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Autore: MichyMaro    07/02/2012    1 recensioni
Il mio primo racconto, una storia ambientata in un mondo onirico dove tutto può succedere...
Spero che vi piaccia! E' il primo racconto in assoluto che sono riuscita a concludere e soprattutto... a condividere!!
Accetto tutti i commenti belli e brutti: sono utili in ogni caso no? Quindi... ditemi cosa ne pensate!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco. Ora si che aveva toccato il fondo. 

La sua fida Toyota l’aveva abbandonata proprio quando aveva deciso di prendere una stradina secondaria che attraversava i campi per evitare il traffico del rientro di fine giornata. 

Aveva fatto il grande gesto di scendere dalla macchina, aprire il cofano e dare un’occhiata con il classico sguardo di chi ne sa, poi aveva richiuso tutto ed era ritornata al caldo confortante del posto di guida: per quanto la riguardava tutto quello che c’era là sotto era un inesplicabile enigma.

In preda poi a grande intraprendenza, aveva inforcato il cellulare e, lasciando da parte dignità e logica si era aggirata nei dintorni alla ricerca spasmodica del segnale mancante.

Smise, rassegnata, di agitare le braccia sopra la testa realizzando che il suo cellulare non avrebbe mai preso in quel luogo dimenticato da Dio e dagli uomini.

Si risedette con calma dietro al volante cercando di valutare razionalmente la situazione.

Intorno a lei tutto cominciava a scurirsi, i profili delle case in lontananza venivano avvolti da una silenziosa, compatta nebbia che sembrava cancellare tutto ciò che la circondava.

In pochi minuti tutto ciò che era fuori dall’abitacolo della sua macchina scomparve, s'intravedeva solamente parte della strada sterrata e i rami più bassi dell’albero accanto cui aveva accostato.

Da quando la sua amata auto aveva smesso di collaborare aveva cercato di mantenere il controllo, di rimanere una fredda macchina logica per cercare una soluzione che, ne era certa, era proprio sotto il suo naso e tremendamente ovvia, solo che lei non riusciva ancora a vederla e mai ci sarebbe riuscita se si fosse lasciata prendere dal panico.

Questo era quanto continuava a dirsi ma adesso, con il nulla che l’avvolgeva, il buio che calava inesorabile e i ricordi che aveva cercato di fuggire pesanti sulle spalle non riuscì più a respingere il panico che si impossessò di lei in un momento, come se fosse stato lì, in agguato.

Attraverso lo specchietto retrovisore il suo sguardo cadde sugli scatoloni che occupavano interamente il sedile posteriore, tutta la sua vita racchiusa in cinque scatole di cartone e sparpagliata alla meglio dappertutto.

Fu allora che cedette.

Calde lacrime la rigarono le guance e non riuscì a trattenere i singhiozzi, dapprima silenziosi poi sempre più forti.

Era tutto finito. Tutti i suoi progetti. Tutto il suo futuro. Anche ora che cercava di camminare con le sue gambe, d'intraprendere una nuova vita, di combinare finalmente qualcosa di buono, qualcosa di buono per lei, ecco che si ritrovava in panne, in una strada deserta, con un tempo da film dell’orrore, senza sapere assolutamente cosa fare.

E le ritornarono alla mente le sue parole, le parole di lui, quelle frasi che cercava con tutte le forze di dimenticare convincendosi che no, lui non aveva ragione su di lei, lei era meglio di quello che lui pensava, lei era destinata a fare qualcosa di grande nella vita.

Ma dentro di se sapeva che quelle parole le avevano lasciato cicatrici profonde e che non sarebbe riuscita a evitarle per sempre, sapeva che quelle parole l’avrebbero tormentata a lungo se lei non fosse riuscita a reagire in qualche modo, in qualunque modo, perchè sapeva che il suo terrore più grande era proprio quello: scoprire che lui in fondo aveva ragione, su di lei.

E per questo si odiava. Persino dopo averlo trovato avvinghiato ad un’altra nudo come un verme, persino dopo aver avuto il coraggio di rinfacciargli tutte le sue mancanze, di non averla mai sostenuta, di non averla mai fatta sentire importante, persino dopo aver fatto le valigie, inscatolato le sue cose e aver preso la porta di gran lena, persino allora dentro di se aveva un terrore fottuto che lui avesse ragione, che i suoi sogni sarebbero rimasti sogni e basta, che la sua vita sarebbe stata mediocre, come lo era quella di lui.

