Tears
James
Non ricordava la
prima volta che aveva pianto. Sicuramente da bambino, o da ragazzino, doveva
aver versato molte lacrime, ma non conservava un reale ricordo di nessuna di esse.
Crescendo, suo padre aveva instillato in lui l’idea che le lacrime erano
un segno di debolezza. Così, sebbene nella sua vita ci fossero state
molte occasioni in cui aveva avuto voglia di piangere – la notte in cui
suo padre era morto, il giorno in cui aveva scoperto di avere un fratello
gemello ora scomparso, il giorno in cui aveva detto addio a sua madre e
abbracciato la sua nuova vita come Principe Azzurro – i suoi occhi, per
quanto pieni di dolore, erano rimasti asciutti.
Poi era venuto
il giorno in cui era corso sul suo cavallo per la foresta, disperatamente
deciso a raggiungerla pur sapendo che era già troppo tardi. Si era
avvicinato con cautela alla bara di cristallo, circondata dai nani che
l’amavano come avrebbe dovuto amarla una famiglia. Vederla giacere
là immobile, senza respirare, era stato come rivivere ogni momento di
dolore, ma un milione di volte più intenso.
La voce gli si era
spezzata mentre chiedeva agli ometti di rimuovere il coperchio, e le lacrime erano
scorse libere e senza vergogna – perché senza di lei cosa
importava esser considerato un debole?
Biancaneve si era
svegliata al suo bacio e il dolore aveva lasciato il posto a una
felicità che non avrebbe mai creduto possibile.
Aveva
scioccamente creduto che non si sarebbe mai sentito più felice che nel
momento in cui Neve era diventata sua moglie. Persino se eclissato
dall’apparizione della malvagia Regina, credeva ancora che quel giorno
fosse stato il più bello della sua vita.
E poi, era nata
Emma. E per qualche breve istante aveva tenuto il mondo intero tra le braccia.
La prima lacrima era stata di gioia travolgente, di quella felicità che
minacciava di esplodere nel suo cuore; la seconda di orrore e della sofferenza
che era venuta con la consapevolezza che quei pochi istanti sarebbero stati i
soli che avrebbero avuto.
Alla fine, cadde
sotto un colpo mortale della spada nemica. Giacendo sul pavimento poteva vedere
l’armadio in cui aveva nascosto Emma un attimo prima che lo trovassero.
Il duro pugno
del soldato e lo scricchiolio del legno che si scheggiava furono come un colpo
fisico nel suo petto, e malgrado dovesse lottare per respirare, il suo unico
scopo era di continuare a tenere gli occhi aperti – assicurarsi che la
sua Emma stesse bene.
La barriera di
legno si spalancò, e lui ebbe una chiara visione di un armadio vuoto.
La magia aveva
funzionato. Lei era salva, e forse un giorno sarebbero stati di nuovo insieme.
L’ultima
lacrima che versò fu di speranza.
Biancaneve
Le lacrime non
le erano estranee. Crescendo come una principessa custodita come un tesoro, la
cui madre era morta troppo presto, il pianto era facile e frequente. Suo padre
era bravissimo a consolarla e a trasformare i suoi singhiozzi in riso.
La sua perdita aveva
fatto sì che le lacrime non si fermassero per giorni. Tutti cercavano di
consolarla. Persino la matrigna, che non le aveva mai dimostrato più che
una sottile tolleranza, appariva insolitamente comprensiva.
Naturalmente la maschera
era andata in pezzi quando quell’empia donna aveva cercato di farla
uccidere da uno dei suoi uomini nella foresta. Allora le lacrime le avevano
salvato la vita.
Aveva pianto di
paura mentre correva nella boscaglia, cercando di sfuggirgli. Era caduta per
tre volte prima di capire che non ce l’avrebbe mai fatta.
La paura si era
trasformata in accettazione quando la morte era divenuta certa. Aveva pianto
ancora mentre scriveva la sua ultima lettera, implorando la matrigna di trarre
soddisfazione dal suo sacrificio, di non punire il popolo. Le sue lacrime e le
sue parole avevano toccato il cuore del nemico, che l’aveva lasciata
andare.
