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Autore: Urdi    05/02/2012    8 recensioni
"“Non ce la faccio più. C’è un clima da tragedia che mi fa venire voglia di picchiare qualcuno, per cui sono venuta qui per evitare di commettere un’ulteriore strage. Ma tra cinque minuti mi sarà passato e me ne andrò, promesso. Le spiace se sto seduta a borbottare per un po’?” minimizzò, scrollando le spalle, cercando di convincere anche se stessa.
“E’ sera e dopo tutto quello che è successo, e sta ancora succedendo, siamo tutti nervosi. E’ normale. – concluse lui, socchiudendo gli occhi, perché parlare feriva ancora di più il suo mal di testa. – rimani quanto vuoi, mi fa piacere avere compagnia.”
" oneshot dedicata a una coppia insolita, due personaggi che amo e, ovviamente, alle eventuali implicazioni romanticose :)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Yamato | Coppie: Tenzo/Yamato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Riso Agrodolce
Di Urdi




“Ino, dai, non piangere!” la giovane ninja bionda, quella frase tra i denti, scostò la tenda con una manata rabbiosa.
“Stronzate!” imprecò.
La facevano facile, gli altri. Le ricordavano che si era piegata, si era coperta gli occhi con le mani e sì, aveva iniziato a piangere. Come a sottolineare la sua debolezza?
Stizzita, si asciugò il viso con i polsi, cercando di ritrovare la calma.
Era entrata senza curarsi di sapere cosa ci fosse all’interno del capanno al solo scopo di nascondersi per un po’ dal resto dei propri compagni. Forse avrebbe dovuto cercare Sakura, ma con quale coraggio mostrarsi a lei, che di sicuro era quella che soffriva di più, con i segni ancora visibili del pianto?
Per prima cosa si sarebbe data una calmata, poi avrebbe pensato al resto.
Sospirò stancamente, lasciando vagare lo sguardo sulle assi di legno accatastate da una parte all’altra, cercando di snebbiare le idee. Quella era una delle tende che ospitava i materiali per la ricostruzione del villaggio. Ne erano state montate diverse, sparse tra le macerie, e lei si era infilata nella prima che aveva trovato. Necessitava di stare sola per un attimo, cinque, al massimo dieci, minuti. Mentre borbottava, cercando di evitare nuovamente il pianto – della rabbia – sentì una voce poco lontana:
“Chi…chi c’è?” una domanda, una voce arrochita.
Ino si irrigidì, cercando con lo sguardo la presenza di qualcuno, ma attorno a sé vedeva solo teli a coprire tronchi di legno. Avanzò quindi fra di essi e, in un angolo poco lontano, scorse una branda su cui giaceva un jonin. La giovane, in un secondo momento, lo riconobbe: si trattava del capitano Yamato. L'uomo aveva la testa fasciata, non indossava né copri fronte né giubbotto e aveva il braccio destro attaccato al tubicino di una flebo. Nell'avvertire una nuova presenza, cercò di portarsi seduto per controllare di chi si trattasse.
Ino si avvicinò quasi inconsciamente, incuriosita.
“Capitano, mi dispiace, non pensavo ci fosse qualcuno…”
“Ah, Ino… - l’uomo abbozzò un sorriso, abbandonandosi di nuovo sulla branda - …non preoccuparti, non mi disturbi mica.”
“Cosa ci fa qui? Sta bene?”
“E’ stata Shizune, ho utilizzato molto chakra per la ricostruzione del villaggio e, come dire, avevo bisogno di un po’ di riposo.”
La ragazza si avvicinò fino a sedersi su una pila di tronchi vicino alla branda. Se Yamato stava male ed era stato lasciato lì da solo, forse non gli avrebbe fatto male un po' di compagnia...
“Ha fatto bene, deve essere stato davvero devastante.”
Il jonin si voltò a guardare la giovane con espressione tranquilla.
“Non più di una missione di grado S, mi sento solamente molto stanco. E tu? Cosa ci fai qui?”
La kunoichi vagò con lo sguardo per il tendone, pensando a cosa avrebbe dovuto rispondere. Perché non si alzava e andava via? Domanda retorica: il pensiero di uscire di lì per tornare tra i suoi compagni le dava ancora un senso di angoscia. Sapeva che quando era così doveva solo calmarsi, aspettare.
“Mi nascondo.” Sorrise, alzando le spalle e senza mentire. In fondo, cosa c’era di male?
Tenzo si ritrovò a pensare che quel giovane sorriso fosse davvero stupendo.
“Ah sì…?” chiese, incuriosito, esortandola a parlare.
La giovane donna annuì.
“Non ce la faccio più! C’è un clima da tragedia che mi fa venire voglia di picchiare qualcuno, per cui sono venuta qui per evitare di commettere un’ulteriore strage. Tra cinque minuti mi sarà passato e me ne andrò, promesso. Le spiace se sto seduta a borbottare per un po’?” minimizzò, scrollando le spalle e cercando di convincere anche se stessa.
Il jonin la osservò per qualche istante, poi annuì. Avvertiva che c’era qualcos’altro e capiva anche che Ino stava cercando di farsi forza come poteva. Non era più una bambina e di sicuro comprendeva bene ciò che stava accadendo, ma nonostante questo era giovane e la mancanza di esperienza la faceva sentire in bilico.
“E’ sera e dopo tutto quello che è successo, e che sta ancora succedendo, siamo tutti nervosi. E’ normale. – concluse lui, socchiudendo gli occhi perché parlare feriva ancora di più il suo mal di testa. – rimani quanto vuoi, mi fa piacere avere compagnia.”