E stava di fatto che ora lei era li con la macchina in panne, in una strada deserta, con un tempo da film dell’orrore, senza sapere assolutamente cosa fare.

Gran bella sferzata d’indipendenza! Si, era proprio così che voleva cominciare la sua nuova vita da single, seducente e sfavillante, piena di opportunità che non aspettano altro che essere colte.

Quando i singhiozzi e i lacrimoni si spensero, cercò rifugio nel barattolo di Nutella mezzo vuoto che teneva di fianco a se, fortunatamente prima di mettersi in viaggio aveva fatto scorta di grissini e pane, che in quel momento le sembrarono i suoi migliori amici.

Bene, pensò, almeno non morirò di fame, per sta sera.

La radio non prendeva, i libri che aveva a portata di mano in quel momento non stuzzicavano a sufficienza la sua curiosità, l’ipod era scarico e si stava facendo tardi.

Reclinò di un poco il sedile e tirò fuori da una delle scatole una delle sue coperte di plaid, altamente antiestetiche ma estremamente calde.

 

Stava già per abbandonarsi a quello che sperava fosse un sonno rigenerante e pacificatore (dopo essersi accuratamente chiusa dentro l’abitacolo), quando sentì un ticchettio sul finestrino.

Il cuore mancò un battito e subito tutti i suoi nervi si tesero in un misto di terrore e adrenalina.

Sembrava che intorno a lei non ci fosse nulla e già si stava convincendo che fosse stato tutto frutto della sua immaginazione quando ecco che una luce apparve alla sua sinistra.

A quel punto fu davvero panico: cercò di ricordare in quale scatola fosse il suo preziosissimo e affilatissimo coltello di ceramica (regalo di un’amica che forse non la conosceva troppo bene) ma si rese presto conto di essere totalmente paralizzata e alla mercè dello sconosciuto tagliagole (perchè era certa che fosse un oscuro tagliagole assetato di sangue) che stava ora a pochi metri da lei, immerso nella nebbia.

 

Come spesso le accadeva, di focalizzarsi su dettagli insignificanti nelle situazioni più disparate e meno propizie, la sua attenzione fu attirata dalla mano che reggeva quella luce che ora distingueva essere una sorta di lanterna che penzolava sotto la mano del suo possessore: mano e lanterna sembravano usciti da un romanzo di Dickens o per lo meno dall’idea che lei aveva della moda dei secoli scorsi: la mano era guantata di nero ma lunghe dita nodose erano lasciate scoperte.

Lo sconosciuto avanzò lentamente verso di lei emergendo pian piano dalla nebbia: ecco che le apparve Scrooge, o per lo meno qualcuno che assomigliava terribilmente all’idea che lei aveva sempre avuto di Scrooge.

Un vecchietto che sembra portasse cent’anni o più sulle spalle curve, magro magro ma dall’aria di essere inossidabile. Portava un lungo pastrano scuro che lo copriva interamente, lasciando scoperte solo le scarpe sulle quali, lei poteva quasi giurarci anche con la nebbia che le copriva, portava delle ghette.

Il suo viso era grinzoso, corredato da qualche foruncolo, gli occhi erano quasi interamente coperti dalle foltissime sopracciglia grigie che gli davano al tempo stesso un aspetto bonario e temibile. Non aiutava il lungo naso aquilino che riportava la serietà sul suo volto.

“Signoria, mi sembra che lei abbia bisogno di aiuto” disse con voce roca e solo allora la sua bocca si dischiuse in sorriso sdentato ma rassicurante e la serietà scomparve dalla sua figura.

Lei si stupì di essere subito tranquillizzata da quel sorriso, anzi, di più. Le sembrò che tutto fosse passato, tutti i suoi guai, le sue paure si erano dissolte con quel vecchietto che aspettava a pochi passi dal suo finestrino. Sentì subito che si poteva fidare di lui.

“Venga, venga, non sta bene che una ragazza se ne stia tutta sola all’angolo di una strada, può sempre passare qualche malintenzionato” e le scoccò un occhiolino di complicità.

“Ma... La mia macchina, le mie cose...” riuscì a dire mentre scendeva dall’auto.

