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Autore: Nebula216    05/02/2012    1 recensioni
"[...] -Sembri nostra madre.-
Esordì Hassan appoggiato allo stipite della porta. La prima luce della luna illuminava la sua pelle dorata, rendendola più chiara e opaca di quello che era alla luce del sole: le vesti erano ricoperte di polvere, probabilmente perché qualche cavallo non aveva voluto farsi prendere. Risi, togliendogli dai capelli un filo di paglia.
-E tu sembri un puledro conciato in questo modo. Chi ha fatto storie adesso? Shetan? Hani? Ayman?-
Mio fratello scostò lo sguardo, imbronciato.
-…Farah Dihba.-
Sussurrò a denti stretti e facendomi scoppiare, non volontariamente, in una risata allegra [...]"
Prima FF su Assassin's Creed, spero vi piaccia.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Roberto di Sable
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2: Aisha

E
ra finito.
Anche quel manoscritto era stato divorato dalla mia voglia di sapere in breve tempo: se avessi continuato di questo passo, non me ne sarebbe rimasto nemmeno uno. La biblioteca di famiglia, ormai, era diventata una mia seconda stanza, viste le ore che ci passavo: conoscevo la posizione di ogni singolo codice, su quale scaffale stava e come iniziavano.
Appoggiandomi contro lo schienale imbottito della sedia, provai una noia immensa: quello era l’ultimo che mio padre mi aveva riportato da uno dei suoi viaggi… adesso dovevo attendere il prossimo.
Un’attesa che poteva variare dalle poche settimane a più di tre mesi.
Allontanai dal mio sguardo verde acqua chiaro un piccolo ricciolo ramato, evidentemente sfuggito all’acconciatura che mi era stata fatta dalla nutrice quella mattina. Presi il mantello di lana finemente lavorata, mettendolo sulle spalle ed uscendo da quel forziere di antichi segreti e storie immutabili, decisa a sgranchirmi un poco le gambe: stare seduta per ore non era l’ideale, specie con la pioggia che imperversava nella zona e che rendeva umida e fredda la fortezza.
Mio padre, a breve, sarebbe dovuto tornare da una riunione di lavoro, o almeno così mi aveva detto quella mattina, prima di restare sola nella biblioteca per tutto il giorno: mi era difficile pensare se avesse detto il vero o il falso, a dire la verità mi era difficile persino pensare ad un suo possibile ritorno a casa… non sarebbe stata la prima volta dopotutto.
Camminai per i corridoi del palazzo, ammirando gli arazzi che, per generazioni, la mia famiglia si era tramandata: arazzi che raccontavano di guerre antiche, di battute di caccia, di amori impossibili e sofferti, antiche leggende che si perdevano nella notte dei tempi. Sfiorai un unicorno ricamato con cura certosina che, timidamente, si lasciava carezzare il muso da una vergine, ignaro del cavaliere nascosto, pronto a scoccare la freccia che lo avrebbe ucciso… e tutto per quel tesoro che ornava la sua fronte.
L’uomo, pensai, era la creatura più strana e ambigua di tutte: a volte si rivelava disposto a tutto per aiutare il prossimo… ed altre volte non esitava ad andargli contro, per ottenere ciò che voleva, per soddisfare i suoi desideri. Non avrei mai capito la mia specie, non avrei mai compreso fino in fondo quali fossero i meccanismi ancestrali che spingevano l’umanità ad agire in questo modo: erano le ambizioni e i peccati?
O qualcos’altro?
Ormai avrei dovuto capire la mente contorta dell’essere umano, però tutto mi risultava ancora difficile: non ero sicura delle mie ipotesi, forse non avrei mai trovato una risposta a tutti quegli interrogativi che mi stavano dilaniando la mente.
Mi allontanai dagli arazzi, percorrendo senza una meta precisa i vari corridoi del palazzo, inondati dal profumo della cena sul fuoco delle cucine: selvaggina, capponi, probabilmente uno stufato e qualcos’altro, ecco cosa avevano preparato i cuochi per il ritorno di mio padre.
Entrai in un’altra sala, vedendo i due segugi da caccia, sdraiati davanti al caminetto acceso, sollevare la testa ancora mezzi addormentati: le loro orecchie, lunghe e setose, contornavano i loro musi dalla pelle cadente, rendendoli ancor più dolci e simpatici alla vista; tempo di vedermi che le loro code sottili iniziarono a dimenarsi a destra e a sinistra, accogliendomi assieme a dei guaiti dolcissimi.
Sorridente, mi sedetti e lasciai che i due cani appoggiassero il muso o una delle zampe anteriori sulle mie gambe: nei lunghi pomeriggi in cui stavo da sola, loro e la mia governante erano gli unici a tenermi compagnia… se si parlava di compagnia dotata di anima.
