Cap.4
Dopo
gli avvenimenti degli ultimi giorni, Inghilterra aveva ormai
rinunciato a chiedersi quando sarebbe arrivato il tempo in cui America
gli
avrebbe annunciato che il momento di andarsene era ormai giunto.
Le
ore non sembravano più così lunghe e,
in alcuni momenti, Inghilterra pareva addirittura non accorgersi di
quanto la
nostalgia di casa propria iniziasse a farsi sentire. D'altro canto
sapeva che
quei momenti, scoperti tanto piacevoli, non sarebbero potuti durare in
eterno e
che, presto o tardi avrebbero dovuto concludersi.
Ma
America sembrava non accorgersene e
Inghilterra, per la prima volta, parve volergli dar corda. E
così, tra offese,
non più così pungenti e mirate, e piacevoli
pomeriggi luminosamente soleggiati
agli occhi disabituati di Inghilterra, le giornate continuavano a
susseguirsi
l'una dopo l'altra con una facilità ed una
velocità sbalorditive.
Capitava
che ogni tanto America dovesse
uscire di casa lasciando Inghilterra da solo. Seppur non soffermandosi
troppo
sulle motivazioni, Inghilterra aveva capito benissimo che sicuramente
doveva
prendere parte a qualche consiglio o riunione di carattere nazionale e,
sicuramente, anche solo il pensiero di invitare Inghilterra a seguirlo
lo
metteva molto a disagio.
Inghilterra
sghignazzava tra sé e sé,
subito rammaricandosi di tanta malignità, ma il pensiero che
in qualche modo
America potesse sentirsi a disagio messo di fronte ad una situazione
che
prevedeva il confronto tra la sua nazione e la sua lo rendeva
inaspettatamente
di buonumore. Forse si beava illudendosi di poter essere ancora
qualcosa di
tanto importante per lui, di non essergli indifferente come temeva... o
forse ,
più semplicemente, gli piaceva illudersi che la questione
rappresentasse una
ferita ancora aperta non esclusivamente nel suo cuore.
Il
fatto che America fosse riuscito a
crescere, ad espandersi, a fiorire e sbocciare senza il suo aiuto era
sicuramente motivo di un orgoglio traboccante, ma dentro Inghilterra,
ciò
rappresentava anche un enorme peso, che sicuramente, lo avrebbe
accompagnato
fino alla fine dei tempi.
E
in quei pomeriggi in cui era costretto
da solo in quella grande casa, circondato da monumenti e territori
tanto vasti
da non poterli immaginare, era come essere circondati dalla conferma
del suo
fallimento più grande. Era come sbattere la faccia contro la
propria innegabile
incompletezza, e più dell'invidia di tante ricchezze e
meraviglie era ovvia ed
immancabile l'evidenza che la sua mancanza più grande era
proprio il non averlo
più con sé.
Era
uno di quei giorni quello, ed il
desiderio di tornare a casa propria riprese nuovamente ad attanagliarlo
come un
cancro, mentre si aggirava per le stanze ed i corridoi senza una meta;
in un
passo lento e volutamente pigro dedito solo allo scorrere del tempo.
Passò
in rassegna ogni singola stanza di
quella villa spaziosa, scoprendosi perfino un po' sorpreso nel non
trovare
nulla che fosse l'effettivo emblema dell'immaturità di
America; in effetti
c'erano numerose piattaforme elettroniche, di cui Inghilterra essendo
un
gentleman vecchio stampo ignorava l'effettiva funzionalità,
infiniti modellini
dalle fattezze discutibili, ed il tutto contornato da numerose
confezioni di
schifezze di altrettanti numerosi fast food, ma che Inghilterra aveva
bellamente deciso di ignorare, d'altronde sapeva che il mercato
mondiale era in
continuo cambiamento e volle credere che tutto ciò facesse
parte di una moda
insita in una quotidianità che sapeva non appartenergli, o
di cui almeno non si
faceva vanto, cosa di cui, evidentemente, America non sembrava
preoccuparsi.
Nonostante
queste spiacevoli scoperte,
che in fondo non avevano nulla di nuovo, Inghilterra non riusciva a non
provare
sollievo nello scoprire che molte stanze, così come la villa
stessa, avevano
mantenuto il fascino delle vecchie residenze dell'età
coloniale. La loro età
coloniale.
La
sala, le camere da letto, perfino la
cucina, possedevano lo stesso delizioso miasma di cui, allora,
Inghilterra
faceva tesoro prima di ripartire per la sua isola, così
potente e così lontana.