Anche la seconda
volta che era arrivata così vicina alla morte aveva pianto, ma la vista
del viso del suo amato quando finalmente aprì gli occhi cancellò
il ricordo del dolore.
Le lacrime di
gioia, scoprì, erano le sue preferite.
Era stata tutto
ciò che aveva sempre sognato di poter essere. Una moglie. Una madre.
Pochi istanti gloriosi, finché la Regina aveva convalidato la promessa
di distruggere ogni frammento di felicità che lei aveva caro.
Mentre stringeva
sua figlia tra le braccia per la prima volta, in cuor suo sapeva che sarebbe
stata l’ultima.
«
Nell’armadio... C’è posto per una sola persona. »
Vide che suo
marito non capiva ciò che stava cercando di dirgli; deglutì a
fatica.
« Devi
prenderla. Devi portarla all’armadio. »
Neve vide la
comprensione farsi strada nel volto di suo marito. Sapeva che era una cosa
terribile da suggerire, ma era l’unico modo per salvare una bambina
appena nata dal dolore che la maledizione della Regina malvagia avrebbe scatenato
da un momento all’altro.
« Dobbiamo
darle la migliore delle possibilità! » lo implorò.
Lo vide finalmente
acconsentire e, con un bacio d’addio, la sua bambina era sparita. La
vastità di quanto era successo colpì duramente la forza di Neve.
Non era sicura di quando fossero arrivate, ma le lacrime per la perdita della piccola
scorrevano già sul suo viso mentre crollava nel letto.
Il rumore della
battaglia fu abbastanza forte da riportarla al presente. Pur indebolita dal
parto, sapeva di dover attraversare la breve distanza di quel corridoio per
vedere cosa stava succedendo, per vedere se la sua bambina fosse in salvo.
Quando si costrinse a scendere dal letto, il dolore le trafisse tutto il corpo.
Ora erano lacrime di determinazione a consumarla. Percorse il corridoio
più velocemente che poté fino a raggiungere la cameretta.
« No!
» ansimò nel vedere il corpo quasi senza vita di suo marito,
circondato dai resti del legno intagliato per proteggere la loro primogenita;
« ti prego... ti prego... torna da me. »
L’angoscia
tornò gioia per un solo istante. Cinque paroline, e lui se n’era
andato. Suo marito. Sua figlia. Andati. Singhiozzò sul suo corpo inerte,
la disperazione sempre più definita ad ogni stilla di pianto,
finché la maledizione cancellò ogni traccia di tutte le lacrime
che erano cadute quella notte.
Emma
Aveva pianto
poche volte nei suoi ventotto anni di vita. I primi erano stati segnati dall’abbandono
e dalla tristezza di non appartenere a nessun posto e di non avere una vera
famiglia che l’amasse.
Non
c’erano state molte lacrime nella sua adolescenza, o almeno nessuna che
avesse mai mostrato a qualcuno. Erano lacrime silenziose e risparmiate per la
notte, quando tutti dormivano e non c’era niente che la distraesse dalla
solitudine e dal dolore di cui non si sarebbe mai sbarazzata.
Aveva diciotto
anni quando alla fine avevano visto la luce del giorno. Molte le aveva versate
per il dolore e la fatica del dare alla luce suo figlio. Poi si erano
trasformate in un’espressione di meraviglia, al comprendere che persino
una persona guasta e sporca come lei poteva dare vita a una creatura
così bella. E presto erano diventate lacrime di afflizione e perdita,
quando aveva dovuto dire addio e affidare questa cosa meravigliosa che lei aveva contribuito a creare a qualcun
altro che la crescesse. Di certo, se avesse cercato di tenere con sé il bambino,
gli avrebbe fatto del male come ne era stato fatto a lei.
Quando suo
figlio, Henry, all’improvviso s’intrufolò nella sua vita e
tirò lei nella sua, si ritrovò a raccontargli di quella
solitudine e di quel dolore. Le lacrime che versò allora lo supplicavano
di capire che l’aveva fatto perché gli voleva bene. E quelle in
risposta negli occhi di lui le dicevano che era tutto a posto. Capiva, e le
voleva bene a sua volta.
