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Autore: moni93    04/02/2012    2 recensioni
“Allora, vorrà dire che ti sposo!”
“Cosa?!”
“Se ti sposo e abbiamo tanti figli, allora non sarai più solo, giusto?”
“Temo che ti dimenticherai presto di me, ma grazie.”
“No! Questa è una promessa! Il mio papà dice che bisogna sempre mantenere le promesse, perciò se lo dico, lo farò di certo!”
Cosa succede se una promessa, fatta quasi per gioco da bambini, viene mantenuta a distanza di anni?
Gilbert Nightray non si è mai preoccupato della sua vita sentimentale, ma da quando Mark, un servitore del duca Barma, si presenta al gruppo di Oz in qualità di informatore, il giovane dovrà iniziare a pensarci seriamente.
Se siete curiosi di scoprire l'identità della misteriosa ragazza che stregherà il cuore dell'impassibile Nightray e se volete leggere le disavventure amorose dei due giovani, questa storia fa per voi!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gilbert Nightray, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Barma's Chronicles'
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RETRACE III – SOPHIE’S DREAM AND A LOST BOND

 

«Ho faaaameeee!!!»

«Alice...»

«Abbiamo capito che hai fame, è la ventesima volta che lo dici, stupido coniglio!!!»

Alice si trovava sdraiata su di una poltroncina, con i piedi e le braccia che cadevano penzoloni dai due braccioli. Ogni tanto muoveva gli arti in modo sconnesso e agitato, per dare maggior enfasi alle sue parole lamentose.

«E allora vammi a comprare della carne, testa d’alga!»

«Per chi mi hai preso, per il tuo cameriere?»

Gilbert non la sopportava più: per una volta che se ne stava tranquillo e beato con il suo padrone a conversare, quella scocciatrice di una bestia si era svegliata di soprassalto dal suo riposino e aveva iniziato a brontolare.

«Oz!» Alice decise di giocare la sua carta vincente, era certa che il suo servo non l’avrebbe delusa.

«Ma Alice, Gilbert ha ragione. E poi fra poche ore andremo tutti a pranzo, non potresti attendere ancora un pochino?» il giovane tentò la via della diplomazia, dimentico però di avere a che fare con un Chain dallo stomaco senza fondo, e non di una fanciulla beneducata della nobiltà.

Alice, infatti, non desistette dai suoi propositi e, carica ancor più d’irritazione, esplose come un petardo: «Ma io ho fame adesso!» poi aggiunse, voltandosi a guardarlo con occhi luccicanti e puntandogli il dito accusatore «Oz! Sei o non sei il mio servitore? Allora muoviti e asseconda le mie richieste o speri forse che muoia di fame?!»

Sebbene fosse ingenua ed innocente, la ragazza possedeva un caratterino niente male che, a causa della sua lunga esistenza trascorsa nell’Abisso a caccia di suoi simili, non era certo migliorato col trascorrere del tempo. Il biondo sospirò e, mentre tentava di calmare l’amica con movimenti gentili delle mani, guardò con un mezzo sorriso l’amico.

«Gil, per favore, andresti a prenderle qualcosa?»

«Eh?! Ma!»

Era impensabile che lui si sarebbe mosso per cercare del cibo per quel pozzo senza fondo, tuttavia se era Oz a chiederglielo non poteva che obbedire. Il giovane volle però tentare di salvarsi un’ultima volta, prima della resa definitiva.

«Oz, non possiamo chiedere ai domestici di cucinarle qualcosa, piuttosto?»

«Ma io voglio mangiare carne fresca! E poi tu la cucini meglio!» Alice non intendeva complimentarsi con Gilbert per la sua bravura ma, dovette ammetterlo seppur inconsapevolmente, come cucinava lui non cucinava nessuno.

«Visto?» fece Oz, come a voler chiudere il discorso.

«E va bene, torno presto.» disse in tono scontroso alla ragazza che, non appena udì quelle parole, iniziò a saltellare e urlare di gioia.

«Grazie, Gil!» fece il biondo prima che l’amico se ne andasse chiudendo la porta con malagrazia.

 

Per fortuna, Gilbert non dovette fare molta strada. In un villaggio vicino alla villa, infatti, era da poco iniziato il mercato e, quindi, si aspettava di rincasare in meno di un’ora. Aveva appena iniziato a vagare per le varie bancarelle in cerca di qualche pezzo di carne, quando udì poco distante una voce familiare.

«Che?! Dieci monete d’argento per un vestito? Ma siamo matti?! Te ne dò quattro e reputati fortunato!»

La voce proveniva da una bancarella un po’ spaiata rispetto alle altre, in cui si vendevano vestiti di ogni sorta. Da un lato c’era un omone più largo che alto e con una barba incolta color pece. Sembrava parecchio arrabbiato e poco propenso a patteggiare con la cliente all’altro lato, una giovane con i capelli legati in una lunga treccia, ormai quasi del tutto disfatta, e con un modesto abito color lampone.

«Sophie?» gli sfuggì dalle labbra quello che doveva suonare come un saluto.

La giovane si voltò verso destra e, non appena vide Gilbert, per poco non assunse la stessa tonalità del suo vestito.

«Gilbert? Che ci fai qua?»

Il ragazzo avrebbe voluto chiederle la stessa cosa, ma il negoziante si sporse un poco dalla sua bancarella per fissare nella direzione della fanciulla.

«Che c’è, Mary? Un altro scocciatore?» non appena scorse il giovane, il vecchio lanciò un’occhiata prima a lui, poi a Sophie e poi ripeté la cosa un paio di volte. Alla fine guardò la ragazza e iniziò a tossire o, almeno, questo sembrava. In realtà stava ridendo, come capì in seguito Gilbert.

«Ah-ah! Adesso mi è chiaro! Mary, per caso quello è il tuo spasimante?»

«Non è assolutamente il mio spasimante!» fece lei paonazza.

«Ah, no?» tossì di nuovo una risata «Perdonami! Non volevo offenderti. È il tuo ragazzo ufficiale, allora!»

«Ragazz… ? Ma no! Che poi che è quell’ufficiale messo a mo’ di specifica?!»

«Certo, certo, perdonami! Sminuire così il tuo principe azzurro! Ehi, ragazzo, vieni qua e convinci tu questa pazza che non posso assolutamente venderle quest’abito per meno di dieci monete!»

«Io... cosa?» fece confuso il Nightray, che dopo le urla isteriche di Alice riusciva a stento a seguire quelle confuse del negoziante.

«Io te lo compro per non più di cinque monete, punto!» Sophie sembrava essere tornata alla carica più che mai. Quando si trattava d’affari, evidentemente, si scordava improvvisamente di tutto il resto che la circondava.

«Nove!» ribatté l’uomo.

«Cinque e mezzo!»

«Otto e mezzo!»

«Sei!»

«Otto!»

«Sei e un quarto!»

«Sette e mezzo ed è la mia ultima stramaledettissima offerta, prendere o lasciare!»

«Andata!» fece la ragazza trionfante, battendo sul tavolo una manciata di dischetti argentei.

Dopo pochi minuti, Gilbert si ritrovò a passeggiare per le vie del villaggio con Sophie, che reggeva in una mano il suo zaino nero notte.

«Non pensavo di trovarti qui. Di solito i nobili non si fanno servire dai loro servi?» chiese Sophie, con tono tranquillo e... felice?

«Vero, ma lo stupido coniglio voleva mangiare carne e...» s’interruppe, vedendo lo sguardo interrogativo della ragazza «Alice, la giovane con i capelli castani e gli occhi viola.»

«Ah, sì me la ricordo! E lei vuole cosa?»

«Che le cucini della carne. Anche se non si direbbe guardandola, mangia praticamente solo quello.»

«E tu sai cucinare?» chiese affascinata Sophie.

«Diciamo che me la cavo.» rispose evasivo l’altro. Non era nel suo carattere vantarsi.

«Oh... bene.» fece l’altra pensosa e con aria un po’ delusa, da cosa però Gilbert non ne aveva idea, finché lei non aggiunse «Io, invece, sono una frana ai fornelli...»

