Cows and jeans
24
Quella sera, alle otto, Emily se ne stava in
piedi accanto alla porta della mia stanza, le braccia incrociate, un piede che
batteva ritmicamente contro il pavimento, e un sorriso scettico in volto.
“Scordatelo”.
“Ma da quando hai deciso che dobbiamo girare
nude?” domandai, a mia volta scettica.
Indossava un abito nero, così corto da essere
riuscita a far arrossire Joshua, quando le aveva aperto la porta –e questo è
tutto dire!- e impallidire me, quando era entrata.
“Ma sotto ho il costume, non fare la lagna!”
spiegò lei, sbrigativa.
Ah, be’, se sotto aveva il costume, allora...
“Ok, anche io ho il costume. Mi hai avvisata e
io l’ho messo. Evviva le piscine, yuppie!” ciarlai, senza pensare troppo a ciò
che stavo dicendo.
“Ma dai, Pan! Andiamo a una festa, non puoi
vestirti così!” continuò Emily. Alzò un braccio per indicarmi, poi lo lasciò
cadere lungo il suo fianco.
“Sì che posso!” Almeno io non ero in mutande!
Ah, pardon, in costume. Indossavo un paio di shorts di jeans, un
t-shirt bianca –su cui l’estate passata avevo disegnato il simbolo dei Doni
della Morte- e delle scarpette da ginnastica. Va bene, non ero Miss Eleganza,
ma non pensavo nemmeno totalmente fuori luogo. Era un caldo assurdo e stavamo
per andare ad una festa in piscina. Ok, era in un locale piuttosto rinomato, ma
non avevo alcuna intenzione di cambiarmi. (Anche perché il mio guardaroba era
sprovvisto di vestitini inguinali o gonnelline varie).
“Cambiati la maglia, almeno!”
“Fa così schifo?” la gaurdai, tirandone in
avanti l’orlo. “No, senti, vado benissimo vestita in questo modo” decisi, poi,
lasciando che tornasse alla sua forma originale. “Io sono così, starò attenta a
non essere troppo acida, ma non mi cambierò d’abito!”
“Abito? Sei vestita da spiaggia!” mi
corresse, vagamente esasperata.
Non obiettai che in spiaggia avrei indossato le
infradito e non le scarpette, mi limitai a sorriderle, facendo segno di diniego
con il dito indice. “Prendere o lasciare!”
Emily sbuffò. “Posso lasciare la tua maglietta
e prendere te?” tentò un’ultima volta, mettendo su un broncio fatto apposta ad
intenerirmi.
Ssssì, aspetta e spera!
Cuore-Di-Pietra-Fletcher in azione!
Il mio sorriso si allargò. “No!” risposi dopo
qualche istante con voce limpida e allegra. Poi afferrai la tracolla e
trotterellai al piano inferiore, seguita da una migliore amica dall’aria
afflitta.
Mia madre si alzò dal divano vedendoci
arrivare. Si avvicinò per salutarci, raggiante come tutte le sue amiche che
volevano dimostrare di essere buone mamme. “Andate di già? Non tornate tardi,
mi raccomando!”
“No, certo che no” le assicurò Emily,
sorridendole gentilmente.
“Ma vai alla festa vestita così, tesoro?” si
informò mia madre, squadrandomi. Sembrava che mi avesse vista in cosplay da
orso Yoghi. No, non avevo mai avuto la costanza necessaria a mettere insieme un
buon cosplay, nè la voglia di procurarmi un costume da orso, ma il paragone
rende bene l’idea. “Sembri...”
Alzai gli occhi al soffitto. “Cosa?” domandai,
paziente, attendendomi già il peggio.
Felicity mi osservò per qualche secondo, poi
scosse il capo. “Non importa. Sono sicura, però, che a Emily non dispiacerebbe
prestarti uno dei suoi abiti per una sera” suggerì, suscitando l’approvazione
della mia migliore amica.
Inarcai le sopracciglia. “Ne sono certa anche
io, ma se volevo indossare un vestito l’avrei fatto” replicai, piccata. Non ero
proprio riuscita a mantenere del tutto la calma. Giuro che, però, ci avevo
provato. Era più forte di me: per quanto mia madre potesse cercare di darmi
consigli e suggerimenti, ogni volta che la udivo pronunciarne uno, ero spinta
da una misteriosa e stizzita forza interiore a fare esattamente il contrario.
