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Autore: moni93    04/02/2012    2 recensioni
“Allora, vorrà dire che ti sposo!”
“Cosa?!”
“Se ti sposo e abbiamo tanti figli, allora non sarai più solo, giusto?”
“Temo che ti dimenticherai presto di me, ma grazie.”
“No! Questa è una promessa! Il mio papà dice che bisogna sempre mantenere le promesse, perciò se lo dico, lo farò di certo!”
Cosa succede se una promessa, fatta quasi per gioco da bambini, viene mantenuta a distanza di anni?
Gilbert Nightray non si è mai preoccupato della sua vita sentimentale, ma da quando Mark, un servitore del duca Barma, si presenta al gruppo di Oz in qualità di informatore, il giovane dovrà iniziare a pensarci seriamente.
Se siete curiosi di scoprire l'identità della misteriosa ragazza che stregherà il cuore dell'impassibile Nightray e se volete leggere le disavventure amorose dei due giovani, questa storia fa per voi!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gilbert Nightray, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Barma's Chronicles'
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RETRACE IV – EVERY ENCOUNTER ENDS WITH A SEPARATION

 

Caldo.

Fa un caldo incredibile.

Eppure è strano: siamo quasi ad ottobre e il tempo dovrebbe essere più mite, invece sembra di essere in piena estate.

Ma io dove sono?

Mi dò un’occhiata intorno e noto due cose: un giardino rigoglioso e ben curato davanti a me e alle mie spalle il retro di un enorme villa.

Io sono seduto su di una gradinata e aspetto... cosa?

Ah, già! Break è uscito con la nipote della duchessa Cheryl, Sharon se non ricordo male, per una passeggiata. La domestica mi ha detto di attendere in salotto, però a me non andava e così sono uscito, anche se fa un caldo assurdo.

Dev’essere per questo che sono così spaesato.

Spero che Break non torni tanto presto, così me ne potrò stare tranquillo qui ancora per un po’ e non sarò costretto a tornare a villa Nightray.

Ora che ci penso, sebbene viva in quel luogo da quasi sei mesi ormai, non riesco ancora a chiamarla “casa”. Anche se lì c’è il mio fratellino.

Vincent... com’è possibile che non mi ricordi nulla nemmeno di lui?

Ogni volta che lo vedo non riesco a non provare paura, quasi come se lui sapesse qualcosa che io non voglio conoscere... ma cosa?

Ecco, questo caldo mi fa venire strani pensieri.

Quasi quasi adesso torno dentro. Sono sul punto di richiudermi la porta alle spalle, quando, a quel punto, penso una cosa assurda: ho come la netta sensazione che non dovrei alzare lo sguardo per l’ultima volta verso quei meravigliosi fiori che adornano il giardino. Sono certo che se mi voltassi e prendessi posto in uno di quei comodi sofà che si trovano nel salotto, tutto filerebbe liscio come al solito; aspetterei Break, lo informerei sulle ultime novità riguardanti i Nightray e me ne tornerei in quella villa che tanto mi angustia. Invece, per qualche ragione, guardo fuori e la vedo.   

Una bambina, comparsa chissà da dove, corre per il sentiero ghiaioso fiancheggiato da una schiera di roseti in fiore.

Distrattamente, penso che se continua così andrà a finire che s’inciamperà e ca...

Non ho nemmeno il tempo di terminare quel pensiero, che subito si avvera.

La bambina capitombola a terra e inizia a piangere, chiamando con voce acuta la mamma. Potrei chiudere la porta e fingere di non aver visto nulla. In fondo, nessuno deve essere a conoscenza della mia presenza qui e poi, sicuramente, arriverà qualcuno ad aiutarla. Ma nessuno si fa vivo.

Sospiro e mi precipito verso di lei; senza proferire parola, l’afferro sotto le ascelle e la sollevo da terra, mettendola nuovamente in piedi. Lei subito smette di strillare e mi osserva, incuriosita. Anch’io faccio lo stesso e mi accorgo che è molto graziosa. I capelli sono corvini e setosi , ma molto corti e tagliati in maniera irregolare, i lineamenti sono gentili, ma la cosa che più mi colpisce sono gli occhi: due pozze d’acqua limpide e cristalline. Non può avere più di nove-dieci anni e senza dubbio è una nobile, perché l’abito che indossa è di bella fattura. Nel mentre in cui penso tutto ciò, mi rendo conto di non aver ancora proferito parola, così decido di farlo, per non apparire maleducato.

«Tutto a posto? Non ti sei fatta male, vero?»

Lei continua ad osservarmi, senza dar segno di avermi udito e limitandosi a inclinare un po’ la testa. Probabilmente sta pensando che dovrei trattarla in modo più ossequioso, e a buon rendere. Oramai sono abituato a trattare i miei coetanei col dovuto rispetto al loro rango sociale, tuttavia non mi risulta altrettanto naturale farlo con una bimba così piccina. Mi ricorda molto la nobile Ada e probabilmente è per questo che la tratto con tanta confidenza.

«Bene, io allora vado...» dico, ma non riesco nemmeno a fare un passo, che la sua manina mi blocca, afferrandomi per una manica della giacca.

«Tu chi sei?» mi chiede con voce acuta.

«Mi chiamo Gilbert...» mi blocco appena in tempo.

Cavoli, mi ero appena ripetuto che nessuno deve venire a conoscenza delle mie visite a villa Rainsworth ed ecco che mi metto a rivelare tranquillamente la mia identità alla prima ragazzina che passa!

«Giochiamo insieme, Gil?»

«Non so se...»

«Ti preeego!» oltre alla voce, anche i suoi occhi sembrano supplicarmi.

Maledizione, perché devo essere così facilmente condizionabile?

«D’accordo, però devi promettere di non dire a nessuno che mi hai visto, intesi?»

«Promesso!» la sua voce allegra mi tranquillizza, anche se ben poco.

Insomma, quanto può valere la promessa di una bambina?

In ogni caso, ora mi ritrovo a correre da quasi mezz’ora, mentre quella misteriosa ragazzina mi rincorre ridendo come non mai. So bene che non dovrei farlo, eppure anch’io sorrido divertito. Mi sembrano trascorsi anni dall’ultima volta che ho giocato insieme al padroncino Oz e alla sua sorellina Ada.

Tutt’a un tratto, il suolo si fa sempre più vicino, finché non lo raggiungo con un tonfo. Ho a mala pena il tempo per rendermi conto di essere finito gambe all’aria, che qualcosa, o meglio qualcuno, si getta su di me.

«Preso!» squittisce lei sorniona.

«Brava, hai vinto. Ora, ti dispiace alzarti?» gemo, incapace di muovermi.

Lei obbedisce e si sdraia accanto a me, puntando lo sguardo all’immenso blu che ci sovrasta. Dò un occhiata anch’io, ma a parte qualche nuvola non noto nulla di interessante. Chissà cosa ci troverà lei di così interessante... ora che la guardo bene, mi viene l’assurdo pensiero che i suoi occhi siano diventati blu come il cielo a furia di guardarlo. Scuoto la testa e mi decido a parlare.

«Posso farti una domanda?»

Lei annuisce, continuando ad osservare la volta celeste. Avrei mille domande da porle, ma decido di andare per ordine di curiosità, più che per importanza.

«Che hai fatto ai capelli?»

«Ho mantenuto la promessa.» dice semplicemente.

«Come?»

«Fino a stamattina avevo i capelli lunghi fino qua.» mi indica la sua vita «Ma papà mi ha fatto arrabbiare. Aveva promesso che oggi avrebbe giocato con me, invece mi ha portato qui dalla nonnina, perché doveva lavorare. Io l’avevo avvertito. Avevo detto: “Papà, se non mantieni la promessa, mi taglio i capelli.” Lui non mi ha creduto e mi ha ugualmente portata qua e, quindi, non appena ho visto un paio di forbici ho fatto zac zac. Papà si è arrabbiato tanto.»

Io mi limito ad osservarla allibito: non sarà mica un’altra maniaca delle forbici, vero? Perché Vincent mi basta e avanza.

«Ma, perché tra tutte le cose da fare, hai deciso di tagliarti i capelli?»

«Perché a papà piacevano tanto. Dice sempre che così assomiglio di più alla mamma. Un po’ dispiace anche a me, però è colpa sua, no?» finalmente si decide a fissarmi.

«Beh, in effetti se aveva promesso...» lei sorride soddisfatta «Però non avresti dovuto arrivare a tanto.» la rimprovero.

Le sue labbra si abbassano e mi guarda turbata.

«Dici che papà mi odia, adesso?»

«No, certo che no!» esclamo subito con convinzione ­«Anche se hai fatto una sciocchezza e si è arrabbiato tanto, sono certo che lui ti vuole bene lo stesso!»

«Sì, è quello che mi diceva sempre anche la mamma.»

«Diceva?»

«Sì, è morta tre anni, cinque mesi e tredici giorni fa. Ho tenuto il conto.» ammette con una smorfia, quasi si vergognasse ad ammetterlo «Però ogni tanto, quando ho tanta paura, la chiamo ancora e l’aspetto. Anche se non è mai più venuta.»