Perfino
la vernice bianca dell'enorme
portico sembrava la stessa: con le stesse screpolature su cui le sue
dita si
soffermavano mentre aspettava il ritorno di America da qualche sua
passeggiata
camuffata da emozionante esplorazione; i polpastrelli sembravano
accarezzare le
stesse pieghe del legno, le stesse bolle d'aria imprigionate dalla
vernice di
quando lo attendeva impaziente, nella sua divisa sgargiante che America
adorava
tanto, nei suoi stivali di quel nero lucido e brillante che America
sfiorava
rapito, sorpreso ogni volta dall'idea di onnipotenza e perfezione che
emanavano.
Lo
aspettava sotto quel sole sempre
troppo caldo ed abbagliante, sotto quel cielo di un azzurro che gli
sembrava
falso, tanto era brillante. Aspettava il sorriso del suo fratellino, la
sua
espressione esterrefatta di quando lo avrebbe visto sotto al portico di
legno,
per poi scorgerne le guance divenire sempre più rosee mentre
gli correva
incontro, lasciando cadere le foglie sgargianti, i sassi bizzarri e
tutto ciò
che di più prezioso aveva trovato nella sua esplorazione, le
lacrime che gli
riempivano gli occhi quando infine gli si gettava tra le braccia e,
abbandonando improvvisamente e definitivamente il ruolo dell'eroe, si
lasciava
andare ad un pianto di gratitudine e felicità.
Inghilterra
sorrise continuando ad
accarezzare la vernice delle colonne bianche del portico.
Probabilmente
quella che lo affliggeva
era una delle più violente forme di sadismo mai registrate.
Chi
mai, se non un sadico, avrebbe
voluto imbeversi di così tanti ricordi dolorosi, girovagando
e soffermandosi in
un luogo che non poteva offrirgli altro?
Eppure
quello che sentiva avvolgerlo,
nascosto dietro al fetore dell'angoscia e dei rimpianti, era un velo di
tenerezza e felicità nella sua forma più soave;
mentre ricordava i capelli
biondi di America, la sensazione delle sue piccole mani nelle proprie,
un tempo
tanto più grandi, quando rammentava il sapore delle sue
lacrime portate vie dai
propri baci e dai propri sorrisi, sapeva che non potevano esistere
ricordi più
piacevoli e caldi.
Sentì
il sorriso sfumargli via dalle
labbra, mentre rientrava in casa, abbandonando il portico e rifuggendo
i
tiepidi raggi del sole di ottobre.
-
Stupido...-
mormorò
piano, poggiando la schiena alla
porta e una mano tra i suoi capelli
-...sei
davvero uno stupido.-
-
...Ing...Inghilterra...-
-
Ciao, America, come sei cresciuto! -
-
Sei tornato, Inghilterra!-
-
Certo che sono tornato... no, non
piangere! Ah, ah, ah...-
-
N-non ridere!... Inghilterra...non te
ne andare più, ti prego!-
-
Scusami, America. Anche tu mi sei
mancato tanto...per favore, non piangere.-
-
Non piangere, America...-
-
Non sto piangendo...-
Inghilterra
aprì improvvisamente gli
occhi a quel suono così estraneo, eppure così
familiare da spaventarlo. Il
volto di America era lì, davanti a lui. Non stava piangendo
come nel suo sogno,
ma non rideva neppure; era piegato semplicemente sul suo volto e lo
guardava.
-
Ti sei addormentato... - Parlò
nuovamente e questa volta la sua voce gli parve mille volte meno
estranea, ma
fu mille volte più doloroso sincerarsi che quella era la
realtà.
Inghilterra
tacque, imbarazzato, e
lentamente si mise seduto.
Era
così. Era rientrato nella propria
stanza e si era steso sul letto, doveva aver dormito a lungo
perché la luce che
rischiarava la stanza pareva quella del tramonto. Non era solito
dormire il pomeriggio,
ma forse, per lui che era disabituato, le emozioni di quella giornata
erano
state sfiancanti come una lunga e spossante corsa.
-
Stavi sognando?...- Lo senti
domandare, e i suoi occhi lo cercarono per la stanza. Ci mise alcuni
secondi
per individuarlo, immobile com'era, affacciato alla finestra della sua
stanza.
