Non
si era mai sentita
tanto stupida in vita sua. Come aveva potuto essere così irresponsabile
e dare
un passaggio ad uno sconosciuto? Ma quel maledetto, l’aveva
architettata bene!
Farsi passare per un povero vecchio, e per di più infortunato…
Chi
poteva essere?
Cosa voleva da lei?
Frustrata,
provò a
divincolarsi, ma l’aveva legata troppo bene e non riusciva neppure a
muoversi.
Dov’era
finito, ora?
Erano circa tre ore, ormai, che era nelle sue mani.
Sentì
il suo stomaco
brontolare: quella mattina non aveva mangiato granché. La nausea le
aveva
impedito di ingerire null’altro, oltre ad un paio di fette di pane
integrale e
adesso aveva fame. E sete. Aveva moltissima sete. Ora avrebbe dovuto
nutrirsi
ancora meglio di quanto già non facesse… la dottoressa glielo aveva
raccomandato tanto! Prima
di andare in
ufficio sarebbe dovuta andare in farmacia ed acquistare tutte le
vitamine che
le aveva prescritto. Non voleva che il suo prezioso bambino potesse
risentire
in qualche modo della mancanza di vitamine. Sapeva quanto erano
importanti,
soprattutto nei primi mesi di gestazione.
Una
lacrima premeva
prepotente per uscirle dagli occhi: il suo bambino… Oddio, il suo
piccolissimo bambino! Che cosa sarebbe successo al suo cucciolino?
Ripensò
alla felicità
letta negli occhi di Harm, quando gli aveva comunicato la notizia, e
non riuscì
più a trattenere le lacrime. Scivolarono sul suo viso, senza che lei
potesse
impedirselo.
Harm...
Quanto doveva
essere preoccupato anche lui, ormai!
Cercò
di non pensare
alla preoccupazione di Harm. Non avrebbe retto, altrimenti. Meglio
concentrarsi
per cercare di capire dove era stata portata. Si guardò
attorno, ma
la stanza anonima in cui si trovava, non le diceva nulla. Un tavolo,
due sedie
(su una delle quali era legata lei), un cestino per la carta, un
termosifone,
una piccolissima finestra, in alto, e la porta. Soltanto quello.
Non un letto, non un lavandino…
Dopo che si era accorta dell’arma puntata contro di lei, il “vecchietto” che aveva soccorso l’aveva costretta a scendere, l’aveva legata, le aveva infilato un paio d’occhiali oscurati, per impedirle di vedere la strada, ma nello stesso tempo non destare sospetti, e aveva guidato per parecchie miglia, sempre con la pistola a portata di mano. Sarah aveva provato a capire la direzione che aveva preso, ma non c’era riuscita. Neppure ascoltare attentamente rumori e suoni, l’aveva aiutata. Per un po’ aveva sentito il classico rumore del traffico cittadino; poi sembrava che avessero imboccato una strada più tranquilla, ma non avrebbe saputo dire per dove. Erano scesi dall’auto circa un’ora dopo che erano partiti da casa sua. Quindi l’uomo l’aveva spinta brutalmente in quella stanza, l’aveva legata alla sedia, le aveva tolto gli occhiali, ma l’aveva imbavagliata, per impedirle di gridare. Questo le faceva sospettare che si trovassero in un luogo vicino a zone abitate o, quantomeno, che c’era la possibilità che qualcuno potesse passare accanto.
Dopodiché
se n’era
andato e non era ancora tornato.
Un
rumore alla porta
la fece sussultare. Vide la maniglia che si abbassava e il suo rapitore
entrò
nella stanza. Aveva con sé un sacchetto che depositò sul tavolo e aprì:
conteneva del cibo e dell’acqua.
“Allora,
bel
colonnello, come stai?” chiese l’uomo, con una voce molto diversa da
quella del
vecchietto spaventato, mentre le toglieva il fazzoletto alla bocca.
Sarah
non rispose, ma
lo guardò con odio: le era sembrato di riconoscere quella voce…
“Non
rispondi, eh?
Mangia questo” disse, cercando di imboccarla con pezzi del sandwich che
aveva
estratto dal sacchetto.
Pur
avendo fame, Sarah
voltò la faccia di lato, rifiutando il cibo. Non voleva sentirsi
completamente
nelle mani di quell’uomo.
“Non
hai fame?” chiese
lui. “Strano! Pensavo che una futura mamma dovesse mangiare per due”,
continuò
poi, sghignazzando nel vedere l’aria di sorpresa e angoscia negli occhi
della
sua prigioniera.