«Mi dispiace.»

Ed è vero, mi fa star male sapere che questa bambina sia così sola, forse perché mi ricorda il mio amato padroncino.

«Non devi, all’inizio ho pianto tanto, ma adesso va un po’ meglio: il mio papà gioca spesso con me e, quando è troppo impegnato, mi fa compagnia Reim oppure la nonnina.»

«Quando dici nonnina, intendi...» non può riferirsi alla signora Cheryl, o sì?

«La vecchia signora che vive qui.»

«È maleducato dire vecchia, dovresti dire anziana.»

«Ok, la vecchia anziana che vive qui.»

Vorrei restare serio, ma non riesco a trattenere una risata: è proprio buffa.

«Tu abiti qui?» mi chiede con aria speranzosa.

«Veramente, no.»

«E allora che ci fai qua?»

«Facevo visita ad un amico.»

Vero, in parte. Definire Break un amico mi sembra improprio, infatti.

«E la tua mamma dov’è?»

«Io non ce l’ho la mamma e nemmeno il papà... ad essere sincero, non ricordo nulla del mio passato.»

Non dovrei dirle così tanto, lo so bene, ma che male c’è? Di certo non ci rincontreremo mai più, perciò che differenza può fare?

«Sei triste?»

«Io non sono triste.»

Mi manca appena di ammettere che sono triste e solo. Ad una bambina, poi.

«Hai paura?» insiste lei.

«E di cosa?»

«Di restare solo.»

Per un attimo la osservo sgranando gli occhi stupito: come diavolo ha fatto a capirlo?

Passato il primo attimo di sgomento, sorrido mestamente e decido di risponderle sinceramente, non mi va di mentirle.

«...Forse. Sai, ho perso una persona a me molto cara, ma intendo riprendermela. Prima, però, devo diventare più forte.»

«Stai tranquillo, adesso ci sono io.» dice lei, stringendomi la mano, come se in questo modo le mie paure potessero svanire nella dolcezza del suo gesto.

«Sei gentile, ma una volta che te ne sarai andata, sarò punto e a capo.»

«Allora, vorrà dire che ti sposo!»

Il viso mi va in fiamme.

Che ha detto? Ma è matta?

«Cosa?!» esclamo.

«Se ti sposo e abbiamo tanti figli, allora non sarai più solo, giusto?» nel pronunciare quelle parole si rizza in piedi e mi porge la mano per aiutarmi ad alzarmi.

«Temo che ti dimenticherai presto di me, ma grazie.» le rispondo in tono calmo e afferrando la sua manina.

È vero, come potrebbe andare diversamente?

Questo incontro è stato un caso. Certo, è stato divertente, ma si tratta solo di un’illusione: il nostro cammino era destinato fin da subito a dividerci presto.

«No! Questa è una promessa! Il mio papà dice che bisogna sempre mantenere le promesse, perciò se lo dico, lo farò di certo!»

Mi fissa con aria talmente seria, che sento di doverle credere. Il perché non lo so, ma so che è la cosa giusta da fare.

«Va bene, in questo caso, ti aspetterò.»

«Promesso?»

«Promesso.» rispondo senza indugi.

«Allora, è deciso: facciamo giurin giurello!»

«Cosa?»

Non mi permette di protestare: mi prende la mano e intreccia il proprio mignolo con il mio.   

«Prometto solennemente che tra dieci anni, quando sarò più grande, tornerò da te!»

A quel punto mi fissa speranzosa, ma dato che non proferisco parola, mi suggerisce cosa dire e così eseguo.

«Prometto solennemente di aspettarti fino ad allora e di chiederti in sposa.»

«E prometto!» trilla lei «Che ti dirò di sì!»

A quel punto conta fino a tre e in coro concludiamo la filastrocca.

«Promessa, promessa, da cuore mi vieni

 e nella mia testa io sento che tremi

 dammi il ditino , stringilo forte

 il nostro patto è eterno come la morte!»

Non succede nulla, eppure mi sento strano e felice al medesimo tempo.

«Signorina!»

Chi urla?

«Signorina, dov’è? La prego, mi risponda, signorina!»

Ah, ora la riconosco: è la voce della domestica che mi ha fatto accomodare in salotto.

«Mi cercano, ho paura che devo andare.» mi dice la bambina, correndo via, in direzione della voce.

«Aspetta!» le urlo «Non mi hai ancora detto come ti chiami!»

Che importanza ha? Spero forse di rivederla davvero tra dieci anni?

No, il problema non è che ci spero: io ci credo fermamente, per qualche assurdo motivo.

Lei si ferma e si volta per sorridermi un’ultima volta.

«Sophie! Il mio nome è Sophie!»

Poi corre via e sparisce, così com’era comparsa. Come un sogno.

 

Gilbert Nightray si svegliò in quel mentre. Si mise seduto ed osservò fuori dalla finestra: il buio cospargeva ancora il cielo come un mantello. Il ragazzo cercò a tentoni sul comodino il suo orologio da taschino e l’aprì sotto un flebile raggio lunare.

Le tre e un quarto di notte.

Gilbert si lasciò cadere nuovamente sul materasso. Quel sogno che aveva fatto giorni addietro non era affatto un sogno. Era un ricordo.

Ancora cinque ore.

Doveva come minimo attendere altre cinque lunghe, interminabili ore, prima di poter vedere Sophie. Non poteva certo presentarsi da lei alle tre e un quarto del mattino! Eppure, adesso che si era rimembrato di quel lontano ricordo, non riusciva più a pensare ad altro.                               

Per un tempo che a lui parve infinito, pensò che non sarebbe mai più riuscito a chiudere occhio, a causa di tutta l’adrenalina che gli circolava in corpo. Dopo un quarto d’ora, però, sognava già profondamente.

 

«A Lutwidge?!» esclamò Gilbert.

Da quando il giovane si era definitivamente svegliato alle otto e mezza del mattino, aveva cercato di comportarsi normalmente, sebbene dentro di sé si agitasse un turbinio di emozioni. Si era persino sforzato di fare compagnia a Reim durante la colazione, anche se ad un tratto si sentì costretto a chiedere informazioni riguardanti Sophie. Aveva tentato di apparire il più neutrale e distaccato possibile, quasi come se stesse domandando che tempo ci fosse fuori, ma non appena l’amico gli rivelò che la ragazza si trovava alla scuola privata che frequentavano anche Ada ed Elliot, non riuscì a trattenere un’esclamazione di sorpresa.

Reim strabuzzò gli occhietti color terra e confermò quanto appena detto.

«Sì, si trova a Lutwidge, perché ti stupisci tanto?»

Gilbert diede qualche colpetto di tosse e tentò di riassumere un minimo di contegno.

«No, è che non credevo che sarebbe tornata così presto a scuola.»

«Beh, effettivamente lei avrebbe voluto rimare qui ancora un po’, ma vedi il duca non è stato del medesimo avviso.»

«Tiro a indovinare: è una specie di punizione?»

«Per essere uscita senza il suo consenso e per avermi aiutato nel lavoro.» confermò mestamente Reim «In effetti, mi sento un po’ in colpa...»

«Non dovresti. Tu sai meglio di me che quando Sophie decide di fare una cosa nessuno la può fermare.»

«Hai ragione. Parli quasi come se la conoscessi da una vita.»

Gilbert non aveva idea di cosa ribattere, ma fortunatamente per lui Reim continuò a parlare, senza accorgersi del suo imbarazzo.

«Però mi dispiace comunque. Sai, era così felice di poter passare un po’ di tempo qui con t...» s’interruppe, mettendosi una mano sulla bocca, quasi come se volesse ricacciarsi dentro quanto appena detto «No, cioè... insomma... con tutti voi... sì! Era così felice di poter passare un po’ di tempo con tutti voi! Vi trova talmente simpatici!» esclamò in tono acuto il ragazzo, sperando che Gilbert gli credesse.

Fortuna volle che il Nightray fosse un grandissimo ingenuo, quasi al pari del suo interlocutore.

«Certo, capisco. Scusami Reim, ma adesso devo andare.»

«Andare? E dove?» chiese l’amico.

«Nell’ultimo luogo al mondo in cui vorrei rimettere piede.» si limitò a rispondere l’altro, sospirando e maledicendo quel dannato duca e la sua puntualità nel prendere decisioni.

 

«La prego, mi rispieghi perché si trova qui anche lei.»

«Te l’ho già detto, Gil-kun: ti accompagno.»

Gilbert era in viaggio da circa una decina di minuti e, suo malgrado, non era solo in quella carrozza. Oscar Vessalius era seduto di fronte a lui e sfoggiava uno dei suo soliti sorrisi tutto denti.

«E perché mai?» chiese Gilbert, enormemente a disagio.

«Semplice: da solo non ce la faresti mai a raggiungere la tua bella e poi non voglio perdermi per nulla al mondo la tua prima dichiarazione d’amore!»

«Io non sto affatto andando a dichiararmi!» gridò Gilbert.

«Però c’è di mezzo una ragazza, nooo?»

