Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: Yvaine0    07/02/2012    9 recensioni
Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-...sciocchezze. E così, litigio dopo litigio, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.

Pan Fletcher, diciottenne, ragazza di città, si ritrova catapultata in un mondo a lei estraneo, caratterizzato da laboriosità, aria pura, e sentimenti sinceri. Armata di mp3, di un bizzarro interesse per le mucche e di un rassicurante manuale di sopravvivenza create da lei stessa, affronta questa avventura che la vita le regala senza ben sapere cosa pensare di tutto ciò che le sta per accadere.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Che diavolo ci fai TU qui! Questa è casa di mio nonno!"
"Io qui ci vivo!"
Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Cows and jeans
 
24


 
Quella sera, alle otto, Emily se ne stava in piedi accanto alla porta della mia stanza, le braccia incrociate, un piede che batteva ritmicamente contro il pavimento, e un sorriso scettico in volto. “Scordatelo”.
“Ma da quando hai deciso che dobbiamo girare nude?” domandai, a mia volta scettica.
Indossava un abito nero, così corto da essere riuscita a far arrossire Joshua, quando le aveva aperto la porta –e questo è tutto dire!- e impallidire me, quando era entrata.
“Ma sotto ho il costume, non fare la lagna!” spiegò lei, sbrigativa.
Ah, be’, se sotto aveva il costume, allora... 
“Ok, anche io ho il costume. Mi hai avvisata e io l’ho messo. Evviva le piscine, yuppie!” ciarlai, senza pensare troppo a ciò che stavo dicendo.
“Ma dai, Pan! Andiamo a una festa, non puoi vestirti così!” continuò Emily. Alzò un braccio per indicarmi, poi lo lasciò cadere lungo il suo fianco.
“Sì che posso!” Almeno io non ero in mutande! Ah, pardon, in costume. Indossavo un paio di shorts di jeans, un t-shirt bianca –su cui l’estate passata avevo disegnato il simbolo dei Doni della Morte- e delle scarpette da ginnastica. Va bene, non ero Miss Eleganza, ma non pensavo nemmeno totalmente fuori luogo. Era un caldo assurdo e stavamo per andare ad una festa in piscina. Ok, era in un locale piuttosto rinomato, ma non avevo alcuna intenzione di cambiarmi. (Anche perché il mio guardaroba era sprovvisto di vestitini inguinali o gonnelline varie).
“Cambiati la maglia, almeno!”
“Fa così schifo?” la gaurdai, tirandone in avanti l’orlo. “No, senti, vado benissimo vestita in questo modo” decisi, poi, lasciando che tornasse alla sua forma originale. “Io sono così, starò attenta a non essere troppo acida, ma non mi cambierò d’abito!”
“Abito? Sei vestita da spiaggia!” mi corresse, vagamente esasperata.
Non obiettai che in spiaggia avrei indossato le infradito e non le scarpette, mi limitai a sorriderle, facendo segno di diniego con il dito indice. “Prendere o lasciare!”
Emily sbuffò. “Posso lasciare la tua maglietta e prendere te?” tentò un’ultima volta, mettendo su un broncio fatto apposta ad intenerirmi.
Ssssì, aspetta e spera!  Cuore-Di-Pietra-Fletcher in azione!
Il mio sorriso si allargò. “No!” risposi dopo qualche istante con voce limpida e allegra. Poi afferrai la tracolla e trotterellai al piano inferiore, seguita da una migliore amica dall’aria afflitta.
Mia madre si alzò dal divano vedendoci arrivare. Si avvicinò per salutarci, raggiante come tutte le sue amiche che volevano dimostrare di essere buone mamme. “Andate di già? Non tornate tardi, mi raccomando!”
“No, certo che no” le assicurò Emily, sorridendole gentilmente.
“Ma vai alla festa vestita così, tesoro?” si informò mia madre, squadrandomi. Sembrava che mi avesse vista in cosplay da orso Yoghi. No, non avevo mai avuto la costanza necessaria a mettere insieme un buon cosplay, nè la voglia di procurarmi un costume da orso, ma il paragone rende bene l’idea. “Sembri...”
Alzai gli occhi al soffitto. “Cosa?” domandai, paziente, attendendomi già il peggio.
Felicity mi osservò per qualche secondo, poi scosse il capo. “Non importa. Sono sicura, però, che a Emily non dispiacerebbe prestarti uno dei suoi abiti per una sera” suggerì, suscitando l’approvazione della mia migliore amica.
Inarcai le sopracciglia. “Ne sono certa anche io, ma se volevo indossare un vestito l’avrei fatto” replicai, piccata. Non ero proprio riuscita a mantenere del tutto la calma. Giuro che, però, ci avevo provato. Era più forte di me: per quanto mia madre potesse cercare di darmi consigli e suggerimenti, ogni volta che la udivo pronunciarne uno, ero spinta da una misteriosa e stizzita forza interiore a fare esattamente il contrario. Ora, una madre astuta –o quantomeno normale-, dopo un po’ avrebbe fatto due più due e avrebbe sfruttato la psicologia inversa a proprio favore. Felicity invece no. Se il motivo fosse la sua scarsa furbizia o il suo disinteresse non lo sapevo. Chiaramente, però, non era nei miei interessi sedermi accanto a lei, un giorno o l’altro, e dirle ‘Ehi, ma’! Sai che potresti fregarmi ben benino utilizzando la psicologia inversa? Perché non lo fai?”. Sarebbe stato un tantino controproducente.

Ventisette minuti dopo Emily stava parcheggiando in doppia fila esattamente di fronte all’entrata del locale chiamato “Equilibrio Instabile” (*). Anche il nome era tutto un programma. Immaginavo già Marijuana Thompson capitombolare ogni tre passi, ubriaca fradicia, e cadere nella piscina. Calzava a pennello.