«Ah, ma non è difficile, scommetto che se ti impegni diventerai bravissima.»

«Davvero? Spero tanto di sì! Sono già capace a rassettare, cucire e Cassidy mi ha insegnato qualche trucchetto per curare il raffreddore e altre malattie del genere.»

«Sembra quasi che tu studi per diventare una brava donna di casa.» disse con un sorriso Gilbert.

«E beh, che male c’è?» fece lei, voltando la testa e fingendo di osservare le varie bancarelle «Diventare una brava moglie è il sogno di ogni donna, no?»

«Vuoi forse dire che il tuo sogno è questo?»

«Eh?! Certo che no! Io non mi limito a voler essere una brava moglie! Io...» presa dalla foga, Sophie aveva girato la testa e stava osservando negli occhi Gilbert, cosa di cui si pentì presto. Infatti, si bloccò e non aggiunse altro.

«Tu cosa?» le chiese dopo qualche secondo Gilbert.

«Niente, niente.» fece lei rivolta alle sue scarpe in tono offeso.

Non capiva come, ma Gilbert era certo di averla ferita in qualche modo, così decise di cambiare argomento.

«Perché quel signore ti chiamava Mary?»

«È il nome fittizio che uso quando non sono travestita da Mark. Nessuno sa della mia esistenza, però è sempre meglio non correre troppi rischi.» rispose lei, senza però alzare di un millimetro il viso.

«Come mai nessuno sa che esisti?»

«È una storia lunga e penosamente complicata.»

«Io sono abituato a questo genere di storie, anche se in realtà la mia è soltanto penosa, per la maggiore.»

«La tua storia non è affatto penosa!» nel rispondere fu costretta a puntare nuovamente i suoi occhi su quelli dorati del ragazzo.

«E come fai a saperlo? Non la conosci nemmeno.»

«Sì, però ne sono convinta. Intuito femminile.»

«Ah, beh, allora siamo a posto.»

«Ehi, mi prendi in giro? Cercavo di farti un complimento.»

«Strano modo di farlo.»

«Oh, ma sta un po’ zitto!»

Infatti, calò il silenzio. Dopo qualche altro minuto, in cui Gilbert sembrava intenzionato a non aprir bocca, Sophie decise di rompere quella brutta atmosfera che si era venuta a creare a causa della sua avventatezza nel rispondere. Purtroppo, avendo praticamente a che fare soltanto con il padre e Reim, si era abituata a parlare in modo brusco e schietto, specialmente quando si sentiva imbarazzata o incapace di gestire al meglio le sue forti emozioni.

«Mia madre fu uccisa da dei banditi quando io ero ancora molto piccola.»

Gilbert osservò Sophie: teneva la testa alta e fissava un punto davanti a sé, come se solo così potesse rimembrarsi di quei lontani ricordi.

«Lei era fantastica, ti sarebbe piaciuta. Litigava spessissimo con mio padre, ma poi facevano sempre pace. Mio padre era... beh, è ancora a dirla tutta, un testardo senza speranza, però mia madre era anche peggio! Una volta.» fece con un sorriso malinconico «Erano talmente arrabbiati che si lanciarono addosso insulti addir poco assurdi. Io ero seduta su di una poltroncina di velluto rosso e, a un tratto, sono scoppiata a ridere. Te lo assicuro, erano troppo buffi! Cercavano di sembrare cattivi, ma la cosa più offensiva che mia madre riuscì a dire fu “Lo sapevo fin dall’inizio che non eri altro che un folletto malefico col ciuffetto rosso!”. Quando mi sentirono ridere, si zittirono, si guardarono dritti negli occhi e, anche loro, iniziarono a ridacchiare. Mia madre era fatta così: anche se ci provava, non riusciva realmente ad arrabbiarsi con le persone che amava. Poi, circa quattordici anni fa, dei signori vestiti di nero me la portarono via. Stavamo andando al mercato come ogni mattina, solo io e la mia madre, perché quello era il nostro momento speciale, in cui potevamo scordarci delle formalità che il nostro rango richiedeva e in cui potevamo essere solo noi stesse: una madre che passeggia con sua figlia.» si fermò un attimo e respirò profondamente, quasi a voler confinare quei ricordi in fondo al cuore. Gilbert, che fino ad allora aveva taciuto per rispetto e premura, le chiese se volesse smettere, ma lei scosse la testa decisa.

«No, voglio finire di raccontarti. Ce la faccio.» si concesse ancora qualche minuto, e poi proseguì «Lei fece di tutto per proteggermi, anche se era terrorizzata almeno quanto me. Non so se quegli uomini sapessero veramente chi fossimo, ma di certo sapevano che eravamo nobili. Perciò ci minacciarono e ci chiesero di dargli tutti i soldi in nostro possesso. Mia madre rise, più per la tensione che per ironia, e gli disse che erano molto ottimisti se credevano davvero che una donna con sua figlia si recasse al mercato cittadino per sperperare una fortuna. Non so se furono quelle parole o la risata o se semplicemente non gli piacesse che mia madre ostentasse forza anche in un momento simile, fatto sta che uno di loro perse la pazienza e tentò di afferrarmi e picchiarmi, ma mia madre fu più svelta di lui. Mi prese in braccio ed iniziò a correre. Ma quello fu solo l’ennesimo errore. Da qui in poi non ricordo molto bene, so solo che qualcuno gridò a mia madre di fermarsi e poi udì un tuono, o almeno è quello che pensai allora. Mia madre si accasciò a terra e io sbattei la testa e svenni. Quando mi ripresi ero sdraiata nel mio letto e credevo di essermi sognata tutto, ma notai subito che c’era qualcosa che non andava. Mio padre era seduto sul bordo del letto e mi osservava con aria sollevata, ma quando gli chiesi dov’era la mamma, non mi rispose. Da quel giorno, decise che nessuno doveva venire a conoscenza del fatto che io, l’erede del casato Barma, fossi ancora viva. Così mise in giro la voce che, durante l’assalto di una banda di briganti, la sua famiglia fosse deceduta tutta quel giorno: la moglie di trentun anni e la figlia di sei. A quel punto, come puoi ben immaginare, la mia esistenza fu rivelata solo a persone di cui mio padre si fidava ciecamente: la signora Cheryl, ad esempio, e in seguito anche Reim.»

«Capisco che volesse proteggerti, ma non può certo tenerti nascosta al mondo intero in eterno!» proruppe Gilbert.

«Certo che no. Infatti, non appena compii quindici anni, mi battei strenuamente per ottenere una, seppur misera, libertà. Secondo i suoi piani, avrei dovuto vivere segregata in quell’enorme villa per altri cinque anni! Col cavolo, piuttosto avrei cominciato a camminare a testa in giù, urlando frasi sconnesse!»

«Che melodrammatica!»

«Lo diceva anche mio padre, ma poi l’ho convinto. Prima mi permetteva solo di andare a scuola (sotto un nome fittizio, chiaro) e poi, da quattro anni e mezzo, sono conosciuta in giro con il nome di Mark, mentre qui al villaggio, posso girovagare liberamente, anche se tutti mi chiamano come mia madre, Mary.»

«Non ti viene mai una crisi d’identità?»

«Ah, ah! Alle volte sì, mi sembra d’impazzire e non capisco mai quando dovrei o no voltarmi se uno mi chiama con un nome piuttosto che un altro, ma alla fine è meglio così. Adesso, almeno, sono di qualche passo più vicina al raggiungimento del mio sogno.»

«E qual è?» tentò di nuovo Gilbert, sperando che stavolta gliel’avrebbe svelato.

La ragazza fece una piroetta e poi gli fece una linguaccia.

«Se-gre-to!» scandì allegramente, ma poi aggiunse «Forse, un giorno, te lo dirò. Ma non oggi!»

Gilbert stava per ribattere, ma Sophie notò qualcosa che catturò la sua attenzione, tant’è che si separò dal ragazzo per avvicinarsi ad una bancarella che vendeva gioielli.