Ora, una madre astuta –o quantomeno normale-, dopo un po’ avrebbe fatto due più
due e avrebbe sfruttato la psicologia inversa a proprio favore. Felicity invece
no. Se il motivo fosse la sua scarsa furbizia o il suo disinteresse non lo
sapevo. Chiaramente, però, non era nei miei interessi sedermi
accanto a lei, un giorno o l’altro, e dirle ‘Ehi, ma’! Sai che potresti
fregarmi ben benino utilizzando la psicologia inversa? Perché non lo fai?”.
Sarebbe stato un tantino controproducente.
Ventisette minuti dopo Emily stava
parcheggiando in doppia fila esattamente di fronte all’entrata del locale
chiamato “Equilibrio Instabile” (*). Anche il nome era tutto un programma.
Immaginavo già Marijuana Thompson capitombolare ogni tre passi, ubriaca fradicia,
e cadere nella piscina. Calzava a pennello.
“Pan, seriamente, avresti dovuto metterti
qualcosa di più...”
Sospirai e scesi dalla macchina prima di
ascoltare il resto della frase.
Avrebbe dovuto apprezzare il fatto che fossi
andata lì con lei, quando per tutto il pomeriggio la mia testa non aveva fatto
che strillare di non accompagnarla. Il pensiero di andare alla festa di
compleanno di qualcuno che non conoscevo, senza regalo e senza che la
festeggiata mi avesse mai rivolto la parola non mi entusiasmava. Sapere, poi,
che la data persona era quella che mi stava sostituendo nella vita della mia
migliore amica non migliorava la situazione.
Visto e considerato che non ascoltavo quasi mai
il mio saggio cervellino, però, ci ero andata. Entrando, Emily disse i nostri
nomi ad una ragazza, la quale scorse la lista degli invitati e ci lasciò
passare.
Anche se la musica si sentiva fino a dove
eravamo noi, l’interno era praticamente vuoto, cosa che mi mise in agitazione.
Sembrava essere a tutti gli effetti una festa per pochi. Che cavolo ci facevo
io lì? “Lily, senti...” iniziai, guardandomi attorno, incerta. “Domani ti do
metà dei soldi del regalo. Mi sento una scroccona” le comunicai. Emily rise,
attraversando un corridoio dopo l’altro con naturalezza, come se fosse a casa
propria. “A Mariah non dispiacerebbe sapere che non le hai portato niente, ma
se può farti sentire meglio... ok” mi rassicurò, prendendomi a braccetto.
Gliene fui grata, avevo bisogno di supporto in quel momento. Mi sentivo un
pesce fuor d’acqua. Era un’imbucata ad una festa privata a cui ero stata
trascinata con la forza. Oh, magari non proprio brutalmente, ma rimaneva il
fatto che non avrei voluto andarci. Non sarei dovuta andarci.
Entrammo in una stanza dove lasciammo le borse,
chiuse in un armadietto con tanto di lucchetto e continuammo il nostro percorso.
“Quanto è grande questo posto?” domandai, dopo
che avemmo oltrepassato una terza porta. Se avessi dovuto uscirne da sola, non
credo sarei stata in grado. “È labirintico”.
Lei rise di nuovo, indicandomi l’ennesima porta
che ci sbarrava la strada. “Abbiamo attraversato tutto il palazzo dall’interno.
A destra dello spogliatoio in cui abbiamo messo le borse c’erano anche le docce.
Queste altre stanze e i corriodoi sono pullulanti di persone, di solito, è una
festa continua. Oggi però la famiglia di Mariah si è riservata tutto il locale
di modo da non avere troppa gente tra i piedi. Hanno pagato loro l’entrata per
tutti i presenti” recitò come una guida turistica. Quell’ultima frase mi fece
sentire un vero e proprio verme. Se avevo imparato qualcosa stando a
Sperdutolandia, quello era dare il giusto valore al denaro, che era pur sempre
frutto del lavoro e della fatica di qualcuno. Come potevo spendere i soldi di
qualcuno che neanche conoscevo? Mi sentivo tremendamente in colpa.
Quando Emily spalancò la porta, offrendomi così
la visuale della piscina all’aperto e del giardino del locale, ma sopratutto
dell’infinità di persone che si davano alla pazza gioia nei paraggi, capii di
essermi preoccupata per niente. Almeno la metà dei presenti sono
imbucati, constatai vagamente sorpresa. Avrei dovuto saperlo. Come avevo
potuto credere che al compleanno di Marijuana Thompson non si fosse autoinvitata
mezza città –o almeno mezza scuola? Le feste di quella ragazza erano
leggendarie, in fin dei conti. Le voci di corridoio su ogni sua santissima
sbornia erano giunte alle orecchie di tutti, avrei dovuto immaginare che la
notizia della festa non sarebbe stata da meno.
