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Autore: viandante90    04/02/2012    1 recensioni
Salve, questa è la prima storia che ho scritto, e ho il piacere di condividerla con voi. E' la storia di Emma, una giovane giornalista e Leonard, frontman di una rockband di successo. Il destino li farà incontrare nell'assolata ma inaspettatamente piovosa L.A. Toccherà però ad Emma decidere se continuare a crogiolarsi in un'amara delusione, o sfruttare l'opportunità che le si presenterà. E' una storia d'amore, non melensa e a tratti anche drammatica. Vi lascio un frammento della storia e intanto a chi si appresta a leggere auguro una buona lettura!
"Quella notte in cui diventammo un’unica cosa, io lo conobbi realmente, e riconobbi me, nei suoi abbracci, nei suoi respiri affannati, nelle nostre fronti madide di sudore. Mi riconobbi e mi sentii bella, desiderabile, anche da chi credevo irraggiungibile. Mi riconobbi e senza inciampare, trovai il mio posto nel mondo."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Anche questo è un capitolo un pò così, non so, a voi il giudizio :D Buona lettura!!



POV EMMA


Camminando al suo fianco sentii rivivere tutta la mia forza, mi sentii padrona di un mondo che avevamo costruito insieme, con della fondamenta ancora da rinforzare, sormontate dal mio sogno, che prepotentemente era diventato una magnifica realtà.
Io e lui, eravamo diventati “noi”, ed era bastato un breve istante di tempo, per capire chi fossimo realmente: due eterni sognatori che avevano tracciato e intrapreso milioni di strade diverse, per arrivare a un punto fisso, che portava il nome dell’altro.
Mi chiedevo come potessi essere così dedita a una persona che conoscevo da soli tre  giorni. Avevo paura, che il mio fosse un’ulteriore tentativo di mettere la parola “fine” alla terribile storia, che avevo lasciato alle mie spalle, ma che di tanto in tanto tornava per farmi uno sgambetto. Ma continuavo a ripetermi che quella fosse solo una paura infondata. Infondo avevo smesso di amare quell’uomo, nell’attimo in cui mi aveva imposto quella scelta infame, nell’istante in cui mi aveva baciata, lasciandomi l’amaro in bocca. Nel momento in cui mi aveva mi aveva detto “A presto”, nascondendosi dietro a una bugia, per paura di dirmi addio.
Ma per quanto mi fossi sforzata di odiarlo, non c’ero ancora riuscita, forse perché reputavo anche quel sentimento, seppur meschino, infinitamente nobile per una persona come lui.
E adesso stringevo sicura, la mano di quell’uomo nella mia. Avevo voglia di rassicurarlo, di dirgli che ero ormai nelle sue mani. Ma il suono del mio cellulare mi distrasse. Un nuovo messaggio in arrivo. L’ennesima rotta del destino contro di me.
Rimasi immobile con il telefono tra le mani, che cominciarono a tremare, così come tutto il resto del corpo.
Leonard se ne accorse e si fermò piantandosi davanti a me. << Emma tutto bene?>>.
Lo guardai. Abbassai lo sguardo, tornando a fissare quel messaggio, rileggendo incredula quelle parole.
 
“ Non mi dimentico mai di te. Auguri. Perdonami … se puoi.”
 
Cambiai volto, espressione, cambiò il mio stato d’animo e si affievolì la mia voglia di andare avanti. Come poteva chiedermi di perdonarlo? Perché era ritornato? Perché pretendeva di distruggermi ancora una volta? Proprio mentre stavo correndo, lui si era affacciato alla finestra della mia vita, protendendo le gambe in avanti, per farmi uno sgambetto. Non lo amavo più, ma quel messaggio rischiava di scardinare il mio equilibrio.
Era secco, ma deciso. Scarno ma profondo. Mi concentrai sul mio respiro che era quasi diventato un affanno.
<< E’ lui, vero? >>, chiese Leonard. La sua voce era tagliente come la lama di un coltello appena affilato. Ignorai il senso di nausea.
<< No no è un’amica. Si è ricordata del mio compleanno >>, mentii e gettai il telefono nella borsa.
<< Credevo fosse … Scusa …>>, farfugliò disorientato.
Mi sforzai di sorridere. << Sto bene. Andiamo >>.
<< Si …>>, disse a bassa voce.
Continuò a fissarmi con la coda dell’occhio. Non aveva creduto alla mia bugia. Sapeva già che stavo mentendo, ma aveva deciso di aspettare pazientemente che io gli aprissi completamente il cuore. Del resto da quell’istante, tutto sarebbe cambiato, e non avrebbe dovuto aspettare tanto.
Leonard stinse ancora di più, la mia mano nella sua, quasi avesse udito il suono dei miei pensieri.
<< Siamo arrivati …>>, annunciò sottovoce. Io mantenni basso lo sguardo.
<< Sicura che vada tutto bene?>>.
Si chinò per guardarmi negli occhi. Alzai lo sguardo.
Abbozzai un sorriso. << Si, salgo in camera, mi preparo e vi raggiungo! A che ora dobbiamo vederci? >>.
<< Alle sette e mezza può bastare! Mi raccomando, conto sulla tua puntualità >>.
Gli stampai un bacio sulla bocca e uscii dall’ascensore. << Aspettami …>>.
<< Sempre …>>, promise solenne e rimase lì, immobile, come la prima volta che l’avevo incontrato.
 