“Oh, non si preoccupi, lasci tutto li e lo ritroverà al suo ritorno”

Hope, così si chiamava la ragazza, afferrò la sua borsa e una maglione pesante al volo e si inoltrò dentro la nebbia dietro il suo sconosciuto salvatore, come era stato prontamente riclassificato.

 Arrivarono al suo mezzo di trasporto che si rivelò essere una carrozza, non una di quelle maestose con file e file di cavalli bianchi, ma un piccolo cocchio di campagna trainato da un bel cavallone marrone. Dickens era sempre più presente.

 

Si misero in marcia indirizzandosi verso un punto imprecisato all’interno della nebbia. Hope si chiedeva come il suo accompagnatore potesse orientarsi in quel nulla così opprimente che li circondava.

“Dove stiamo andando?” chiese rompendo il silenzio.

“Oh, c’è un villaggio poco distante da qui...” rispose il vecchietto e notando la sua faccia scettica continuò “è piccolo e pochi conoscono la sua precisa ubicazione, ma stia tranquilla, non ci vorrà molto e presto potrà godersi un ricco pasto e un letto caldo così da essere in piena forma per domani. La attende una giornata importante vero?”

Hope si voltò a guardarlo sorpresa: il giorno dopo doveva effettivamente prendere possesso della sua nuova casa. Casa nuova, città nuova, si sperava un nuovo lavoro, insomma una nuova vita. Ma come faceva lui a saperlo? La paura del cambiamento e la stanchezza del metterlo in atto erano così leggibili sul suo volto?

“Beh... Sì...”

Il vecchietto le sorrise di rimando e il viaggio continuò nel silenzio più assoluto, si distingueva solo lo scalpiccio degli zoccoli sul terreno mentre la nebbia ovattava tutto il resto.

 

L’andamento ritmico della carrozza e la stanchezza erano così concilianti che stava per riaddormentarsi quando intravide delle luci che cominciavano a filtrare dalla nebbia.

Pian piano davanti a lei comparvero tetti e strade, case, negozi, bancarelle coperte per la notte.

Aveva l’aspetto di una sorta di borgo medievale con le sue viuzze che formavano un dedalo nel quale ci si poteva perdere. Il villaggio era deserto, non un’anima si muoveva per le vie ciottolate, non un cane per strada nè il miagolio di un gatto. Tutto era avvolto in una sorta di surreale atmosfera che ammantava ogni casa, ogni negozio, ogni bancarella di un non so che di magico.

Nonostante l’assoluta mancanza di persone, il luogo non sembrava disabitato, anzi, dietro le persiane e le porte chiuse sembrava traspirare la formicolante vita all’interno: si poteva benissimo immaginare la famiglia riunita intorno al fuoco, le madri che mettevano i bimbi a letto, gli adulti che finivano le ultime faccende domestiche della giornata.

Di nuovo però, Hope si sorprese ad immaginare questi fantomatici abitanti del villaggio come persone d’altri tempi, con cuffie in testa e calzoni al ginocchio. Non riusciva bene a spiegarselo ma per lei era naturale pensare a quegli sconosciuti come a membri di un passato lontano e favoloso ma fuori dal tempo stesso, tanto che quella loro condizione fosse perfettamente comprensibile anche nella sua quotidianità.

Forse era la singolarità di quel luogo, villaggio racchiuso dalle nebbie e, sembrava, tagliato fuori dal mondo civile, a mettere in moto in quel modo la sua fantasia. Oppure semplicemente era stanca e la sua mente vagava senza freni inibitori.

 

Il calesse proseguiva nel silenzio più assoluto fra le stradine del villaggio. Ad ogni svolta Hope si chiedeva quando sarebbe finito quel viaggio, quando sarebbe arrivato il pasto ricco, quando il letto caldo, perchè ora aveva fame, aveva sonno e questa combinazione rischiava di essere micidiale per chi le stava attorno.

Dopo l’ennesima svolta, il cocchio si fermò davanti ad una casetta a due piani un pò discosta dalle altre; una bassa recinzione di mattoni costeggiava il piccolo giardino che circondava la casa, un albero copriva parte della facciata, un luce giallo-arancione illuminava la porta d’ingresso.

La casetta si astraeva così dal banco di nebbia che avvolgeva tutto quello che le stava attorno: la strada che avevano da poco intrapreso, le altre case poco distanti, tutto in quel momento sembrava estremamente lontano.

La carrozza si fermò proprio davanti alla casa ma Hope già sapeva che quella era la loro destinazione.