“Per la Barba di Merlino!”
Emily rise e mi diede una gomitata,
trascinandomi poi in mezzo alla gente. “Non ti chiederò di parlare come mangi,
perché so che mangi pane e Potter da quando sei nata!”
Ridacchiai a mia volta, pensando che non
vietarmi di invocare il nome dei grandi maghi del passato ogni volta che ne
sentivo il bisogno era il minimo che potesse fare. Anche perché non ero sicura
che sarei stata in grado di trattenermi, se me lo avesse chiesto. “Pane, cioccolata e
Potter! Non posso abbreviarlo P.P.P., ma così è la vita” bofonchiai,
saltellando a destra e a manca per non essere urtata da qualche invitato troppo
scatenato per accorgersi della mia presenza. In fin dei conti mi ero
preoccupata per niente, la gente che aveva usufruito della disponibilità
economica dei signori Thompson era parecchia, non sarei stata di certo io a
mandarli in rovina.
“Ma che cosa stai dicendo?”
Ridemmo, poi mi invitò a seguirla nella sua
ricerca di Mariju-... Mariah Thompson. Dovevo comportarmi bene
quella sera, glielo dovevo, quindi tanto valeva che iniziassi a chiamarla con
il suo nome.
Quando io ed Emily uscimmo dalla folla e
lei si diresse verso l’angolo bar, notai subito la figura slanciata della
festeggiata ondeggiare sul posto, scossa dalle risate, mentre chiacchierava con
un gruppetto di ragazze. E ondeggiava nel vero senso della parola, segno che
probabilmente aveva ben pensato di iniziare a bere fin da subito, nonostante
ormai fosse chiaro a tutti che non reggeva l’alcool. Come inaugurare il diciannovesimo
anno di vita? Ma scolandosi fiumi e fiumi di liquidi trafora-organi-interni,
ovviamente!
“Emy!” esclamò, vedendoci arrivare. Si tuffò
verso la mia migliore amica e i suoi lunghissimi capelli neri mi frustarono la
faccia. Iniziamo bene, osservai strizzando gli occhi infastidita.
“Ciao!” salutarono anche le altre, allegramente.
“Ciao!” Emily abbracciò la festeggiata. “Tanti
auguri, bellissima!”
Oh, sì, una meraviglia di ragazza. Con quella
faccia da pesce lesso che si ritrovava dava davvero l’idea di essere
intelligente. La perfezione in persona. Ok, io non ero uno splendore, ma ne ero
consapevole e nessuno era mai stato così meschino da mentirmi spudoratamente in
proposito.
“Grazie, tesoro!” trillò l’altra, allontandosi
di un passo da lei.
“Ti presento Pan Fletcher, Mary”.
Cavolo, non credevo mi avrebbe presentato
ufficialmente. Mi irrigidii e mi sforzai di sorridere, quando gli occhioni
svampiti di Mariah si spostarono su di me. “Piacere di conoscerti, ho tanto
sentito parlare di te!” mi porse un mano, sorridendo gentilmente. Al contrario
delle altre simpatiche signorine, lei non mi aveva squadrata da capo a piedi
con disgusto. Non mi aveva squadrata per niente, in realtà, si era limitata a
guardarmi negli occhi.
“Oh, anche io” le assicurai, pensando che
effettivamente non avevo sentito che cose positive su di lei -da Emily per lo
meno, e potevo fidarmi del suo parere- quindi forse avrei dovuto smettere di
giudicarla in base ai diffusi pettegolezzi su di lei.
Notai con sorpresa che il suo sguardo era
lucido. Svagato, sì, ma non aveva l’aria di aver alzato troppo il gomito.
“Piacere”.
“Sei in classe con me a matematica, giusto?” si
informò, strizzando gli occhi nello sforzo di ricordarsi di me.
Mi grattai un braccio imbarazzata. “Sì,
sì. Lo ero” la corressi.
“Ah, giusto, perché ora abiti a... dov’è, che
abiti?”
Sospirai, consapevole del fatto che il momento
delle domande era giunto. “Oh, ehm... è un paesino sperduto nel nulla,
decisamente troppo lontano da qui” mi limitai a rispondere, stringendomi nelle
spalle.