Raggiunsi in fretta la mia camera. Bussai una sola volta, ad aprirmi fu Beatrice. Senza pensarci su due volte l’abbracciai forte. La sentii sorridere.
<< Grazie >>, sussurrai.
Lei sapeva benissimo che sarei corsa da lui, sapeva che avrei terminato la mia fuga tra le sue braccia. Sapeva che quella discussione mi avrebbe scossa. Tante, forse troppe volte, Beatrice era stata l’incipit di un mio nuovo inizio, l’impulso nervoso che aveva messo in moto i miei muscoli.
Non potevo scegliere di fermarmi se c’era lei al mio fianco, con una gomitata al braccio, mi avrebbe spronata a continuare a stringere i denti, a camminare a testa alta, e non considerare una pausa, la fine di tutto. Avevo goduto del suo appoggio, anche nei momenti e nelle situazioni più strambe, se strambo si poteva considerare quel mio amore a distanza. Un amore che aveva intaccato tutto, ma non la nostra salda amicizia. Mi aveva scongiurato di non amarlo, ma testarda avevo continuato a lottare con lei al mio fianco, paurosa di vedermi alle prese con il suo stesso errore. Erano passati sette anni ormai. Lei stava ancora con quel ragazzo romano, che aveva conosciuto ai tempi dei liceo. Io cercavo le briciole di me stessa.
Ma proprio quel pomeriggio, il sole dopo una lunghissima eclissi, aveva osato ripresentarsi al cospetto della luna, chiedendole scusa, e implorando il suo perdono. La luna però era stata troppo a lungo sola, e forse, si era anche abituata a quello stato di buio perenne, dove non filtrava la benché minima luce del suo stesso riflesso. Io ero ancora la sua luna, lui un tempo era stato il mio sole.
“ Perdonami …”, aveva ancora il coraggio e la superbia di chiedermi cose, che per me erano impossibili. In tutto quel tempo, non avevo fatto altro che coltivare un sentimento opposto all’amore, che potesse vestire i miei pensieri, rivolti a lui. Ma nessuno calzava bene alla situazione.
Odio? No, non volevo odiarlo. Rancore? No, non potevo. Rimorso? Forse, ma solo per quello che avevo fatto io. Decisi dunque di non rispondere a quella sua richiesta di attenzione, ignorarla, fare finta ancora una volta, che nulla fosse successo.
Rivolsi uno sguardo a Beatrice che mi scrutava seria.
<< Dov’è Anita? >>, chiesi.
<< E’ fuori, voleva farsi un giro >>, rispose distrattamente. Poi tornò a fissarmi, e capii che il mio tentativo di cambiare discorso stava per rivelarsi del tutto inutile.
<< Emma, forse è presto per quanto riguarda Leonard, e su questo hai tutta la mia approvazione, ma non è presto per la tua vita. Quella passata è stata solo una delusione. Una fra tante. Magari alla fine dei conti, risulterà essere la più grande della tua vita, ma se non fai nulla per porre rimedio a tutto ciò, diventerà la tua stessa vita, una delusione>>.
Sospirai e mi gettai sul letto. << Ho voglia anche io di ricominciare >>, confessai. << Ma la cosa che mi blocca è l’oceano che tra un paio di giorni ci dividerà >>.
Beatrice corrugò la fronte e si sedette accanto a me. << Hai parlato con lui di questo? O è l’ennesimo problema che pretendi di risolvere da sola?>>.
<< Stasera c’è il concerto … non voglio rovinargli la serata >>, spiegai.
<< Ricorda però che il tempo non è illimitato …>>.
<< Lo so! Gli devo parlare, e devo trovare soprattutto il coraggio di farlo. Sai a volte ho paura di lui>>, ammisi. << E’ la persona che può darmi di più in questo momento, ma allo stesso tempo è quella che può privarmi di tutto >>.
Rabbrividii al solo pensiero. Beatrice cercò la mia mano e la strinse nella sua.
<< Emma, la paura è tua amica ormai. Impara a conviverci e prenditi i tuoi spazi >>.
 
