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Autore: Sophrosouneh    05/02/2012    5 recensioni
[Sporco pagliaccio, prostituta del mondo intero, placa il tuo desiderio prendendoti gioco di questa candida rosa.
“Lussuria! -urlò la flebile voce della splendida creaturina- promettetemi che, quando quel giorno arriverà, verrete a cercarmi.”
Al clown venne spontaneo regalare uno dei pochi sorrisi sinceri che si fosse mai concesso a quella creatura dell’apparenza così fragile, ma dall’animo più saldo di un monolite. Colei che aveva saputo strappare con delicatezza la stupida maschera che in quei secoli si era auto imposto.
“Glielo prometto Speranza. Parola di pagliaccio.” ]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rosa Bianca



Sporco pagliaccio,
prostituta del mondo intero,
placa il tuo desiderio
prendendoti gioco di questa candida rosa.



Un uomo vestito con un elegante soprabito nero, percorreva a lunghi passi la sterminata foresta, sfoggiando con orgoglio lo sfarzoso completo di seta scuro corredato con un buffo cappello a cilindro che svettava sopra i lunghi capelli color del sole al tramonto, lisci come i crini del più nobile puledro. Il volto diafano risplendeva baciato dai raggi lunari che ne evidenziavano le forme sottili e quasi femminee della mascella e del naso. Aveva labbra sottili e occhi penetranti dello stesso colore della terra che calpestava. Un pesante trucco di matita verde smeraldo contornava le palpebre stanche, mentre il rossetto scarlatto, con il quale si era dipinto le labbra, era stato sbavato malamente.

Si fermò, dopo aver mosso pochi passi, in una radura sulla quale i rami degli aceri secolari non gettavano la loro possente ombra.
Ciò che il clown cercava risiedeva in quel luogo dimenticato da Dio.


Intarsiata in uno dei tronchi più maestosi di tutto il bosco, come una stilla di resina, risiedeva una piccola ed immota figura. Pareva una bambola esposta in una nicchia nella camera di una egocentrica bambina. Una bambola a dimensione d’uomo. La pelle della più fine porcellana, gli occhi azzurro cielo, le palpebre leggere come spuma di mare, le labbra innocenti e carnose, il naso all’insù, il vitino sottile: tutto in quella riproduzione di donna ispirava un’assoluta regalità. Intrecciate ai lunghissimi capelli nero pece, splendide rose bianche si nutrivano e si sorreggevano, avviluppandosi attorno al suo corpo minuto. Un vestitino leggero come la rugiada mattutina le fasciava le forme infantili con i toni del turchese e del lapislazzulo.
I freddi occhi inanimati della bambina erano fissi sulla figura dell’uomo che era venuto a farle visita quella sera. Non pronunciò alcuna parola, aspettando che fosse lui ad annunciarsi.
L’uomo si tolse il cappello con devoto rispetto, inchinandosi profondamente.

“Mia signora.” Sussurrò nel vento della sera, mentre la maschera di ghiaccio che intrappolava il volto della piccola principessa si scioglieva come neve al sole.
Le guance riprendevano un poco di colore, e gli occhi si addolcivano, mentre le labbra accennavano un aborto di sorriso.

