NOTE:
Come si suol
dire, l’appetito vien mangiando… Ed io, a furia di
scrivere cazzate random, mi
sono affezionata a questa storia, motivo per cui avrei una mezza
intenzione di
farne una long fiction come si deve. Che ve ne pare? E’
un’idea sensata o è
meglio che mi fermi qui, limitandomi a concludere con al massimo una quinta e ultima parte? Fatemi
sapere, la vostra opinione è fondamentale.
Vi
avviso, questo capitolo è un po’ più
pazzerello del
solito. Partecipa al primo giorno della Sherlock
Week @ sherlockfest_it
(finalmente una botta di vita, yay!).
Buona
lettura!
Il
cellulare del dottor Watson prese a squillare quasi a
tradimento mentre era impegnato a godersi la sua meritata pausa pranzo,
piluccando un’insalata di pollo in compagnia di Sarah.
“Scusami
un attimo” si rivolse alla donna, lanciando
un’occhiata al display lampeggiante. Si alzò e si
allontanò dal tavolo; ci
teneva alla sua privacy.
“Pronto?”
rispose incerto, non avendo riconosciuto il
numero.
“John,
sono io”.
“Sherlock?
Tu non mi chiami mai al telefono. E’ successo
qualcosa?” si agitò, la voce venata
d’ansia.
“Niente
di rilevante, non preoccuparti. E’ stato Boswell a
chiedermi di telefonarti, in verità” lo
informò il detective.
“Come
no” scoppiò a ridere. “Perché
non ammetti
semplicemente che ti mancava il suono della mia voce, invece di tirare
in ballo
nostro figlio?”
“Se
fosse come dici tu non avrei problemi a darti ragione,
ma è stato davvero Boswell”
ribadì, risoluto.
“Mi ha guardato, poi ha indicato il cellulare e ha detto:
‘Telefono. Papà’,
portandosi una mano a mo’ di cornetta vicino
all’orecchio. Più chiaro di
così…”
“Sherlock”,
il dottore alzò gli occhi al cielo, “è
troppo
piccolo e decisamente troppo umano per
emulare E.T. Piantala, ok? Ti stai rendendo ridicolo”.
“Perché
mai dovrei mentirti, John?” si schermì lui,
suonando
quasi offeso.
“Sei
lo stesso uomo che una volta ha cercato di drogarmi con
dello zucchero nel caffè. Permetti che, almeno, non prenda
ogni tua parola per
oro colato” borbottò, un po’ stizzito.
“Oh
Cielo, ancora con questa storia” sospirò
rumorosamente
Holmes. “D’accordo, visto che non mi credi te lo
passo direttamente”.
“Cosa?
Sherlock, che diamine-”
“Telefono”
gli rispose una vocina pigolante ed
inconfondibile. Suo figlio.
“Boswell,
tesoro, sei tu?” domandò John, gli occhi sgranati.
“Papà!
Papà!” trillò il bambino tutto contento.
“Sì,
amore, sono papà” mormorò intenerito.
“Stai bene,
pulcino?”
“Tì
tì! Papà!”
“Bravo
cucciolo. Mi ripassi il babbo, adesso?”
“Vabbene.
Bacio, papà!” cinguettò Boswell
schioccando le
labbra.
“Bacio
anche a te, campione” lo salutò il padre, che non
si
stava sdilinquendo solo perché non era dignitoso, per un
uomo della sua età, mettersi
saltellare sul posto e squittire incoerentemente.
“Che
ti dicevo?” lo raggiunse il timbro basso e morbido del
compagno, visibilmente orgoglioso.
“Oddio,
Sherlock, nostro figlio è un genio! Ha solo dieci
mesi e già si esprime così bene, ha
un’ottima dizione! Ed è talmente dolce”
balbettò, gettando -giusto un pochino- la dignità
alle ortiche.
“Buon
sangue non mente: il mio cervello ed il tuo cuore” e
John lo sentì sorridere.
“Scusami
se non ti ho creduto subito” sussurrò, contrito.
“Fa
niente. Per una mente comune come la tua è difficile
abituarsi a tanta genialità, lo capisco” lo prese
in giro.
“Sì,
beh” ridacchiò. “A proposito, a chi
appartiene il cellulare
da cui mi stai chiamando? Sento un brusio in sottofondo”.
“Oh,
è di Anderson”.