«Gil! Vieni a vedere!» lo chiamò senza staccare gli occhi dagli oggetti luccicanti.

«Che hai visto?»

«Guarda che belli! Adoro questo posto, ci vengo a dare un’occhiatina ogni volta che ne ho l’occasione.»

Il Nightray non si era mai interessato a cose simili, ma poiché la fanciulla con cui si trovava sembrava apprezzarle, decise di sforzarsi. Il ragazzo osservò distrattamente alcune di quelle cianfrusaglie: tra orecchini, bracciali e altra paccottiglia priva di valore, notò qualche oggetto più raffinato; un fermaglio per capelli, per la precisione. Era davvero ben fatto: al centro si trovava un fiore non eccessivamente grande ed appariscente, con cinque petali di un delicato rosa. Immaginò subito che quel monile sarebbe stato d’incanto tra i capelli scuri di Sophie.

«Ehi, che te ne pare di questo?» fece il ragazzo per attirare l’attenzione della fanciulla.

La ragazza voltò gli occhi in direzione dell’oggetto indicato e, non appena lo vide, lo prese tra le mani per osservarlo da più vicino.

«È davvero bellissimo! Pensa, è anche il mio fiore preferito!»

«Le piace, signorina Mary?» chiese una donna sulla cinquantina dai capelli raccolti in una crocca giallo sporca «Perché non lo prova?»

«Posso?» chiese estasiata Sophie.

«Ma certamente! Aspetti, le porto uno specchietto, così può vedere come le sta.»

Detto fatto, Sophie si piazzò davanti allo specchio e tentò di mettersi il fermaglio, ma, dopo qualche tentativo andato a vuoto, invocò l’aiuto di Gilbert.

«Gil, scusami, me lo metteresti tu? Io non ci riesco.»

Il ragazzo era parecchio combattuto: in parte preferiva non avvicinarsi troppo a Sophie, ma d’altro canto non voleva sprecare un’occasione simile per ammirarla da vicino. Prima che potesse comprendere questi suoi assurdi sentimenti, decise di accontentare la ragazza, seppur goffamente.

«Oh! Le sta divinamente signorina.»

«Dice?» fece lei timidamente.

«Naturalmente, non le mentirei mai, ma per sicurezza, perché non chiede un parere al suo fidanzato?»

«NOI NON SIAMO FIDANZATI!»

Urlarono in coro i due.

La signora parve stupirsi, ma subito cambiò atteggiamento e iniziò a sorridere sotto i baffi.

«Oh, capisco. È una relazione segreta, vero? Tranquilli, sarò muta come una tomba!» accompagnò le sue parole facendo occhiolino.

«Non...» tentò di ribattere Gilbert, ma fu fermato da Sophie.

«Lascia perdere, fai finta di niente.» gli sussurrò la giovane, notando come gli occhi della venditrice si fossero messi a luccicare all’idea di un amore clandestino, come quello che leggeva spesso nei romanzi a puntate pubblicati sui giornali «Lasciala divertire.» concluse ella, con un sorriso rassegnato.

«Allora, lo compra signorina?»

«Sì, ho deciso mi piace. Lo... ah!» si bloccò Sophie, mutando il tono da allegro a mesto «No, non posso. Non ho abbastanza soldi con me.»

«Come non hai soldi?» chiese Gilbert.

«Voglio essere indipendente da mio padre, è anche per questo che faccio quel lavoro, però non ci guadagno molto. Per questo prima mi sono battuta strenuamente con quel commerciante per il prezzo del vestito: non avevo altri soldi con me e quell’abito mi serviva per la festa di una mia amica...»

«Se vuoi, te li posso prestare io.»

«No! Assolutamente, no!» fece lei decisa, togliendosi a fatica il fermaglio e poggiandolo sul banco di legno «Non importa, posso farne a meno. Ho vissuto bene finora anche senza questo genere di cose, no?»

Nonostante le sue parole, Sophie osservò rapita ancora una volta quel monile, prima di andarsene sospirando appena.

«Dai, andiamocene, prima che me ne penta ancora di più. Grazie lo stesso, signora Daisy.»

In quel mentre si udirono i rintocchi delle campane.

DON, DON, DOOON!

Il grande orologio annunciava l’arrivo del mezzogiorno.

«Cosa?! È già così tardi?» esclamò Sophie in preda al panico «Ahia! Mio padre mi ammazzerà se non rientro immediatamente a casa!»

«Dovevi rientrare per mezzogiorno?» chiese Gilbert.

«No, non dovevo proprio uscire, è questo il guaio: sono in punizione!» mentre parlava, iniziò a correre verso l’uscita del mercato «Ciao Gil, e grazie di tutto!»

Dopo pochi passi, però, si fermò e al ragazzo sembrò che stesse riflettendo sul da farsi. Alla fine, Sophie parve prendere una decisione, perché fece dietrofront e si avvicinò nuovamente a Gilbert. Il Nightray non ebbe nemmeno il tempo di realizzare ciò che accadde: Sophie, con molta grazia e delicatezza, gli diede un piccolo e casto bacio sulla guancia.

«A presto...» aggiunse poi, staccandosi e correndo via.

Gilbert dovette ringraziare la vecchietta, perché, grazie alla sua risata rauca, lo risvegliò dal suo stato di mini-shock. Anche lui pensò che era il momento di andarsene, dato che era trascorsa più di un’ora dalla sua partenza e così si allontanò nella direzione opposta a quella presa da Sophie.

La vecchietta però sapeva già come sarebbe andata a finire e, infatti, dopo pochi istanti di attesa, il giovane ritornò sui suoi passi con andatura furiosa, anche se in verità la venditrice era convinta che si trattasse solo d’imbarazzo; ebbe la conferma delle sue ipotesi quando Gilbert poggiò sul tavolo di legno scheggiato alcune scintillanti monete.

«Vuole la spilla che piaceva alla signorina, per caso?» chiese con aria fintamente innocente la donna.

Lui si limitò ad annuire col capo.

«Se vuole, per altre due monete le faccio anche un bel pacchetto regalo.»

Nuovamente, il giovane non proferì parola, ma mise in mano alla vecchietta altre tre monete.

«Oh, ci teniamo a fare bella figura, vero?»

Mai in vita sua, Gilbert aveva desiderato tanto ardentemente che un passaggio per l’Abisso si aprisse in quel mentre sotto i suoi piedi. Quindici minuti dopo era rincasato e stringeva nella mano destra il pacchettino, che teneva accuratamente celato nella tasca del cappotto nero.

«Gil, finalmente sei tornato!» lo salutò Oz «Iniziavo a temere che ti fosse successo qualcosa.»

«Dov’è la mia carne, testa d’alga?» proruppe Alice.

Gilbert si diede una manata in fronte.

La carne per lo stupido coniglio! Come aveva fatto a scordarsene?

«Scusa, mi sono dimenticato.» fece, rivolgendosi al suo padrone.

«CHE!? Come hai fatto a dimenticartene se sei uscito per quello? SEI PROPRIO UNA TESTA D’ALGA!»

«Via via, Alice-kun. Forse Gilbert è stato sviato da una bella ragazza.» fece Break.

«Sì, sì, di nome Sophie Barma!» aggiunse Emily.

Tutti scoppiarono a ridere, meno Gilbert, che abbassò il cappello per nascondere il suo imbarazzo, peccato che in quel modo fece capire chiaramente a tutti che era a disagio e, dunque, che la battuta del Cappellaio non era campata poi troppo per aria. Infatti, gli altri si zittirono sempre più, fino a che un silenzio pesante, che preannunciava nulla di buono, calò come un macigno sulla testa del povero Nightray.

«Cioè, davvero... l’hai rivista?» chiese Break.

«UN INCONTRO SEGRETO TRA AMANTI!» urlò la bambola, che però venne sovrastata dall’entusiasmo, scaturito dalla medesima conclusione, di Sharon.

«Non era assolutamente un incontro segreto!» sbraitò Gilbert, mentre indietreggiava preoccupato e già pronto ad una fuga estrema.