Mi rifugiai nel bagno. Lasciai scorrere l’acqua calda sul mio corpo, lavando via i residui di quella giornata, che non avrei mai più dimenticato.
Parlare con Beatrice mi aveva distratta , ma pensavo ancora a quel messaggio. Annegai in quella schiuma bianca e soffice, i miei pensieri che, ritraevano me e lui di nuovo insieme. Il suo amore aveva nuociuto gravemente alla mia salute, ero ancora in convalescenza, e non così forte da poter affrontare una nuova malattia. La mia cura poteva essere solo Leonard, non lui che era stato la causa di tutto. Ma pensai che forse mi sarebbe bastato sentire la sua voce per tornare indietro sui miei passi, per ripensare che infondo lo amavo ancora.
Chiusi gli occhi di fronte allo specchio. No, non lo amavo, non potevo.
Continuai a bloccare il telefono, che insisteva a squillare, illuminando il suo nome nel display. Decisi di spegnerlo.
Lasciai scivolare il mio corpo lungo la parete, fino a toccare il pavimento gelido. Portai le gambe al petto, assicurandomi che il cuore, avesse ancora la forza di battere.
Le mie labbra cominciarono a tremare, iniziai a singhiozzare in silenzio. Mi dannai di fronte alla possibilità che mi si era presentata. Non volevo ridare la mia vita ad un uomo, che era fuggito via senza darmi neanche il tempo di capire. La tentazione di rispondere era tanta, ma la delusione impediva alle mie mani di premere quel tasto, che mi avrebbe permesso di udire la sua voce.
Pensai un attimo alle reazioni che avrebbe procurato in me, a che passo mi avrebbero riportato le sue parole. Sarei andata avanti o avrei fatto un ulteriore passo indietro? L’avrei scoperto solo rispondendo alla sua chiamata, alle sue richieste di attenzione che ormai, non si contavano più.
Sentivo un’insofferenza emotiva, simile a quella che caratterizzava i pomeriggi d’inverno, quando, persa nei miei pensieri, dimenticavo le montagne di libri, che giacevano impolverati alle mie spalle. Naufragavo nel mio mondo di distrazione, tralasciando qualsiasi attività, che potesse costituire un nesso con la realtà. E poi mi sentivo in colpa. In colpa, per non aver studiato, per aver gettato il tempo, in pasto alle nubi della mia mente. E in quel momento stavo lì, con un passato che occupava prepotentemente i miei pensieri, e un presente impolverato, come quei vecchi libri, che non desideravano altro che essere aperti.
Avevo sfogliato poche pagine della mia vita, e quei pochi fogli erano il mio vissuto. Righe su righe, canzoni, poesie, sorrisi, delusioni, aleggiavano nella mia mente, come vecchie foto dai contorni sbiaditi. Un segnalibro segnava la seguente pagina: 28 Novembre, l’inizio di mille e altre pagine, ancora da scrivere.
Quelle pagine ingiallite da un tempo che non le aveva ancora sfiorate, aspettavano solo il tocco della mia volontà, per ricevere tra le loro righe, le parole della mia vita.
Pensavo amareggiata a tutte le cose che non erano andate come volevo, a quanti sguardi avevo evitato, ai sorrisi che avevo negato, a tutte le parole che non avevo pronunciato per paura di deludere. Avevo chiuso tante di quelle porte, che erano troppe ormai, per poterle riaprire.
Gli spigoli di quel mio mancato coraggio, rischiavano di soffocarmi. Mi mancava l’aria, e rischiavo di impedire a me stessa di scendere in campo, e combattere la battaglia più grande, una di quelle spedizioni in cui il re, schierato in prima fila, nasconde la paura di perdere il bene per cui sta lottando: la vita
Sentii un leggero rumore alla porta. Era Beatrice.
<< Emma, tutto bene là dentro? >>, domandò ansiosa.
Stremata mi alzai dal pavimento. << Si >>, urlai. Asciugai frettolosamente le lacrime e aprii la porta del bagno.
La mia amica sorrise vedendomi. << Credevo avessi avuto un malore. Ti ho detto mille volte di non chiuderti a chiave in bagno …>>.
Abbozzai un sorriso. << Va tutto bene >>, la rassicurai ma la mia voce tremò.
Beatrice mi scrutò indecisa. << Non va bene per niente, vero?>>. Io scossi la testa.
<< Sediamoci.  Sei bianca come un cencio >>.
Rimasi immobile. << Non è questo il problema >>, dissi.
La mia amica si voltò di scatto. << Cosa è successo? >>.
Accesi il telefono, cercai tra i messaggi il suo, e glielo porsi. Beatrice lo rilesse più di una volta, mentre scuoteva la testa.
<< Mi ha anche chiamata >>, bisbigliai.
Lei sussultò. << Gli hai risposto? >>.
<< No …>>.
Lei passò una mano tra i capelli, nervosa. Il telefono cominciò a squillare. Fissai il display: era lui. Bloccai per l’ennesima volta.
<< Non è così che si risolvono i problemi >>.
La fissai confusa. << Dovrei rispondergli ? >>.
<< L’avresti fatto un tempo >>.
Strinsi il cellulare tra le mani. Volevo zittirlo, impedirgli di continuare a suonare, impedire a lui di digitare ininterrottamente il mio numero, e di implorare meschinamente il mio perdono.
No, non avrei mai e poi mai, potuto accettare le sue scuse. Avevo perso sei mesi di vita, di gioia, di me. Avevo solo navigato in un mare di delusione, repressione emotiva, vedendo scemare il mio sorriso ogniqualvolta pensavo a lui.
Mi vestii in fretta e in pochi minuti fui pronta. A guidare le mie mosse fu la frenesia. Non desideravo altro che vedere Leonard. Con la sua presenza, il suo profumo, avrei dimenticato ogni cosa.
In quel momento capii che non avrei potuto più fare a meno di lui. In poche ore era diventato indispensabile per me, la mia unica via d’uscita. Mi mancavano le forze, ma pensavo a lui che avrebbe saputo ridonarmele con un semplice sorriso.
Avremmo ricominciato, era ciò che entrambi desideravamo. Avrei sfidato l’oceano, mille contendenti, occhi indiscreti, le mie paure pur di stare al suo fianco. Avevo cercato in tutti i modi di sfuggirgli, chiudere gli occhi e negare l’evidenza. L’avevo cacciato, deluso, ferito, illuso, quando l’unica cosa che volevo più al mondo, era ricongiungermi a lui. Volevo Leonard e nessun altro. Desideravo vedere il suo sorriso nei giorni più importanti della mia vita, udire la sua voce nei momenti di sconforto, stringere la sua mano felice. Avevo bisogno di lui e non mi costava più nulla ammetterlo. Ma adesso toccava a me dimostrarglielo. Dimostrargli che valeva la pena amarmi, amarsi.
 