“Pan, seriamente, avresti dovuto metterti qualcosa di più...”
Sospirai e scesi dalla macchina prima di ascoltare il resto della frase.
Avrebbe dovuto apprezzare il fatto che fossi andata lì con lei, quando per tutto il pomeriggio la mia testa non aveva fatto che strillare di non accompagnarla. Il pensiero di andare alla festa di compleanno di qualcuno che non conoscevo, senza regalo e senza che la festeggiata mi avesse mai rivolto la parola non mi entusiasmava. Sapere, poi, che la data persona era quella che mi stava sostituendo nella vita della mia migliore amica non migliorava la situazione.
Visto e considerato che non ascoltavo quasi mai il mio saggio cervellino, però, ci ero andata. Entrando, Emily disse i nostri nomi ad una ragazza, la quale scorse la lista degli invitati e ci lasciò passare.
Anche se la musica si sentiva fino a dove eravamo noi, l’interno era praticamente vuoto, cosa che mi mise in agitazione. Sembrava essere a tutti gli effetti una festa per pochi. Che cavolo ci facevo io lì? “Lily, senti...” iniziai, guardandomi attorno, incerta. “Domani ti do metà dei soldi del regalo. Mi sento una scroccona” le comunicai. Emily rise, attraversando un corridoio dopo l’altro con naturalezza, come se fosse a casa propria. “A Mariah non dispiacerebbe sapere che non le hai portato niente, ma se può farti sentire meglio... ok” mi rassicurò, prendendomi a braccetto. Gliene fui grata, avevo bisogno di supporto in quel momento. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Era un’imbucata ad una festa privata a cui ero stata trascinata con la forza. Oh, magari non proprio brutalmente, ma rimaneva il fatto che non avrei voluto andarci. Non sarei dovuta andarci.
Entrammo in una stanza dove lasciammo le borse, chiuse in un armadietto con tanto di lucchetto e continuammo il nostro percorso.
“Quanto è grande questo posto?” domandai, dopo che avemmo oltrepassato una terza porta. Se avessi dovuto uscirne da sola, non credo sarei stata in grado. “È labirintico”.
Lei rise di nuovo, indicandomi l’ennesima porta che ci sbarrava la strada. “Abbiamo attraversato tutto il palazzo dall’interno. A destra dello spogliatoio in cui abbiamo messo le borse c’erano anche le docce. Queste altre stanze e i corriodoi sono pullulanti di persone, di solito, è una festa continua. Oggi però la famiglia di Mariah si è riservata tutto il locale di modo da non avere troppa gente tra i piedi. Hanno pagato loro l’entrata per tutti i presenti” recitò come una guida turistica. Quell’ultima frase mi fece sentire un vero e proprio verme. Se avevo imparato qualcosa stando a Sperdutolandia, quello era dare il giusto valore al denaro, che era pur sempre frutto del lavoro e della fatica di qualcuno. Come potevo spendere i soldi di qualcuno che neanche conoscevo? Mi sentivo tremendamente in colpa.
Quando Emily spalancò la porta, offrendomi così la visuale della piscina all’aperto e del giardino del locale, ma sopratutto dell’infinità di persone che si davano alla pazza gioia nei paraggi, capii di essermi preoccupata per niente. Almeno la metà dei presenti sono imbucati, constatai vagamente sorpresa. Avrei dovuto saperlo. Come avevo potuto credere che al compleanno di Marijuana Thompson non si fosse autoinvitata mezza città –o almeno mezza scuola? Le feste di quella ragazza erano leggendarie, in fin dei conti. Le voci di corridoio su ogni sua santissima sbornia erano giunte alle orecchie di tutti, avrei dovuto immaginare che la notizia della festa non sarebbe stata da meno.
“Per la Barba di Merlino!”
Emily rise e mi diede una gomitata, trascinandomi poi in mezzo alla gente. “Non ti chiederò di parlare come mangi, perché so che mangi pane e Potter da quando sei nata!”
Ridacchiai a mia volta, pensando che non vietarmi di invocare il nome dei grandi maghi del passato ogni volta che ne sentivo il bisogno era il minimo che potesse fare. Anche perché non ero sicura che sarei stata in grado di trattenermi, se me lo avesse chiesto. “Pane, cioccolata e Potter! Non posso abbreviarlo P.P.P., ma così è la vita” bofonchiai, saltellando a destra e a manca per non essere urtata da qualche invitato troppo scatenato per accorgersi della mia presenza. In fin dei conti mi ero preoccupata per niente, la gente che aveva usufruito della disponibilità economica dei signori Thompson era parecchia, non sarei stata di certo io a mandarli in rovina.
“Ma che cosa stai dicendo?”
Ridemmo, poi mi invitò a seguirla nella sua ricerca di Mariju-... Mariah Thompson. Dovevo comportarmi bene quella sera, glielo dovevo, quindi tanto valeva che iniziassi a chiamarla con il suo nome.
Quando  io ed Emily uscimmo dalla folla e lei si diresse verso l’angolo bar, notai subito la figura  slanciata della festeggiata ondeggiare sul posto, scossa dalle risate, mentre chiacchierava con un gruppetto di ragazze. E ondeggiava nel vero senso della parola, segno che probabilmente aveva ben pensato di iniziare a bere fin da subito, nonostante ormai fosse chiaro a tutti che non reggeva l’alcool. Come inaugurare il diciannovesimo anno di vita? Ma scolandosi fiumi e fiumi di liquidi trafora-organi-interni, ovviamente!
