Se si volgeva al passato, non riusciva a immaginare se stesso anziano. Credeva che sarebbe stato padrone della morte; si vedeva eternamente giovane. E mentre un altro capello cadeva nel bacile pieno d’acqua, finalmente capì: era davvero diventato vecchio, poiché la gioventù, culla di vita e di speranza, l’aveva abbandonato come l’allodola che volava via dall’albero di fronte alla sua cella.


 

Questa storia ha partecipato allo Storytelling contest indetto da Fabi_, classificandosi quarta. Il giudizio lo trovate qui.
   
 
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