Arrivammo in quel locale, e stremata dai miei stessi pensieri, mi lasciai trasportare da chi sicuramente era più cosciente di me.
La security ci fece segno di entrare, ed io sentii un profondo senso di colpa, nei confronti di quelle ragazze dietro le transenne, da chissà quante ore. Alcune di loro avevano passato la notte al gelo, sui marciapiedi bagnati, pur di conquistare la prima fila. Io invece avevo passato la notte tra le sue braccia, nel suo letto, totalmente priva di coscienza.
Quelle ragazze avrebbero dato la vita, pur di sfiorare la mano di quei quattro musicisti. Io stavo sgretolando e calpestando il cuore di uno di loro. Mi chiedevo perché mi avesse dato il permesso di farlo.
Guardai una per una quelle ragazze, ritrovando nei loro volti, nelle loro mani tremanti, nei loro occhi lucidi, la mia gioia passata. Ma loro ignoravano e odiavano la possibilità che mi era stata data: entrare prima senza chiedere loro, il permesso. Stavo saltando le tappe, giocando sporco. Mi aspettavo che mi urlassero contro, che facessero chissà quale brutto pensiero, che per mia fortuna rimase tale.
Beatrice mi strattonò per il braccio e mi trascinò con sé, mentre Anita si faceva largo tra la gente.
Mi voltai dando le spalle a quella miriade di persone che mi odiava, non potendo sapere che anche io avevo odiato. Che anche io avevo odiato l’opportunità che mi era stata data.
 

 
  
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