Il ragazzo si rifiutò di rispondere e si limitò a voltare il capo in direzione del finestrino. Mossa sbagliata.

«Ah-ah! C’avrei giurato! Ho fatto bene a spiarti stamane!» disse l’altro orgoglioso.

«Lei mi ha spiato?!» chiese indignato il moro.

«Oh, detta così sembra una cosa brutta e meschina. È più corretto affermare che mi sono voluto assicurare di una voce che girava.» rispose vago.

«Che tipo di voce?»

«Un uccellino con un occhio solo mi ha detto che ieri hai avuto un appuntamento segreto con una fanciulla moolto giovane e moolto graziosa.» fece l’altro, riservando una maggiore enfasi alle vocali.

«Break ha fatto cosa?!» urlò, mentre mentalmente pensò ‘Ecco cosa succede a confidarsi con lui! Altro che figura paterna, è un demonio! Già me lo immagino: starà sghignazzando come un matto qual è! Giuro che quando torno lo ammazzo!’

«Ah, non neghi? Incredibile, allora è vero! Fino all’ultimo non ho voluto crederci!»

Gilbert si diede una manata in fronte: si era scavato la fossa da solo come un idiota. Di nuovo.

«Complimenti, Gilbert! Eh, oramai sei un uomo! Ma dimmi, dimmi.» proruppe Oscar, occupando il posto vicino al ragazzo e circondandogli il collo con un braccio «Confidati con il tuo caro zietto: com’è? Bella?»

Il Nightray assunse una tonalità bordeaux e iniziò a balbettare frasi sconnesse.

Quel breve viaggio si preannunciava più lungo del previsto.

 

Non appena la carrozza s’arrestò, Gilbert si precipitò fuori, non vedendo l’ora di allontanarsi dall’insostenibile curiosità di zio Oscar.

«Ehi, Gil! Hai così tanta fretta di stringere tra le tue braccia la pulzella?» nel pronunciare tali parole, Oscar era già sceso dal mezzo di trasporto e aveva dato una pesante manata alla schiena del giovane. Quest’ultimo, dopo essersi massaggiato con cura il dorso, osservò stizzito l’uomo.

«Non la voglio abbracciare!»

Oscar rimase per un attimo basito, poi diede un’altra pacca sulla povera schiena già dolorante del ragazzo.

«Oh-oh! Gilbert, quale audacia! Vuoi già fare un passo così importante? Voglio proprio vedere quanto tempo ci impiegherai a convincerla!»

Il Nightray non ebbe nemmeno il tempo per arrossire, che qualcuno li apostrofò da dentro il cancello della scuola.

«Chi siete? E che vole...» non appena scorse Oscar, il giovane (che non doveva avere più di una trentina d’anni) sospirò «Ancora lei, signor Vessalius? Non vorrà entrare di nascosto a Lutwidge… non un’altra volta!»

Oscar mise un braccio intorno al collo di Gilbert e lo trascinò di fronte al cancello, ridendo come un pazzo.

«Ah, ah! No, no Stephen! Oggi non sono qui di mia iniziativa. Questo giovane deve esporre una questione della massima importanza ad una delle allieve, possiamo entrare?»

Il ragazzo osservò perplesso prima Gilbert e poi nuovamente Oscar.

«Ma, mi perdoni, se è lui che deve vedere la ragazza, lei che c’entra?»

Silenzio.

«Gliel’avevo detto che era meglio se restava a casa.» mormorò Gilbert.

«Stephen, ma è ovvio!» rispose Oscar, dopo un’attenta riflessione «Gilbert è come un figlio per me, perciò è naturale che voglia essergli accanto nei momenti più importanti della sua vita!»

Stephen lanciò un’ultima occhiata interrogativa al Nightray e, notando la sua espressione stravolta ed esasperata, decise di aiutarlo.

«D’accordo, puoi entrare.» fece cordiale a Gilbert, aprendo il cancello e lasciandolo entrare, ma fermando Oscar che si stava precipitando all’interno «Lei no.»

«E perché mai?»

«Punto numero uno: se scoprono che l’ho fatta accedere all’interno della scuola, mi licenziano. Punto due: non la sopporto.»

«Ma, ma....» protestò un’ultima volta Oscar.

«Punto tre: perché no. Buona giornata!» esclamò Stephen, chiudendo a chiave il portone.

Mentre i due ragazzi si allontanavano, Gilbert osservò il signor Vessalius sbraitare come un bambino a cui è stato tolto il proprio giocattolo favorito.

«Sicuro che vada bene così?»

«Certo, anzi le conviene muoversi: quello svita... ehm... quel signore ci impiegherà meno di dieci minuti a scovare un nuovo passaggio segreto non sorvegliato. Allora, chi deve vedere?»

Gilbert rimase interdetto.

Dannazione, aveva fatto tutto così in fretta e furia che si era scordato di fare la cosa più importante: chiedere a Reim il nome con cui Sophie è conosciuta a Lutwidge. Mentre si spremeva disperatamente le meningi per trovare una soluzione all’inghippo, Stephen lo apostrofò.

«Viene qua e non sa nemmeno il nome della ragazza? Ma che intenzioni ha, veramente?»

Cavoli, ora sì che era nei guai.

A meno che...

Un raggio di sole illuminò il suo viso, proprio quando ricevette un’intuizione geniale.

«Ada!» urlò felice «Ada Vessalius, dove la posso trovare?»

 

Dopo pochi minuti di ricerche, Gilbert si ritrovò di fronte all’ingresso dell’enorme biblioteca della scuola. Mentre attendeva che Stephen si assicurasse della presenza di Ada, il Nightray si guardò intorno con aria parecchio preoccupata.

«Eccola lì.» l’esclamazione di Stephen fece trasalire l’altro «La vede? È seduta nel terzo banco sulla sinistra.»

Gilbert avrebbe voluto sporgere la testa ed osservare di persona, ma preferì restare immobile e porre un’altra domanda.

«E mi dica, per caso c’è anche Elliot Nightray? Un ragazzo moro più o meno della sua età?»

Stephen non comprese il motivo della domanda, ma decise di accontentarlo e di controllare.

«No, la signorina Vessalius è praticamente sola. Ci sono solo un paio di ragazze e un giovane dell’ultimo anno. Lo si capisce perché indossa una fascia nera con l’emblema della scuola sul braccio destro.» si affrettò a precisare.

Sollevato dall’idea di non doversi scontrare con il suo fratellastro (quantomeno per il momento), Gilbert ringraziò Stephen e s’avvicinò alla ragazza, intenta  a leggere un pesante librone.

«Ciao, Ada.» la salutò gentilmente.

Quella, senza attendere un solo secondo, si voltò verso la fonte del suono e, dopo un primo attimo di stupore, regalò al giovane uno dei suoi migliori sorrisi.

«Gil-kun, ma che bella sorpresa! Che ci fai qua? Tutto bene?»

«Sì, grazie. Anche tu mi sembri in ottima forma.»

«Certo, qui obbligano gli studenti a fare ginnastica due volte alla settimana, non lo sapevi?»

«Dev’essere dura.» Gilbert si ricordò che Ada non era mai stata portata per l’attività fisica.

«Oh, all’inizio sì, ma da due anni la senpai-Mary mi aiuta sempre. Una volta che hai imparato, non è poi così male.»

«Senpai-Mary?»

«Oh, giusto, tu non la conosci! È una ragazza che frequenta l’ultimo anno qui. Inizialmente credevo che fosse altezzosa e introversa, sai giravano brutte voci sul suo conto, anzi, ad essere del tutto sinceri girano tutt’ora, però sono false. Giusto due anni fa, infatti, mi ha visto in difficoltà mentre tentavo di allenarmi da sola e lei, senza che le chiedessi nulla, si è fermata con me per più di un’ora, finché non ho eseguito correttamente l’esercizio. Da allora mi aiuta sempre, anche adesso mi sta aiutando con i compiti di letteratura straniera.»

«Ma io non la vedo.» fece Gilbert, osservando in giro, in cerca della chioma corvina di Sophie.

«Vero, se n’è andata poco fa perché si era dimenticata in classe il libro. Ma dovrebbe tornare a momenti... oh! Eccola là! Mary-senpai!»

Gilbert si voltò verso l’ingresso e vi trovò Sophie, con la schiena poggiata sullo stipite, che li osservava con uno strano sguardo... com’è che il ragazzo provò istintivamente un moto di paura? Ada, invece, sembrò non accorgersene.

«Mary-senpai, eri lì da molto?»

«No, solo da qualche minuto, non ho voluto interrompere la vostra rimpatriata.»

Anche il tono di voce non faceva presagire nulla di buono.

«Oh, non dovevi farti riguardo.» fece la bionda avvicinandosi «Questo è Gilbert, un mio caro amico d’infanzia. Sai quel ragazzo a cui avevo regalato un cappello? Ecco, era lui!»

Sophie lanciò un’occhiata di fuoco al giovane, con i suoi occhi blu scuro.

«Davvero? Ti ha regalato un cappello?»

Ahia.

«Sì.» rispose allegra Ada.

«Per caso proprio quello che indossa sempre e che, guarda caso, porta anche adesso?»