Per un sacco di tempo rimasero in silenzio.
Yamato sembrava quasi sul punto di addormentarsi e Ino aveva preso a fissare la tenda con insolito interesse.
Si era rifugiata lì per stare sola, invece aveva incontrato il capitano. Eppure non aveva voglia di alzarsi e andarsene, ma solo di rimuginare. Rimuginare fino a sentirsi meglio, tutto lì. E se questo comprendeva fissare la tenda per un’ora o due, be’, lo avrebbe fatto. Ma la kunoichi non aveva tutto il tempo del mondo a sua disposizione e a furia di rimirare il tessuto, si stancò. Ino passò allora a osservare l’uomo sdraiato sulla branda: era bello il profilo di Yamato, aveva il naso dritto e zigomi ben delineati. La giovane donna sospirò.
“Lei lo ha mai visto Sasuke Uchiha?” chiese d’improvviso, tanto che l'uomo spalancò gli occhi sorpreso, chiedendosi cosa c’entrasse in quel momento.
“Una volta. – rispose, correndo con la mente a mesi e mesi prima – E ha cercato di uccidermi, perché?” continuò, con una punta d’ironia. Avvertiva da parte della kunoichi una lieve, ma fastidiosa, tensione.
Ino abbozzò un sorriso.
“Tsk… ovviamente.” Ma poi non trovò le parole per continuare.
Avrebbe voluto dirgli quello che sentiva, ma a quale scopo? Perché proprio a lui e in quel momento? Non si conoscevano nemmeno e si erano incontrati per puro caso, non era certo il modo di comportarsi, no?
Pensò infine che una spiegazione, per quando concisa, avrebbe comunque dovuto darla, così aprì la bocca, ma non riuscì a dire nulla. Si bloccò, per poi abbassare lo sguardo sui propri piedi.
Il jonin si voltò appena a guardarla, serio. C’era qualcosa che si agitava in quella giovane donna e avrebbe voluto poterle essere d’aiuto. Lo aveva capito collaborando con il team sette, iniziando ad agire da maestro, più che da caposquadra, mettendo al servizio dei ragazzi la propria esperienza.
Ino aveva preso a mordicchiarsi il labbro nervosamente, avvertendo il pianto tornare a lambirle gli occhi.
“Me ne vado, mi dispiace di averla disturbata e spero che possa riprendersi in fretta.” Disse poi, tutto d’un fiato, alzandosi con uno scatto e inchinandosi profondamente.
“Ino, aspetta…” Yamato avrebbe voluto dire qualcosa per fermarla, ma non ci fu il tempo: il proprio stomaco fu più veloce.
La ragazza fissò il jonin con un sopracciglio alzato e lui sorrise in imbarazzo.
“Ha ha, mi dispiace, ma muoio di fame.”
La kunoichi, dapprima aggrottò la fronte, poi scoppiò in una risata. La tensione scivolò via dal suo viso con rapidità.
“Forse è meglio se le porto qualcosa da mangiare.”