Da quando Henry
era entrato nella sua vita, si sentiva realizzata e completa. Le cose non sono
mai perfette e hanno sempre una lunga strada di fronte; ma, per la prima volta,
Emma sorrideva nel buio, perché era lì che nasceva la speranza.
La speranza che qualcosa di ancora più bello aspettasse lei e Henry
giusto dietro l’angolo...
Henry
In tutta la sua
vita aveva pianto più di chiunque avesse mai conosciuto. Il suo cuore
era così fragile e la sua esistenza così solitaria che le lacrime
cadevano spesso e facilmente. Sua madre gli diceva che piangere equivaleva a
essere deboli, ma Mary Margaret diceva che le lacrime venivano dall’amore
e che l’amore non era mai debolezza.
Pianse per la
perdita di un’amicizia, quando entrò al Giardino d’Infanzia
e il suo migliore amico rimase alla scuola materna.
Pianse di dolore
e paura quando sua madre lo schiaffeggiò per averle fatto la domanda che
ogni bambino nella sua situazione avrebbe posto: “Perché io sono
l’unico, l’unica cosa in tutta la città, che cambia?”
Pianse di
speranza quando gli fu rivelato che la donna che si dichiarava sua madre
mentiva. Aveva una mamma diversa. Una vera mamma. Era là fuori, da
qualche parte, e lui l’avrebbe trovata.
Pianse di
disperazione quando nessuno dei suoi tentativi funzionò. Non importava
dove guardasse, a chi chiedesse, cosa facesse; non riusciva a trovarla. Non gli
era permesso.
Henry
sprofondò in un pozzo d’infelicità e quasi si
accontentò dell’unico piano che gli era rimasto. Mollare e
aspettare di morire.
Ma poi lei gli fece un regalo. Mary Margaret
vide la sua disperazione e gli diede un bellissimo libro pieno di storie classiche,
storie di speranza con le quali il bambino sentì un fortissimo legame.
Mentre leggeva ciascuna di quelle preziose favole, le lacrime scendevano
libere. Fu intimorito da questo dono, questa guida che era la risposta a tutte
le sue domande. Il motivo per cui lui era l’unico che cambiasse mai. Chi
erano tutte queste persone, intrappolate nel tempo, che lo circondavano. Gli
diede persino un nome. Finalmente un punto da cui iniziare. Il nome di sua
madre. Emma.
La trovò,
credendo che tutti i suoi problemi si fossero risolti. Ma lei non era ancora
pronta. E ben presto stavano litigando, seduti nel freddo del suo castello. Il
suo rifugio. Cercò di farle capire quanto orribile fosse la sua vita, ma
poi lei gli disse quanto orribile era stata la sua.
Piangeva, mentre
glielo diceva. E lui ricordò le parole di Mary Margaret. Le lacrime di
Emma gli dicevano che lo amava. Qualcosa che lui sapeva già, ma fu
comunque un tesoro la prova racchiusa in ciascuna di quelle gocce salate che le
scendevano sul viso.
Doveva solo
avere pazienza. E altre lacrime sarebbero cadute, lacrime d’amore che
l’avrebbero reso più forte.
Mr.
Gold
Li guardava da
lontano. Una famiglia che, lentamente, stava trovando la via per
ricongiungersi. Il dono della preveggenza che aveva posseduto nella sua precedente
vita lo aveva seguito in questa. E sebbene fosse un uomo manipolativo, scaltro,
e avesse chiaramente i suoi personali
piani, persino lui fu toccato al punto da versare una lacrima alla vista del
loro futuro. Quel giorno lontano in cui quattro persone si sarebbero guardate e
avrebbero compreso chi realmente fossero. Che erano una famiglia, e che insieme
sarebbero potuti vivere, finalmente, felici e contenti.
Note di
traduzione
Questa
raccolta si ricollega alla serie pre-pilot ‘Untold Tale’, ma nelle intenzioni dell’autrice
può essere letta anche indipendentemente.
La
scrittura originale è un filo ripetitiva nella descrizione del dolore di ciascuno dei personaggi, e se
avete avuto quest’impressione è perché ho cercato di essere
il più fedele possibile. Dopotutto si tratta dei diversi modi di James,
Neve, Emma e Henry di relazionarsi al pianto. È naturale che il dolore
ricorra.
Aya Lawliet ~