Un
brivido di puro
terrore percorse la spina dorsale di Sarah: lui sapeva che aspettava un
bambino. Come faceva a saperlo? Probabilmente l’aveva pedinata…
“Chi
diavolo sei? Cosa
vuoi da me?” chiese duramente, fissandolo negli occhi.
“Da
te? Nulla… “
rispose l’uomo, ma poi si corresse: “Proprio nulla, forse, no… Prima di
portare
a termine la mia vendetta, potrei anche divertirmi un po’ con te…”
ridacchiò,
mentre le infilava una mano sotto la gonna, accarezzandole la coscia.
Sarah
cercò di
divincolarsi, ma era inutile: l’aveva legata troppo bene.
“Bastardo…
non
toccarmi!” gridò.
Un
violento schiaffo
la fece tacere di colpo.
“Zitta!
Stai zitta!
Chiudi quella maledetta bocca…” la ammonì lui. “Siete degni l’uno
dell’altra,
voi due. Anche tu, testarda come quel grand’uomo con cui te la spassi.
Il caro
paparino! Ma dopo che avrò messo in atto il mio piano, non sarà più
tanto
spavaldo come il solito. M’implorerà, anziché dare ordini: vedrai! Ora
mangia e
taci!” le intimò, costringendola ad aprire la bocca per ingerire del
cibo.
Sarah
obbedì, suo
malgrado. Mentre mangiava, imboccata da lui, la sua mente cercava
febbrilmente
delle risposte.
Harm...
L’uomo si era riferito
al padre di suo figlio. Doveva essere a conoscenza di molte cose. A
quanto
sembrava, sapeva di lei e di Harm. Era inutile cercare di nascondere i
fatti.
Decise di farlo parlare.
“Cosa
vuoi dal padre
di mio figlio?” gli chiese, dopo aver bevuto dell’acqua.
Lui
la guardò
divertito: “Perché non lo chiami col suo nome? Pensi che non sappia chi
sia?
Cosa voglio dal capitano Harmon Rabb jr?” ripeté beffardo.
“Si,
cosa vuoi da
lui?” domandò di nuovo Sarah. A quanto sembrava, quell’uomo sapeva
anche del
padre di Harm…
“Io
voglio… LUI! Non
voglio qualcosa da lui… Voglio LUI!”
“Perché?”
chiese
ancora lei.
“Mi
ha rovinato la
vita. Quel maledetto l’ha sempre avuta vinta! Fin dalla prima volta che
l’ho
conosciuto… Ma questa volta sarò io a piegarlo alla mia volontà… E tu e
il tuo
prezioso figlioletto servirete allo scopo! Mi ha intimato di non
torcerti un
capello, al telefono. LUI osa ancora dire a ME cosa fare! E’ sempre
stato un
presuntuoso arrogante, ma questa volta mi pregherà in ginocchio…”
rispose
l’uomo con rabbia.
Sarah
lesse odio allo
stato puro negli occhi del suo carceriere. Ebbe paura per sé e per
Harm… Chi
era quell’uomo che lo odiava tanto?
“Perché
vuoi fare del
male a me e al mio bambino?” domandò Sarah.
“Non
a te e a tuo
figlio… Alla sua donna e al suo prezioso bambino! Il tuo più grave
errore è
stato quello di metterti con lui. Avresti dovuto sposare l’australiano…”
Sarah
deglutì: sapeva
anche di Mic. Non era, quindi, un pazzo qualsiasi che l’aveva
sorvegliata per
pochi giorni. Si trattava di qualcuno che conosceva Harm da tempo.
“Non
amavo Mic…”
sussurrò appena.
“Lo
so. Il tuo grande
amore è sempre stato il caro Harm! Ora sarà la tua rovina. Tu e tuo
figlio mi
servirete da esca, per attirarlo nella mia trappola. Quel presuntuoso
non
lascerà mai la sua donna e suo figlio nelle mie mani, senza cercare di
liberarvi. Lo costringerò a cercarti per giorni, dandogli inizialmente
indizi
falsi… Poi, quando deciderò che avrà sofferto abbastanza, gli dirò come
trovarmi. E quando finalmente arriverà, metterò in atto la mia
vendetta!” disse
l’uomo con soddisfazione.
“Lo
vuoi uccidere?”
chiese Sarah, triste.
“Sì,
ma non subito…
prima dovrà impazzire di rabbia quando mi vedrà spassarmela con la sua
donna… e
poi soffrire le pene dell’inferno quando ti ucciderò davanti ai suoi
occhi… Quando ucciderò te, incinta di suo figlio. Dovrà arrivare ad
odiarmi
quanto lo odio io, prima di ucciderlo!”
Sarah
lo guardò
sconvolta: quell’uomo aveva architettato un piano perfetto per
distruggere
Harm.