Fissai, mentre coccolavo i due segugi, il fuoco scoppiettante del caminetto, perdendomi nuovamente nelle mie fantasticherie di giovane ragazza: ancora, nonostante la mia età, non ero sposata e questo per mio padre era una specie di disonore, o almeno così pensavo che fosse considerando il fatto che altre mie coetanee erano già diventate madri non so quante volte. Eppure, nemmeno lui sembrava pensarci troppo, soprattutto in quel periodo: occupato com’era a discutere di affari, poteva dedicarmi poco tempo, quanto bastava per rassicurarmi o per vedere come stavo.
Non lo colpevolizzavo per questo e, probabilmente, non lo avrei mai fatto, in nessun altro caso.
Il cigolio di una porta fece scattare in piedi i due segugi: il loro sguardo, da pigro e dolce, divenne attento, così come i loro muscoli si prepararono allo scatto. Mi voltai verso la porta, vedendo la mia governante entrare con una mantella più pesante: non era molto alta, eppure poteva donare una dolcezza e una sicurezza fuori dal comune; teneva i capelli, ormai grigi, raccolti in una crocchia e gli occhi, di un intenso color nocciola, mi fissavano preoccupati.
-Signorina! Deve coprirsi! Fa freddo e se si prende un malanno suo padre non me lo perdonerà!-
Accennai un sorriso, accettando di buon grado la mantella pesante che mi aveva portato.
-Tranquilla Margaret, non mi ammalerò.-
-Sì, sì, dice sempre così e poi si ritrova confinata nel letto!-
Replicò quando mi mise sulle spalle il mantello più pesante, non curandosi delle mie lamentele e delle risate. Quella donna si preoccupava troppo, era un’angoscia continua, mi ritrovai a pensare: quando mi vedeva carezzare i falchi e gli sparvieri da caccia di mio padre, quando facevo un giro sul mio cavallo, quando addirittura giocavo con i segugi o cercavo un libro.
Accettai, nonostante tutto, la cappa, continuando a fissare il fuoco scoppiettante, fasci di seta del colore del tramonto che dimostravano la loro allegria, schioccando come fruste al vento le loro cime: pregai che quella serenità contagiasse anche me, fin troppo malinconica per il tempo grigio e umido.
-Fra quanto sarà pronta la cena?-
Domandai a Margaret mentre carezzavo il muso dei due segugi scodinzolanti, probabilmente impazienti di mangiare ciò che sarebbe caduto dal tavolo o ciò che io e mio padre avremo lasciato loro.
-Non molto ormai signorina Aisha. Stia tranquilla, suo padre manterrà la parola data e tornerà per…-
Il suono di un corno mi bastò per farmi veramente sorridere di cuore: come se mi avessero messo dei carboni ardenti sulla sedia, scattai in piedi e corsi, con i cani a seguito, verso l’ingresso principale.
Superai dei servi con l’agilità di una cerva, aumentando l’ampiezza delle falcate quando vidi due di essi iniziare ad aprire il portone: era tornato, papà aveva mantenuto la parola data!
Tempo di vedere la porta di quercia aprirsi del tutto che un caldo, paterno e fradicio abbraccio mi sollevò da terra, facendomi scappare dalle labbra una risata serena: gli volevo un bene dell’anima, così come lui ne voleva a me.
-Bentornato padre.-
Dissi sorridente quando mi appoggiò, con delicatezza, a terra e mi ricambiò il sorriso, come solo un padre poteva fare, donandomi sicurezza, affetto… e anche scuse.
-Mi dispiace se ho tardato figlia, la riunione è durata più del previsto.-
Non gli detti la colpa: sapevo che lavorava costantemente per garantire la sicurezza dei nostri territori, della gente che vi abitava; consideravo mio padre un uomo saggio e virtuoso, disposto a tutto per aiutare il suo popolo… e di questo andavo fiera.
-Non si preoccupi padre, ne ho approfittato per terminare il manoscritto che mi avete riportato dal vostro ultimo viaggio.-
Mi accennò un sorriso, invitandomi a seguirlo nella sala da pranzo dove, come sempre, avremo consumato la cena, rispondendo alle domande che ci saremo posti fra un boccone e l’altro: lui mi avrebbe chiesto come avevo passato la giornata, io avrei risposto come sempre e gli avrei domandato come, invece, avesse passato il tempo, ottenendo come risposta le medesime parole di sempre.
Ci sedemmo, scortati dai segugi, a tavola, proprio quando dei servi avevano iniziato a portare le pietanze: selvaggina, soprattutto carne di cervo, qualche cappone ripieno, verdure e pane per accompagnare il tutto. I cani, guaenti, si accucciarono ai piedi di mio padre, supplicandolo con gli occhi color nocciola di lasciargli qualche boccone, o qualche osso da mordere; dopo numerosi lamenti, lanciò un osso per uno in due zone opposte della sala, per non farli litigare fra di loro.
-Come è andata oggi padre?-