Doppio ahia.

«Sì.» rispose nuovamente la bionda, confermando la condanna a morte del ragazzo.

‘No, un momento, ma che vado a pensare? Perché mai Sophie dovrebbe prendersela per così poco?’

Evidentemente Gilbert non aveva idea di quanto si sbagliasse, se s’illudeva di ciò. Né tantomeno conosceva il cuore di una donna.

«Bene, in tal caso, vi lascio soli. Divertitevi.» quell’ultima parola suonava più come un augurio a perire di una morte orribile e, naturalmente, ciò era indirizzato unicamente a Gilbert.

Detto ciò, Sophie si voltò e se ne andò con passo deciso, lasciando i due di sasso.

«Ho detto qualcosa che non va?» chiese incredula Ada.

 

«Gil-kun, guarda là! Chiediamo a Elliot e Leo se hanno visto Mary.»

Sebbene Gilbert non avesse alcuna intenzione di rivedere il fratello, non protestò. Oramai stava cercando Sophie insieme ad Ada da quasi mezz’ora e senza successo.

«Elliot, Leo, scusatemi per caso avete visto...»

«Ada Vessalius! Quante volte devo dirti di non chiamarmi con tanto confidenza! E... TU CHE CI FAI DI NUOVO QUI?!»

Ecco, questo era esattamente ciò che Gilbert avrebbe voluto evitare come la peste.

«Elliot, non urlare e non rivolgerti così ad una signora ed a tuo fratello maggiore.»

Leo, che non aveva nemmeno alzato la testa dal libro che stava leggendo, non mancò di riprendere come al solito il suo padrone.

«Ma loro...!»

«Perdonatelo, Ada-san, che cosa volevate sapere?» chiese cordiale il servitore, staccando finalmente gli occhi dal tomo.

«Per caso avete visto la senpai Mary?»

Nel proferire quel nome Elliot impallidì.

«Oh sì, proprio meno di mezz’ora fa.» rispose Leo, dato che l’altro si rifiutava di parlare «Elliot ha avuto un incontro ravvicinato con lei, poverino.»

«Perché poverino?» chiese Gilbert.

«Quella pazza....» si decise a dire il giovane Nightray «L’ho incrociata per sbaglio prima ed ho avuto la malsana idea di salutarla. A tal proposito, che le hai fatto?»

«Io?» chiese Gilbert.

«Sì, TU! Io l’ho salutata e in risposta quella mi ha fulminato con lo sguardo aggiungendo “Per oggi mi è bastato e avanzato un Nightray. Anzi, se vedi quell’idiota di tuo fratello digli che è un IDIOTA!”. Aveva gli occhi infuocati, ho creduto di morire.»

«Confermo. A confronto Lotti era una dolce e tenera fanciulla indifesa.»

«Chi è Lotti?» chiese a quel punto Ada, curiosa.

«Nessuno.» risposero in coro i tre ragazzi.

«Fossi in lei andrei a chiederle scusa.» suggerì gentilmente Leo a Gilbert.

«Fossi in te andrei a rinchiuderla in una gabbia per tigri.» proruppe il fratello.

«Dì la verità, sei ancora adirato per quella secchiata d’acqua gelida, vero?» chiese con un ghigno Leo.

«Certo che sono ancora adirato! Anzi, non vedo l’ora di restituirgliela con gli interessi!»

«Va bene, ho capito.» fece il servo, prendendo a braccetto il padrone «Per oggi basta disquisire sui piani di vendetta. È ora di andare a lezione.»

Elliot protestò inutilmente un altro po’ e poi si lasciò trascinare.

«Ah, la signorina Mary è nell’aula di musica. Di solito quando è infuriata va lì a scaricare la tensione.» aggiunse il giovane occhialuto, prima di sparire insieme al compagno dietro una porta.

 

Ed eccolo lì, abbandonato di fronte alla porta socchiusa dell’aula di musica. Ada, infatti, aveva preferito lasciarlo solo, pensando che lei sarebbe stata di troppo. Peccato che Gilbert non trovava il coraggio di spalancare la porta. Dall’interno proveniva una dolce melodia, segno evidente che Sophie si stava calmando o, quantomeno, ci stava provando. Infatti, se il ragazzo avesse potuto udire i suoi pensieri, non si sarebbe stupito di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto.

‘Quello scemo!’ pensava lei ‘Viene qui e si mette a conversare placidamente con quell’oca di Ada! No, dai, così esagero. Ada non è un’oca, però è dannatamente bella. E gentile, e ben educata, e ha un seno enorme e... dannazione, è tutto l’esatto opposto di me! Gli ha pure regalato un cappello, quel cappello odioso che indossa sempre! Perché poi? Che ha di così speciale? Lo tiene perché così pensa a lei? Non è che le piace?’

A quel punto, un dito di Sophie scivolò su di un tasto sbagliato, stonando lievemente la placida melodia. Seguì un brevissimo attimo di silenzio.

‘STUPIDO! STUPIDO! STUPIDOOOO!!!’ gridò mentalmente, mentre con le mani picchiava violentemente le note del piano.

«Wow, che concerto innovativo! Ecco perché non ti fanno mai suonare, dovrebbero cambiare il piano ogni volta, altrimenti.»

Quella voce odiosa Sophie la conosceva fin troppo bene.

Gideon, il suo miglior amico, la fissava con aria sognante e con un sorriso gentile. Sophie era sempre tentata di ammazzarlo quando faceva così, perché se c’era una cosa che non sopportava era di avere un tipo allegro nei dintorni, quando lei era di pessimo umore.

«Toh guarda! Uno scarafaggio si è arrampicato fin quassù!» fece ironica Sophie.

«Punto uno, non sono uno scarafaggio. Punto due, non mi sono arrampicato, ma sono fuggito dalla finestra dell’aula a fianco. Punto tre: anch’io sono felice di vederti, Maga Magò!»

A questo punto, dopo che Sophie prendeva in giro Gideon per la sua pettinatura disordinata, che raggiungeva l’apoteosi nei due ciuffetti sempre ritti che ricordavano per l’appunto due antenne, e dopo che il ragazzo a sua volta aveva apostrofato Sophie con il suo nomignolo “Maga Magò”, iniziava la gara di insulti.

«Clown.»

«Acida.»

«Idiota.»

«Furetto.»

«Folletto pestifero.»

«Depressa.»

«Girasole.»

«Eh, no! Avevamo detto che non mi chiamavi più così! È imbarazzante!» protestò il giovane, issandosi dalla finestra e penetrando nella stanza.

«Nessuno ti ha dato il permesso di entrare.» rispose lei incurante del commento e soddisfatta di aver vinto.

«Non è mica camera tua.»

«D’accordo, allora me ne vado io.» detto ciò si alzò e fece per andarsene.

Gideon, in tutta risposta, si sedette al piano e iniziò a suonare e cantare.

«Oh, Mary! Sei un povero furetto depresso e spacchi i pianoforti perché sei in astinenza dal...»

«Gideon!» lo riprese Sophie.

«Da quella parola che finisce per “esso”!»

«Ecco, non andare oltre...»

«E inizia per “s”! Quindi sess...! Oh!»

Una scarpa lo colpì in piena faccia.

«Ma come? Finalmente ti sei decisa a concederti, e proprio qui? Ti spogli per me?»

«Gideon, se non la pianti t’ammazzo!»

Sophie lo fissò con aria furiosa e lui si coprì il viso con la scarpa.

«Oh, no! Ti prego Mary, non ucciderci tutti! Risparmia almeno le persone caste e pure!»

«Lo sai che così ti condanni a morte da solo, vero?»

«Sì, ma a tempo che trovi un verginello, io me la sarò già svignata.»

«E se iniziassi ad ammazzare quelli impuri?»

«Che razza di cattiva saresti? Non la conosci la procedura? Primi vaneggi e ridi come una pazza per mezz’ora e poi ti metti a cercare il protagonista, che nel frattempo ha avuto tutto il tempo per scappare.»

«Mi stai dando della pazza omicida?» chiese Sophie incollerita.

«Sì, ma molto sexy!»

A quel punto la ragazza non ce la fece a resistere un secondo di più. Scoppiò a ridere senza preoccuparsi di frenarsi, seguita a ruota libera da Gideon.

«Ti odio!» riuscì a dire dopo essersi un po’ calmata «Lo sai che detesto ridere quando sono arrabbiata, mi dà i nervi!»

«Preferivi tenere il broncio?»

«No. In effetti, è meglio così. Però uffi a te.»

Gideon era incredibile, era l’unica persona che riuscisse a farla tornare di buon umore, senza eccessivi danni fisici. Sophie si concesse qualche minuto per ammirarlo, mentre lui armeggiava distrattamente con il piano. I capelli erano color del grano maturo e creavano uno splendido contrasto con la pelle scura come la corteccia degli alberi. Per questo Sophie lo chiamava Girasole o, almeno, lo apostrofava così quando voleva metterlo in imbarazzo. Gli occhi erano senza dubbio la parte che prediligeva del suo corpo: erano talmente chiari da sembrare quasi bianchi. A molti ragazzi faceva paura a causa del suo aspetto, ma Sophie sapeva bene che, nonostante l’aria stramba e da duro, nascondeva un cuore d’oro. Gideon era infatti buono come il pane e si preoccupava molto per i suoi amici e dato che all’interno di Lutwidge Sophie era l’unica persona che gli rivolgesse la parola, era scontato che il biondo si impegnasse al massimo affinché la ragazza fosse sempre allegra e serena.

