Uscì
dall’ascensore
fischiettando. Poi si diresse verso l’ufficio di Mac, prima ancora di
posare
borsa e documenti nel proprio. Non vedendola, si guardò attorno e
scorse il
sergente Galindez.
“Galindez,
il
colonnello è dall’ammiraglio?”
“No,
signore. Non è
ancora arrivata” rispose il sergente.
Harm
guardò l’orologio
e chiese: “Per caso ha telefonato anche questa mattina per avvisare che
non
sarebbe venuta?”
“No,
capitano. Nessuna
telefonata.” Galindez lo osservò, incuriosito. Il capitano Rabb
sembrava
preoccupato, ora. Prima, allegro e sorridente, ora preoccupato. Quei
due erano
davvero divertenti, pensò tra sé: fino il giorno precedente, sembravano
sul
punto di sbranarsi a vicenda e adesso… Fu distolto dai suoi pensieri
dalla voce
del capitano che domandava di nuovo: “Sa se doveva andare da qualche
parte,
prima?”
“No,
signore. A
quest’ora, il colonnello sarebbe già dovuta essere qui, come ogni
mattina. Lei
è sempre molto puntuale…” replicò Galindez.
“Già…
a differenza del
sottoscritto, vero? ” sottolineò, divertito Harm.
“Signore,
non mi
permetterei mai…” si scusò il sergente.
“Lascia
stare,
Galindez…” lo congedò allegro il capitano, con un gesto della mano,
prima di
dirigersi nel suo ufficio.
Ma
quando fu dentro,
l’aria allegra lo abbandonò subito. Per quale motivo Mac non era ancora
arrivata? Cosa poteva esserle successo? Calma, amico! Perché
andava subito a pensare che le fosse successo qualcosa? Magari aveva
semplicemente trovato traffico ed era un po’ in ritardo…
Oppure
era sulle
nuvole, proprio come lui, e si era fermata davanti a qualche negozio
per bimbi!
Del resto, non lo aveva fatto anche lui, quella mattina?
Giocattoli!
Lui
aveva perso ben
quindici minuti davanti al negozio di giocattoli, ad ammirare quel
grande orso
esposto in vetrina. Quella sera stessa sarebbe passato a comperarlo.
L’avrebbe
già acquistato se non fosse stato trattenuto dal tipo di spiegazioni
che
avrebbe dovuto fornire in ufficio, se si fosse presentato con un orso
grande
quasi quanto lui, in braccio!
Provò
a concentrarsi
sui documenti prelevati da casa, che doveva esaminare. Ci provò, ma fu
inutile. Da quella mattina,
immagini di Sarah col pancione s’insinuavano continuamente nella sua
mente…
accompagnate da altre di loro due assieme al loro bambino…
Sarebbe
stato un
maschio o una femmina? Non aveva importanza.
Era sufficiente, per lui, che fosse sano e che, sia Sarah sia il
piccolo,
stessero bene. Si allungò sulla
sedia, le gambe accavallate alle caviglie, un dito che sfiorava le
labbra,
nella sua solita espressione di quando era pensieroso… Se fosse stato
un
maschietto, avrebbe potuto insegnargli a volare… E perché no ad una
bambina?
Fu
così che lo trovò
il tenente Roberts, quando mise dentro la testa nell’ufficio del
capitano Rabb
per avvertirlo che c’era una telefonata per lui.
“Non
ha detto chi è,
capitano. Cosa faccio? Gliela passo?”
“Si,
Bud, grazie”
rispose Harm, ritornando a fatica sulla terra. Quando alzò la
cornetta e sentì la voce contraffatta all’altro capo, gli si gelò il
sangue.
“Buongiorno,
paparino…
ti manca tanto la futura mammina?”
Harm
si alzò in piedi,
all’improvviso: “Chi sei? Cosa vuoi?” gridò al telefono.
Bud
guardò Galindez:
anche lui aveva colto la voce preoccupata del capitano.
“Calma,
paparino!”
continuò lo sconosciuto. “Bella donna, il tuo colonnello! Un po’
testarda…
proprio come te. Ho dovuto legarla, per farla star tranquilla...” lo
sfidò.
“Lasciala
stare! Giuro
che se le torci un solo capello, ti ammazzo con le mie stesse mani!” la
rabbia
gli esplose in corpo, assieme al terrore per Sarah.
“Tu
non puoi più dirmi
quello che devo fare. Sono io che detto le regole, questa volta”
replicò
l’uomo con odio.
“Cosa
vuoi?” chiese di
nuovo Harm, la voce dura e decisa.
“A
parte spassarmela
col tuo bel bocconcino? “ lo stuzzicò di nuovo.
“Maledetto…”
gridò,
sbattendo una mano sulla scrivania.
Sentendo
il colpo, Bud
si preoccupò moltissimo. Il capitano Rabb era solitamente calmo, al
telefono.
Doveva essere successo qualcosa di molto grave.
“Voglio
te, capitano...”
proseguì la voce sconosciuta.
“Chi
sei? Come ti
trovo?” domandò deciso Harm: se quel bastardo voleva lui, lo avrebbe
accontentato subito, purché lasciasse immediatamente libera Sarah.
Sentì la
paura serrargli la gola, come una mano che lo stringeva dall’interno.
“Vuoi
sapere troppe
cose. Ci risentiamo” e la voce interruppe la comunicazione.
“Maledizione!”
sbottò
Harm, scaraventando sulla scrivania la cornetta del telefono. Poi uscì
come una
furia dall’ufficio, dirigendosi verso l’ascensore.
“Capitano…”
cercò di
fermarlo Bud.
“Dì
all’ammiraglio che
rientro al più presto” gridò, mentre l’ascensore si chiudeva sul suo
volto
stravolto dall’ansia e dalla rabbia.