“Anderson? Santa
pace, mica avrai portato Boswell a fare il sopralluogo di un luogo del
delitto-”
“No,
sono a Scotland Yard. Mi ha convocato Lestrade, si
tratta di un caso di furto a livello internazionale; nulla di rischioso
per la
salute mia e dei bambini” disse, sottolineando il plurale.
“Magnifico.
Tu, piuttosto, come ti senti? Nausea,
mancamenti, crampi?” chiese in tono professionale.
“Bene.
No, no e no”.
“Meglio
così. Adesso devo lasciarti, Sarah mi sta facendo
segno che è ora di tornare in ambulatorio”
annuì in direzione della collega,
tastandosi le tasche della giacca alla ricerca del portafogli.
“Ricordati
dell’appuntamento di questo pomeriggio e dai un bacio al
piccolo da parte mia.
Salutami Lestrade”.
“Sarò
fatto, dottore”.
“Ti
amo”.
“Anche
io” rispose immediatamente il compagno con
invidiabile nonchalance.
“Ci
vediamo dopo” chiuse la telefonata John, frastornato,
domandandosi
se si sarebbe mai abituato a sentire Sherlock esprimere i suoi
sentimenti così
liberamente.
“Molly
Hooper? Abbiamo sbagliato reparto, per caso?” si
stupì Sherlock, steso sul lettino in attesa di essere
visitato con John che gli
teneva la mano, quando vide la patologa varcare la soglia della stanza.
“E’
sempre un piacere vederti, Sherlock. John” li
salutò
timidamente lei. Un guizzo divertito le illuminò gli occhi
quando il suo
sguardo si posò sul pancione di quattro mesi abbondanti del
detective.
Come
biasimarla? Persino John trovava assolutamente
esilarante la visione di uno Sherlock incinto, con i piedi
inconsciamente a
papera e le lombari inarcate.
“Ciao
Molly” le sorrise. “Sei passata a
trovarci?”
“Non
proprio. In realtà sono qui per visitare il futuro
mammo” e si morse le labbra per non scoppiare a ridere.
“Tsk,
al St Bartholomew devono proprio essere messi male per
chiedere ad una patologa, per quanto discretamente competente, di
effettuare
un’ecografia” ironizzò il mammo in
questione.
“Sherlock” lo
rimbrottò l’altro.
“C’è
scarsità di personale, ultimamente” si strinse
nelle
spalle lei. “Ma non preoccupatevi, so quel che faccio: sto
prendendo una
seconda laurea in ginecologia”.
“Patologa
e ginecologa, eh? Morboso” rifletté soprappensiero
Sherlock.
“Grandioso,
vorrai dire! Complimenti, Molly, è una
bellissima notizia” si congratulò John
sinceramente entusiasta.
“Grazie”
arrossì lievemente la dottoressa. “Beh, vogliamo
procedere?”
“Prego”
concesse Holmes, trasalendo appena quando il suo
ventre venne a contatto con il gel freddo. Strinse più forte
la mano del
biondo.
“Quasi
me ne dimenticavo” Molly mosse la sonda,
“dov’è Boswell?
E’ da un po’ che non lo vedo”.
“L’abbiamo
affidato a Mrs. Hudson. Sapessi come lo vizia,
neanche fosse un suo nipotino! E proprio oggi ha pronunciato le sue
prime
parole” disse John, gonfiando il petto.
“Di
già?” sorrise lei, lo sguardo fisso sul monitor.
“Sì,
è un portento di bambino-”
“Scusa
se ti interrompo, John, ma ho appena sentito il
battito dei cuori” intervenne la ragazza, emozionata.
Silenzio.
Sherlock
ed il compagno si scambiarono un’occhiata sgomenta.
“Molly Hooper, abbiamo sentito bene: i cuori?”
gracchiò il primo.
“Sì
sì, i cuori. Sono due, sentite?” alzò
il volume
dell’audio. “Ecco, guardate qui”,
indicò un punto sullo schermo, “quelle sono
le testoline”.
“Due?”
ripeté il detective.
“Senza
ombra di dubbio” affermò soddisfatta.
“Oh
cielo, credo di non sentirmi troppo bene”
smozzicò, a
fatica, il dottore.
“E
c’è di più”,
proseguì lei imperterrita, “sono un maschio
ed una femmina, pensate un po’!”
John
si sentì venire meno, e svenne con la stessa grazia di
un sacco di patate.
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Well,
anche questo capitolo è terminato. Che ve ne è
parso?
E soprattutto, la long fiction s’ha da fare o no?
Questa,
se vi interessa,
è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Statemi
bene, cari!
*si
eclissa*