«Dunque, che succede? Hai litigato con il tuo ragazzo?»

«Dunque, che succede? Non ce la fai a farti i fatti tuoi?»

«Bersaglio centrato e affondato!» urlò allegramente Gideon, che ora osservava Sophie con aria curiosa.

La ragazza, infatti, sembrava intenta a cercare qualcosa.

«Che cerchi? La tua pazienza perduta?»

«No, un oggetto contundente con cui colpirti. Perché non si trova mai niente quando lo si cerca?»

«Secondo una mia ipotesi, c’è un folletto malefico che nasconde le cose quando qualcuno le cerca e poi, quando la persona si è stancata, te le fa trovare sotto al naso.»

«Il folletto malefico sei tu, fino a prova contraria.»

«Chiedo perdono, Maga Magò.»

«Mary, mi chiamo Mary! Smettila di usare quel nomignolo fastidioso!»

«Credevo che ti piacesse.»

«Io ti chiamo col tuo nome, mi pare.»

«Solo perché, a detta tua, è più che azzeccato per descrivermi. Anche se non ne ho ancora compreso il motivo.»

«Semplice: Gideon è un nome di origine biblica e significa “colui che colpisce, offende, rompe”.»

«E quindi?» chiese confuso il ragazzo.

«Colui che ROMPE la mia già scarsa pazienza.» rispose con un ghigno la fanciulla.

«Oh, capisco! Perciò, Mary significa “furetto petulante e insopportabile, che non chiude mai la sua boccuccia seducente”... ehi, dove te ne vai?»

«Il più lontano possibile da te.»

«Ciao, depressa!» le urlò, prima che lei sparisse per una porticina secondaria.

Gilbert, infatti, si trovava ancora nascosto dietro alla porta principale, ma nessuno pareva essersi accorto della sua presenza.

«Fossi in te, andrei nel giardino sul retro e darei un’occhiata all’albero di pesco. Non puoi sbagliarti, è quello enorme vicino alla siepe.» la voce di Gideon si perse nel silenzio più assoluto.

Gilbert rimase di sasso e per qualche istante non seppe che fare. Doveva entrare e presentarsi? Doveva ringraziarlo?

Per qualche motivo, decise di limitarsi a girare i tacchi e a cercare Sophie.

«Di niente, neh.» fece ad alta voce il biondo, osservando lo spartito e iniziando a suonare l’imponente strumento con aria svogliata.

 

Gilbert non impiegò molto tempo per trovare il luogo indicatogli da Gideon. All’antipodo dell’entrata principale della scuola c’era uno splendido giardino ben curato, dove gli studenti usavano incontrarsi per riposarsi dopo le lunghe e tediose ore di lezione. Inizialmente il Nightray credette che Gideon si fosse burlato di lui come aveva fatto prima con Sophie, poiché non riusciva a vedere alcun albero di pesco. Dietro ad un’alta siepe, però, notò la chioma di un albero in fiore.

Che fosse quello?

Gilbert s’avvicinò alla siepe e, dopo averla esaminata con cura, notò un piccolo passaggio che portava dall’altra parte.

Fu così che si ritrovò in un’altra sezione del giardino, molto più rigogliosa e silenziosa. All’apparenza, infatti, sembrava che non vi fosse anima viva. Evidentemente, doveva essere una zona riservata ai professori e al personale della scuola, però il ragazzo udì qualcuno cantare una melodia a lui nota: era la stessa che Sophie aveva intonato per la piccola Anita. Ed eccola lì la fanciulla, appostata sopra ad un alto ramo della pianta.

Per un istante Gilbert rimase senza fiato: Sophie sembrava uno spirito dei fiori, che solitamente popolavano i boschi delle fiabe. Tuttavia, l’incanto si ruppe presto, esattamente quando la ragazza si rese conto della presenza di Gilbert.

«E tu che ci fai qua?» chiese sgraziatamente e senza il minimo tatto «Questa zona è vietata ai non addetti ai servizi della scuola.»

«Potrei chiedere la stessa cosa a te. Anche tu non dovresti trovarti qui, sai?»

Sophie parve accorgersi solo allora del suo errore, ma non abbandonò il tono polemico. Non aveva alcuna intenzione di darla vinta al ragazzo, né di farsi cogliere in fallo.

«In ogni caso, che vuoi? Fino a poc’anzi, non eri troppo impegnato a tubare con quella giuliva di Ada?»

«Io e Ada non stavamo facendo nulla di male e non parlare male di lei.»

Sophie fu felice di sentire che Gilbert non ci stava provando con Ada, ma le diede altresì fastidio constatare con quanta energia difendesse la matricola.

«Non ho nulla contro di lei, ma trovo sciocco regalare un cappello ad un’idiota egocentrico come te.»

«Come ti permetti? E scendi giù a parlarmi.»

«Non ho alcuna intenzione di scendere.»

«Non puoi rimanere lassù in eterno.»

«Ah, no? Vogliamo scommettere?»

«Benissimo!» disse esasperato il ragazzo, sedendosi a gambe incrociate ai piedi dell’enorme albero «In tal caso io resterò seduto qui, finché non scenderai.»

«Non puoi restare lì per sempre.»

«Vogliamo scommettere?» disse in tono di sfida Gilbert, con un sorriso tirato e carico di stizza.

«Bene, allora tu rimani pure lì, non m’importa, basta che te ne stai zitto.»

«Starò zitto quando anche tu starai zitta.»

«Bene.»

«Benissimo.» aggiunse Gilbert, per non lasciare la soddisfazione alla ragazza di avere l’ultima parola.

«Fantastico.» aggiunse Sophie, per il medesimo motivo.

«Ottimo.»

Calò il silenzio, almeno tra di loro, perché il mondo circostante, invece, continuò la sua normale sinfonia: gli uccelli cinguettarono senza sosta, mentre in sottofondo si udirono le voci degli studenti.

«Bella giornata, eh?» disse ad un tratto Sophie, già stufa di quella situazione.

«Hai già rotto il voto di silenzio?» chiese stupito Gilbert.

«Non parlo certo con te, ma con il pettirosso poggiato sul ramo.»

Gilbert voltò la testa e notò che, effettivamente, c’era un uccellino su quell’albero.

«Buona conversazione, allora.» fece offeso il ragazzo, ruotando nuovamente il capo verso la siepe.

«Visto come sono belli i peschi in fiore? Sono i miei fiori preferiti in assoluto!» continuò Sophie, come se stesse conversando con un vecchio amico «Posso chiederle un favore, signor uccellino? Potrebbe chiedere al ragazzo seduto qui sotto che ci è venuto a fare a Lutwidge?»

Gilbert decise di stare al gioco.

«Volevo vedere la pazza che ti rivolge la parola.»

«Guarda che anche tu stai conversando con un pennuto.»

«Per forza, almeno adesso mi stai a sentire.»

Sophie rimase zitta, poiché, in fondo, sapeva di avere un caratteraccio.

«E... perché volevi vedermi?» non l’avrebbe ammesso nemmeno fra un milione di anni, ma era felice come non mai di essere la causa dell’arrivo del giovane.

«Mi sono ricordato di una cosa.»

Sophie attese che continuasse.

«Circa dieci anni fa, aiutai una bambina a rialzarsi da terra, dopo che era caduta. Evidentemente, non le avevano insegnato che non si corre sulla ghiaia. Quella stessa bimba, poi, si fermò a giocare con me e, prima di andarsene, mi promise che mi avrebbe rincontrato esattamente dieci anni dopo e che lei avrebbe detto di sì se io... le avessi chiesto una certa qual cosa.» lasciò la frase in sospeso e alzò lo sguardo per osservare la reazione di Sophie.

La ragazza osservava i fiori di fronte a sé, senza trovare il coraggio di voltarsi verso di lui.

«Per molto tempo pensai che quello fosse solo un sogno e in seguito me ne scordai del tutto. Ma non era così. Eri tu quella bambina, vero?»

«Non credevo che te lo ricordassi ancora.» ammise Sophie.

«Perché non me l’hai detto subito?»

«Perché non voglio che tu ti senta obbligato in alcun modo.»

«Come?»

Sophie prese un respiro profondo: non solo quello che stava per dire la imbarazzava da morire, ma si sentiva anche avvolta da una strana angoscia, perché non aveva idea di come avrebbe reagito Gilbert alle sue parole.

‘Ecco, ci manca solo che mi metta a piangere per l’agitazione, adesso.’ pensò la fanciulla, asciugandosi velocemente una lacrima che le era sfuggita ‘Grazie al cielo da quassù non può vedermi.’

«Che intendi dire con “non voglio che tu ti senta obbligato”?» chiese nuovamente Gilbert, notando il silenzio della ragazza.