“Emy!” esclamò, vedendoci arrivare. Si tuffò verso la mia migliore amica e i suoi lunghissimi capelli neri mi frustarono la faccia. Iniziamo bene, osservai strizzando gli occhi infastidita.
“Ciao!” salutarono anche le altre, allegramente.
“Ciao!” Emily abbracciò la festeggiata. “Tanti auguri, bellissima!”
Oh, sì, una meraviglia di ragazza. Con quella faccia da pesce lesso che si ritrovava dava davvero l’idea di essere intelligente. La perfezione in persona. Ok, io non ero uno splendore, ma ne ero consapevole e nessuno era mai stato così meschino da mentirmi spudoratamente in proposito.
“Grazie, tesoro!” trillò l’altra, allontandosi di un passo da lei.
“Ti presento Pan Fletcher, Mary”.
Cavolo, non credevo mi avrebbe presentato ufficialmente. Mi irrigidii e mi sforzai di sorridere, quando gli occhioni svampiti di Mariah si spostarono su di me. “Piacere di conoscerti, ho tanto sentito parlare di te!” mi porse un mano, sorridendo gentilmente. Al contrario delle altre simpatiche signorine, lei non mi aveva squadrata da capo a piedi con disgusto. Non mi aveva squadrata per niente, in realtà, si era limitata a guardarmi negli occhi.
“Oh, anche io” le assicurai, pensando che effettivamente non avevo sentito che cose positive su di lei -da Emily per lo meno, e potevo fidarmi del suo parere- quindi forse avrei dovuto smettere di giudicarla in base ai diffusi pettegolezzi su di lei.
Notai con sorpresa che il suo sguardo era lucido. Svagato, sì, ma non aveva l’aria di aver alzato troppo il gomito.
“Piacere”.
“Sei in classe con me a matematica, giusto?” si informò, strizzando gli occhi nello sforzo di ricordarsi di me.
Mi grattai un braccio imbarazzata. “Sì, sì. Lo ero” la corressi.
“Ah, giusto, perché ora abiti a... dov’è, che abiti?”
Sospirai, consapevole del fatto che il momento delle domande era giunto. “Oh, ehm... è un paesino sperduto nel nulla, decisamente troppo lontano da qui” mi limitai a rispondere, stringendomi nelle spalle.
Le tre ragazze con cui stava chiacchierando Mariah poco prima si alzarono dai loro sgabelli e si schierarono accanto a noi. “Bella maglietta” commentò una di loro, divertita.
Oh, meraviglioso. Ci mancavano solo le super star all’attacco.
Quella che aveva parlato era alta, snella e schifosamente prosperosa. Tutta invidia, dite? Sì, cavolo, perché Dean aveva ragione quando diceva che ero piatta come una tavola!
Le scoccai un’occhiata in tralice. “Grazie. Chanel, giusto?” azzardai.
Lei si accigliò sorpresa. “Esatto. Ci conosciamo?”
“No, non ancora” ...e sia ringraziato Merlino per questo.
“Ah, quindi tu sei la Sfrattata!” Se ne uscì un’altra, guadagnandosi un’occhiataccia da parte mia.
“Come, scusa?”
Sgranò gli occhi azzurri pesantemente truccati. “Sì, insomma, quella che hanno cacciato di casa. Non si dice così?” si informò, interrogando con lo sguardo l’ultima delle ragazze.
“Certo, Asja” le assicurò Chanel con superiorità.
“Sì, può essere corretto” confermai, rendendomi conto di quanto quell’affermazione potesse farmi passare da secchiona. “Però non credevo di essermi guadagnata questo appellativo” conclusi, sforzandomi di sorridere educatamente, sotto lo sguardo severo di Emily. “Nessuno ti chiama così” mi rassicurò quest’ultima.
Se anche fosse stato me lo avrebbe mai detto? Le riservai un’occhiata scettica, poi ricordai i miei buoni propositi e cercai di mantenere la calma.
“Oh, credevo di aver cannato di brutto!” ridacchiò la bruna rispondente al nome di Asja.
“È per quello che ti vesti così?” domandò l’ultima, con una buona dose di cattiveria nella voce. La guardai e, se solo mi fosse interessato qualcosa di ciò che pensava, quel suo sguardo di ghiaccio mi avrebbe fatto sentire una sciocca nullità al cospetto di una potente regina. Grazie al cielo la mia autostima era già bassa normalmente e non mi importava più di tanto di risultare un grandissimo cesso accanto a lei.
Quella doveva essere Jasmine Meaddows, di cui avevo sentito tanto parlare durante quel pomeriggio. Ora capivo perché Emily volesse chiedere consiglio a lei su come vestirsi: vedendo come si atteggiava doveva essere l’esperta di moda del gruppo. 
“Perché, come mi vesto?” domandai, inarcando le sopracciglia. Ok, mi vestivo male, lo sapevo e non mi importava, ma la prima Principessa Disney di passaggio non poteva credere che io mi sarei lasciata insultare senza battere ciglio: nel caso non l’avesse notato, io non ero una principessa della Disney nè tantomeno degli gnomi (**). Senza contare che non avevo capito il collegamento tra Sperdutolandia e i miei vestiti.
“Di denim” rispose, annoiata, indicando il giubbotto che mi ero portata dietro in caso iniziasse a far freddo –in realtà lo speravo.
“Continuo a non capire” obiettai, sempre più curiosa di sapere dove sarebbe andata a parare.
Nel frattempo la musica era stata alzata di volume e il cantante dei Good Charlotte si chiedeva per quale motivo la gente gli rivolgesse la parola.

I'm paranoid of all the people I meet 
Why are they talking to me? 