“Vieni da me, Lussuria” pronunciò con una voce ferma che tradiva un’età molto superiore ai pochi anni che dimostrava. Era una voce di donna adulta nel fiore degli anni, non di bambina di circa sette.
Una mano magra si sollevò a fatica verso il suo interlocutore, come se tutta la muscolatura del fragile essere si trovasse ad essere intorpidita dai troppi secoli di riposo forzato.
Il pagliaccio non se lo fece ripetere e avanzò con lunghe falcate fin quando non si trovò inginocchiato ai piedi della bimba. Afferrò la manina tremante, accostandola dolcemente alle labbra dipinte.
“Siete divina mia Lady. Il tempo non vi ha cambiato affatto.” Asserì mellifluo ardendo di guardare la sovrana negli occhi.
“Siete sempre così cortese con me, caro giullare, ma non penso che riuscirò mai a sdebitarmi e ripagare a dovere il debito che ho contratto nei vostri confronti.” Bisbigliò la piccola donna di porcellana, sotto lo sguardo adornate dell’uomo.
Il clown, acciaccato dal tempo, socchiuse le palpebre, regalando alla bambina lo sguardo più dolce che quegli occhi accattivati e taglienti fossero in grado di esprimere.
“Se voi non mi aveste salvato dalla distruzione, adesso non sarei qui a tenervi la mano. Avete fatto per me più di quanto dovevate. I vostri occhi puri non sono degni di posarsi su di un abominio come me.” Singhiozzò abbassando lo sguardo e percependo le dita sottili della piccola sfuggire via dall’abbraccio della sua sporca mano.


***

Ricordava perfettamente quella sera di molti secoli prima, duecentotrentadue anni dopo il grande scisma tra paradiso ed inferno, quando aveva visto la meravigliosa creatura per la prima volta.
Una candida Virtù inviata dal più fulgido Eden per cercare di sanare i rapporti con il signore degli Inferi che già era sul piede di guerra. Il sommo Padre aveva inviato la figlia maggiore in sposa al rivale.
Alla fastosa cerimonia lui aveva assistito dalla seconda fila e non aveva potuto esimersi dal trattenere il fiato alla vista del dolce angelo dal cuore saldo come una montagna e dall’apparenza di fragile bambolina. Un matrimonio tanto inutile quanto sfarzoso, al termine del quale le ostilità ripresero con maggior intensità di prima. La neo regina si era sempre impegnata fin dal primo istante a tenere a bada le pulsioni del marito, ma il suo sforzo si era rivelato vano.
Il Signore delle tenebre, infuriato per quel comportamento sconveniente, decise di privare la piccola bambola delle sue ali d’angelo; i demoni non ne possedevano e anche lei avrebbe dovuto adeguarsi a quello status. Ogni piuma che le vedeva sfolgorare sulla schiena ricordava a Lucifero i radiosi tempi in cui sedeva alla destra di Dio.
Ma la regina non resistette al taglio delle ali, cominciò a dar segni di squilibrio mentale. Scendeva sempre più spesso nei bassi fondi; girovagava senza meta tra prostitute e alcolizzati versando fiumi di lacrime. Quando le guardie reali la scoprirono in una di quelle sue fughe notturne, la portarono in ceppi ai piedi del consorte che –felice di potersi liberare dal peso che la Virtù era diventata per lui- non si fece problemi a rilegarla sulla terra fino alla fine dei tempi. In fondo, adesso che aveva perso le ali, era diventata di sua proprietà.

Era stato proprio nel corso di una di quelle sue fughe clandestine che la bambola degli inferi si era imbattuta nello strano clown. Elegantemente vestito e truccato camminava per strada con il volto dipinto di bianco e gli occhi bordati di rosso cumino. Lei, seduta su una panchina, lo aveva osservato attentamente per qualche frazione di secondo, costringendolo a voltarsi verso di lei, tanto penetrante era il suo sguardo. L’uomo le si era avvicinato incuriosito.

“Cosa ci fa la mia Signora in questo posto desolato?” chiese sibillino esibendosi in uno sfarzoso inchino.
La piccola donna gli riservò un’occhiata accondiscendente.
“Faccio ciò che mio marito non fa!” borbottò, ricominciando a guardarsi in giro affaccendata, ignorando completamente lo strano pagliaccio che le si era parato davanti. L’uomo si sedette leggiadro sulla panchina imitando meschinamente l’interesse dalla bambina per i passanti.
“E di preciso che cosa sarebbe?” chiese malizioso, cercando di guardare negli occhi la sua piccola interlocutrice.
La bambina allora arrestò la sua ricerca rendendosi conto di quanto cieca era stata.
“Mi interesso della sorte delle nostre anime.” Spiegò con voce un poco più addolcita, volgendosi verso l’uomo col buffo volto dipinto.
Non si era resa conto che quel che andava cercando ce l’aveva davanti: l’anima più infelice dell’inferno, colui che si era prefissata di salvare dalle mani del marito.