Le tre ragazze con cui stava chiacchierando
Mariah poco prima si alzarono dai loro sgabelli e si schierarono accanto a noi.
“Bella maglietta” commentò una di loro, divertita.
Oh, meraviglioso. Ci mancavano solo le super
star all’attacco.
Quella che aveva parlato era alta, snella e
schifosamente prosperosa. Tutta invidia, dite? Sì, cavolo, perché Dean aveva
ragione quando diceva che ero piatta come una tavola!
Le scoccai un’occhiata in tralice. “Grazie.
Chanel, giusto?” azzardai.
Lei si accigliò sorpresa. “Esatto. Ci
conosciamo?”
“No, non ancora” ...e sia ringraziato
Merlino per questo.
“Ah, quindi tu sei la Sfrattata!” Se ne uscì
un’altra, guadagnandosi un’occhiataccia da parte mia.
“Come, scusa?”
Sgranò gli occhi azzurri pesantemente truccati.
“Sì, insomma, quella che hanno cacciato di casa. Non si dice così?” si informò,
interrogando con lo sguardo l’ultima delle ragazze.
“Certo, Asja” le assicurò Chanel con
superiorità.
“Sì, può essere corretto” confermai, rendendomi
conto di quanto quell’affermazione potesse farmi passare da secchiona. “Però
non credevo di essermi guadagnata questo appellativo” conclusi, sforzandomi di
sorridere educatamente, sotto lo sguardo severo di Emily. “Nessuno ti chiama
così” mi rassicurò quest’ultima.
Se anche fosse stato me lo avrebbe mai detto?
Le riservai un’occhiata scettica, poi ricordai i miei buoni propositi e cercai
di mantenere la calma.
“Oh, credevo di aver cannato di brutto!”
ridacchiò la bruna rispondente al nome di Asja.
“È per quello che ti vesti così?” domandò
l’ultima, con una buona dose di cattiveria nella voce. La guardai e, se solo mi
fosse interessato qualcosa di ciò che pensava, quel suo sguardo di ghiaccio mi
avrebbe fatto sentire una sciocca nullità al cospetto di una potente regina.
Grazie al cielo la mia autostima era già bassa normalmente e non mi importava
più di tanto di risultare un grandissimo cesso accanto a lei.
Quella doveva essere Jasmine Meaddows, di cui
avevo sentito tanto parlare durante quel pomeriggio. Ora capivo perché Emily
volesse chiedere consiglio a lei su come vestirsi: vedendo come si atteggiava
doveva essere l’esperta di moda del gruppo.
“Perché, come mi vesto?” domandai, inarcando le
sopracciglia. Ok, mi vestivo male, lo sapevo e non mi importava, ma la prima
Principessa Disney di passaggio non poteva credere che io mi sarei lasciata insultare
senza battere ciglio: nel caso non l’avesse notato, io non ero una principessa
della Disney nè tantomeno degli gnomi (**). Senza contare che non avevo capito
il collegamento tra Sperdutolandia e i miei vestiti.
“Di denim” rispose, annoiata, indicando il
giubbotto che mi ero portata dietro in caso iniziasse a far freddo –in realtà
lo speravo.
“Continuo a non capire” obiettai, sempre più
curiosa di sapere dove sarebbe andata a parare.
Nel frattempo la musica era stata alzata di
volume e il cantante dei Good Charlotte si chiedeva per quale motivo la gente
gli rivolgesse la parola.
I'm paranoid of all the
people I meet
Why are they talking to me?
And why can’t anyone see
I just wanna live
Don’t really care about the things that they say
Don’t really care about what happens to me
I just wanna live
(***)
Why are they talking to me?
And why can’t anyone see
I just wanna live
Don’t really care about the things that they say
Don’t really care about what happens to me
I just wanna live
(***)
Era quello che mi stavo chiedendo anche io: che diavolo voleva da me quella ragazza? Non poteva semplicemente farsi gli affari suoi e ignorarmi, come aveva sempre fatto quando per caso mi aveva incrociata nei corridoi della scuola?
Mariah esplose in un grido di gioia,
riconoscendo la canzone e io trasalii per la sorpresa.
“Troppo bella! Just wanna live, just
wanna live, just wanna live, just wanna live!” cantò a squarcia gola, per
poi afferrare Emily per le mani e trascinarla con sè in mezzo a tutta la gente
che –invitata o imbucata che fosse- si stava dimenando lì intorno.