Poco dopo si erano ritrovati a cenare con il riso che veniva razionato al villaggio. Sedevano insieme sulla branda, uno accanto all’altra, e mangiavano senza parlare.
“Qui c’è silenzio.” Constatò Ino, con un sorriso tranquillo.
Yamato la guardò per un secondo, poi annuì.
“Sì, è una cosa che ti manca in queste situazioni. Un ritaglio di tempo per stare da solo con te stesso.”
Ino spostò il riso con le bacchette chiuse da una parte alla altra della sua ciotola sbreccata. Aveva ancora una marea di pensieri in testa e trovarsi lì, potendoli focalizzare, le dava una strana sensazione di disagio.
“Cosa volevi dire su Sasuke…?” la spronò Yamato a un tratto, pensando che adesso fosse più propensa al dialogo.
“Oh – lei alzò la testa dalla ciotola, ma poi la abbassò di nuovo, in imbarazzo – Non è nulla. Sono stronzate da adolescente, non penso le interessino.”
L’uomo smise di mangiare, appoggiando le bacchette in orizzontale sopra alla ciotola.
“Forse non è proprio così… Stando con Naruto e Sakura ho capito che quel che riguarda Sasuke, non è una stronzata per adolescenti. E poi, se lo hai detto, significa che ti va di parlarne.”
Ino alzò ancora una volta il viso, con espressione seria, quasi arrabbiata.
“E’ stato un attimo di debolezza! Non si può andare da una persona che a malapena si conosce e pretendere di raccontarle i propri deliri mentali. Mi sono comportata da vera ragazzina infantile e anzi, devo chiederle scusa per questo mio comportamento.”
Yamato si posizionò a gambe incrociate sul letto, sorridendo comprensivo e tranquillo. Ino rimase a osservarlo: senza parlare, sembrava disposto ad ascoltarla come se non avesse altro da fare, come se Konoha non fosse distrutta, come se i problemi non fossero altri.
“Va bene, mi hai costretto… - e nel dirlo, d’improvviso, il volto di Yamato si trasformò in una maschera paurosa che usciva fuori dall’oscurità - …Questa è la mia personale tecnica del terrore e se non parlerai, sarà molto peggio per te.”
La ragazza sobbalzò, inquietata da quell’espressione, per poi sbuffare imbarazzata quando lui scoppiò a ridere.
“Non è divertente.” Bofonchiò, mettendo in bocca altro riso, ormai freddo.
Passarono alcuni minuti in cui non si dissero altro. Yamato aveva ripreso a mangiare e il rumore delle bacchette sulle loro ciotole scandiva il passare dei minuti.
“Mi manca poter parlare con qualcuno, sa?” confessò a un tratto Ino, ormai convinta di non poter più evitare il discorso.
Yamato la guardò, ma non la interruppe.
“Quando avevo un problema ne parlavo con Asuma. Voglio dire, Shikamaru e Choji sono miei grandi amici, ma loro… sono ragazzi e… sentivo di potermi confidare di più con una persona adulta ed estranea a quel che ci capitava. Asuma ascoltava, paziente. Mi interrompeva con delle domande, si interessava e mi faceva capire che potevo fidarmi, che potevo dire qualsiasi cosa. Credo di aver parlato a lui per primo persino del mio ciclo…” e nell’aggiungere quell’ultima frase, Ino si voltò a guardare Yamato con un altro dei suoi sorrisi. Era uno di quelli caldi e sereni che facevano innamorare gli uomini.
Il jonin annuì e lei riprese a parlare:
“Poi Asuma è morto… - dirlo le bloccava sempre il respiro nella gola, per cui dovette schiarirsi la voce per continuare -… e tutto è cambiato. Certo, sapevamo dell’Akatsuki, sapevamo dei rischi, sapevamo tutto, ma non era concreto. Era un pericolo che galleggiava lontano, non so come dire… La sua morte mi ha svegliato e mi ha messo, anzi, ci ha messo, davanti alla realtà. Dicono che Sasuke sia la causa di tutto, dicono che forse è meglio ucciderlo. E, non so perché, ma questo mi fa incazzare.”
Adesso due calde lacrime scorrevano sul viso della ragazza, gocciolando fino alla sua ciotola di riso ormai vuota. Solo alcuni chicchi erano sparsi, come superstiti nella devastazione, lungo i suoi bordi.
Yamato si avvicinò a Ino e, allungando una mano, grande e forte, strinse quella della giovane.
Lei si voltò di nuovo a guardarlo.