Il pagliaccio trattenne a stento una risata.
“Questo vuol dire che in tutto questo tempo all’inferno non ha imparato nulla, mia Signora!” le rivelò, con il chiaro intento di sottolineare i suoi errori.
La bimba si mostrò in tutta la sua ridotta statura, arrivando a malapena a sfiorare la scapola dello smilzo e slanciato clown.
“Lei parla così perché è uno sciocco imbroglione che pretende di beffare anche se stesso! Qual è il vostro nome, pagliaccio?” chiese un poco stizzita.
L’uomo si inchinò di nuovo per guardare la bambina nei grandi occhi azzurro cielo.
“Perdoni la mia maleducazione Madame. Il nome che il vostro consorte mi ha imposto, dopo avermi generato dalla sua superba mente, è Lussuria. Per servirla.” Spiegò melenso il buffone.
La bimba cominciò a camminare verso una differente meta, mentre il giovane, piuttosto incuriosito, la seguì con il suo traballante andamento che ricordava le piroette di un’esperta ballerina.

“Dimmi Lussuria, sei felice?” gli chiese a bruciapelo il minuto essere.
Tra i due tornò a regnare il silenzio, rotto soltanto dal ticchettare delle scarpette della bimba sul selciato.
“Non comprendo questa sua richiesta mia Signora.” Confidò il clown.
La bimba sospirò e si apprestò a rettificare:
“Cosa si cela dietro quegli occhi scuri? Quale essere vive in questo corpo efebico? Non sei stanco di questa vita fatta di illusioni e menzogne?” chiese nuovamente.
Il pagliaccio smise di avanzare, osservando la fragile schiena della bimba.
“Cosa sei se non la peggior prostituta di questo immenso bordello? Rispondimi pagliaccio. –poi fece una piccola pausa, addolcendo un poco le sue parole- Sai, siamo molto più simili di quanto tu creda: ci svendiamo entrambi al miglior offerente per il mero desiderio di condividere un anelito di vita. Nessuno ci considera per tutto il corso della vita, solo quando la mente umana ha bisogno di rassicurazione si rivolge a noi. Per questo trascorriamo le nostra esistenza attendendo che le anime degli altri si voltino, che si accorgano della nostra presenza, che abbiano bisogno di noi e ci accolgano tra le braccia. Cerchiamo l’amore in modo spasmodico, ce ne basta anche poco, ma di esso siamo eterni schiavi.” Ammise la donna non fermandosi un attimo a guardarsi alle spalle.

Lo lasciò da solo con i suoi dubbi e le lenzuola umide di una squallida camera di motel.

***


Fu solo quando il pagliaccio percepì il lieve tocco di quella mano, che prima stringeva tra le sue, sotto il mento, che alzò il volto, continuando tuttavia a tenere gli occhi bassi.

“Sei la vergogna del creato: una creatura viscida e lasciva che irretisce gli uomini nelle sue stupide trame di seduzione. Ti nascondi dietro una maschera austera di freddezza e perversione, ma, in fondo, sei solo un pagliaccio. Vivi per il piacere altrui, la maschera ti serve per cercare di prendere le distanze dalle azioni che sei costretto a compiere. Il tuo cuore è fragile come una foglia ingiallita da madre autunno, i sentimenti ti feriscono e perciò li fuggi. Mio marito non comprende la tua vera anima, ma non puoi fuggire da me. I tuoi occhi celano molto di più di quanto questa maschera sbavata riesca a obnubilare” sussurrò a fior di labbra, accarezzando con mano stranamente ferma il volto diafano dell’uomo che osservava le piccole labbra muoversi in sincronia per dar voce a tali veritiere parole.
Intrappolato in una sorta di rapimento estatico pendeva direttamente da quella voce melodica e soave che apparteneva alla prima delle molte spose del Signore delle tenebre.