And why can’t anyone see 
I just wanna live 
Don’t really care about the things that they say 
Don’t really care about what happens to me 
I just wanna live 
(***)

Era quello che mi stavo chiedendo anche io: che diavolo voleva da me quella ragazza? Non poteva semplicemente farsi gli affari suoi e ignorarmi, come aveva sempre fatto quando per caso mi aveva incrociata nei corridoi della scuola?
Mariah esplose in un grido di gioia, riconoscendo la canzone e io trasalii per la sorpresa.
“Troppo bella! Just wanna live, just wanna live, just wanna live, just wanna live!” cantò a squarcia gola, per poi afferrare Emily per le mani e trascinarla con sè in mezzo a tutta la gente che –invitata o imbucata che fosse- si stava dimenando lì intorno.
In preda ad un moto di rabbia serrai i denti con stizza. Che diritto aveva Marijuana Thompson di strapparmi in quel modo la mia migliore amica proprio quando avevo bisogno del suo appoggio? Era per lei che ero a quella festa, era per lei che stavo cercando di non sfoderare la mia solita acidità per tenere il mondo lontano da me. Ma Marijuana Thompson era più importante, evidentemente.
Jasmine sogghignò, divertita dalla mia espressione. “Di jeans” specificò come se fossi troppo stupida per sapere cosa fosse il denim. In realtà mi ero quasi passata di mente la conversazione, presa com’ero dalla mia gelos-... rabbia.
“So cosa significa” sottolineai, dimentica del mio proposito di comportarmi bene. Anche se, in fondo, avevo detto che sarei stata gentile solo se non mi fossi sentita offesa in alcun modo. “ma non capisco cosa c’entri con il posto in cui vivo”. Certamente non mi sarei mai aspettata di prendere le difese di Sperdutolandia. Eppure in quel momento era tra le mie preoccupazioni primarie evitare che venisse insultato quel posto, che decisamente non aveva nulla da invidiare alla città. Specie per quanto riguardava le persone.
La ragazza ridacchiò e aggrottò le fini sopracciglia, in attesa di qualcosa che sembrava convinta stesse per accadere. Si scambiò un’occhiata di intesa con Chanel, che iniziò a ridacchiare pregustando quel qualcosa.
Non risposi, continuai a guardare entrambe in attesa di una risposta che si potesse ritenere tale.
Fu Asja a prendere parola e da un lato non mi stupii di sentire una frase così sciocca uscire dalle sue labbra. “Ma scusa, non lo sai? In campagna tutti si vestono solo di jeans.”
Aprii la bocca per ribattere, ma non avevo le parole necessarie a farlo.
Boccheggiai stranita.
Per un attimo mi chiesi se fossi io la stupida della situazione –forse mi ero persa qualcosa?-, poi vidi Jasmine e Chanel ridere della loro amica e capii che, no, non ero l’unica a credere che quella fosse una delle più grosse scempiaggini mai proferite da un essere umano.
“Ah. No, non lo sapevo” ammisi sconcertata, stringendomi il giubbotto tra le braccia.
Asja rise ignara dello sguardo sprezzante di Jasmine fisso su di lei. Sentii una stretta allo stomaco e non potei evitare di fulminare la seconda con lo sguardo. “Come è possibile? Forse non ti sei ancora abituata. Non hai mai visto un film ambientato in campagna, però? Là tutti indossano jeans e camice a quadrettoni rossi”.
Fulmine a ciel sereno! Non potevo crederci.
Soffocai una risata. “E scommetto che non fanno che spostare mandrie di bovini!” esagerai, pensando a quante volte delle stupide pecore si erano piazzate in mezzo alla strada impedendomi il passaggio verso il paese. Magari ci fossero state solo mucche a Sperdutolandia!
“Che...?”
Vacche” suggerì Jasmine con aria di superiorità.
“Oh, !” confermò Asja annuendo. “Hai fatto mente locale, vedo!”
Risi apertamente, senza riuscire ad  evitarlo.
Che assurdità!
Avevo dimenticato quanto la gente di città potesse essere ridicola e quanto sciocche potessero essere le loro convinzioni su come andavano le cose in campagna.
“È una vita tutta mucche e jeans, eh?” continuavo a ridere senza riuscire a fermarmi, avevo le lacrime agli occhi e il respiro corto.
Fu solo quando Emily tornò e Jasmine la intortò con stupide chiacchiere a proposito del suo magnifico vestito, che capii: la domanda retorica con cui aveva esordito –e che aveva causato tutta la conversazione- era stato un puro e semplice insulto, piuttosto esplicito nei miei riguardi, ma infinitamente subdulo nei confronti di Asja. Il secondo fine era, infatti, ridere assieme a Chanel di Asja, che tra le quattro era evidentemente la più sciocca.  Come si poteva prendersi gioco in quel modo di un’amica? Quanto si poteva essere meschini?
“Ehilà! Vedo che avete fatto amicizia!” esclamò Emily, tornando tra noi insieme a Mariah. Sembravano divertirsi un mondo.
Le rivolsi un’occhiata scettica e divertita allo stesso tempo, ma non feci in tempo a rispondere che la voce bassa e musicale di Jasmine intervenne con entusiasmo. “Oh, sì! La tua amica è proprio simpatica, Ems!” si complimentò, come se il mio carattere fosse merito suo.
La guardai, incredula. Mi ero di nuovo persa qualcosa o sua maestà era un tantino lunatica?
Emily mi sorrise di cuore, ringraziandomi con lo sguardo per la mia buona volontà. Sorrisi di rimando, incapace di non essere influenzata dal suo buon umore.