Era vero, non si era certo messo d’accordo con Sophie per vedersi, cosa diavolo stavano tentando di insinuare Break e la sua stramaledettissima Emily? E ci mancava soltanto Sharon e la sua passione sfrenata per i romanzi rosa!

«Ecco perché è uscito, altro che spesa per lo stupido coniglio...» continuò senza pietà l’albino.

«Gil, non mi aspettavo una cosa simile da te...»

Eh no, anche Oz, no! Questo era veramente troppo!

«Ascoltate, io...» tentò di difendersi il Nightray.

«L’hai trattata bene, spero.» lo interruppe Sharon.

«Eh?»

«Perché, vedi, se non le riservi le dovute cure, potrei anche arrabbiarmi.»

«Oh, è vero che Sharon-chan diventa cattiva quando qualcuno offende le sue amiche! E siccome Sophie ora è una sua preziosa amica...»

«Insomma, dov’è la mia carne?!»

«Non ora Alice, stiamo parlando di cose delicate.» le disse Oz.

«Certo che l’ho trattata bene, le ho pure...» si lasciò sfuggire Gilbert, che però celere si tappò la bocca con una mano.

«Le hai pure, cosa?» chiesero in coro i tre avvoltoi.

«… niente.»

«No, non può essere niente. Sputa il rospo!» fece Sharon.

«Suvvia, Gilbert-kun, siamo tra amici. Confidati con noi.» soggiunse Break con un sorriso inquietante stampato sulle labbra.

«Non è che...» proruppe Oz, scioccato ed ammirato al tempo stesso (ed anche un poco geloso) «L’hai baciata?»

«Ooooh!» fecero in coro all’unisono, quasi come se si fossero messi d’accordo prima.

«Che idee vi vengono in mente! E poi, caso mai, è lei che mi ha baciato!»

Silenzio.

«No, aspettate un momento. Mi è uscita terribilmente male, così fraintendete...»

«Che c’è da fraintendere?» ora sì che Xerxes si stava divertendo, in quella tetra giornata primaverile, che prometteva un bel niente.

«Testa d’alga e quella tipa strana hanno firmato un contratto?»

«Non esattamente, Alice.» fece compiaciuto Oz «Anche se, si può dire che in un certo senso, abbiamo stipulato un tacito accordo.»

«Oh, cielo! Non credevo che Sophie fosse così audace!» nel pronunciare quelle parole, Sharon si coprì il viso in modo teatrale, sebbene il suo cuore battesse a mille per quel succulento scoop mondano.

«No, no, no! Non è assolutamente... !»

PUF!

«Puf?» ripeterono tutti in coro.

Gilbert si voltò e si rese conto che la cosa che aveva provocato quel suono era una bambina, che aveva urtato contro le sue gambe. Era davvero molto graziosa: aveva enormi occhi color dell’erba fresca, un visino tondo e uno spruzzo di lentiggini. Portava i capelli color paglia legati in due codini, che mettevano ancor più in risalto il suo volto paffuto. Il vestito, benché nuovo, aveva già qualche strappo e macchia, segno che la piccola si era divertita a giocare nel giardino.

«Una bambina?» chiese Sharon, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.

«Preso! Adesso devi prendermi tu!» fece la creaturina divertita.

«Aaaahhh! Perdonatemi!!» la voce era di una cameriera, che si era precipitata nella stanza subito dopo la piccola «Anita, ti avevo detto che non puoi giocare qui!» disse in tono grave alla creaturina.

«Ma io mi annoio a stare seduta, sorellona!»

«Anita, lo sai che non posso giocare adesso, devo lavorare! E poi staccati dalle gambe del signore... oh! La perdoni, è tutta colpa mia!»

«No, non fa nulla.» rispose tranquillo Gilbert, mentre la giovane si inchinava ripetutamente in segno di rimorso.

«Caroline, mi potresti spiegare chi è questa bella bambina e che ci fa qui?» le domandò dolcemente Sharon.

«Ah, signorina Sharon! Vede, il fatto è che una mia cara amica non si sentiva tanto bene stamane e così mi ha chiesto il favore di badare a sua figlia fintanto che non si fosse sentita un po’ meglio. So che non avrei dovuto accettare, però non sapeva a chi altri rivolgere, e so bene che prima avrei dovuto chiedervi il permesso, ma temevo che avreste rifiutato e io allora speravo che non ve ne accorgeste, e... e...» la cameriera stava per scoppiare in lacrime.

«Tranquilla, non ti preoccupare. Piuttosto, sicura di riuscire a svolgere le tue mansioni e a badare alla piccola?» chiese premurosa Sharon.

«Certo, signorina! Una cosa simile non si ripeterà mai più e... Anita! Non infastidire il signore!»

Il cucciolo di umano si era messa difronte a Gilbert e, dopo averlo osservato da capo a piedi, aveva iniziato a tirargli il bordo della manica.

«In braccio! In braccio!» urlava.

«Anita, adesso andiamo. Scusate ancora.» fece Caroline, trascinando via la bambina.

«Ma io voglio giocare col signore!» protestò lei.

«Caroline, se la piccola Anita vuole restare qui a giocare, per me non c’è alcun problema. A voi crea fastidio?» chiese gentile la duchessina. Tutti scossero la testa, ad eccezione di Alice, che non capiva il senso di tenersi attorno un essere tanto ridicolo e all’apparenza inutile. Ma poiché Oz la fissò con aria seria e, al tempo stesso, indulgente, la Chain fece infine spallucce. In fondo la cosa non la interessava: voleva soltanto la sua carne.

«Davvero? Posso?» chiese titubante la cameriera.

«Certo! Anita, hai voglia di giocare con noi?» le chiese Oz, chinandosi alla sua altezza.

La piccola finse di pensarci con attenzione, prima di urlare un concitato: «Sì!».

 

Inizialmente era andato tutto bene: Oz e gli altri facevano di tutto per intrattenere Anita e quest’ultima sembrava divertirsi un mondo. Tutt’a un tratto, però, la piccola scoppiò a piangere.

«Che ha? Che le prende?» chiese apprensiva Sharon.

«Non lo so. Stavamo giocando e all’improvviso ha iniziato a urlare.» rispose Oz.

«Non so che abbia, ma fatela smettere! Mi sta spaccando i timpani!» disse Break, tappandosi le orecchie «Ecco perché detesto i bambini.»

«Che hai piccola Anita, ti sei fatta male? Hai fame?» tentò di consolarla Sharon, che sentì forse in sé un sentimento di preoccupazione materno per quell’esserino tanto disperato.

«Voglio la mamma!» rispose allora Anita.

«Ma, Anita, adesso la mamma non c’è. La vedrai più tardi.»

«NO! Io voglio la mia mamma adesso! MAMMA!!!»

«Ehi, stupido coniglio, ti assomiglia parecchio, sai?»

«Non è il momento di trovare le allegorie con Alice, Gil!» lo rimproverò Oz.

La cosa stava andando avanti da parecchi minuti e nessuno aveva idea di cosa fare, quando la porta si spalancò ed apparve Sophie.

«Si può sapere cos’è tutto questo baccano?» chiese sconcertata «Vi si sente fino in fondo al corridoio.»

Oz e gli altri avrebbero voluto chiederle che ci facesse lì o, quanto meno, spiegarle la situazione, ma non appena la ragazza udì la bambina invocare la mamma, poggiò su di un tavolino i fogli che teneva in mano e si diresse a passo deciso verso la piccola, prendendola in braccio e iniziando a cullarla dolcemente.

«Ehi, che succede? Su, su. Tranquilla. Non piangere, vedrai che la mamma arriva presto.» le diceva, ma dato che Anita non dava segni di voler smettere, Sophie intonò una ninna nanna. In realtà era una canzone popolare che parlava della leggenda della Luna che, desiderosa di avere un figlio, ne adottò uno che era stato abbandonato dalla madre su di un’alta collina. La canzone si concludeva con una dolce immagine, ovvero la spiegazione del perché la Luna cambi aspetto periodicamente: quando il bambino è felice lo è anche la sua mamma e, allora, si mostra intera e raggiante, ma se il bambino piange, lei cala e si fa culla per calmarlo. Quando Sophie terminò di cantare, tornò finalmente a regnare il silenzio.