In preda ad un moto di rabbia serrai i denti
con stizza. Che diritto aveva Marijuana Thompson di strapparmi in quel modo la
mia migliore amica proprio quando avevo bisogno del suo appoggio? Era per lei
che ero a quella festa, era per lei che stavo cercando di non sfoderare la mia
solita acidità per tenere il mondo lontano da me. Ma Marijuana Thompson era più
importante, evidentemente.
Jasmine sogghignò, divertita dalla mia
espressione. “Di jeans” specificò come se fossi troppo stupida per
sapere cosa fosse il denim. In realtà mi ero quasi passata di mente la
conversazione, presa com’ero dalla mia gelos-... rabbia.
“So cosa significa” sottolineai, dimentica del
mio proposito di comportarmi bene. Anche se, in fondo, avevo detto che sarei
stata gentile solo se non mi fossi sentita offesa in alcun modo. “ma non
capisco cosa c’entri con il posto in cui vivo”. Certamente non mi sarei mai
aspettata di prendere le difese di Sperdutolandia. Eppure in quel momento era
tra le mie preoccupazioni primarie evitare che venisse insultato quel posto,
che decisamente non aveva nulla da invidiare alla città. Specie per quanto
riguardava le persone.
La ragazza ridacchiò e aggrottò le fini
sopracciglia, in attesa di qualcosa che sembrava convinta stesse per accadere.
Si scambiò un’occhiata di intesa con Chanel, che iniziò a ridacchiare
pregustando quel qualcosa.
Non risposi, continuai a guardare entrambe in
attesa di una risposta che si potesse ritenere tale.
Fu Asja a prendere parola e da un lato non mi
stupii di sentire una frase così sciocca uscire dalle sue labbra. “Ma scusa,
non lo sai? In campagna tutti si vestono solo di jeans.”
Aprii la bocca per ribattere, ma non avevo le
parole necessarie a farlo.
Boccheggiai stranita.
Per un attimo mi chiesi se fossi io la stupida
della situazione –forse mi ero persa qualcosa?-, poi vidi Jasmine e Chanel
ridere della loro amica e capii che, no, non ero l’unica a credere che quella
fosse una delle più grosse scempiaggini mai proferite da un essere umano.
“Ah. No, non lo sapevo” ammisi sconcertata,
stringendomi il giubbotto tra le braccia.
Asja rise ignara dello sguardo sprezzante di
Jasmine fisso su di lei. Sentii una stretta allo stomaco e non potei evitare di
fulminare la seconda con lo sguardo. “Come è possibile? Forse non ti sei ancora
abituata. Non hai mai visto un film ambientato in campagna, però? Là tutti
indossano jeans e camice a quadrettoni rossi”.
Fulmine a ciel sereno! Non potevo crederci.
Soffocai una risata. “E scommetto che non fanno
che spostare mandrie di bovini!” esagerai, pensando a quante volte delle
stupide pecore si erano piazzate in mezzo alla strada impedendomi il passaggio
verso il paese. Magari ci fossero state solo mucche a Sperdutolandia!
“Che...?”
“Vacche” suggerì Jasmine con aria di
superiorità.
“Oh, sì!” confermò Asja annuendo.
“Hai fatto mente locale, vedo!”
Risi apertamente, senza riuscire ad
evitarlo.
Che assurdità!
Avevo dimenticato quanto la gente di città
potesse essere ridicola e quanto sciocche potessero essere le loro convinzioni
su come andavano le cose in campagna.
“È una vita tutta mucche e jeans, eh?”
continuavo a ridere senza riuscire a fermarmi, avevo le lacrime agli occhi e il
respiro corto.
Fu solo quando Emily tornò e Jasmine la intortò
con stupide chiacchiere a proposito del suo magnifico vestito, che capii: la
domanda retorica con cui aveva esordito –e che aveva causato tutta la
conversazione- era stato un puro e semplice insulto, piuttosto esplicito nei
miei riguardi, ma infinitamente subdulo nei confronti di Asja. Il secondo fine
era, infatti, ridere assieme a Chanel di Asja, che tra le quattro era
evidentemente la più sciocca. Come si poteva prendersi gioco in quel modo
di un’amica? Quanto si poteva essere meschini?
“Ehilà! Vedo che avete fatto amicizia!” esclamò
Emily, tornando tra noi insieme a Mariah. Sembravano divertirsi un mondo.
Le rivolsi un’occhiata scettica e divertita
allo stesso tempo, ma non feci in tempo a rispondere che la voce bassa e
musicale di Jasmine intervenne con entusiasmo. “Oh, sì! La tua amica è proprio
simpatica, Ems!” si complimentò, come se il mio carattere fosse merito suo.