Dopotutto avrei trascorso con quelle ragazze solamente qualche ora e sarebbe bastato portare pazienza per un po’, poi in macchina avrei riversato tutta la mia acidità in mille commenti poco carini. Sì, dovevo solo attendere fino al momento del ritorno a casa.
Prima che potessi dire qualunque cosa a Emily, Jasmine aveva già preso a monopolizzare la sua attenzione con discorsi apparentemente intelligenti. In realtà non ne ero del tutto certa poiché la musica era alta, lei parlava a bassa voce e io non riuscivo a sentire niente di ciò che stava dicendo.
Stavo ancora cercando di intercettare qualche parola quando la mia migliore amica si allontanò una seconda volta da me, questa volta accompagnata da Miss Simpatia.
Un secondo moto di rabbia mise a dura prova i miei nervi, mentre seguivo con lo sguardo la coppia che si allontanava. Quella Jasmine stava giocando col fuoco e ne era consapevole. Aveva intenzione di rovinarmi la serata? Buon divertimento a lei! Non avrebbe avuto problemi a vincere quella sfida.
Quando si volse a lanciarmi un’occhiata di pura irrisione, prima di sparire tra la folla, ebbi la netta sensazione che Jasmine ce l’avesse con me -ero acuta, eh?-, che stesse cercando di allontanarmi da Emily. Non fisicamente, quanto più moralmente. Era sciocco da parte sua, visto che abitavo ad un numero incalcolabile di chilometri da lei e una settimana dopo sarei tornata a Sperdutolandia, senza avere più la possibilità di vedere la mia migliore amica per mesi. Proprio per questo mi diedi da sola della sciocca paranoica e decisi di farmi un giro. Non mi aspettavo di incontrare qualcuno che mi andasse particolarmente a genio, in fondo non avevo molti amici a parte Emily. In realtà ero mossa esclusivamente dal desiderio di potermi fare gli affari miei, il più lontano possibile dall’irritante presenza della ridacchiante Asja e dalla formosa Chanel. Ma soprattutto dall’aria svagata e un po’ da Luna Lovegood di Mariah Thompson, che continuava a guardarmi allegramente come se fosse certa che avremmo potuto essere grandi amiche.
Approfittando del fatto che le tre ragazze stavano chiacchierando tra loro, iniziai a passeggiare pigramente tra la gente, schivando ogni sguardo curioso o interessato e cercando di evitare di cozzare contro i ballerini più scatenati.
Mentre costeggiavo la piscina, notai con sorpresa che persino Matt si era imbucato alla festa. Aveva i folti ricci fermati da una fascetta, che dava alla sua chioma ribelle la curiosa forma di un fungo. Quando gli passai accanto stava gettando nell’acqua un amico, interamente vestito, tra gli strilli di alcune ragazzine indignate per via degli schizzi.
Optai per non disturbare la sua serata, così continuai a camminare senza fermarmi a salutarlo. Caso volle, però, che Matt si girasse e mi vedesse, proprio mentre cercavo di sgattaiolare via senza essere notata.
“Ehilà, Pan!”
Arrossii per la vergogna e ridacchiai, grattandomi un braccio. Temevo pensasse che lo stessi evitando e non ci tenevo a fare la figura della snob, visto che a quella feste ce n’erano fin troppe. 
“Ciao, Matt...”
“Stavi cercando di fuggire?” domandò ironico, facendo qualche passo verso di me.
“No. Ok, in realtà sì: temevo di finire come lui” risposi, indicando il ragazzo che nel frattempo era riemerso e stava gridando sproloqui davvero poco carini nei confronti dell’amico.
“No, tranquilla, sono un cavaliere, non maltratto le ragazze!” scherzò, ignorando gli insulti dell’altro, che si sedette a bordo vasca cercando nelle tasche i resti di portafoglio e cellulare.
“Potrei darti del maschilista, lo sai?”
Matt alzò gli occhi al cielo ancora in parte illuminato. “C’è qualcosa che a voi donne vada bene?” commentò divertito.
Risi. “Dipende dai punti di vista. Conosco una persona, per esempio, che adora i cavalieri” risposi, riferendomi chiaramente ad Emily.
Lui sorrise, grattandosi la testa. “A proposito, sei da sola alla festa?” domandò.
Ridacchiai nuovamente. “No, no. C’è Lily da qualche parte con Jasmine” sottolineai il nome con un certo disprezzo.
Questa volta fu lui a ridere. “La quale non ti va molto a genio”.
“No, infatti” ammisi, consapevole del fatto che non fossero molte le persone che mi piacevano.”Ma non è una novità, in effetti” spiegai, stringendomi meglio i capelli nella coda di cavallo in cui li avevo legati.
Matt mi osservò qualche istante, poi sogghignò con aria malandrina. “Hai il telefono in tasca, per caso?” si informò, divertito.
Stranamente capii al volo le sue intenzioni e feci un passo indietro, allarmata. “Certo:  cellulare, mp3, portafogli e un documento segretissimo ed importantissimo che, in caso venisse bagnato e cancellato, potrebbe compromettere le sorti  dell’intera popolazione mondiale. Insomma, non puoi proprio lanciarmi nell’acqua, no” sciorinai con disinvoltura, sperando di essere convincente.
Per quanto sparassi enormi sciocchezze con la naturalezza di una professionista, Matt non era così stupido come speravo. Scoppiò a ridere, per nulla toccato dal mio discorso da Oscar –che ingrato!- e, senza smettere di sghignazzare come una iena, mi afferrò per un braccio per trascinarmi fino alla piscina.
“Ehi, no! MATT, NON PROVARCI NEANCHE!” sbottai in un ultimo, patetico tentativo di rimanere asciutta.