«Allora, piaciuta?» le chiese.

«Sì.» ammise la piccola, che aveva ancora gli occhi gonfi e rossi, ma senza più lacrime che le solcassero il viso.

«Bene, allora ti va di ascoltare un’altra storia?» le domandò Sophie, mentre estraeva da una tasca un fazzoletto con cui le asciugò il volto.

«Canti anche quella?»

«No, temo di no: quella è l’unica ninna nanna che conosco. Ma sarà molto bella lo stesso, te l’assicuro.»

«Ok.» disse con un sorriso Anita.

«Allora, dimmi piccola... come ti chiami?»

«Anita Knight!» squittì allegra.

«Anita, ma che bel nome! Lo sai che significa “graziosa”? È proprio adatto ad una bella bimba come te!»

«Davvero?»

«Oh, sì. Io adoro conoscere il significato dei nomi delle persone, e spesso i genitori azzeccano fin dalla nascita il carattere del loro bimbo; ma dimmi Anita, che storia vorresti sentire? Magari la tua preferita?»

«La principessa e il ranocchio!» squittì lei, ma ricordandosi che la mamma le diceva sempre di essere educata con gli adulti, aggiunse prontamente un sentito «Per favore.»

«D’accordo. Dunque, c’era una volta...»

Sophie era incredibile: non si limitava a narrare la favola con enfasi e pause d’effetto, ma ogni tanto coinvolgeva Anita, fingendo di non ricordarsi una parte o inventandosi altro.

«Mentre la principessa camminava al limitare del bosco, per raggiungere il pozzo, ad un tratto... spuntò fuori un enorme lupo nero, che disse: “Piccina, dove te ne vai di bello?”»

«No!» la interruppe divertita Anita, con aria da maestrina «Quella è Cappuccetto Rosso!»

«Davvero? Ah, ecco perché aggiunse “Oh, scusami, non hai la mantellina rossa. Errore mio, ho sbagliato favola!”»

«Non è vero! Questo te lo sei inventata tu adesso!»

«Come puoi credere una cosa simile? Tu c’eri? No! E allora chi ti dice che non sia andata così?»

Dopo innumerevoli altre interruzioni, come la comparsa del Gatto con gli stivali che cercava un calzolaio o i Tre porcellini che chiesero notizie del lupo (erano preoccupati perché non era più venuto a scocciarli), la favola giunse al culmine.

«E quando la principessa baciò il ranocchio...»

Persino Oz e gli altri ascoltavano con attenzione, curiosi di sapere cosa si sarebbe inventata ora la ragazza.

«PUF!» Anita sobbalzò «Come per magia... la principessa diventò una bellissima raganella!»

«Cosa?» chiese confusa Anita, mentre gli altri scoppiarono a ridere «Non è vero, non finisce così!»

«Hai ragione, quasi dimenticavo. E vissero tutti felici e gracchianti. Fine.»

La piccola continuò a protestare «Non è vero! Non va così!»

«E allora come finisce?» chiese con finto stupore Sophie.

Anita si sedette composta e si atteggiò da grande, incrociando le braccia e tirando su il mento con fare altezzoso.

«La principessa bacia il ranocchio e questi si trasforma in un bellissimo principe. Il principe ringrazia la principessa per averlo salvato dal maleficio di una strega cattiva e le chiede di sposarla. I due si sposano e da allora vissero per sempre felici contenti.» a quel punto osservò la ragazza e terminò con un acuto «Fine!»

«Mh, sì. Anche questo finale non è male.» acconsentì la mora «Però il mio è molto più divertente, no?»

«Sì!» disse con un sorrisone Anita, seguita a ruota da Oz e Sharon.

«Oh, vi è piaciuta anche a voi?»

«Scherzi? Sei bravissima!» rispose Oz per tutti.

«Diciamo che me la cavo.»

«Anita, è ora di pranzo, vieni con noi?» le chiese Sharon, porgendole la mano.

La bambina la osservò titubante: aveva una gran fame, ma doveva accertarsi di una cosa.

«Viene anche la bella signora?» chiese, indicando Sophie.

«Bella signora?» ripeté incredula e divertita la ragazza.

Sharon osservò Sophie, lasciando intendere che doveva essere lei a rispondere.

«Sì, certo che ci sarò. Se non disturbo...»

«Assolutamente! Non dirlo nemmeno per scherzo, sei mia gradita ospite, vero Break?»

«Se ojou-sama lo desidera.» fu la vaga risposta dell’albino.

«Allora si mangia?!» proruppe Alice «Era ora! A sentir parlare di tutti questi animali mi era venuta una fame incredibile!»

Tutti si alzarono e s’avviarono alla porta, ma Sophie rimase seduta.

«Non vieni?» le chiese Gilbert, notando la sua assenza.

«Oh sì, ma prima devo consegnare una cosa a Reim, voi andate pure avanti.»

Sharon, che aveva udito quello scambio di battute, non perse l’occasione e intervenne.

«Ma, Sophie-oneechan! Non conosci così bene la mia dimora da poterti orientare, rischi di perderti! Gilbert-kun, perché non la scorti da Reim e poi ci raggiungete?» ovviamente, non permise a nessuno dei due d ribattere «Dovrebbe essere nello studio a lavorare. A dopo!»

Proprio nel mentre in cui Gilbert chinò il capo sconfitto, la giovane dalle iridi rosa ne approfittò per fare l’occhiolino all’amica e sussurrarle qualcosa.

«Buona fortuna!»

 

«Cosa ne pensi di Sharon?»

Gilbert stava conducendo Sophie allo studio di Reim e, poiché gli sembrava scortese non proferire parola, le domandò la prima cosa che gli venne in mente.

«È una ragazza dolce e gentile, anche se alle volte esagera con le premure e i piani campati per aria.» rispose con una nota di leggero fastidio «Ma mi pare una tipa a posto, anzi credo che diventeremo grandi amiche.»

«E degli altri, invece?»

«Mmmhhh, con la signorina Alice non ho avuto occasione di parlare, ma sembra una ragazza esuberante e un po’ fuori, proprio il genere di persona che piace a me. Oz Vessalius a mio avviso ha l’aria del tontolone, ma ha occhi profondi e seri, perciò credo che in realtà finga solo di essere così spensierato e sciocco. Mentre il signor Break...»

«Ti conviene chiamarlo Break e basta. Odia essere appellato a quel modo: a sua detta lo fa sentire più vecchio di quello che è in realtà. Questo vale anche per gli altri, non sono persone che badano molto alle formalità.»

«Davvero?» chiese Sophie con sollievo «Meno male: sai, io odio essere formale, ma l’etichetta lo impone. Solo che io, spesso e volentieri, me ne dimentico. In ogni caso, Break è un idiota e un gran rompiscatole.»

«Sicura di non parlare a nome del duca Barma?»

«Nemmeno per sogno! Il fatto è che si è azzardato a parlare male di mio padre e questo io non lo tollero!»

«Ma se tu sei la prima a rivolgere parole poco lodevoli al duca!»

«Sì, ma io sono sua figlia e ho il sacrosanto diritto di farlo.»

Sebbene Gilbert volesse apparire serio, non riuscì a trattenere una risata: quella ragazza era proprio folle come il padre, non c’era che dire!

«Sei incredibile.»

«Perché? Guarda che non è difficile: basta non pensare alla punizione che dovrai subire e parlare a ruota libera.»

«No, non quello. Insomma, anche questo non è da poco, ma io intendevo il modo in cui esprimi i tuoi pareri e giudizi riguardo alle persone.»

«Cerco solo di essere me stessa, quando posso e, solitamente, in tua compagnia la cosa mi riesce piuttosto facile.»

Sentendosi improvvisamente in imbarazzo, Gilbert decise di cambiare argomento.

«Sei piuttosto brava con i bambini.»

«Trovi? Faccio del mio meglio: io amo i bambini e non vedo l’ora di averne di miei!»