La guardai, incredula. Mi ero di nuovo persa qualcosa
o sua maestà era un tantino lunatica?
Emily mi sorrise di cuore, ringraziandomi con
lo sguardo per la mia buona volontà. Sorrisi di rimando, incapace di non essere
influenzata dal suo buon umore.
Dopotutto avrei trascorso con quelle ragazze
solamente qualche ora e sarebbe bastato portare pazienza per un po’, poi in
macchina avrei riversato tutta la mia acidità in mille commenti poco carini.
Sì, dovevo solo attendere fino al momento del ritorno a casa.
Prima che potessi dire qualunque cosa a Emily, Jasmine
aveva già preso a monopolizzare la sua attenzione con discorsi apparentemente
intelligenti. In realtà non ne ero del tutto certa poiché la musica era alta,
lei parlava a bassa voce e io non riuscivo a sentire niente di ciò che stava
dicendo.
Stavo ancora cercando di intercettare qualche
parola quando la mia migliore amica si allontanò una seconda volta da me,
questa volta accompagnata da Miss Simpatia.
Un secondo moto di rabbia mise a dura prova i
miei nervi, mentre seguivo con lo sguardo la coppia che si allontanava. Quella
Jasmine stava giocando col fuoco e ne era consapevole. Aveva intenzione di
rovinarmi la serata? Buon divertimento a lei! Non avrebbe avuto problemi a
vincere quella sfida.
Quando si volse a lanciarmi un’occhiata di pura
irrisione, prima di sparire tra la folla, ebbi la netta sensazione che Jasmine
ce l’avesse con me -ero acuta, eh?-, che stesse cercando di allontanarmi da
Emily. Non fisicamente, quanto più moralmente. Era sciocco da parte sua, visto
che abitavo ad un numero incalcolabile di chilometri da lei e una settimana
dopo sarei tornata a Sperdutolandia, senza avere più la possibilità di vedere
la mia migliore amica per mesi. Proprio per questo mi diedi da sola della sciocca
paranoica e decisi di farmi un giro. Non mi aspettavo di incontrare qualcuno
che mi andasse particolarmente a genio, in fondo non avevo molti amici a parte
Emily. In realtà ero mossa esclusivamente dal desiderio di potermi fare gli
affari miei, il più lontano possibile dall’irritante presenza della
ridacchiante Asja e dalla formosa Chanel. Ma soprattutto dall’aria svagata e un
po’ da Luna Lovegood di Mariah Thompson, che continuava a guardarmi
allegramente come se fosse certa che avremmo potuto essere grandi amiche.
Approfittando del fatto che le tre ragazze
stavano chiacchierando tra loro, iniziai a passeggiare pigramente tra la gente,
schivando ogni sguardo curioso o interessato e cercando di evitare di cozzare
contro i ballerini più scatenati.
Mentre costeggiavo la piscina, notai con
sorpresa che persino Matt si era imbucato alla festa. Aveva i folti ricci
fermati da una fascetta, che dava alla sua chioma ribelle la curiosa forma di
un fungo. Quando gli passai accanto stava gettando nell’acqua un amico,
interamente vestito, tra gli strilli di alcune ragazzine indignate per via
degli schizzi.
Optai per non disturbare la sua serata, così
continuai a camminare senza fermarmi a salutarlo. Caso volle, però, che Matt si
girasse e mi vedesse, proprio mentre cercavo di sgattaiolare via senza essere
notata.
“Ehilà, Pan!”
“Ehilà, Pan!”
Arrossii per la vergogna e ridacchiai,
grattandomi un braccio. Temevo pensasse che lo stessi evitando e non ci tenevo
a fare la figura della snob, visto che a quella feste ce n’erano fin troppe.
“Ciao, Matt...”
“Ciao, Matt...”
“Stavi cercando di fuggire?” domandò ironico,
facendo qualche passo verso di me.
“No. Ok, in realtà sì: temevo di finire come lui” risposi, indicando il ragazzo che nel frattempo era riemerso e stava gridando sproloqui davvero poco carini nei confronti dell’amico.
“No. Ok, in realtà sì: temevo di finire come lui” risposi, indicando il ragazzo che nel frattempo era riemerso e stava gridando sproloqui davvero poco carini nei confronti dell’amico.