«Ora che ti sei ricordato di quella promessa, ti senti in dovere di mantenerla, giusto?» non gli lasciò il tempo di rispondere «Non provare a mentirmi, lo so già. Sei troppo onesto per mancare una promessa data, anche se eri piccolo e anche se ora non provi nulla per me. Però non voglio questo.» prese nuovamente fiato.

Doveva continuare a guardare avanti, dannazione, altrimenti era certa di non riuscire più a finire quell’importante discorso, se si fosse persa negli occhi dorati del ragazzo.

No, doveva concludere.

«Io ti feci quella promessa, perché volevo renderti felice. Tu eri stato gentile con me e, quindi, mi sentivo in dovere di aiutarti. Però, se tu ami un’altra, allora è inutile.»

Gilbert ascoltava in silenzio, senza riuscire a capire dove Sophie volesse andare a parare con quel discorso.

«Perciò.» proruppe lei, guardandolo finalmente in faccia «Facciamola finita.»

«Che intendi dire?» chiese lui.

«È tempo di mantenere la promessa. Io la mia parte l’ho già fatta: sono tornata da te, no?»

Gilbert capì che era il suo turno, ma, stranamente, non si sentiva a disagio.

«Vuoi sposarmi?»

Sophie strinse i pugni e si morsicò le guance, per costringersi a non piangere.

«Sì.»

Non appena pronunciò quella parola, si voltò dall’altra parte e aggiunse una frase del tutto inattesa.

«Ora puoi andartene.»

«Cosa?!» Gilbert era basito.   

«Mi hai sentito, vattene. Hai mantenuto la promessa.»

«Ma che stai farneticando?»

«I patti erano chiari: io ti avrei rincontrato, tu avresti chiesto la mia mano e io ti avrei detto di sì. Tuttavia...»

Dannazione, adesso stava piangendo a dirotto, ma non aveva intenzione di farlo sapere a Gilbert, perciò Sophie fece del suo meglio per controllare la sua voce, affinché suonasse il più neutrale possibile.

«Tuttavia.» riprese dopo un attimo «Non si era mai parlato di celebrare un effettivo matrimonio. Basta così, quindi.»

Di sicuro penserete che Gilbert fosse rimasto senza parole e che, di lì a poco, se ne sarebbe andato. Era quello in cui sperava Sophie.

Peccato che al ragazzo, invece, le parole non mancarono.

«MA CHE DIAVOLO TI SALTA IN MENTE?!» urlò infatti.

Lei trasalì, non aspettandosi una reazione simile.

«Prima mi fai impazzire comportandoti in modo assurdo: ti travesti da uomo, mi parli come se fossi un tuo vecchio amico e mi baci... sulla guancia.» precisò subito, temendo di essere frainteso «Poi ti permetti di apparire nei mie sogni e scopro che, in realtà non era un sogno. E poi, poi... faccio un viaggio infinito con un essere insopportabile per vederti e tu, dopo un discorso assurdo, mi cacci via?! MA PER CHI MI HAI PRESO, PER IL TUO GIOCCATOLO?!»

Gilbert si fermò e riprese fiato.

Nel frattempo, Sophie lo stava nuovamente guardando basita.

«Ma... CHE DIAVOLO URLI AI QUATTRO VENTI?! Io ti entro nei sogni? Ma ti senti quando parli? Caso mai lo stalker sei tu! E poi quel bacio era solo per salutarti, che pensavi?»

«Oh, certo. Tu sei sempre innocente, giusto? Io non posso parlare con Ada, senza che tu mi ammazzi con lo sguardo, in compenso tu hai tutto il diritto di fare la cascamorta con qualunque maschio, giusto?»

«Cosa? Come ti permetti?! Di che parli?»

«Non fare la finta tonta. Reim non ti bastava, no? Anche questo Gideon, adesso! Che, tra l’altro, non è nemmeno granché.» in verità Gilbert non era riuscito a vederlo, però fu la prima cosa che gli venne in mente e perciò pensò bene di dirla ad alta voce.

«Che c’entra Gideon, adesso? E poi tu come fai a conoscerlo?»

«Vi ho sentito mentre flirtavate dentro l’aula di musica! Siete proprio una bella coppietta, complimenti!»

«Gilbert, Gideon è solo un amico.» disse con calma Sophie.

«Forse per te, ma chi ti dice che...»

«Ha la ragazza.»

«Oh... beh... e chi ti dice che non sia una bugia?»

«Perché la conosco bene: è Cassidy.» Sophie si concesse qualche secondo per godersi la faccia allucinata di Gilbert «Sei estremamente carino quando fai quelle facce buffe...» si lasciò sfuggire ridacchiando.

«Che hai detto?»

«Ho detto che li ho fatti incontrare io, per questo Gideon mi adora: mi considera l’angelo custode che l’ha congiunto con la sua anima gemella.»

«Oh…» Gilbert non sapeva che aggiungere, dato che aveva fatto una figuraccia però, giunto a quel punto, decise di giocarsi anche l’ultima carta «E che mi dici di Reim, allora?»

«Reim è come un fratello per me, non potrei mai mettermi con lui, mi farebbe senso. Senza offesa per Reim, ovviamente.»

Oramai Sophie sorrideva felice.

«Eri geloso, per caso?»

La frecciatina colpì in pieno Gilbert, facendolo arrossire come non mai, ma ciò non lo fece demordere.

«E tu allora? Perché ti sei arrabbiata così tanto con Ada?»

Detto fatto, nel giro di due secondi il Nightray riuscì a pareggiare i conti.

«E tu perché tieni quel cappello?» tentò di rispondere a tono lei.

«Non lo so, forse perché è il regalo di una cara amica?»

«Perché non te la sposi, allora, questa tua “cara amica”?»

«Forse lo faccio!»

«Bene! Felicitazioni e figlie femmine!»

«Guarda che si dice “Auguri e figli maschi”.»

«Lo so, ma dato che il padre è un perfetto idiota, forse è il caso che tu abbia solo femmine, in tal modo la tua prole avrà un briciolo di cervello!»

«Per lo meno io sarò sposato, mentre tu resterai zitella!»

Loro non se ne rendevano conto, ma si stavano comportando come due bambini. Insomma, era mai possibile che due ragazzi, ormai adulti, non riuscissero a discutere tranquillamente e senza cambiare umore ogni due secondi? Come molte cose della vita, questo sarebbe rimasto un mistero.

Fortunatamente, la sceneggiata pareva essere giunta ormai al termine.

«Meglio sola che male accompagnata!» riuscì a rispondere con odio Sophie.

«Accontentata.» Gilbert si voltò e s’avviò verso la siepe «Sai, spero che tu cada, prima che me ne vada, così dimostrerai quanto sei sciocca e goffa!»

«Ti piacerebbe! E comunque non sono goff... ah!»

Si udì un sonoro crack ed un urlo.

Il Nightray si voltò e, come poté constatare, sembrava proprio che una qualche divinità avesse deciso di esaudire il suo desiderio, anche se solo per metà. Sophie, infatti, era appesa a quello che rimaneva del ramo su cui era poggiata: metà del braccio dell’albero giaceva a terra, mentre la ragazza tentava di reggersi con le mani su quel poco di corteccia che restava per non cadere a terra.

«Ma che combini?!» chiese Gilbert allarmato, mentre si avvicinava di corsa verso di lei.

«Ehi, non avvicinarti! E non provare a sbirciare sotto la gonna!»

«Ti pare il momento di preoccuparsi per questo genere di cose?! Rialzati, piuttosto!»

«La fai facile, tu! Scivolo!» gemette, mentre tentava disperatamente di issarsi.

Ad un tratto, si udì una risata.

«Che fai?! Ti pare il caso di ridere?»

«Scusa, scusami, ma sei davvero troppo buffa! Sembri una scimmietta!»

«Con questo intendi dire che sono carina o che assomiglio ad un primate?»

«Dai!» esclamò Gilbert, stendendo le braccia «Lasciati cadere, ti prendo io.»

«Che?! Scherzi? Manco morta!»

«Hai idee migliori?»

«Beh, quassù non si sta poi così male, c’è pure una bella brezza...»

«Sophie!»

«E va bene, va bene! Arrivo! Ma guai a te se non mi prendi!»

Sophie chiuse gli occhi e contò mentalmente fino a tre, poi lasciò la presa.

È molto strano cadere, vero?

Se siamo particolarmente in alto, come nel caso della povera Sophie, ci aspettiamo che la caduta duri in eterno, anzi, siamo quasi del tutto certi che il tempo si fermerà e che resteremo eternamente sospesi per aria. In realtà, succede tutto talmente rapidamente, che abbiamo a malapena il tempo di renderci conto di star precipitando, che già siamo al sicuro a terra. Certo, non sempre si atterra sulle zampe come i gatti, e infatti nemmeno a Sophie andò esattamente così. Tuttavia, non fu nulla di traumatico, poiché nel giro di pochissimi secondi, si ritrovò stretta tra le braccia di Gilbert.