“Fa incazzare eccome.” La serietà con cui il jonin pronunciò quella frase, le fece venire ancora più voglia di piangere.
“Mi dispiace… - singhiozzò la kunoichi in risposta, abbassando la testa, - ma io non posso, non posso proprio smettere…” e il pianto divenne un’onda impetuosa. Il corpo della ragazza iniziò a tremare così forte che Yamato si trovò costretto a stringerla per farla calmare.
Le ciotole scivolarono a terra, roteando più in là, mentre Ino si aggrappava alla maglia del jonin come se fosse alla ricerca di un appiglio per non affogare.
Quell'uomo non era Asuma eppure aveva la stessa forza, aveva la stessa capacità di ascoltarla, possibile?
Si sentì ridicola e, cosa che odiava di più, tremendamente infantile.
“Sono una stupida!” urlò, senza staccarsi da quel contatto.
Yamato dal suo canto, non disse niente, non cercò nemmeno di consolarla. Sapeva che quello era solo uno sfogo e come tale doveva uscire fuori. Sentì il giovane corpo, tremante, caldo contro il proprio e desiderò che sentisse che non era sola. In quei pochi momenti che avevano passato insieme, aveva stabilito con lei un legame di empatia. Forse era solo dovuto alla situazione, eppure lui capiva perfettamente come doveva sentirsi quella ragazza. Da un lato, gli ricordava moltissimo Sakura.
Con il passare dei minuti, il pianto di Ino iniziò a placarsi, mentre Yamato le accarezzava la testa e i capelli dorati con fare paterno, protettivo.
Forse, si disse la ragazza, aveva solo bisogno di potersi sentire al sicuro per un attimo in mezzo a quella devastazione.
Il petto di Yamato, come quello di Asuma, era davvero rassicurante. Sfregò la guancia contro la sua maglia e l'uomo scese ad accarezzarle la schiena. Ancora una volta, lui pensò a Sakura.
“Il riso mi è rimasto sullo stomaco…” soffiò la kunoichi, gli occhi gonfi di pianto.
Tenzo abbozzò un sorriso, baciandole la testa, continuando a stringerla forte.
“Ok, se devi vomitare girati dall'altra parte, per favore.”
Ino ridacchiò sollevata dal peso che le era scivolato dal cuore.
“Quando perdiamo i nostri punti di riferimento è davvero dura, Ino. – la voce di Tenzo era calma, calda – Ma il villaggio è la nostra casa, la nostra famiglia e, per fortuna, ci sarà sempre qualcuno pronto ad ascoltarci.”
La ragazza si mosse per staccarsi da quell’abbraccio solo per guardare in viso il capitano. Lui aveva un’espressione seria, ma tranquilla, sul viso. I suoi occhi scuri erano limpidi e insolitamente caldi. Le era piaciuto il fatto che si fosse espresso con ‘ascoltarci’, perché le sembrava che anche lui, nonostante fosse un jonin di livello S, avesse ammesso di avere delle debolezze.
“Non lo dimenticare: non è da stupidi confidarsi con qualcuno che sentiamo possa capirci. E’ umano e giusto, soprattutto in queste condizioni. Non preoccuparti per me, il dolore di ognuno di noi rappresenta il dolore di tutti.”
A vederlo parlare così, Ino provò la forte voglia di baciarlo. Non perché si fosse improvvisamente innamorata di lui, ma perché l’aveva capita e ora sentiva fra loro una connessione che aveva bisogno di essere espressa. Fu un pensiero che non la stupì, ma si rese conto che forse era eccessivo. E infantile, di nuovo. Quanto si faceva rabbia con quelle idee da ragazzina sognante!
Si staccarono dall’abbraccio entrambi con un senso di vuoto, senza smettere di guardarsi negli occhi.
“Mi dispiace, devo averle fatto andare di traverso la cena, prometto che, alla fine di tutto questo, la porterò a mangiare in un posto decente.”
Tenzo rise di quell’affermazione.
“Non dovrei essere io a portarti a mangiare da qualche parte?”
“Non si faccia strane idee… Non sono una ragazzina sognante che ha una cotta per lei. Sono giovane, ma sono una donna e mi piace chiacchierare mangiando bene.” E lo disse incrociando le braccia al petto e socchiudendo gli occhi dalle lunghe ciglia.
“Va bene, va bene.” Tenzo continuò a ridere, fin quando anche lei non venne contagiata da quella risata.