“No, tranquilla, sono un cavaliere, non
maltratto le ragazze!” scherzò, ignorando gli insulti dell’altro, che si
sedette a bordo vasca cercando nelle tasche i resti di portafoglio e cellulare.
“Potrei darti del maschilista, lo sai?”
Matt alzò gli occhi al cielo ancora in parte
illuminato. “C’è qualcosa che a voi donne vada bene?” commentò divertito.
Risi. “Dipende dai punti di vista. Conosco una
persona, per esempio, che adora i cavalieri” risposi, riferendomi chiaramente
ad Emily.
Lui sorrise, grattandosi la testa. “A
proposito, sei da sola alla festa?” domandò.
Ridacchiai nuovamente. “No, no. C’è Lily da
qualche parte con Jasmine” sottolineai il nome con un certo
disprezzo.
Questa volta fu lui a ridere. “La quale non ti
va molto a genio”.
“No, infatti” ammisi, consapevole del fatto che
non fossero molte le persone che mi piacevano.”Ma non è una novità, in effetti”
spiegai, stringendomi meglio i capelli nella coda di cavallo in cui li avevo
legati.
Matt mi osservò qualche istante, poi sogghignò
con aria malandrina. “Hai il telefono in tasca, per caso?” si informò,
divertito.
Stranamente capii al volo le sue intenzioni e feci un passo indietro, allarmata. “Certo: cellulare, mp3, portafogli e un documento segretissimo ed importantissimo che, in caso venisse bagnato e cancellato, potrebbe compromettere le sorti dell’intera popolazione mondiale. Insomma, non puoi proprio lanciarmi nell’acqua, no” sciorinai con disinvoltura, sperando di essere convincente.
Stranamente capii al volo le sue intenzioni e feci un passo indietro, allarmata. “Certo: cellulare, mp3, portafogli e un documento segretissimo ed importantissimo che, in caso venisse bagnato e cancellato, potrebbe compromettere le sorti dell’intera popolazione mondiale. Insomma, non puoi proprio lanciarmi nell’acqua, no” sciorinai con disinvoltura, sperando di essere convincente.
Per quanto sparassi enormi sciocchezze con la
naturalezza di una professionista, Matt non era così stupido come speravo.
Scoppiò a ridere, per nulla toccato dal mio discorso da Oscar –che ingrato!- e,
senza smettere di sghignazzare come una iena, mi afferrò per un braccio per
trascinarmi fino alla piscina.
“Ehi, no! MATT, NON PROVARCI NEANCHE!” sbottai in un ultimo, patetico tentativo di rimanere asciutta.
“Ehi, no! MATT, NON PROVARCI NEANCHE!” sbottai in un ultimo, patetico tentativo di rimanere asciutta.
Un istante dopo stavo cadendo goffamente in
acqua, saldamente avvinghiata al braccio di Matt: aveva vinto lo scontro, sì,
ma non ne sarebbe uscito indenne. Quale poteva essere la miglior vendetta se
non sfruttare la sua stessa forza per trascinarlo in acqua?
Stavo gongolando, mentre cercavo di tornare a galla, quando mi trovai il ginocchio di Matt piantato in mezzo alla schiena. Note per me stessa: ricordarsi di non essere travolta dal troglodita, quando lo si trascina in piscina per vendetta.
Stavo gongolando, mentre cercavo di tornare a galla, quando mi trovai il ginocchio di Matt piantato in mezzo alla schiena. Note per me stessa: ricordarsi di non essere travolta dal troglodita, quando lo si trascina in piscina per vendetta.
Riemersi sputacchiando acqua e cloro a destra e
a manca e Matt comparve al mio fianco un istante dopo.
“Ah, carogna!” esclamò, strofinandosi gli occhi.
“Io, eh? Tu non eri il cavaliere senza macchia
e senza paura che non malmenava le donne?”
“Credevo di risultare un maschilista!”
Diedi una manata alla superficie dell’acqua,
indispettita: me l’ero cercata. “Per la barba di Merlino, ma tu ancora mi dai
retta, Kameron?!” esclamai, nuotando fino al bordo vasca.
“Per... per che cosa?!” domandò, confuso,
raggiungendomi.
Mi issai a sedere sul bordo. Sbuffai, togliendomi la maglietta fradicia e decisamente trasparente. “Oh, non cambiare discorso!”
Avevo avuto la mezza idea di non mettere il costume, quella sera. Avevo già deciso che non avrei fatto il bagno, ma poi mi ero detta che non mi costava nulla non comportarmi da prevenuta, una volta tanto. Grazie al cielo!