«Scusami, ma quanti anni hai?» chiese allibito Gilbert.

«Diciannove, perché?»

«Non ti sembra un po’ presto per pensare a cose di questo tipo?»

«Naturalmente no!» fece seria Sophie «Non è mai troppo presto per pensare a certe cose! Soprattutto per me, che devo ancora fare il mio debutto in società. Non appena lo farò, puoi star certo che inizieranno da subito a girare brutte voci sul mio conto. Diranno “Ma come? La Signorina Barma non ha ancora preso marito? Eppure non è più una ragazzina, deve iniziare a pensare al suo futuro: che voglia rimanere zitella a vita?” E bla, bla, bla! Sai come sono fatte certe oche che si atteggiano a nobildonne! È per questo che inizialmente non volevo conoscere Sharon: temevo che fosse come quelle persone odiose che giudicano senza conoscere nulla al riguardo, sia di persone che di fatti e avvenimenti.»

«Però, tu... insomma... non hai già deciso con chi passare il resto della tua vita, giusto?”» chiese speranzoso Gilbert, aspettandosi una risposta negativa.

«Certo che sì, invece. È per lui che mi sto impegnando tanto negli studi: mi sono persino iscritta alla scuola Lutwidge, nella speranza di imparare al meglio ogni disciplina che si conviene ad una donna del mio rango.»

«Frequenti Lutwidge?» fece stupito Gilbert.

«Sì, non lo sapevi? Questo è il mio ultimo anno e poi sarò promossa.»
«Per caso... conosci Elliot Nightray e Ada Vessalius?»

«Sì, certo. Sono la loro senpai, dopotutto è mio compito tenere d’occhi i più piccoli.»

«E... ti hanno raccontato nulla ultimamente?»

«Ora che ci penso, è da un po’ che non frequento più le lezioni, a causa del mio lavoro, però ho ricevuto una lettera da parte di Ada in cui mi diceva che erano successe talmente tante cose da non potermene parlare per posta. Non è che tu e i tuoi amici centrate qualcosa, vero?»

«No, assolutamente. Come ti viene in mente una cosa simile?» chiese nervoso Gilbert.

«Mah, sarà. Effettivamente, tu sei una persona troppo seria e responsabile per creare confusione in una scuola, però lo zio di Ada, Oscar-sama, è il tuo esatto opposto: pensa che una volta è entrato nel dormitorio femminile in piena notte, perché diceva che voleva assicurarsi dell’efficienza della sicurezza. Diceva che la sua nipotina non era al sicuro, con tutti quei maschi che le ronzano attorno.»

«Chissà perché la cosa non mi stupisce affatto... mi dispiace.» disse il Nightray, chinando il capo.

«Non ti preoccupare, non me la sono presa, anzi è stato persino divertente! Anche se tuo fratello Elliot non era dello stesso parere.»

«Tiro a indovinare: se l’è presa con Ada.»

«Ci puoi giurare! Non la smetteva più di farle la ramanzina, come se fosse colpa sua, poverina!»

«Ti prego, dimmi solo che non ha esagerato.»

«Tranquillo, c’ho pensato io a freddare i suoi bollenti spiriti, nel vero senso della parola: gli ho gettato un secchio d’acqua gelata in faccia. Dovevi vedere la sua faccia!» disse Sophie, senza riuscire a trattenere le risate.

«Scherzi, vero?!»

«Ti pare? Io l’avevo avvertito: o si dava una calmata o lo facevo calmare io con una secchiata d’acqua. Lui ha scelto di non ascoltarmi (padronissimo, io rispetto sempre le decisioni altrui, per quanto dementi) ed io ho mantenuto la mia parola. Se dico che faccio una cosa, io la faccio! E peggio per lui.»

Gilbert l’osservò allibito.

«Come scusa?»

«Ho detto peggio per lui…»

«No, no, non quello. Intendevo dire l’ultima frase che hai detto.»

«Che se dico che faccio una cosa, la faccio? Che c’è di strano?»

«No, nulla. È solo che...» s’interruppe e cercò di ragionare in silenzio.

Dove aveva già sentito le stesse e identiche parole? Maledizione, proprio non se lo ricordava; eppure una volta qualcuno, una bambina forse, gli disse qualcosa di molto importante e simile a quello che aveva appena udito.

«Gil? Sei ancora tra noi?»

La voce di Sophie gli fece perdere il filo dei suoi pensieri.

«Eh? Cosa?» chiese ancora confuso, come se si fosse appena ridestato da un sogno.

«Tu sei Gilbert Nightray e io Sophie Barma e ora tu mi stavi conducendo allo studio di Reim Lunettes, nostro amico. Ricordi?»

«Guarda che non ho perso la memoria.»

«Oh, bene. Per un attimo ho creduto che il tuo spirito fosse fuggito in un’altra dimensione, abbandonando qui il tuo corpo. A che pensavi?»

«Nulla d’importante. Andiamo, è questa.» fece brusco, bussando alla porta alla sua sinistra.

Gilbert attese pressappoco due secondi e poi entrò. Conosceva Reim da molti anni ormai e sapeva fin troppo bene che quando il suo amico lavorava non sentiva nulla, da tanto era concentrato. Infatti, il giovane era chino a scrivere sul poco spazio libero di un’elegante scrivania in mogano; alla sua sinistra si trovava una considerevole pila di fogli (probabilmente quelli che aveva già controllato), mentre alla sua destra si ergeva un abnorme accumulo di scartoffie ancora da leggere, correggere e firmare.

«Povero Reim...» bisbigliò Sophie, per poi alzare la voce «Reim!»

Il ragazzo non diede segni di aver udito.

«Esci da questo corpo!» urlò, dopo avergli dato un colpetto alla nuca.

Reim scattò come i pupazzetti dei giocattoli a molla, tanto si era spaventato.

«Lo so che non ho finito, ma mi dia ancora cinque minuti, duca!»

Le risate di Gilbert e Sophie lo rasserenarono subito.

«Ah, siete voi. Perdonatemi, credevo che foste...»

«Il demonio, lo so. Per questo ti ho esorcizzato prima, cosa credi?» lo riprese Sophie.

«Beh, è normale! Vorrei vedere te nei miei panni... Ehi, ora che ci penso, che ci fai qua?»

«Consegna speciale!» rispose lei allegra, porgendogli un raccoglitore così pieno che sembrava sul punto di esplodere da un momento all’altro «Un certo imbranato è uscito talmente di corsa stamane, da scordarsi qualcosa di veramente importante.»

«I miei documenti! Li cercavo disperatamente da ore! Se non me li avessi portati tu...»

«Mio padre ti avrebbe fatto a fettine, lo so bene.»

«Ma tu non dovevi rimanere in casa per punizione?» la riprese serio Reim.

«E tu non dovevi assicurarti di avere i documenti, prima di uscire?»

«Mmh... ti ringrazio per l’aiuto, ma non saresti dovuta uscire, in ogni caso.»

«Ma sì, che mi può fare di così grave mio padre, aggiungere un altro mese di punizione? Sai che problema!» disse con aria serena Sophie, facendo spallucce.

«Non scherzare su certe cose e tornatene a casa, ora.»

«E tu che fai? Non intenderai lavorare ancora, spero!» volle assicurarsi la ragazza.

«Ho del lavoro da finire prima delle tre e non posso permettermi pause.» rispose convinto Reim, ma non appena lanciò uno sguardo alla pila di fogli, si lasciò fuggire un profondo sospirò.

«Ma è dalle otto del mattino che stai lavorando senza sosta e non solo a questi documenti, prima ti sei occupato anche di quelli di Break! Devi prenderti una pausa.» fece Gilbert, preoccupato che l’amico esagerasse col lavoro.

«Vi ringrazio per la premura, ma non posso proprio permettermelo.»

«Vieni almeno a pranzare con noi qualche minuto.» insistette il Nightray.

«No, ma grazie davvero. E poi non ho nemmeno tanta fa...»

Un suono profondo e buffo riecheggiò per la stanza. Subito Reim si portò istintivamente una mano allo stomaco, dando conferma ai dubbi dei due amici.