Un istante dopo stavo cadendo goffamente in acqua, saldamente avvinghiata al braccio di Matt: aveva vinto lo scontro, sì, ma non ne sarebbe uscito indenne. Quale poteva essere la miglior vendetta se non sfruttare la sua stessa forza per trascinarlo in acqua? 
Stavo gongolando, mentre cercavo di tornare a galla, quando mi trovai il ginocchio di Matt piantato in mezzo alla schiena. Note per me stessa: ricordarsi di non essere travolta dal troglodita, quando lo si trascina in piscina  per vendetta.
Riemersi sputacchiando acqua e cloro a destra e a manca e Matt comparve al mio fianco un istante dopo.
“Ah, carogna!” esclamò, strofinandosi gli occhi.
“Io, eh? Tu non eri il cavaliere senza macchia e senza paura che non malmenava le donne?”
“Credevo di risultare un maschilista!”
Diedi una manata alla superficie dell’acqua, indispettita: me l’ero cercata. “Per la barba di Merlino, ma tu ancora mi dai retta, Kameron?!” esclamai, nuotando fino al bordo vasca.
“Per... per che cosa?!” domandò, confuso, raggiungendomi. 
Mi issai a sedere sul bordo. Sbuffai, togliendomi la maglietta fradicia e decisamente trasparente. “Oh, non cambiare discorso!”
Avevo avuto la mezza idea di non mettere il costume, quella sera. Avevo già deciso che non avrei fatto il bagno, ma poi mi ero detta che non mi costava nulla non comportarmi da prevenuta, una volta tanto. Grazie al cielo!
“Sì, be’, ascolto quando le persone parlano e tendo ad accontentarle quando esprimono i loro desideri. Non volevi forse non essere trattata da femminuccia? ...Non dire una parola, Steve” aggiunse poi, rivolto all’amico a cui poco prima era stato riservato lo stesso trattamento. “Battuto da una donna” bofonchiò, contrariato.
Gli lanciai un’occhiataccia, strizzando la maglietta nel tentativo di liberarla almeno un po’ dall’acqua. “Rettifico: sei un maschilista a tutti gli effetti!”
Il ragazzo che rispondeva al nome di Steve scoppiò a ridere di nuovo e, per ripicca, Matt mi spintonò facendomi cadere di nuovo in acqua. Quando riemersi ridevano entrambi e io mi impegnai per sputacchiare l’acqua che avevo ingerito addosso a loro. Con scarsi risultati. “Sei l’incoerenza fatta persona, lasciatelo dire!” proclamai, issandomi a sedere sul bordo della piscina per la seconda volta.
“Ma va’! Sto solo cercando di essere amichevole, ma non ti va bene nulla!” obiettò, divertito. “A proposito, chi sarebbe Kameron?”
Gli lanciai un’occhiata stranita. Si era bevuto il cervello? “Cosa c’entra Kameron?”
Matt sorrise sornione, togliendosi i capelli dalla faccia. “Mi hai chiamato così poco fa”.
“Non è vero!”
“Sì, che è vero”.
“No che n-“
“Sì e io sono testimone” confermò Steve.
Incrociai le braccia con stizza e lo guardai in tralice. “Scusa, ma chi ti conosce?!”
Lui sgranò gli occhi e ridendo finse di cucirsi la bocca.
“Non cambiare discorso” mi citò Matt, guadagnandosi un’altra occhiataccia.
Oh, insomma, non era niente di grave, no? Si trattava solo di un...
“Lapsus Freudiano?”
Strinsi le labbra con disappunto, trucidando Matt con lo sguardo per avermi preceduta. Sbuffai, ricordandomi che non avevo cinque anni e non tutto era uno stupido gioco da vincere. “Be’, sì” ammisi con un’incurante alzata di spalle.
“Chi è?”
“Un mio amico” risposi, gelida. Sapevo dove voleva arrivare. Sarebbe giunto a battere nuovamente sullo stesso chiodo dell’ultima volta che avevamo parlato, ne ero certa.
“L’amico del CD, eh?” ammiccò, con in volto l’aria di chi la sapeva lunga.
Bingo. Sospirai scocciata, stringendo i capelli nei pugni per far sgocciolare l’acqua. “Esatto” annuii, in attesa di assistere al momento in cui, di nuovo, si sarebbe improvvisato grande consigliere di corte e mi avrebbe dato qualche dritta per conquistare il ragazzo del mio cuore. Peccato che Kameron fosse realmente e a tutti gli effetti solo un amico, quindi delle sue stupide trovate non me ne facevo niente.
“Ah! Un piccolo grande amore che non è ancora sbocciato!” gioì, dandomi di gomito, mentre quello Steve si scuciva quella cacchio di ciabatta che aveva al posto della bocca e tornava a ridersela di cuore.
“Oh, certoElementare, Watson” borbottai, sarcastica. “Uno dice ‘amico’ e il genio di turno si fa più vaggi di Cristoforo Colombo! Naturale!”
Matt ridacchiò e ammiccò verso l’amico. “Guarda come si scalda, Steve! Ci abbiamo visto giusto!”
Incrociai le braccia e gli rivolsi un’occhiata densa di scetticismo. I miei occhi stavano lanciando fulmini e saette quella sera, e dire che erano normalissimi occhi castani! “Complimenti Piton, ancora una volta la tua mente acuta e penetrante ti ha condotto alla soluzione sbagliata (****)” brontolai con stizza.
“Come mi hai chiamato?”
“Oh, chiudi il becco, Babbano!” sputai, decidendo che forse era il caso di piantarla con certe citazioni, almeno quando parlavo con persone che non conoscevano la mia mente malata. “Pensa piuttosto a ripagarmi per i danni subiti” consigliai, alzandomi in piedi.
