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Autore: MonaBerr    06/02/2012    0 recensioni
E' difficile scoprire all'improvviso che la tua adolescenza non è mai svanita, tantomeno i tuoi complessi, niente di niente.
E' insopportabile venirlo a sapere tramite una sconosciuta insolente.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Per tutto il tragitto in macchina non parlammo.
Io avrei potuto dire tante cose per poi sembrare patetico.
Lei stava rimuginando su cosa dire.
C'era ancora l'odore di caffè e cioccolato.

“Eccoci qua.”

Dopo aver  aperto la porta, si tolse il cappotto e si fiondò in cucina.

“Vuoi qualcosa? Acqua, un panino, qualsiasi cosa!”

Chiusi la porta e con calma le bloccai il braccio, che stava per aprire il frigorifero.

“Abbiamo già preso qualcosa, ricordi? Piuttosto, calmati.”
“Jinki, io voglio davvero parlartene, ma...”
“Ok, ok. Facciamo così. Cambiamo discorso!

Hai una bella casa, sai?”
“Non è esattamente cambiare discorso questo.”

-E adesso che ho detto?-

“Perché? Ho fatto una domanda che non c'entra niente.”

Ed ecco che tremava di nuovo, come l'altra volta.

“Abbracciami, per favore.”

-Mi ha chiesto di abbracciarla o sono scemo?-

“Dici sul serio?”
“Non chiedere. Per piacere, abbracciami.”
Non me lo feci chiedere una terza volta.

Con un po' paura la strinsi contro il mio petto.
-Mi batte forte il cuore, così lo sente, dovrei trovare una scusa per staccarmi...-

“Così non respiri, però...”
“No, ora voglio dirti tutto, sul serio.”

-NON BATTERE, NON BATTERE, NON BATTERE!
Un momento...perché batte così forte da farmi male e da essere felice al tempo stesso? Cos'è? QUANTO MI SERVIREBBE KIBUM ORA!-

Cavolo se ero agitato, mi stava per dirmi ciò che l'affliggeva.
E lo era anche lei.

“Innanzitutto, questa casa non è mia, ma di un'amica di ma-mamma...
Da come hai notato, anche se non me lo hai chiesto, non sono del tutto coreana.
Sono per metà tedesca, già, da parte di mamma.
E quello schifo di uomo, colui che non oso chiamarlo padre, era coreano.
Mio padre lavorava alla SME e da quando sono nata io, associava i suoi fallimenti in amore e finanziari a me.
Mi insultava, mi picchiava...insomma lo sai.”

La strinsi più forte, ora non mi interessava del battito
.
“Mia mamma è stata uccisa da lui, quando dovevo morire io.
Ed è un po' come l'avessi uccisa io...
...Non riesco a continuare, scusami.”

Avrei potuto pensare di tutto, avrei potuto farle pensare tutto ciò, ma non volli.
Mi staccai, per farla girare violentemente.

“Non dire cose di questo genere, OK?”
Marcai di più la fine della mia frase.
Perché doveva stare bene, e quel OK inglobava tutto.
Eppure mi guardava con gli occhi pronti a scoppiare in un pianto.

“Davvero, non dire più cose del genere. Vedi, non hai nemmeno pianto come l'altra volta!
Ora basta, io ho capito la situazione. Non mi dire più niente, ti fa solo star male.”
“Non so nemmeno come siamo finiti così, ma non posso che dirti grazie. Davvero, sei l'unico che si è interessato a me sul serio, dopo mia madre.”

Le presi le mani, ero pronto.
-Io devo dirgli questa cosa, lo devo fare.-

“Hayley, devo dare un nome a tutto ciò, e magari un senso.
Sono qui perché tu in primis mi hai spronato ad uscir fuori da un periodo buio, di transizione.
Mi stai facendo vivere qualcosa che non avevo ancora vissuto, che avevo praticamente saltato.
Hayley, mi sto innamorando di te.”