# # # #



“Ce ne hai messo di tempo…! Dormivi?” Ino, le braccia conserte e la divisa da jonin indosso, stava sulla soglia della porta con espressione divertita.
Yamato, i capelli arruffati e i soli pantaloni, la guardò sconcertato.
“Dormivo sì, ti ricordo che mi hanno dimesso stamattina…” bofonchiò in risposta, più assonnato che arrabbiato.
“Mpf, come se mi interessasse: sei vivo, per cui sei anche a posto per venire a cena con me. Mettiti qualcosa e andiamo, altrimenti come faccio a far ingelosire i miei numerosi spasimanti?”
Il jonin si passò una mano sul viso, ridacchiando.
“Entri o mi aspetti qui?”
“Entro, che domande!”
Tipico di Ino.
Erano passati anni dal loro, assurdo, primo incontro, eppure tutto era finito come si erano promessi. Quando la guerra si era conclusa, si erano ritrovati in ospedale insieme a molti dei loro compagni e avevano deciso che una volta usciti avrebbero dovuto festeggiare.
Ed era successo: Ino aveva preso a confidarsi con Yamato come aveva sempre fatto con Asuma. Gli raccontava spesso di come trovasse adorabile Shikamaru che fingeva disinteresse per Temari o irritante il modo spudorato con cui Kiba ci provava, nonostante avesse ancora in testa Hinata… Molti dei suoi sfoghi erano frivolezze che nascondevano dolori più profondi. Sì, perché poi il cuore di Ino era in pezzi e il jonin aveva imparato a capirla anche da quello.
E piano piano, cena dopo cena, Tenzo l’aveva vista crescere e divenire adulta. Ma non era l’unica cosa a essere cambiata. Erano cambiati anche i loro sentimenti e lo avvertiva ogni volta che si trovavano a punzecchiarsi.
“Com’è che non hai ancora invitato Anko a uscire?”
Ino mise in bocca, compostamente, il suo boccone di riso al curry.
Yamato sospirò, prima di sorridere nervosamente.
“Si vede con Kakashi, non te lo avevo detto?”
“Oh…” Ino lo guardò stupita, prima di riprendere a masticare, continuando il discorso solo a bocca vuota:
“Kurenai è libera, mi sembra.”
Yamato quasi non si strozzò con il curry. Il fatto che fosse così piccante, poi, non lo aiutò minimamente.
“K-Kurenai….è-è fuori discussione...” balbettò, ritrovando a poco a poco il respiro.
“Voi uomini fate schifo. Solo perché è una madre single, non la considerate un buon partito!”
Ma il jonin prese a ridacchiare, subito dopo, in modo sospetto.
Ino assottigliò lo sguardo, prima di puntare le bacchette contro al suo interlocutore.
“Non ci credo: con chi se la fa Kurenai?! Oh, meglio: chi si fa Kurenai?”
“Se non te lo dico?”
“Lo scoprirò comunque, tu sei una pettegola, ma io ho le mie fonti!”
Ridacchiarono ancora a lungo quella sera, immersi nella piacevole atmosfera del ristorante. Konoha, sotto il governo di Naruto, era diventato un luogo di tranquillità quasi surreale.
“Hai capito il vecchio Gai…” Ino mandò giù un sorso di sakè fumante, le guance imporporate da una leggera sbronza.
Yamato la guardò a lungo, convinto che fosse diventata ancora più bella. Il suo rapporto con lei era nato per caso, eppure non avrebbe potuto fare a meno della kunoichi. Tuttavia, per quanto non ci fosse mai stata malizia tra loro, ultimamente il jonin faticava a non pensare a Ino in altri termini… Ma chi voleva prendere in giro? Era meravigliosa in ogni suo aspetto e a uscirci così spesso gli era entrata nel cuore senza che potesse evitarlo.
Sospirando, mandò giù altro sakè.
A vederlo così pensieroso la jonin si avvicinò, sporgendosi sul tavolo per riavere la sua attenzione.
“A cosa pensi?”
Lui la fissò con quei suoi occhi scuri, profondissimi e lei avvertì una strana sensazione correre giù per la schiena.
Tenzo pensava che fosse bella. Bella tutta: il suo viso, il suo corpo, le sue mani, la sua risata, la sua voce. A ben pensarci, però, la prima cosa che aveva visto di lei e che lo aveva legato a sé era stato il pianto. Forse tutto era nato lì, dalla sincerità che si erano dimostrati sin dall’inizio.
“Non fare così: troverai la donna giusta, amico mio.” E nel dirlo, Ino gli appoggiò una mano sulla spalla.
“E se ti dicessi che l’ho trovata e non ne voglio un’altra, mi crederesti?” non era riuscito a trattenersi. Nulla: differenza di età, etica, luogo pubblico, poteva più mettersi tra lui e la donna che aveva scelto di avere accanto.
Ino si mise dritta contro lo schienale della panca e lo guardò sorpresa.
“Ah sì? E chi sarebbe questa…?”
Nel vedere che lei non aveva capito, ma anzi, sembrava piuttosto gelosa, Yamato scoppiò a ridere.
Accidenti, solo Ino lo faceva ridere così e lo doveva a quel suo viso tanto espressivo!
“Se non te lo dico, lo scoprirai lo stesso grazie alle tue magnifiche fonti?”
Ino, nel vedersi prendere in giro, stirò le labbra in un sorriso, mentre il sospetto si insinuava in lei.
Un piacevole sospetto perché, per quanto lo negasse, Yamato…Tenzo anzi, da qualche tempo era diventato insostituibile. Se pensava al senso di protezione e fiducia che avvertiva quando erano insieme, si rendeva conto che quello non era affatto come il rapporto che la legava ad Asuma.