“Mia Signora, io …” tentò di articolare prima di essere zittito dalla bambina.
“Non importano queste formalità, pagliaccio mio, chiamami per nome. Fammi sentire che cosa si prova a venire ricordati da qualcuno.” Lo pregò la bimba cingendo le mani in grembo.
Superato un primo momento di incertezza, dovuto allo stupore che tali parole avevano generato nel suo animo, l’uomo decise ad acconsentire a tale richiesta.
“Signora Speranza, io mi professo vostro eterno schiavo. Non solamente a causa del filo indissolubile che mi lega ai piedi del vostro consorte, ma per puro amore nei vostri confronti. È la prima volta che provo un simile desiderio di rimanere al fianco di una persona senza pretendere da essa prestazioni carnali. Siete caduta in sposa giovane per siglare una pace mai avvenuta. Venduta come mera merce di scambio. Ultima Virtù a spegnersi, capace di rimanere latente nel cuore di ogni uomo; ma prima a sacrificarsi per la causa. Mi chiedo perché vostra Maestà voglia farmi una così grande grazia da regalarmi la sua bontà?” chiese impotente, accasciandosi al suolo.

“La bontà, così come la lealtà, solo difficili da concedere come da conquistarsi. Tu non puoi ordinare al sole di sorgere o al cuore di battere, ma puoi rendere grazie alla fortuna che hai di potere vedere la nuova alba innalzarsi nel cielo. Vedi Lussuria tu ed io non siamo così differenti come tu credi. Siamo entrambi vittime di un infame desiderio che ci tappa le ali. Noi non siamo aquile destinate a levarsi alte tra le nubi, bensì sperdute rondini che  volteggiano in circolo nei pressi del loro nido. Preda degli altri animali che ci schiacciano e ci sovrastano. Ma, nonostante ciò, il mondo ha bisogno di noi, siamo la Virtù ed il Peccato su cui l’intera civiltà ha costruito il suo precario castello di carte. L’uomo ha bisogno di certezze e appagamento, non gli occorre altro per sopravvivere. La cosa triste è che non se ne rende conto nessuno, siamo così importanti da essere dati per scontati. Quindi non attribuirmi qualità che non ho, e adesso alzati da terra e mostrami che le tue parole sono veritiere!” ordinò austera e portò una delle piccole mani a sfiorare i capelli color dell'opale che le ricadevano sulle spalle come una morbida coperta. Le fragili dita si strinsero attorno ad uno dei tanti boccioli che le adornavano l’acconciatura. Esercitando una leggera forza riuscì a svellere il fragile stelo dal suo corpo. Rimirò la delicata rosa bianca, chiara come una nuvola primaverile a contrasto con l’azzurro cielo del vestito.
“Questa è per voi, mio adorato pagliaccio” cinguettò, porgendo il fragile fiore in direzione dell’uomo, accompagnando tale gesto con il più dolce sorriso su cui gli occhi di Lussuria si fossero mai posati.
“Voi mi onorate.” Boccheggiò il clown, stendendo le mani per raccogliere il fragile dono che gli veniva porto dalla sua signora. Rimirò la rosa con cautela, appuntandola poi all’occhiello della giacca nera che indossava.
“La terrò sempre con me come il più prezioso dei tesori. Proprio qui, al posto del cuore di cui vostro marito mi ha creato sfornito.” 
“Vedrai che un giorno nascerà un’alba anche per noi, a primavera le rondini sono i primi uccelli a tornare ad animare i cieli.” 
“Attenderò con trepidante attesa quel giorno.” rispose il pagliaccio chinandosi a depositare un ultimo bacio sulla piccola mano della bambina.