Lentamente posò i piedi a terra mentre continuava a guardare entusiasta la casa davanti a lei: con la sua luce calda, che filtrava anche dall’interno, l’albero, il recinto, tutto le dava un senso di sicurezza e subito si sentì felice, felice che il vecchietto l’avesse trovata e portata in quel piccolo angolo di paradiso in mezzo alla nebbia.

Fece pochi passi verso la porta quando sentì gli zoccoli del cavallo che cominciavano a muoversi di nuovo lentamente. Si girò e incontrò gli occhi del vecchio che la guardavano sorridenti.

“Ma come?? Non rimane anche lei?? Pensavo questa fosse casa sua...”

“Oh no mia cara, la mia signora mia aspetta a casa per la cena! Questa e la nostra locanda o, come si usa dire oggi, il nostro bed & breakfast: il proprietario è molto ospitale, cucina bene e gradisce la compagnia. Sa, non ci sono molti turisti da queste parti... Vada, vada pure, sono sicuro che la sua cena sta già cuocendo in pentola!”

Detto questo lentamente scomparve nella nebbia, lasciandola sola davanti alla porta.

 

Hope sapeva, razionalmente, che tutta quella situazione doveva sembrarle quantomeno strana. Insomma, era stata raccattata in mezzo al nulla da un vecchietto in calesse, che l’aveva portata in un villaggio piccolo, vuoto e d’altri tempi e ora la lasciava davanti alla porta di una misteriosa, anche se estremamente invitante, locanda. Eppure nonostante tutto, nonostante sapesse che quelle cose di solito non succedono, non riusciva ad essere intimorita, contrariata, scettica o almeno vigile. Si sentiva totalmente ed estremamente a suo agio, come se tutto quello che le stava succedendo fosse la cosa più naturale al mondo. E forse anche questo avrebbe dovuto metterla sul chi va là.

Stava pensando a queste cose mentre percorreva il breve vialetto che dalla strada conduceva alla porta d’ingresso, automaticamente aveva alzato la mano e bussato un paio di volte, sempre immersa nei suoi pensieri. Per questo non fu assolutamente preparata per quello che successe dopo.

 

Il ragazzo più bello che avesse mai visto le aprì la porta sorridendo. Hope fu rigettata così bruscamente nella realtà dai suoi pensieri che quasi s’inciampò nel tappetino di benvenuto.

Davanti a lei stava la materia dei suoi sogni divenuta realtà: era alto, con i capelli di un biondo cenere che riflettevano la luce del camino alle sue spalle, gli occhi erano di un azzurro intensissimo, come le profondità marine, risaltati ancora di più dalla carnagione leggermente abbronzata, le sue labbra perfette scoprirono denti altrettanto perfetti che formavano un sorriso perfetto anch’esso, da sotto la t-shirt, poi, si intravedeva la giusta quantità di muscoli. E l’espressione che era dipinta sul suo volto in quel momento... Un misto di benvenuto e simpatia che faceva diventare le ginocchia di gelatina.

Hope era così intenta ad ammirare senza fiato quella creatura semi-divina che non si accorse che lui le stava parlando.

“Ciao! Benvenuta! Scommetto che stai morendo di fame, vero? Dai, entra! Accomodati! La cena è praticamente pronta e anche io sto morendo di fame! Ah meno male che sei arrivata tu perchè a me mangiare da solo mette una tristezza!” così dicendo le fece segno di entrare. Mentre lei, ancora sotto shock, cercava di riprendere l’uso della parola, lui le aveva già preso giacca e borsa e le aveva adagiate se una poltrona vicina. Intanto l’aveva condotta verso la cucina e l’aveva fatta sedere ad un posto della tavola, prontamente apparecchiata per due.

“Oh, scusami! Che cafone sono stato non mi sono neanche presentato! Io sono Heathcliff...” 

Perfetto, adesso ci si mettono anche le Brönte, pensò Hope.

“Tu invece?”

Un altro brusco ritorno alla realtà. Cavolo le stava parlando di nuovo!

“Ehm... Io cosa?” riuscì a balbettare, contenta di esser tornata a parlare.

Un altro grande sorriso si allargò sul suo viso.

“Tu come ti chiami?” rise.

“Oh!! Io sono Hope...” si rese conto di essere diventata dello stesso colore degli interni: un bel bordoux caldo caldo. D’improvviso il maglione pesante era diventato insopportabile.