La reazione non fu delle migliori, spaventata si staccò dalla morsa delle mie mani.
“Perché hai detto questo? Ti faccio pena? EH?”
Ecco, ora scoppiava in lacrime.
Ed era arrabbiata.
E i suoi pugni amareggiati contro il mio petto facevano male, ma non era dolore fisico.
E non era orgoglio.

“E' meglio che te ne vai, Jinki.”

Si diresse verso la porta facendomi segno di uscire, ma io la chiusi con forza, imponendomi davanti a lei.

“Non era mia intenzione, Hayley...”

Dissi come un cane bastonato.

“Tu non puoi innamorarti di me, ti sto solo facendo pena!”
“NO! Per me questo ha un senso, sul serio! Sicuramente mi stavo innamorando da quando mi hai offeso, ferito nell'orgoglio. Il tuo problema, il mio problema, ci hanno solo aiutati, ci hanno avvicinati!”

Cercava di riaprire la porta, ma andai a cingerle le spalle per evitare ogni suo movimento.

“...Se continui così potrei ribaciarti!”
“Ti posso credere, Jinki?”

Le sorrisi, perché era proprio ciò che volevo sentire.
E da lì non capii più niente.
Stava iniziando a circolare il caffè nelle mie vene, e lei sapeva di cannella.
Mi avvicinai e posseduto da qualche strano incantesimo, mi incatenai pian piano alle sue labbra.
Uno.
Due.
Tre contatti con le sue labbra e mi sentii come fossi in possesso della sua anima.
Ed erano labbra morbidissime, vellutate, alla cannella.
Un bacio completamente diverso dal precedente.
Il mio respiro si smorzava nel suo e il mio cuore non reggeva le mie sensazioni fisiche.
E la sentivo avvicinarsi, la sentivo volermi, la sentivo innamorata.
La feci aggrappare al mio corpo, alzandola con le mie braccia.
Non stavo pensando, ma ero sicuro di una cosa: entrambi stavamo divenendo il sostegno dell'altro.
I polmoni chiesero pietà, e noi ci guardammo, come per capire cosa succedeva nell'anima dell'altro.
I suoi lunghi capelli iniziarono a solleticarmi il collo.
Si era aggrappata ad esso con le sue braccia.

“...Cosa mi stai facendo provare, Jinki? Cos'è?”

Un suo sussurro che mi accarezzava l'orecchio.

“Forse, Jinki, ognuno sta chiedendo di restare all'altro, più tempo possibile. E forse, mi sto innamorando anche io.”

Un altro, e mi sentii mancare da questa gioia incompresa perfino da me stesso.
Iniziai a muovermi senza una meta, eppure finimmo in camera sua, completamente al buio.
Come se fosse un delicato fiore, la feci accomodare al centro del letto.
Lei seduta, ed io in ginocchio, di fronte a lei.
Una carezza sul suo viso, che stava dolcemente sorridendo, come qualche ora prima.
Però non era ammirazione, non era malizia. Mi stava volendo dannatamente bene.
Un ultimo sguardo e riprese a baciarmi, aggrappandosi di nuovo a me.
Pian piano l'innalzai sulle mie ginocchia e mentre i baci diventavano man man più importanti, cominciai ad accarezzarle piano i fianchi, risalendo sotto la maglietta.
Ed io, stupido come sono, non mi ero accorto che lei mi aveva già sbottonato la camicia.
Il suo orecchio, la mia clavicola.
Faceva caldo sui quei lembi di pelle.
Un'altra mancanza di fiato.
Caddi piano su di lei, senza staccarci.
Avvolti da quell'aroma di caffè e cioccolata alla cannella, ci accarezzavamo a vicenda.
Sapevamo di essere fragili entrambi, e nessuno dei due voleva rovinare l'altro nemmeno minimamente.
Ed una volta spogli dei nostri problemi, delle nostre vite, dei nostri passati, ci ritrovammo spogli esternamente.
Ed iniziammo ad amarci.
E' stato bellissimo.
 


Grazie per chi ha letto fin ora, questo è il penultimo capitolo. :)
Grazie ancora e mi scuso per averci messo tanto. Fatemi sapere se vi piace! <3
  
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