Non si era mai accorta di quanto il ragazzo fosse alto, eppure ora che si trovava abbracciata a lui, i suoi piedi non riuscivano a toccare il suolo.  Si era sempre considerata una ragazza più alta della media, con il suo metro e settantatré, ma cos’era quel numero in confronto ai dodici centimetri extra di del giovane? Per non parlare delle sue larghe spalle e della sua stretta sicura: da quando Gilbert era diventato così grande e forte? E poi c’era il suo profumo... Sophie era quasi del tutto certa che il ragazzo non usasse alcun tipo di essenza, però restava il fatto che emanava un odore buonissimo, che fu in grado di cogliere unicamente grazie a quella vicinanza inattesa.

Perciò, come ammise lei stessa più tardi, fu solo colpa di Gilbert se lei si strinse ancora più forte a lui e, cosa assai più rilevante, se decise di restare in quella posizione per più del dovuto.

Dal canto suo il Nightray si sentiva parecchio strano. Era la prima volta che abbracciava una ragazza di sua iniziativa e non si aspettava che Sophie fosse così leggera. Naturalmente si fa per dire, la fanciulla pesava tutti i suoi sessantotto chili senza riserva, data anche l’altezza da cui era precipitata, però Gilbert non si sentiva per niente stanco o scomodo. Inoltre, aveva avuto finalmente l’opportunità di starle vicino.

Non si era mai accorto di quanto la sua vita fosse stretta, né tantomeno di quanto fosse bello abbracciarla e sentire i suoi seni a contatto con il suo petto... a quel pensiero arrossì vistosamente, e tentò di concentrarsi su altre sensazioni, ma il suo profumo non l’aiutò minimamente. Non sapeva cosa potesse essere. Era qualcosa di estremamente dolce e sensuale, probabilmente si trattava dell’essenza di un qualche fiore.

Gli sembrava trascorsa un’eternità da quando aveva afferrato la ragazza, eppure, allo stesso tempo, gli sembrava che tutto ciò durasse da troppo poco. In ogni caso, pensò fosse giunto il momento di rompere l’incanto, per quanto gli dispiacesse.

«Ti sei fatta male?» chiese, senza avere la minima intenzione di staccarsi da lei.

«No, sto bene.» rispose lei, un po’ dispiaciuta di dover rompere quel piacevole silenzio.

«Bene, allora adesso ti lascio...» fece Gilbert, allentando un po’ la presa.

«No!» brontolò lei, rendendosi però conto di aver parlato con qualche ottava più del solito «Insomma... ti dispiace se restiamo così ancora un pochino?»

Sophie non aveva idea da dove avesse tirato fuori tutta quella audacia, ma credette che tanto Gilbert l’avrebbe mollata a terra, chiedendole se si fosse ammattita tutt’a un tratto.

Invece, la risposta del Nightray lasciò di stucco entrambi.

«D’accordo, tutto il tempo che vuoi.»

Sophie non credeva alle sue orecchie.

«Però...» mormorò lei.

«Cosa?»

«Non sono... ehm, come dire... troppo pesante?»

Seguì un piccolo silenzio, poi la risposta.

«No, sebbene a prima vista sembri più pesante di quanto non sei in realtà.»

«Che hai detto?» fece Sophie indignata e decidendosi a staccarsi da lui per guardarlo in viso «Vuoi forse insinuare che sembro grassa?»

«Mai detto questo!» si difese Gilbert.

«Basta! Voglio scendere!» brontolò, maledicendo la goffaggine del ragazzo, che era riuscito a rovinare un momento bellissimo.

«Ma che ho detto?» chiese confuso lui, poggiando a terra la ragazza e domandandosi dove avesse sbagliato.

Eppure era convinto di averle fatto un complimento!

Era per questo che non sopportava le donne: non sapeva mai cosa dire e, quando apriva bocca, combinava sempre qualche guaio.

«C’è che dovresti scegliere con più cura le parole, imbranato!»

Sophie voleva sparire così, con aria stizzita e offesa, mentre a grandi passi si avvicinava alla siepe. Peccato che, sebbene durante le missioni fosse molto agile, nella vita privata si dimostrava essere estremamente goffa ed impacciata. Non a caso, non riuscì a mettere un piede davanti all’altro che s’inciampò in un laccio slacciato delle sue eleganti scarpette. Il risultato, quindi, fu un inaspettato volo al suolo, oltre che una sonora risata di Gilbert.

Oltre al danno la beffa, come si suol dire.

«NON RIDERE!» trillò la ragazza, mentre roteò su se stessa per mettersi pancia all’aria.

«Sei l’unico essere umano che conosca che quando è arrabbiato cade e subito dopo s’inciampa!»

«Che razza di risposta è? Aiutami ad alzarmi, piuttosto.»

Presto detto, Gilbert le porse la mano e Sophie l’afferrò con decisione, anche troppa, come si accorse successivamente il Nightray.

Volutamente, infatti, la fanciulla diede uno strattone al ragazzo che, non essendo bene ancorato al suolo, finì per ritrovarsi col muso a terra.

«Ops, scusa! Non pensavo fossi così deboluccio!» lo schernì Sophie, ridacchiando soddisfatta del risultato ottenuto.

«L’hai fatto apposta?» sebbene fosse una domanda, suonava molto più come un’esclamazione.

«Chi? Io? Ti sembra che IO possa fare una cosa del genere? Per chi mi hai preso, per una bambina di otto anni?» rispose divertita la ragazza.

«Ah, sì?» fece con un ghigno Gilbert, deciso a vendicarsi «In tal caso...» non finì la frase, che subito agì.

Prima afferrò Sophie per le spalle e la costrinse a sdraiarsi a terra supina, poi le andò sopra e la immobilizzò sedendosi su di lei.

«Vediamo se adesso riesci a liberarti!»

La ragazza accettò la sfida e fece di tutto per scansarselo di dosso; tentò quasi subito di fargli il solletico, ma la cosa degenerò ed anche Gilbert fu costretto a rispondere al gioco con il gioco. Sebbene possa sembrare assurdo, data la loro età, si stavano in realtà divertendo un mondo. Dopo un po’, però, il ragazzo si stancò e, dato che non riusciva a fermare “l’assalto nemico” in alcun modo, optò per un cambiamento di tattica. Afferrò le braccia della ragazza e la immobilizzò quasi del tutto.

«Bene!» fece trionfante «Sei deboluccia anche tu, vedo! Ti arrendi?»

‘Col cavolo!’ rispose mentalmente la fanciulla. Non si sarebbe data vinta così facilmente. Tentò di liberarsi, ma non poteva nulla contro la forza schiacciante dell’avversario. Si maledì nuovamente per la sua debolezza: era in situazioni come quelle che invidiava il genere maschile.

Tutt’a un tratto le balenò in mente un’idea e, senza pensarci troppo, decise di attuarla. Il viso di Gilbert era a pochi centimetri dal suo, perciò le bastò sporgersi leggermente col collo per raggiungere le labbra del ragazzo e rubargli un fugace bacio.

Tanto bastò: il Nightray, sorpreso, allentò la presa e Sophie ne approfittò per spingerlo via e ribaltare la situazione. Adesso era lei sopra di lui e gli bloccava ogni via di fuga.

«Ah, ah! Fregato, adesso chi è quello deboluccio?»

Gilbert non smise di osservarla con i grandi occhi dorati spalancati per lo stupore e, dopo poco, il suo volto si tinse pure di un genuino rossore.  Solo allora Sophie si rese realmente conto di quello che aveva appena fatto.

«Ah! Scusami, scusami, SCUSAMI!» gridò lei, portandosi le mani in volto e sentendosi avvampare.

Ma che le era saltato in mente? Aveva appena fatto l’ultima cosa al mondo che avrebbe mai dovuto fare! Era ciò che voleva fare da anni ormai, e proprio per questo era sbagliatissimo! Oh, che confusione che aveva in testa!

Ci volle solo un attimo per far svanire ogni sua preoccupazione; un solo gesto, tanto rapido quanto inaspettato.

Gilbert, ripresosi dall’attimo di smarrimento, si sedette e spostò le mani di Sophie che celavano il suo dolce viso. La ragazza non ebbe il tempo di dire o fare nulla, poiché le labbra del Nightray si posarono nuovamente sulle sue.

Ma stavolta fu tutta un’altra cosa.

Il primo bacio era stato fuggevole ed innocente, mentre adesso era decisamente più sicuro e passionale. Gilbert, quasi subito, cinse la vita della ragazza in un abbraccio e lei, in risposta, si strinse ancora di più al ragazzo, serrando i pugni sulla candida camicia del Nightray ogni volta che la sua lingua giocherellava con maggiore passione con quella dell’altro. Continuarono così per alcuni minuti, staccandosi ogni tanto per riprendere un po’ di fiato.

Sophie dentro di sé pregava che il tempo si potesse fermare in quel momento, perché, una volta terminato quel dolce bacio, era certa che tutto sarebbe cambiato. Purtroppo, per quanto possiamo scongiurare le divinità, alcune cose non ci verranno mai date e, infatti, anche quell’istante terminò troppo presto.