“Piacere di conoscerti Hope! Sei fortunata, sta sera ho deciso di preparare il piatto che mi viene meglio: pollo al curry con contorno di riso! Vedrai che bomba! Tutti quelli che lo assaggiano non lo scordano più!”

E come faccio a scordarmi di una serata così? 

 

Il pollo era delizioso, il più buono che lei avesse mai mangiato. La cena proseguiva languidamente fra chiacchiere e risate. Hope constatò che, dopo il primo momento di smarrimento, si era sentita totalmente a suo agio con questo sconosciuto così affascinante, cosa che di solito non le capitava mai.

Di nuovo ebbe la sensazione che tutto quello che c’era stato di brutto nella sua vita fosse solo un lontano ricordo e che anzi, forse, non fosse mai accaduto.

Heathcliff era semplicemente straordinario: simpatico, intelligente, divertente ma non per questo pieno di sè. Era magnifico stare in sua compagnia, condividere le cose importanti e quelle da nulla, confrontarsi...

 

La conversazione si spostò sul divano davanti al fuoco. Erano così vicini che Hope riusciva distintamente a percepire la forte tensione magnetica che la attirava a lui ma era tutto così perfetto, anche con quella piccola distanza, che sarebbe potuta rimanere su quel divano per sempre.

Si sorprese a raccontargli del suo ex, di Henry, di quanto l’aveva fatta soffrire e di come avesse in fondo sempre saputo che non era la persona adatta a lei, di quando aveva deciso di mollare tutto e ricominciare lontano. Gli raccontò i suoi progetti per il futuro, l’eccitazione e insieme la paura per la nuova vita che l’attendeva.

Lui stava ad ascoltare interessando, partecipando attivamente alla conversazione, dandole dei consigli e ogni tanto riportandola alla realtà se i suoi castelli in aria cominciavano a fluttuare un pò troppo in alto.

Dal canto suo Heathcliff le raccontò della sua passione per la cucina, la sua voglia di sperimentare sempre nuovo sapori, di viaggiare per scoprire nuovi gusti.

“Suono anche la chitarra sai... Niente di che... Non sono Mark Knopfler...”

Conosce Mark Knopfler... Io me lo sposo!

“Mi faresti sentire qualcosa?”

“Mah... Non so sai...”

“Dai! Dai! Dai!”

“Va bene, va bene...”

Prese la chitarra appoggiata in un angolo e cominciò a suonare.

Dolci note ritmate si diffusero per la stanza mentre la sua voce calda e un pò roca le accompagnava con parole dolci, di un amore perduto e ritrovato.

Mentre suonava il suo sguardo incrociò gli occhi di Hope e non li lasciò più: era scattato qualcosa, Hope lo sentiva, anzi no, lo sapeva, qualcosa di grande, come se fosse stata da sempre destinata a quel momento, a quel ragazzo.

Felice, si lasciò scivolare nel sonno con il sorriso sulle labbra, quelle labbra che lui baciò dolcemente mentre la copriva con una coperta di plaid, altamente antiestetica ma estremamente calda.

 

Al mattino si risvegliò piena di energia ed entusiasta pronta per un nuovo giorno.

Magari posso non ripartire subito, pensò, magari posso fermarmi qui ancora una notte o due.

Stirandosi ancora con gli occhi chiusi le sue mani colpirono violentemente contro il tettuccio della sua Toyota.

Sgranò gli occhi e subito la luce del sole del mattino l’accecò.

Era nella sua macchina, a ridosso dell’albero, sull’orlo della strada sterrata. Tutte le sue scatole erano ancora sul sedile posteriore, c’erano briciole di grissino ovunque e la Nutella era finita.

In preda al panico saltò fuori dalla macchina e si guardò intorno spaesata.

No, non può essere... Era tutto così reale... No...

Risalì in macchina mise in moto con la ferma intenzione di fare dietrofront e ritrovare il piccolo villaggio ma l’auto continuava a non collaborare.

Ma certo, cretina, non ti ricordi? È per questo che è successo tutto!

Ma successo cosa poi? Che un vecchietto ti raccatta in mezzo al nulla e ti porta magicamente dall’amore della tua vita?

Lo sapeva che era totalmente illogico e che il sogno era la soluzione più plausibile, eppure non riusciva ad arrendersi al fatto che Heathcliff fosse solo una sua fantasia.

