Una tiepida sera estiva, bagliori rossastri di un sole morente.

Ombra tra le ombre, vi osservo da lontano.

No, non mi vedrete; forse sentirete la mia voce, il mio bacio leggero.

Impazzirete, dimenandovi, forse imprecherete, cercherete di sfuggire, e vi sorprenderà come io riesca ad essere ovunque.

Ma non ancora.

È nella notte, il mio momento.

Attendo l'ora propizia fluttuando nella crescente oscurità, lontano dalle siepi maleodoranti, dai vostri fuochi nauseabondi.

Già pregusto il sapore salato del vostro sangue, anticipo il piacere del banchetto, sospiro al pensiero della sensazione deliziosa che mi darà il contatto, la pressione quasi impercettibile sulla vostra pelle tonica e fragrante, l'estasi del penetrare quell'involucro sottile per cibarmi di voi.

Ridete, ma già vi vedo dirigere lo sguardo verso il vostro nemico invisibile, una sfumatura di preoccupazione negli occhi, la mano sfiora la spalla, poi il petto, come per un nebuloso presagio.

Aspettatemi. Ormai è questione di minuti.

Alzatevi dalle vostre tavole imbandite: il momento del desco è giunto anche per me.

* * *

“Te l'avevo detto che non era il caso di lasciare le finestre aperte!”

“Siamo a luglio: fa caldo e non ho intenzione di dormire con la puzza del fritto che aleggia su tutta casa!”

“Beh, la prossima volta vai a dormire in giardino: io un'altra notte così non la passo.”

“Quante storie! Torna a dormire, tanto l'ho presa.”

La donna sbuffò, ciabattando verso il bagno, le mani sporche di nero e di sangue.

“Maledette zanzare!”