«Quello era il tuo stomaco, vero?» disse Gilbert «Mi pare che sia di parere contrario al tuo.»

«O quello, o qualcuno allo zoo ha perso un animale feroce.»

«Anche se fosse, non posso! Ho già perso fin troppo tempo, per cui...»

«Tu vai di corsa a mangiare.» concluse Sophie, prendendo il posto di Reim alla scrivania e iniziando a leggere il primo documento in cima alla pila destra.

«Che dici? E soprattutto, che fai?» chiese confuso Reim.

«Ovvio: non puoi smettere di lavorare, ma devi fare assolutamente una pausa o mi collassi da qui a pochi minuti, perciò tu vai a mangiare, mentre io mi occupo di questo.»

«Ma, ma...» tentò di ribattere.

«Niente ma, e se non ti va bene, allora cambio registro: in quanto tua padrona, ti ordino di prenderti almeno un’ora di pausa.»

«Sophie, non puoi farlo, cosa dirà tuo padre se scopre che sei uscita di casa senza permesso?» insistette il servo che, sebbene fosse felice di potersi prendere una pausa, non intendeva mettere nei guai la sua amata padrona.

«Te l’ho già detto, non m’importa. Non può certo mettermi in castigo in eterno, no?» rispose divertita lei, ma dopo un attimo smise di ridere e chiese preoccupata «Non può, vero?»

Gilbert e Reim si concessero un sorriso di compatimento, perciò Sophie sbottò come suo solito.

«Oh, insomma! Sia quel che sia! Andate adesso, non vedete che ho da fare, a differenza vostra? Marsch!»

Reim si era già avviato verso la sala da pranzo, mentre Gilbert era rimasto fermo sulla soglia della porta ad osservare la schiena di Sophie. Dopo qualche secondo, la ragazza si rese conto della sua presenza e, voltando solo la testa, lo guardò sorpresa.

«Che fai ancora lì?»

«Ecco... io...» non poteva certo dirle che avrebbe preferito stare in sua compagnia un altro po’, così disse semplicemente «Cosa devo dire ad Anita?»

La ragazza parve ricordarsi della piccola solo in quel mentre.

«Oh, è vero! Dovevamo pranzare insieme... dille che mi dispiace e che ci rivedremo un’altra volta, d’accordo?»

Gilbert annuì e se ne andò, senza aggiungere altro.

Le parole di Sophie servirono a ben poco: in meno di quindici minuti, Anita volle raggiungerla a tutti i costi. Il compito di scortare la bambina fu affidato a Gilbert (o, per meglio dire, gli fu imposto da Sharon).  Quando il ragazzo aprì la porta dello studio, Anita si precipitò verso Sophie e le si gettò tra le braccia. 

«E tu che ci fai qua?» chiese divertita la mora, abbandonando per un attimo il suo lavoro.

«Scusami, ma non ha voluto sentire ragioni. Appena finito di mangiare, ha insistito per vederti.» disse in tono dispiaciuto Gilbert, anche se in realtà era felice di poter stare ancora qualche istante a conversare con Sophie «Gioca con lei qualche minuto e poi ti lasciamo lavorare in pace.»

Sophie scosse la testa.

«No, no, non ce n’è bisogno.» affermò, sistemandosi la bambina in grembo, in modo tale da poter usare la mano destra per scrivere o reggere dei fogli «Non mi dà fastidio: la terrò qui mentre lavoro.»

«E come pensi di...» Gilbert non riuscì a terminare la frase.

Che ci crediate o no, Sophie si mise a cantare alcune canzoni popolari e, mentre Anita ascoltava tranquilla, leggeva e firmava i documenti sulla pila alla sua destra. Andò avanti così per quasi due ore, senza mostrare segni di noia o stanchezza, e continuò la sua cantilena anche dopo che Anita si fu addormentata.

Cosa fece Gilbert nel frattempo? Nulla, si sedette su di una sedia e l’ascoltò per qualche minuto, poi, senza farsi notare, se ne andò, sentendosi stranamente felice come non mai.

 

«Anita, saluta la signorina, da brava.»

Era ormai il crepuscolo e Caroline stava cercando di staccare Anita dalla gonna di Sophie, senza molto successo ad essere sinceri.

«No! Voglio giocare ancora con lei!» rispose la piccola, serrando la sua stretta con maggiore forza.

«O cielo, adesso che faccio? Mi dispiace signorina, ma temo che si sia affezionata parecchio a lei.»

Sophie ridacchiò, sembrava contenta della cosa, tuttavia si chinò e staccò Anita dal suo vestito.

«Anita, ti sei divertita oggi?» le chiese dolcemente.

La bambina annuì convinta.

«Sì, tantissimo!»

«Bene, e dimmi, ti andrebbe di giocare ancora con me domani?»

«Sì!»

«Ma signorina, non credo che domani potrò portarla ancora con me.»

«Oh, non preoccuparti, non ce ne sarà bisogno.» disse tranquilla Sophie «Vorrà dire che verrò io da te, contenta?»

Anita non credeva alle sue orecchie.

«Davvero?»

«Davvero.»

«Promesso?»

«Promesso.» le rispose convinta Sophie, facendo croce sul cuore «Adesso vai, però. E fai la brava con mamma!»

«Certo, ciao ciao!» la salutò allegra, raggiungendo Caroline.

Quando la ragazza rientrò in casa, Sharon s’informò sul suo stato.

«Sophie-oneechan, come sta?»

«Benone, grazie. Perché me lo chiede?»

«Come perché? Ha trascorso tutto il pomeriggio a badare ad Anita e a svolgere il lavoro di Reim.»

«Ah, quello non è niente. Mi sono divertita con Anita e il lavoro non era poi così tanto.»

«Sarà, comunque sia Reim la ringrazia di cuore. Mentre era fuori, è corso dal duca a consegnarli il tutto.»

«Bene, fantastico.» fece con un sorriso la Barma, poi, senza preavviso, si lasciò cadere con un tonfo su di un divanetto «In questo caso, posso anche morire serena!»

«È stanca? Si sente bene?» chiese allarmata Sharon.

«No, stia tranquilla. Mi dia il tempo di riposare una mezzoretta e sarò in forma smagliante!»

«Non dovreste chiedere troppo al suo corpo!» la rimproverò Sharon.

Sophie rispose qualcosa, probabilmente col suo solito tono sarcastico, ma Gilbert non riuscì più a sentire bene. Aveva notato che Break si era recato sul balcone e decise di raggiungerlo. Il vento soffiava una leggera brezza, più fredda del solito. Era evidente che la bella stagione stava cedendo il passo all’autunno, come dimostravano le variopinte foglie che, piano piano, si sostituivano a quelle color smeraldo. Break sembrava intento ad osservare il paesaggio, mentre con il dorso della mano destra si reggeva il capo. In realtà, gli occhi allenati di Gilbert sapevano bene che, quando l’albino si atteggiava a quel modo, stava rimuginando sul suo passato. Tuttavia, decise di simulare ignoranza.

«Che combini, Break? Non vieni dentro ad approfittarti dell’atmosfera calma per creare scompiglio?»

L’altro parve riscuotersi da un lungo sogno.

«Ah, Gil-kun. Potrei farti la stessa domanda. Perché sei qui fuori a perder tempo con un vecchio, quando lì dentro c’è una così soave creatura?»

«Sarà anche soave, ma non m’interessa.» rispose il moro sulla difensiva, anche se, in verità, il motivo per cui l’aveva raggiunto era esattamente l’opposto.

Potrà sembrare sciocco, ma Gilbert sperava che Break gli desse qualche consiglio. In fondo la cosa era più che naturale: per lui Break era quanto di più simile ad un padre avesse mai avuto, anche se detestava ammetterlo persino a se stesso. E poi, a chi altri avrebbe potuto chiedere? Né Reim né tantomeno Oz avevano un’esperienza tale da poter aiutarlo e lo zio Oscar... beh, diciamo che era l’ultima persona al mondo con cui avrebbe voluto discutere di ragazze. Perciò Break era la sua ultima ancora di salvezza. Il problema, giunti a quel punto, era come arrivare alla fatidica domanda, senza però pronunciarla esplicitamente. Fortuna volle (o, come la definì Gilbert, sfortuna nera e bieca) che Xerxes capì al volo tutto il suo studiato piano.