Arrivarono verso l’appartamento di Yamato in pochi minuti.
“Mi riaccompagni pure a casa. Sei davvero tu che porti i pantaloni fra noi due.” Commentò il jonin fermandosi. Ino, contrariamente a Sakura, Hinata e le altre giovani donne di Konoha, era piuttosto alta, per cui non aveva bisogno di abbassare lo sguardo per scorgere i suoi occhi. Questa era un’altra cosa che gli piaceva di lei, quasi fossero alla pari in ogni cosa.
“Parrebbe di sì…” sospirò lei, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni, voltando il viso verso la strada. La sua femminilità era così leggera che persino vestita in quel modo sembrava sensuale.
Passarono alcuni minuti in silenzio, poi lei alzò le spalle e abbozzò un sorriso.
“Buonanotte!” lo disse velocemente, per scappare da quella situazione. Per un attimo si era illusa di ricevere una dichiarazione. E Tenzo, dalla sua parte, per un attimo aveva davvero pensato di confessarle i propri sentimenti, ma le remore lo avevano nuovamente bloccato.
“Buonanotte…” sospirò, guardandola allontanarsi.

Ma Ino aveva un intuito che non sbagliava mai e, complice l’alcol, complice il battere incessante del proprio cuore, compiuti i primi passi tornò indietro.
Tenzo si sentì afferrare per il giubbotto e voltare con forza dalla ragazza.
“Le mie fonti… - sospirò, come se stesse cercando il fiato dopo una corsa -…dicono che sono io, quella donna. Sono io, vero?” si scambiarono uno sguardo in un minuto che divenne eternità.
Tenzo, stordito da un gesto tanto improvviso e stupito da tanta forza fisica, la guardò negli occhi chiari illuminati dalla luna.
Poi, con un grande sorriso e sincero come il loro primo incontro, annuì.
“Certo, certo che sei tu.”
Lei sorrise, leggermente commossa, prima di chiudergli le labbra con un bacio. Quel bacio che aveva desiderato a lungo.
Tu mi porti a cena, tu mi baci…” mormorò, staccandosi da lei ancora con il sorriso.
Ino ridacchiò.
“Apri la porta e vedrai cos’altro ti faccio, io!”
“Vedo che insisti, per cui mi sacrificherò per la causa.”


Da quella sera, scoprirono non solo di amarsi profondamente, ma anche che cenare insieme era bello soprattutto a letto, fra le lenzuola sfatte.

Owari…?
21.03.2011


Ok, questa fanfic è stata scritta per la sfida "A cena con il crack" e partorita il 21.03.2011. Non l'avevo ancora postata poiché avevo voglia di farla diventare una long. Ci sono molte cose compresse. Tuttavia, alla fine ho deciso di lasciarla così :) l'ho riveduta e corretta (sperando di non essermi persa cavolate in giro) e ve la posto qui. Che voglia di primavera! Lo so che il pair non susciterà l'interesse di nessuno, ma io insieme li trovo adorabili*_* See you soon, Urdi

  
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