-...
no, io non...- Inghilterra balbettò
qualche sillaba confusa mentre sentiva le guance infiammarsi: il
pensiero che
America potesse venire a sapere i pensieri che lo avevano attanagliato
quel
pomeriggio, ed il sogno malinconico che si erano portati dietro, lo
mandò nel
panico prima che potesse effettivamente realizzare che cosa di quella
possibilità lo spaventasse così tanto.
-...non
me lo ricordo.-
-
Capisco.- Mormorò America guardando
fuori.
Seguì
un silenzio imbarazzante, uno di
quei silenzi che scavano più infondo di qualsiasi
confessione, o almeno fu così
per Inghilterra che sentì di annegare nell'attesa di un
qualsiasi pretesto per
interrompere quella straziante pausa, ma America era una di quelle
persone che
parlavano quando dovevano tacere e tacevano quando dovevano dire
qualcosa, era
quasi una capacità innata come l'incompetenza
nell'accorgersi di quanto disagio
provocasse tale particolarità.
Era
lì infatti, affacciato alla
finestra, immobile e in silenzio esattamente come prima. Certo poteva
scorgere
solo la sua nuca ma si sentiva pronto a giurare che il suo volto
avrebbe
vantato un'altrettanta indecifrabile capacità espressiva.
In
passato, ne era convinto, sarebbe
bastato solo uno sguardo per guardare dentro il cuore di America, era
sempre
stato così... sempre. Solo pochi secoli addietro avrebbe
potuto interrompere
quel silenzio con una semplice parola che ad America sarebbe
sicuramente
sembrata la più giusta nel momento migliore.
Gli
mancava anche quello: la sua
infallibilità, la sua sagacia, la sua perfezione, ogni
singolo aggettivo
proclamato senza imposizione alcuna, che America gli riconosceva ogni
volta che
ne aveva l'occasione. Inghilterra sapeva che agli occhi della sua
piccola ed
indifesa colonia lui, un tempo, brillava di una luce più
abbagliante della
stella più luminosa.
E
adesso? Che cosa pensava America di
lui? Di lui che non era stato in grado di tenerlo con se, di lui che se
l'era
fatto strappare dalle mani da quella maledetta libertà...
lui, le cui spalle
erano diventate così strette paragonate alle sue, lui che
non aveva neanche più
la forza di prenderlo in braccio come faceva un tempo, che non aveva
più
meraviglie ed incanti da mostrargli o favole da raccontargli... ed il
morbo
della paura si fece di nuovo strada nel ventre di Inghilterra; mentre
sentiva
gli occhi bruciare ed un unico pensiero aleggiargli nel cervello:
“Ti
prego, non provare pietà per me!”
-
La senti?- La sua voce fu come il
fragore di mille specchi infranti, riportandolo alla luce da quel mare
nero di
angoscia in cui era sprofondato.
Inghilterra
fu solo capace di scuotere
la testa, accorgendosi troppo tardi che America, ancora affacciato alla
finestra non poteva vederlo; ma lui riprese comunque a parlare.
-...
questa musica, ascolta...-
Inghilterra
continuò a fissarlo
perseverando il suo silenzio cercando di individuare una qualche
melodia.
Eccola, ora la sentiva. Era senz'altro una musica allegra, ma talmente
fievole
e lontana che non si stupì di non averla udita.
-
Che cos'è?- Chiese alzandosi e
raggiungendolo alla finestra per poterla ascoltare meglio.
-
C'è una festa al paese qui vicino...-
Rispose America poggiando le mani sul davanzale.
Inghilterra
lo osservò perdurando il suo
silenzio; la luce rossa del tramonto lo faceva sembrare ancora
più bello ed
abbagliante di come già era: il sorriso che gli increspava
le labbra era dolce
e malinconico, molto diverso dalla sua solita smorfia allegra. Era
molto più...
adulto.
-...
Allora dovresti andare.-
Le
parole gli uscirono dalla bocca: ne
sgorgarono come acqua. Neanche in seguito seppe il motivo per cui le
aveva
pronunciate. Gli aveva inconsciamente fornito un'altra
opportunità di scappare
da lui. In fondo se era il non averlo accanto che lo rendeva felice e
libero
come aveva sempre desiderato, non doveva più impedirglielo.
Il
suo cuore sussultò quando America si
voltò per guardarlo negli occhi: la sua pelle era invasa dal
colorito aranciato
delle nuvole e del cielo in fiamme, solo i due sprazzi azzurri dei suoi
occhi
seguitarono a brillare fieri del proprio colore... e Inghilterra
capì
all'istante che se America avesse rifiutato
quell'opportunità, probabilmente,
non avrebbe più saputo lasciarlo andare.