Gli domandai per interrompere quel silenzio lugubre, accompagnato soltanto dallo scrosciare violento della pioggia: non aveva ancora aperto bocca, il che era parecchio strano da parte sua, visto e considerato che era sempre lui a rivolgermi le prime interpellanze. Non mi rispose, occupato a fissare concentrato, e con le mani congiunte sulle labbra, il suo calice del vino vuoto: probabilmente la riunione non era andata nel verso giusto, mi ritrovai a pensare, oppure stava progettando qualcosa che non potevo comprendere fino in fondo… o per niente.
Un servo si avvicinò con una brocca, versando nel calice di mio padre un po’ di vino.
-Va… tutto bene padre?-
Chiesi, preoccupata per  quello strano comportamento che stava tenendo il mio genitore. Lui, come se si fosse risvegliato da un incubo, sobbalzò leggermente sulla sedia, regalandomi a seguito un sorriso.
-Niente figlia mia, tranquilla. Stavo pensando a ciò che è successo durante la riunione e mi domandavo se ti piacerebbe venire con me in Terra Santa.-
A quella proposta per poco non mi soffocai con un sorso d’acqua: era uno scherzo? Mai mio padre mi aveva permesso, in passato, di seguirlo nei suoi viaggi, lasciandomi sola in quelle mura di gelida pietra; la sua proposta mi aveva colto alla sprovvista, causandomi un’immensa felicità… accompagnata però da un’ombra di timore.
Avevo sempre desiderato viaggiare assieme al mio genitore, fin da piccola… allora perché sentivo che qualcosa non andava?
-Padre… perché questa proposta? Non mi ha mai permesso di seguirla nei suoi viaggi.-
Lo vidi sorseggiare un po’ di vino, dopo aver ingoiato un boccone di cervo.
-Penso che possa aiutarti nella tua istruzione Aisha. Vedi, vivere in un luogo è diverso da leggere ed imparare nozioni relative ad esso.-
-Ho capito… ma perché in Terra Santa?-
Mi rivolse uno sguardo paterno, capendo perfettamente il mio timore.
-Dovrò recarmi là con dei soldati, a quanto pare Saladino ha distrutto dei pozzi per la nostra acqua e devo cercare di aiutare gli altri combattenti. Ti sto offrendo l’occasione di poter visitare quei luoghi figlia mia, di uscire da queste mura…-
Mi strinse la mano, nel tentativo di donarmi sicurezza e coraggio: non potevo lasciarmi sopraffare dalla paura, non avrei avuto mai più un’occasione simile. Sorridente, ricambiai la stretta, annuendo vigorosamente con la testa.
-Sì padre, partirò con voi.-
-Splendido! Sono davvero fiero di avere una figlia come te Aisha. Sei una mia degna erede, devi portare con orgoglio il tuo nome. Partiamo dopo domani.-
Mi disse, contento come non lo era mai stato della mia decisione.
Anche io, se avessi potuto, sarei scoppiata ad urlare dalla gioia, ma cercavo comunque di contenere la mia allegria sempre più crescente: avrei finalmente visto le città di cui mio padre mi aveva sempre raccontato, fin dall’infanzia: Gerusalemme, Acri, Damasco… finalmente le avrei viste di persona.
Finita la cena, mi congedai da mio padre, occupato a riscaldarsi vicino al caminetto con la compagnia dei fedeli segugi, raggiungendo con grandi falcate le scuderie del palazzo: aprii la porta sorridente, correndo a una delle poste ed emettendo un piccolo fischio. Subito, la testa dritta e perfetta della mia giumenta grigia chiara mi accolse con un lieve sbuffo, cercando subito una carezza o qualche cibaria; sorridendo, afferrai dell’avena da un secchio, porgendogliela a mano tesa.
-Ho una notizia stupenda bella.-
La cavalla sbuffò, masticando con gusto la biada che le avevo dato. Quando ripulì il palmo intero, le abbracciai il collo, regalandole una carezza appena sotto la criniera.
-Vado in Terra Santa con papà! Ti rendi conto? Finalmente potrò vedere le città di cui mi ha parlato tanto!-
La grigia nitrì, come se volesse assecondare la mia gioia. Sarei partita con mio padre, Roberto di Sable, per la Terra Santa: avrei avuto l’occasione di stargli vicino, dopo tanti anni… come quando ero piccola.
Come quando lui faceva di tutto per starmi vicino, per farmi sentire veramente sua figlia. Rimasi con la giumenta per qualche minuto, prima di rientrare in casa a causa del richiamo di mio padre: non cercai nemmeno di calmarmi quando mi stesi sotto le coperte, mi era impossibile chiudere occhio.
-La Terra Santa…-
Sussurrai, prima di crollare definitivamente nel buio della notte. 

Angolo autrice: Ed ecco a voi la seconda protagonista, Aisha!
Certo che per farla figlia di Roberto devo esser sadica forte! XD
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto come il precedente.
Bacioni!
Al prossimo!
Nebula216



 

   
 
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