“Ma quali danni?”
“Mi hai dato una ginocchiata mentre affogavi!” gli ricordai, indecisa se ridere o essere indignata.
“Ah, be’, allora credo proprio che ti offrirò da bere”.
“Ora sì che ragioniamo!”

Mezzora dopo ero seduta al bancone dell’angolo bar con Matt e il suo amico impiccione. Avevamo fatto tappa negli spogliatoi per tentare di asciugarci, ma poi eravamo tornati a schizzarci a colpi di bottigliette d’acqua e tutto si era dimostrato inutile.
“Ma conosci la festeggiata?” me ne uscii ad un tratto, sorseggiando una birra ghiacciata.
Matt si grattò i capelli ormai tristemente afflosciati sulla sua testa –sembrava un barboncino bagnato. “L’ho sentita nominare...”
“Anche tu sei imbucato, quindi?”
“Non propriamente. Il signorino qui presente era un invitato e mi ha costretto a venire. Ha una stratosferica cotta per la sign- ahia!” Steve gli aveva rifilato una poderosa gomitata, mentre con naturalezza continuava ad osservare il barista preparare un cocktail. “Eh? Hai detto qualcosa Matt?”
“Ma dico, sei scemo? Mi rompi una costola!”
“Ossa di pasta frolla, amico?” suggerì, inarcando le sopracciglia.
Scoppiai a ridere come un’idiota bella e buona, come se non avessi mai visto una scena più divertente. Sentivo un gran bisogno di ridere e Steve e Matt avevano esaudito questo mio inespresso desiderio con estrema tranquillità, senza che io chiedessi loro nulla. Dopo l’inquitudine trasmessami da Jasmine, con la propria subdola irrisione nei confronti di chi la considerava un’amica, quello che mi ci voleva era proprio un po’ di sano divertimento in compagnia di chi non aveva altra aspirazione se non quella di farsi due risate in compagnia.
Poi accadde una cosa che mi lasciò di stucco e, devo ammettere, non compresi in un primo momento. Sentii Emily chiamare il mio nome, quindi mi voltai verso di lei, ancora raggiante per via delle risate. Fui stupita nel vederla esterrefatta, accanto a Jasmine, che guardava verso di noi. Come mai quell’espressione?
Il suo sguardo si mosse da me a Matt e ritorno, poi si riempì di delusione. E di lacrime.
Saltai giù dallo sgabello, pronta a correrle incontro, a chiederle cosa avesse, ma lei fuggì verso gli spogliatoi coprendosi il viso con le mani. Piangeva.
La seguii con lo sguardo, senza capire cosa stesse esattamente succedendo, poi lanciai un’occhiata a Jasmine che abbozzò un sorrisetto compassionevole e si incamminò rapida per raggiungere Emily.
“Comunque Matt non vedeva l’ora di incontrare quella Lily, checché ne dica” disse Steve in quel momento.
Fu come un fulmine a ciel sereno quando compresi l’enorme equivoco di cui dovevamo essere vittime: Lily credeva forse che tra me e Matt ci fosse del tenero?
“Cavolo!” sussurrai, sconcertata.
“Hai detto qualcosa?”
Non risposi alla domanda di quell’idiota di un commesso –il quale, poverino, non c’entrava poi nulla, ma solo il fatto che mi rivolgesse la parola in quel momento era imputabile- e corsi a mia volta verso gli spogliatoi.
Fu un’impresa piuttosto ardua orientarmi tra tutti quei corridoi, come ci riuscivano gli svalvolati che frequentavano quel posto? Ok, avevo un pessimo senso dell’orientamento, è vero. 
La trovai nei bagni. O meglio, trovai Jasmine, che mi comunicò che Emily si era chiusa  in una delle toilette e non voleva vedermi. Toilette. Doveva proprio essere una persona raffinata. 
“Oh, avanti, che sciocchezze dici?” obiettai, superandola. “Lily?” chiamai, fissando le porte dei gabinetti come se potessi vedervi attraverso.
“È stata chiara in proposito” ripeté con decisione.
“Be’, sii chiara anche tu allora: a che gioco stai giocando?” sputai, stizzita, certa che fosse tutta colpa sua. Come avrebbe potuto Emily pensare che a me interessasse Matt? Aveva sempre avuto fiducia in me, come io ne avevo in lei. Qualcun doveva averle riempito la testa di fesserie.
Normalmente non avrei mai immaginato che qualcuno potesse ingannare Emily a quel modo, ma era cambiata fin troppo da quando me ne ero andata e questo significava che era più fragile di quanto io avessi mai pensato. L’avevano, o meglio: Jasmine l’aveva –potevo dirlo quasi con certezza-, trasformata in una sorta di frivola ed egocentrica imitazione della ragazza che conoscevo. Quanto sarebbe stato difficile per lei, se aveva tanta influenza sulla mia migliore amica, farle credere che tra me e quello zuccone di Matt ci fosse una storia? Magari aveva anche bevuto, quella sciocca, e questo non faceva che destabilizzare la sua razionalità.
Jasmine si limitò a rivolgermi un falissimo sorriso. “Io non sto giocando, lei non vuole vederti”.
La signorina non mi stava rendendo le cose facili, ma forse qualcosa di positivo in tutto quello c’era: sarebbe stato difficile chiarire con una persona momentalmente sconvolta e poco propensa ad ascoltare. Avrei aspettato il giorno seguente, quando io avrei saputo cosa dirle esattamente e lei, forse, avrebbe avuto la mente fredda e lucida.
Sospirai. “Va bene, allora, dille che io vado a casa, ne parleremo domani”.  Non aspettai risposte, perché ero certa che Emily mi avesse udita benissimo.