-
No...non voglio.-
Il
suo cuore mancò un battito e, per
recuperare i pochi secondi di immobilità sembrò
assorbire ogni traccia di
felicità presente nell'aria lì vicino al battito
successivo.
America
lo superò per dirigersi verso il
letto di Inghilterra e, con uno sbuffo ci si lasciò andare
sopra a peso morto.
-
Ho cose più importanti da fare...-
Aggiunse stiracchiandosi.
Inghilterra
era ancora in piedi, dove
America lo aveva lasciato. Si sentiva talmente pieno di riconoscenza in
quel
momento che decise che non era troppo tardi per recuperare la sua aria
sarcastica di inglese cinico; incrociò quindi le braccia sul
petto e si voltò
verso di lui.
-...
E queste “cose importanti”
includono il bigiare e mangiare Hamburger davanti ai tuoi videogiochi?-
Chiese
col suo solito sorrisetto ironico.
-...
può darsi...- Sghignazzò America
chiudendo gli occhi e sospirando - Ed inoltre...- aggiunse -...sei
stato tu ad
insegnarmi che l'ospite viene prima di tutto!-
Inghilterra
continuò a fissarlo, mentre
si avvicinava e gli si sedeva accanto sporgendosi su di lui.
-
Se è per questo io ti ho anche
insegnato a rispettare gli appuntamenti presi.-
America
aprì gli occhi, incontrando
quelli verdi di Inghilterra.
-
Perché fai così?- Chiese allora il più
giovane fissandolo serio – Anche l'altra sera...insomma, lo
so che lo fai
sempre e con tutti ma... è come se la mia presenza di
infastidisse...-
Inghilterra
sbarrò gli occhi
sinceramente sorpreso, oltre che dalla domanda, quando una mano di
America si
sollevò accarezzandogli una ciocca bionda della fronte.
-...
io...-
-
E' così?- Chiese America
-
No!- Si affrettò a rispondere
Inghilterra afferrandogli la mano e stringendola e, oh, il colpo al
cuore che
avvertì accorgendosi di quanto le sue mani erano diventate
grandi e calde.
America
sorrise, e bastò questo ad aumentare
nuovamente i battiti del suo cuore.
-
Menomale...- La mano di America
ricambiò la stretta della sua ed Inghilterra non
riuscì a fare a meno di
fissarle e, ancora strette l'una nell'altra, se le portò in
grembo.
Era
una sensazione completamente nuova
quella che gli scaturiva la visione e la sensazione della sua mano
stretta in
quella di America. Una sensazione così estranea a
ciò che provava quando
pensava a lui... ed era come se i ruoli si fossero invertiti per un
attimo; e
fu Inghilterra, per la prima volta, a sentirsi il bambino grato della
compagnia
del suo paladino, fu Inghilterra che si sentì di nuovo a
casa, solo avendo
quella mano grande e calda che avvolgeva la sua.
-...
tranquillo...- Disse America travisando
la sua espressione malinconica – Non moriranno di certo se
non mi presento!-
Sorrise stringendo la mano di Inghilterra un po' più forte,
come per
rassicurarlo ed infondergli coraggio; incanto che, forse a sua
insaputa, si
realizzò sul serio.
Inghilterra
seguitò a fissare le loro
mani strette per poi spostare lo sguardo sul volto sorridente di
America.
C'erano molte cose che avrebbe voluto dire ma optò per
quello che ci si
aspettava da una nazione come il Grande Impero Britannico.
-
Detto da un “eroe”...- Sorrise
-...suona abbastanza ridicolo!-
America
non poté fare a meno di tacere,
imbronciandosi come faceva un tempo.
Ma
fingendo di non aver sentito, e con
la mano che ancora stringeva quella di Inghilterra, sbuffò e
chiuse gli occhi.
Salve,
so di non aver diritto alla parola dato che è un anno che
non aggiorno questa
fic. sebbene mi fossi ripromessa di farla rientrare tra le mie
priorità... ma i
problemi e le disavventure di questa autrice (maggior colpevole la
mancanza di
ispirazione) non sono stati pochi, vi prego quindi di perdonarmi e
continuare a
seguire e commentare questa storia che ho assolutamente intenzione di
finire,
sia chiaro!
Bhè,
grazie a chi mi ha seguito fino qui e chi avrà la
benevolenza
di commentare, a presto!
Slurp,
Kumiho.