«Ma davvero? Allora perché hai passato tutto quel tempo in sua compagnia, oggi?»

«Non è stata una mia iniziativa, è Sharon che...»

«Ma Sharon non ti ha mai obbligato a farlo. Se ci pensi bene, avresti potuto rifiutare in qualsiasi momento, invece hai obbedito e pure volentieri mi pare.»

«Beh, perché avrei dovuto?» ormai Gilbert non sapeva più cosa dire in sua difesa e la situazione stava prendendo esattamente la piega che lui voleva, ma proprio per questo si sentiva terribilmente a disagio.

‘È mai possibile.’ si chiedeva ‘Che una ragazza provochi tutto questo scompiglio?’

«Sì, esatto.» per un attimo Gilbert temette che Break gli stesse leggendo nella mente, ma le sue seguenti parole lo dissuasero da ciò «È esattamente quello che io risposi molti anni fa. O, forse, è più corretto dire che fu quello che Kevin rispose.»

«Che vuoi dire?» era la prima volta che Break si metteva a parlare del suo passato e la cosa stupì Gilbert non poco.

«Anche lui si era innamorato di una ragazza come Sophie. Non fraintendere.» s’affrettò ad aggiungere «Fisicamente, non hanno nulla in comune e anche caratterialmente sono diverse, però... come dire, entrambe possiedono qualcosa di speciale, un’energia ed una determinazione che mettono in ogni cosa che fanno. È questo che ti ha tanto affascinato di lei, no?» domandò al ragazzo.

«Beh, non è che mi ha affascinato, m’incuriosisce, ecco tutto.»

«Capisco. Allora mettiamola su questo piano.» disse Break con aria a metà tra il serio e il divertito «Descrivimi Sophie, senza mai utilizzare frasi al negativo.»

Gilbert pensò che Break scherzasse, invece l’albino si voltò ad osservarlo col suo unico occhio cremisi. Stava aspettando, era evidente.

«Non so dove vuoi arrivare, ma d’accordo.» acconsentì il Nightray, poi, dopo un attimo di pausa, cominciò a parlare «Dunque, non c’è molto da dire. È una ragazza piuttosto alta per la sua età, veste in modo stravagante alle volte, ma sembra quasi che, qualunque cosa indossi, non riesca a nascondere la sua femminilità e la sua grazia.»

«I capelli?» chiese Break.

«Ha degli splendidi capelli corvini e non sono lisci o mossi: sono una cascata di boccoli, che di solito sono in disordine, come se non le importasse nulla di quello che gli altri pensano di lei.»

«E gli occhi?»

«Gli occhi... beh, non so quasi come descriverli. Non so perché, ma non riesco a guardarla molto in viso, mi mette troppo in agitazione. Però, quando fingeva di essere Mark, li ho osservati bene: sono di un blu mozzafiato. E...»

«Bene, basta così. Ti sei reso conto, per caso, che hai appena definito i suoi occhi mozzafiato?»

Gilbert l’osservò allibito.

«No, non ho detto questo.»

«Oh, sì invece. Ed hai pure detto che ha degli splendidi capelli corvini. Devo proseguire o ti basta?» stranamente, rispetto al solito, il tono di Break non era ironico, anzi sembrava molto serio.

Gilbert non aveva idea di cosa ribattere, ma tanto l’albino non aveva bisogno di sentire altro.

«Se parli in questo modo di una fanciulla, non ci sono dubbi: ti sei innamorato.»

Nell’udire quelle parole, Gilbert arrossì visibilmente e tentò di protestare, ma l’altro non gli permise di interromperlo.

«Puoi sbraitare quanto vuoi, la realtà non cambia. Lo stesso Kevin ci impiegò un mese prima di ammetterlo a se stesso. Eppure è così, ma non te la devi prendere: anche i migliori cascano nel tranello dell’amore. L’importante è rendersene conto in tempo.»

«Perché mi dici tutte queste cose?» per Gilbert era incompressibile che un uomo chiuso e riservato come Break si aprisse tutt’a un tratto con lui per discutere di questioni amorose.

«Non è da me parlare a questo modo, vero?» ammise lo stesso Break «Detesto parlare del passato, perché lo reputo una cosa inutile, in quanto oramai non si può far nulla per cambiarlo. Però oggi, nel guardare te e Sophie, non ho potuto far a meno di ripensare alla vita di Kevin e non voglio che tu commetta lo stesso suo errore.» a quel punto si concesse una risata sarcastica «Sai, una volta lui era felice e aveva tutto ciò che si potesse desiderare, ma a causa del suo rimorso rovinò tutto. Non ho idea se lei sia ancora viva ma, in ogni caso, lei l’avrà dimenticato da molti anni ormai.» puntò il suo unico occhio su quelli dorati di Gilbert «Per questo devi fare attenzione: l’amore può essere qualcosa di meraviglioso, ma non dura in eterno e quando te ne rendi conto è ormai troppo tardi. Quando si è innamorati, si comincia sempre con l’ingannare se stessi e si finisce sempre con l’ingannare gli altri. Questo è ciò che il mondo chiama una “storia d’amore”*.»

«Non capisco.»

«È naturale, per quanto voglia aiutarti, non potrai capirlo se non con l’esperienza. Una volta lessi da qualche parte che “la suprema felicità della vita è essere amati per quello che si è o, meglio, essere amati a dispetto di quello che si è”*.  Non rammento chi fosse, ma di certo era un pazzo. Anche se ami alla follia una persona e tenti di tutto per proteggerla dal dolore, non potrai mai difenderla da te stesso.»

Gilbert fissò con occhi sgranati l’altro e, proprio quando stava per porgerli la prima di una lunghissima serie di domande, Break tese le mani sulla ringhiera del balcone, quasi volesse stiracchiarsi, e si diede una piccola spinta all’indietro, in modo tale da poter compiere un’aggraziata, quanto esagerata piroetta.

«Bene.» aggiunse quando terminò di volteggiare «Ora è tempo per me di tornare dentro e tormentare un po’ la creaturina del Duca Ciuffetto.»

«Break...»

«Non pensare troppo a quanto ti ho detto: con la testolina vuota che ti ritrovi, andresti in tilt e poi...» fece una pausa ad effetto, per far sì che le sue parole riecheggiassero nel silenzio «Tanto sappiamo entrambi che rovinerai tutto con la tua goffaggine, onde per cui il problema non sussisterà più!»

Accompagnò le sue ultime frecciatine con un ghigno divertito e poi rientrò nel salotto, seguito dalle risate malefiche della sua bambola che gracchiava: «Goffo e inutile! Gilbert è goffo e inutile!»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Siamo giunti quasi alla fine! Ho scritto molto e ci sono ancora molte parole da leggere, eppure mi sembra di non aver detto nulla. Ho nella testa talmente tante idee da poterci scrivere un romanzo. Ma, tranquilli, cercherò di esporvele tutte, piano piano e senza fretta. Questa prima fanfic serve per preparare il terreno, è solo l’esordio del mio spettacolo. Nelle prossime, infatti, vorrei narrare eventi più seri e delicati, ma non so se ci riuscirò: colpa mia, non riesco a restare seria troppo a lungo. In questo capitolo ho introdotto una bambina e ho lasciato che Break narrasse un piccolo squarcio della sua vita passata. Tenete bene a mente queste cose, perché in futuro salteranno ancora fuori. Riguardo agli *, servono per indicare che le frasi sono tratte da due scrittori che adoro: la prima è del mitico Oscar Wilde, mentre la seconda di Victor Hugo. Se vi sono piaciute, vi consiglio di leggere gli “Aforismi” di Oscar Wilde, fanno sorridere e riflettere al tempo stesso.

Non mi resta che augurarvi ancora buona lettura! ^^

 

Moni =)

   
 
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