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Autore: Loryblackwolf    07/02/2012    5 recensioni
Un mio breve tributo ad uno dei regnanti più discussi e complessi che le terre d'Italia abbiano mai avuto, entrato di diritto nella leggenda: Federico II di Svevia.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Il fuoco scoppiettava vivace nell'antro del camino, nella grande camera da letto le cui pareti di candido marmo rilucevano di riflessi d'oro e arancio. L'uomo posò il pennino ancora intinto d'inchiostro sul leggio, e rilassò la schiena stanca dopo tante ore passate a scrivere sul voluminoso codice le cui pagine erano ormai colme di molti dei suoi studi. Rivolse lo sguardo verso la finestra, dove il pallido sole pomeridiano illuminava le colline ancora velate da un candido manto di neve. Solo pochi anziani ricordavano l'ultima volta in cui la neve aveva abbracciato le terre d'Apulia con tanto fervore, tanto da resistere persino alla calda carezza dei raggi solari, e ancor meno di questi anziani la ricordavano non come una calamità, ma come uno dei tanti modi che ha la Natura di mostrarsi all'uomo, bella e selvaggia.

Lui sorrise, abbagliato da quella visione, per poi lasciarsi distrarre dal tintinnio di un campanellino legato alla zampa del falco che, impaziente, spiegava le ali sul trespolo a cui era legato tramite una sottile corda di cuoio. Era un esemplare magnifico, dal folto piumaggio color castano che, con la forma creata dal contrasto col ventre color crema, richiamava quella degli ampi cappucci che i viaggiatori indossavano durante il loro cammino in Terra Santa. L'uomo non si sorprendeva, che suo padre e i padri prima di lui avessero chiamato la sua specie col nome di pellegrino e che solo i nobili avessero il privilegio di allevarne uno. Dopo tutti i suoi anni di studio dedicati a quelle splendide creature, ancora si meravigliava nel guardare quegli occhi neri e profondi, colmi di una ferina intelligenza come mai ne aveva veduta in qualunque altro animale, e ancor più si lasciava ammaliare dal loro volo e dal modo in cui cacciavano e vivevano, da soli ma mai in solitudine.

L'uomo si alzò, col peso di migliaia di preoccupazioni a gravargli sulle spalle e il desiderio infinito di capire, di comprendere, e di donare questa sua conoscenza alle terre che si mostrava davanti ai suoi occhi, popolata da genti che ogni giorno le accudivano per trarne il pane. Come il falco che nutre i suoi piccoli, che li difende e li libera dai legami terreni insegnando loro l'arte del volo, il suo più grande desiderio era quello di condurre il regno e le sue genti verso un'epoca diversa, dove non più vigessero la superstizione e la fame, ma il benessere e la saggezza.

Ancora immerso nei propri pensieri, l'uomo si volse quando udì bussare alla propria porta, e concesse di entrare. La pesante ala di legno si spalancò, e una guardia fece capolino dall'ingresso inchinandosi con rispetto innanzi allo studioso.

«Mio Signore, i cavalli e la vostra scorta vi attendono.» L'uomo annuì, e congedò la guardia con un gesto della mano. Poi indossò uno spesso guanto di cuoio, e lo avvicinò al falco che vi salì senza alcuna esitazione, dopo anni passati a coltivare il rapporto di fiducia ed empatia che lega il falco al suo falconiere. Con delicatezza, applicò al capo dell'animale un cappuccio di cuoio che gli coprì anche gli occhi, un tocco di conoscenza del popolo ottomano che lui aveva introdotto nel suo regno, indignato dalla tradizione che vedeva la cucitura delle palpebre dei falchi per evitarne la fuga. Perché costringere una creatura alle proprie leggi, quando è sufficiente dedicarsi con dedizione e rispetto ad esso, così che possa apprendere quelle leggi con naturalezza e serenità?

L'uomo scese le ripide scale di pietra fino al cortile del castello, dove i cavalli raspavano il terreno con impazienza e la sua scorta teneva a bada i cani, trasudanti di eccitazione. Molti inchini e saluti gli furono rivolti, mentre saliva in sella al suo cavallo senza necessitare dell'aiuto dei suoi servi, come invece accadeva tra le corti dei viziati marchesi e dei bigotti duchi della sua terra.

Ad un suo gesto, l'intero gruppo si mosse varcando l'ingresso del Castel del Monte tra scalpitio di zoccoli e vivaci nitriti, diretti verso i folti boschi d'Apulia e verso i terreni di caccia, dove le ali dei falchi condussero il Re delle terre meridionali verso la leggenda.

   
 
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