L’uomo si voltò lentamente, raccolse con grazia il cappello,  ma, improvvisamente, una voce lo fece voltare.
“Lussuria!  Promettetemi che, quando quel giorno arriverà, verrete a cercarmi.”
Al clown venne spontaneo regalare uno dei pochi sorrisi sinceri che si fosse mai concesso a quella creatura dall’apparenza così fragile, ma dall’animo più saldo di un monolite. Colei che aveva saputo strappare con delicatezza la stupida maschera che in quei secoli si era auto imposto.
“Ve lo prometto Speranza. Parola di pagliaccio.” Concluse, osservando le palpebre della bambola chiudersi esauste, mentre le labbra carnose si dischiudevano in un meraviglioso sorriso di pace.



In realtà aveva mentito, lui un cuore ce l’aveva, ed era dello stesso colore scarlatto del sangue che gli scorreva nelle vene. Peccato che, da molti secoli a quella parte, esso non risiedesse più nel suo petto. Due manine candide e delicate come colombe glielo avevano strappato, sigillandolo assieme alla loro padrona in una nicchia nascosta agli occhi del mondo. E questo solamente perché Lussuria, per la prima volta, aveva lasciato che qualche altro essere gettasse uno sguardo a quello che nascondeva dietro la maschera da pagliaccio seduttore. Si era innamorato di una bambola di porcellana, trofeo nelle mani di un padrone che poi era anche il proprio. Eppure non riusciva, per quanto si sforzasse, a recidere il fragile legame che li univa. L’amava, ma non poteva amarla a causa della sua natura. Era un essere asessuato che malamente tentava di interpretare entrambi i sessi di cui disponeva. Un orrido essere capace solamente di sopravvivere ingannando il prossimo.

“Lussuria …

Ma allora perché quella voce suonava tanto dolce? Come mai continuava a soffrire anche senza un cuore?

“Lussuria …”

Di nuovo la voce della bimba lo risvegliò dalle sue tenebre personali. 
Fu allora che la percepì: una scossa elettrica al centro esatto del proprio petto.
Un tenue battito capace di far risuonare di emozione tutto il corpo dell’essere.
E poi un altro, ed un altro ancora.
Una rapida serie di scosse, fragili come i battiti delle ali di un uccellino ancora troppo fragile per spiccare il volo senza l’ausilio dei genitori.
Ed eccola lì, a completare il quadro, una mano materna a sorreggerlo nel corso del proprio volo.
Rivide il volto della bambina che tanto amava, solo che, sta volta, non era concreto, ma evanescente come una nelle nubi che transitavano di fronte alla luna.
I tenui raggi lattei dell’astro trafissero la piccola figura rivelandone la natura incorporea.

Come sbatté le palpebre la visione si disciolse nel nulla ed il cuore smise di battere lasciando al suo posto solo un inebriante senso di vuoto.
Sorrise automaticamente, calandosi meglio il cappello in testa.
L’uomo continuò nel suo incedere solitario nella notte, e, mentre si lasciava la nicchia alle spalle, nascosta sotto il cappello, una lacrima solitaria gli solcò la guancia, andando ad infrangersi sui petali vergini del fiore.
La rosa candida si tinse del colore della lacrima sanguigna.

La sorella luna era ancora alta nel cielo, lo show di quella sera faceva ancora in tempo ad andare in scena. La maschera di cerone era tornata al proprio posto, pronta per la nuova esibizione.
In fondo, quella era la sua natura, non poteva combattere contro il volere del suo animo, aveva bisogno di rincorrere una parvenza di umanità. Si nutriva di carne, sangue e sesso; ma il suo cuore, nascosto tra due mani di fata, sanguinava ogni qual volta che una mano estranea si posava sul corpo efebico.
Annegava nei piaceri il suo disarmante senso di incompletezza, fingendo una felicità non sua.


Piangi per me Lussuria mia.
Amami fin quando
non soffrirai tra strazianti dolori.
Rispondi Pagliaccio mio:

“… sei felice?”














  
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