Mi allontanai e proprio mentre stavo uscendo dal bagno, Jasmine mi salutò con una delle migliori frasi ad effetto che le avessi sentito pronunciare.
“Vai a casa con Matt?”
Le rivolsi uno sguardo truce, stizzito e contemporaneamente esterrefatto. “No, perché dovrei? Chiamo mio padre” specificai.
La serata non era decisamente andata nel migliore dei modi, pensai mentre recuperavo le mie cose nell’armadietto in cui Emily le aveva riposte. Effettivamente, però, sarebbe anche potuto andare peggio. Matt e Steve erano state una boccata d’aria fresca, anche se quell’ultima bella sorpresa fattami da Jasmine aveva sortito l’effetto di una doccia fredda. Avevo un pessimo presentimo, sentivo che il giorno seguente non avrei chiarito proprio nulla con Emily. Ma non era possibile, la nostra amicizia non sarebbe finita per un malinteso, doloso che fosse. La nostra unione era salda. Eravamo cambiate entrambe, forse, ma non sarebbe tutto finito per colpa di Miss Perfezione. Non volevo. Non sarebbe successo. Non poteva succedere.
Eppure avevo un enorme groppo  in gola e mi sentivo uno straccio.

A distanza di tempo seppi con certezza che la supposizione che Jasmine volesse allontanarmi da Emily era corretta: era popolare, bellissima ed intelligente, ma ciò che a quella ragazza mancava davvero erano il sapersi accontentar e la capacità di accettare i difetti altrui.
Nel gruppo con cui girava, Emily pareva essere l’unica veramente degna della sua compagnia, dal suo punto di vista. Mariah era popolare e assurdamente ricca, ma quell’aria stravagante che aveva stampata in faccia si attineva fin troppo al suo essere semplice: tutto quello che le importava era ridere, divertirsi, e fare in modo che gli altri facessero lo stesso; non esitava a mettersi in ridicolo in mezzo alla strada solo per far sorridere qualcuno e questo era decisamente imbarazzante per chi aspirava ad essere vista come perfetta. Senza contare che era anche piuttosto sveglia ed era l’unica in grado di tenerle testa durante una discussione. Non era un genio, ma era determinata e sicura di sé: tanto bastava perché Mariah non crollasse davanti ai subdoli giochetti di Jasmine.
Per quanto riguardava Asja, Jasmine la trovava decisamente stolta e non era riuscita a liverarsi di lei solo perché a Mariah piaceva molto e, in fondo, era divertente osservarla mentre insultava da sola la propria intelligenza.
Chanel era quella che più di tutte poteva sembrarle amica, ma non lo era: a Jasmine non piaceva che lei si credesse alla sua altezza, visto e considerato che la sua intelligenza non era di molto superiore a quella di un canarino.
Emily invece era umile, simpatica e disponibile. Intelligente, ma non secchiona, carina, ma non meravigliosa. Era abbastanza, ma non troppo. La giusta misura per stare a fianco di Miss Perfezione senza farla sfigurare.
Poteva scordarselo, se pensava che io avrei mai mollato l’osso.





DubbiDomandeDelucidazioni:
(*) i credits per il nome vanno a M.F., che durante il pomeriggio in compagnia degli esercizi di fisica se ne è uscita con un “Equilibrio Instabile. Però! Sarebbe un bel nome per un locale”. Detto fatto! :D
(**) Principessa degli gnomi è l’appellativo con cui Dean chiamava Pan nei primi capitoli.
(***) La canzone è I just wanna live dei Good Charlotte. Qui il video!
(****) In realtà non so perché dovrei inserire una nota a questo proposito, comunque: frase tratta dal film Harry Potter e Il prigioniero di Azkaban (ho dato una letta veloce anche nel libro, lì non mi pare ci sia, ma potrei sbagliare), pronunciata da Gary Oldman (Sirius Black!:3).

In der Ecke – Nell’angolo:
In realtà, ci tengo a sottolinearlo, la Jasmine della Disney è una delle mie principesse preferite. u.u Quella che proprio non sopporto è Biancaneve, l’unica principessa più inutile dell’inutilità stessa. Tanto di cappello anche a lei solo ed esclusivamente perché è stata la prima. :3
(Apro e chiudo una parentesi –letteralmente: oh, lo ammetto, ho seriamente pensato alla coppia Matt/Pan. Non so voi, ma io, mentre scrivevo, per un attimo ci ho pensato sul serio. ^^")
Ed è così che, con un ultimo ringraziamento a Bob, la mia beta, che nonostante l'influenza ha corretto questo capitolo.
Ah, come promesso, per tutti i coraggiosi che sono arrivati fino a qui ci sarà un premio -immaginario! Su, su, ragazze, non siate materialiste, è il pensiero che conta! :D
Però, ecco, ci tenevo a mostrarvi un'altra opera d'arte di Mary_. Questa volta è toccato a Emily essere ritratta, se fossi in lei ne sarei onorata -a dire il vero lo sono anche se non sono lei: http://marybleis.deviantart.com/art/Emily-Gregor-282686254
Propongo di brindare a Mary_! ^^ Naturalmente offro io. xD
Bene, gente, credo sia tutto.

Quante di voi sono (state) sommerse dalla neve come me? :O Noi in Romagna siamo ancora a casa da scuola per un paio di giorni. Potreste anche aver visto la mia Cesena al TG, siamo diventati famosi con tutta questa neve. u.u
Sono curiosa di sapere cosa pensate di questo capitolo. È pesante? Noioso? Scontato? (Molto probabile).
A voi la parola! :D

  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Yvaine0