Lo sguardo le cadde sui libri che aveva di fianco a sè, in una scatola sotto il posto del passeggero. Distingueva chiaramente “Canto di Natale” e “Cime Tempestose”.

Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime. Non era possibile... Finalmente trovava l’uomo della sua vita e questo si rivelava solo fonte della sua fantasia...

S’incamminò per la strada sterrata che si snodava per le colline davanti a lei. Tutta la felicità del risveglio era svanita e ora le rimaneva addosso solo quella fastidiosissima sensazione di essere stata vicinissima a qualcosa solo per poi perderlo miseramente.

 

Un trillo deciso la strappò dai suoi pensieri. Miracolo! Il suo cellulare riusciva a prendere una tacca e sullo schermo lampeggiava il nome della sua amica che avrebbe dovuto ospitarla per la notte, preoccupata per la sua assenza.

Bene, era salva.

 

Mentre il carro attrezzi rimorchiava la sua auto, Hope gettò un ultimo sguardo alla vallata dietro di sè, solo colline e casolari sperduti, niente villaggi, niente locande.

 

Anche se la sua nuova vita la travolse totalmente, ogni tanto i suoi pensieri tornavano a quella strana e fantastica notte sperduta in mezzo alla nebbia. Ma c’era la casa da arredare, il lavoro da trovare, conoscere le persone nuove che la tua amica ti vuole assolutamente presentare, trovare un panettiere di fiducia e magari anche un macellaio, conoscere il nuovo quartiere e studiarsi il percorso dei mezzi pubblici perchè in città è meglio non usare la macchina con parcheggi così cari.

Heathcliff e il villaggio nella nebbia diventarono così un caldo ricordo a cui attingere ogni tanto, nei momenti di tristezza.

 

Un giorno, Hope rincasò carica di borse della spesa e nonostante le sue premure per evitarla fu intercettata dalla vicina del primo piano, che spiava la sua posta e voleva farle conoscere il nipote ragioniere.

“Ha visto? Ci sono novità nel palazzo!” le disse la vicina tutta eccitata.

“Come, Scusi?” le borse pesavano, aveva del lavoro arretrato da fare e l’ultima cosa che voleva era essere incastrata in una conversazione insopportabile.

“Sul suo pianerottolo! Ha un nuovo vicino sa??” 

Ecco, ci risiamo... Pensò Hope.

“È giovane e ben piantato, proprio un bel ragazzo” continuò l’altra tutta maliziosa. “Dovrebbe proprio andarsi a presentare sa??”

“Si, si certo, signora... Non mancherò” rispose stancamente Hope mentre si infilava nell’ascensore. Non aveva alcuna voglia di essere considerata il caso umano del condominio.

Le porte si aprirono sul suo piano ma lei era talmente ingombra di spesa che andò a sbattere contro qualcosa, o meglio qualcuno, spargendo per tutto il pianerottolo il contenuto delle sue borse.

“Oh mi scusi!” fece lei, chinandosi subito a raccogliere pomodori e chipster. Bella figura che mi faccio subito con il nuovo vicino.

“Nessun problema! Aspetti che l’aiuto!” le rispose una voce calda e un pò roca. Lentamente alzò lo sguardo e si ritrovò davanti a Heathcliff, al suo meraviglioso e splendido Heathcliff, che ora portava occhiali da vista e una camicia fuori dai jeans, ma era assolutamente lui: non avrebbe mai potuto dimenticare quegli occhi...

Ora lui aveva finito di raccogliere verdura e porcate dal pavimento e le stava sorridendo (ah il suo sorriso...).

Hope si sentì di avvampare e mormorando un “grazie” cercò con la mano tremante le chiavi di casa decisa a rintanarsi nel suo appartamento per analizzare logicamente la situazione quando lui la fermò sulla porta.

“Scusami... Magari ti sembrerò un pò inopportuno ma... Sai, è la mia prima sera qui e... Odio mangiare da solo! Ti posso invitare a cena? Sai, così conosco anche meglio la mia nuova vicina... E poi ho intenzione di fare il piatto che mi viene meglio: pollo al curry con contorno di riso! Vedrai che bomba! Tutti quelli che lo assaggiano non lo scordano più!”

Un sorriso si dipinse sul volto di Hope.

“Certo... Molto volentieri...”

  
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