Non appena i giovani si staccarono, oro ed indaco s’incontrarono in un lungo sguardo. Nessuno aveva idea di cosa dire, ma il corpo di Sophie, invece, era certo di non voler restare in quel luogo un solo momento di più.  Le gambe della ragazza la fecero infatti alzare e la condussero di corsa verso la siepe, mentre le sue labbra ebbero appena il tempo di sussurrare un fugace: «Devo andare».

Credeva, anzi, sperava che Gilbert non aggiungesse altro, ma così non fu.

«Posso riverti domani?»

Gli arti inferiori di Sophie, che ormai sembravano avere una propria volontà, s’arrestarono a pochi metri dall’uscita.

«Sì.» disse dopo un attimo di riflessione, poi attraversò il verde passaggio, che pareva conducesse in una dimensione misteriosa ed arcana, e sparì.

 

Senza nemmeno accorgersene, Gilbert era tornato al cancello d’ingresso di Lutwidge e per di più aveva stampato sul volto un sorrisetto che non riusciva a togliersi di dosso. Dopo l’accaduto, si ricordava solo di aver conversato brevemente con Ada e di averla salutata distrattamente.

Ancora non riusciva a credere a quello che era appena accaduto. Si sentiva euforico e al tempo stesso preoccupato. Non aveva idea di ciò che sarebbe successo tra di lui e Sophie, però era sicuro di una cosa. Mise la mano nella tasca destra e vi estrasse un pacchettino con un elegante fiocchetto viola, il colore preferito della fanciulla, a detta della venditrice.

Con tutta la confusione che c’era stata, non era riuscito a darglielo.

«È un regalo per Sophie, quello?»

Per poco non gli sfuggì di mano il pacchettino.

Zio Oscar era spuntato da un’apertura segreta del muro e aveva sorpreso il ragazzo, troppo perso nei suoi pensieri.

«Sì, è un fermaglio.» ammise, dopo essersi ripreso dal mezzo infarto.

«E non glielo dai?» chiese con voce maliziosa il biondo.

«No.» rispose tranquillo Gilbert, rimettendo al sicuro il presente.

«No? E perché?»

«Non è ancora il momento giusto.» notando lo sguardo confuso di Oscar, il Nightray decise di spiegarsi meglio «C’è un momento giusto per ogni cosa. Questo è un regalo speciale e, sebbene non veda l’ora di donarglielo, sento che questo non è né il luogo né il momento adatto. Voglio che Sophie si ricordi per sempre del giorno in cui le donerò il fermaglio, per questo non posso darglielo in un momento qualunque: perderebbe tutta la sua importanza. Se, invece, attendo con pazienza e senza fretta, di sicuro mi si presenterà l’occasione perfetta. Solo allora sarà giusto. Beh, mi rendo conto che è assurdo, però...»

«Non è assurdo.» gli rispose gentilmente Oscar, accompagnando le parole con una leggera pacca sulla spalla del giovane «Hai detto una cosa verissima. Sono certo che non dovrai attendere a lungo e, chissà, magari sarà la volta buona che riuscirai a dichiararti come si deve!»

«Già... ehi! Un momento!» fece Gilbert, voltandosi a fissare gli occhi color smeraldo di Oscar «Come fai a sapere che la ragazza si chiama Sophie?»

Il Vessalius si limitò a ridacchiare sotto i baffi.

«Cosa significa quella faccia?»

Ora sì che Gilbert era preoccupato.

«Nulla, nulla. È solo che... come metterla giù in modo gentile e pacato? Ah, sì! Dopo lunghi minuti d’attesa ho scovato un passaggio segreto che mi ha condotto in un luogo praticamente mai frequentato.»

«E dove?» nonostante l’avesse chiesto, il ragazzo nel profondo preferiva non saperlo.

«Dà proprio su un giardino segreto, dove agli alunni è vietato accedere e dove si trova un magnifico albero di pesco in fiore.»

«Da... da quanto era lì?»

«Gilbert, mi meraviglio di te! Non penserai davvero che abbia assistito di nascosto all’intera scenetta? Perché sappi che avresti assolutamente ragione.»

«CI HAI SPIATO?!»

«Detta così sembra una cosa brutta e meschina. Diciamo che ho voluto assicurarmi che tu non commettessi sciocchezze, ma alla fine è andato benone. Mi ha sorpreso la tua audacia, complimenti! Adesso, dicci però, come bacia la fanciulla?»

«Ma che razza di domande sono?! E poi perché usi il plurale?»

«Oh? Non te ne sei accorto? Eques era nascosto nella tua ombra fin da stamattina.»

Gilbert abbassò lo sguardo a terra.

«Il Chain di Sharon... era con me tutto il tempo?»

«Oh no, Signor Oscar! Ha rovinato il nostro piano! Io e Break volevamo prendere in giro Gilbert-sama alle sue spalle, per qualche giorno.» si lamentò la voce di Sharon.

«Break, ci sei anche tu?!»

«Sorpresa! Non te lo aspettavi questo, neh, Gil-kun?»

«Sperava di fare il Don Giovanni senza che nessuno lo scoprisse!» anche Emily era presente.

«Gilbert-sama! Spero che si prenda le sue responsabilità per il gesto che ha compiuto.» lo ammonì la nobile.

«Ma che problema avete tutti quanti?! Una persona non può più muoversi senza che sia pedinata da mezza città?!»

«Dai, Gilbert, non te la prendere. Su! Torniamo a casa e discutiamone con calma!» propose lo zio Oscar con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.

«Sì, ottima idea, a dopo! Noi intanto informiamo Oz-kun dell’accaduto!» li salutarono due voci dall’interno dell’ombra del Nightray.

«No! Mi rifiuto!» protestò inutilmente il moro, mentre veniva spinto dentro la carrozza senza pietà.

 

Nel frattempo, una candida figura si librava tra le poche nubi che ricoprivano il cielo di fine estate. Un grazioso cigno si posò a terra, a pochi passi dalla figura che se ne stava poggiata sulla ringhiera del balcone e che osservava Gilbert mentre saliva sulla carrozza. Non staccò lo sguardo dal mezzo di trasporto fino a quando non svanì all’orizzonte. Solo allora si voltò ad osservare distrattamente l’animale.

«Hai fatto buon viaggio, Swan?» le chiese gentilmente la fanciulla.

Il volatile inclinò la testa e la padrona, ormai abituata a conversare in tal modo con lui, scosse il capo.

«Temo che dovrò rivederlo prima del previsto, allora. Scusa Gil, ma quando ciò avverrà sarà per lavoro. Spero solo che non capiti nulla che ti possa turbare.»

La ragazza puntò gli occhi color del mare verso il luogo in cui la carrozza era sparita, quasi come se credesse che, in tal modo, potesse ricomparire magicamente. Si toccò distrattamente le labbra con le dita della mano e sospirò.

«Pare che una diciannovenne dalla doppia vita non possa concedersi nemmeno cinque minuti per crogiolarsi nelle sue fantasticherie amorose.» mormorò mestamente tra sé e sé.

Una leggera brezza, più fredda del solito, le mosse i lunghi capelli neri come la notte.

«Coraggio.» disse rivolgendosi al suo Chain «Rivelami tutto quello che hai scoperto finora e non omettere un solo dettaglio.»

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Ce l’abbiamo quasi fatta! Questo è il penultimo capitolo, wow! ^^

Devo ammettere che questo è stato il capitolo più impegnativo di tutti, ma anche il più piacevole. Insomma, finalmente quei due si sono decisi a darsi una mossa! (parlo come se non fossi io a manovrare i fili del loro destino XD)

Non avete idea dell’imbarazzo che ho provato mentre descrivevo la scena del bacio, volevo sprofondare nell’Abisso! O///O

Però ho stretto i denti, perché, dannazione, quando ci vuole, ci vuole!

E poi, insomma, dovrò pur decidermi a crescere: si può arrossire così mentre si scrive? Solo io; lo so, sono un caso disperato: perdonatemi.

Le ultime righe lasciano tutto un po’ in sospeso, ma è giusto così. Ci sono ancora mooolte cose da dire, perciò perché fare tutto di fretta? Nel frattempo sono curiosa di vedere se la storia avrà un minimo di successo e poi, se riceverò 1000 visite, andrò avanti. Scherzo! XP Potrà anche essere letta solo da 2 sole persone, ma io continuerò imperterrita nella mia impresa!

Oramai mi sono affezionata a Sophie e non vedo l’ora di narrare le sue prossime avventure e disavventure. Eh, sì, le mie seguenti fanfic saranno più serie (alle volte), ma devo ancora decidere come impostare il tutto. L’ho detto e lo ripeto: troppe cose da dire! Ma ce la farò, non temete. Chiedo solo un minimo di comprensione e pazienza per coloro che aspetteranno con impazienza i prossimi capitoli: sono piena di verifiche e interrogazioni e poi, tra le altre cose, dovrei anche buttare giù la mia tesina. Non è che qualcuno ha un qualche Chain che può aiutarmi? Mi basta solo che fermi il tempo per qualche giorno, dai, non chiedo molto! XD

Ora basta divagare, vi lascio all’ultimo capitolo, buona lettura!

 

Moni =)

   
 
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