Mi issai a sedere sul bordo. Sbuffai, togliendomi la maglietta fradicia e decisamente trasparente. “Oh, non cambiare discorso!”
Avevo avuto la mezza idea di non mettere il costume, quella sera. Avevo già deciso che non avrei fatto il bagno, ma poi mi ero detta che non mi costava nulla non comportarmi da prevenuta, una volta tanto. Grazie al cielo!
“Sì, be’, ascolto quando le persone parlano e
tendo ad accontentarle quando esprimono i loro desideri. Non volevi forse non
essere trattata da femminuccia? ...Non dire una parola, Steve” aggiunse poi,
rivolto all’amico a cui poco prima era stato riservato lo stesso trattamento.
“Battuto da una donna” bofonchiò, contrariato.
Gli lanciai un’occhiataccia, strizzando la
maglietta nel tentativo di liberarla almeno un po’ dall’acqua. “Rettifico: sei
un maschilista a tutti gli effetti!”
Il ragazzo che rispondeva al nome di Steve
scoppiò a ridere di nuovo e, per ripicca, Matt mi spintonò facendomi cadere di
nuovo in acqua. Quando riemersi ridevano entrambi e io mi impegnai per
sputacchiare l’acqua che avevo ingerito addosso a loro. Con scarsi risultati.
“Sei l’incoerenza fatta persona, lasciatelo dire!” proclamai, issandomi a
sedere sul bordo della piscina per la seconda volta.
“Ma va’! Sto solo cercando di essere
amichevole, ma non ti va bene nulla!” obiettò, divertito. “A proposito, chi
sarebbe Kameron?”
Gli lanciai un’occhiata stranita. Si era bevuto
il cervello? “Cosa c’entra Kameron?”
Matt sorrise sornione, togliendosi i capelli
dalla faccia. “Mi hai chiamato così poco fa”.
“Non è vero!”
“Sì, che è vero”.
“No che n-“
“Sì e io sono testimone” confermò Steve.
Incrociai le braccia con stizza e lo guardai in
tralice. “Scusa, ma chi ti conosce?!”
Lui sgranò gli occhi e ridendo finse di cucirsi
la bocca.
“Non cambiare discorso” mi citò Matt,
guadagnandosi un’altra occhiataccia.
Oh, insomma, non era niente di grave, no? Si
trattava solo di un...
“Lapsus Freudiano?”
Strinsi le labbra con disappunto, trucidando
Matt con lo sguardo per avermi preceduta. Sbuffai, ricordandomi che non avevo
cinque anni e non tutto era uno stupido gioco da vincere. “Be’, sì” ammisi con
un’incurante alzata di spalle.
“Chi è?”
“Un mio amico” risposi, gelida. Sapevo dove
voleva arrivare. Sarebbe giunto a battere nuovamente sullo stesso chiodo
dell’ultima volta che avevamo parlato, ne ero certa.
“L’amico del CD, eh?” ammiccò, con in volto l’aria
di chi la sapeva lunga.
Bingo. Sospirai scocciata, stringendo i capelli nei
pugni per far sgocciolare l’acqua. “Esatto” annuii, in attesa di assistere al
momento in cui, di nuovo, si sarebbe improvvisato grande consigliere di corte e
mi avrebbe dato qualche dritta per conquistare il ragazzo del mio cuore. Peccato che
Kameron fosse realmente e a tutti gli effetti solo un amico, quindi delle sue
stupide trovate non me ne facevo niente.
“Ah! Un piccolo grande amore che non è ancora
sbocciato!” gioì, dandomi di gomito, mentre quello Steve si scuciva quella
cacchio di ciabatta che aveva al posto della bocca e tornava a ridersela di
cuore.
“Oh, certo. Elementare,
Watson” borbottai, sarcastica. “Uno dice ‘amico’ e il genio di turno si fa più
vaggi di Cristoforo Colombo! Naturale!”
Matt ridacchiò e ammiccò verso l’amico. “Guarda
come si scalda, Steve! Ci abbiamo visto giusto!”
Incrociai le braccia e gli rivolsi un’occhiata
densa di scetticismo. I miei occhi stavano lanciando fulmini e saette quella
sera, e dire che erano normalissimi occhi castani! “Complimenti Piton, ancora
una volta la tua mente acuta e penetrante ti ha condotto alla soluzione
sbagliata (****)” brontolai con stizza.
“Come mi hai chiamato?”
“Oh, chiudi il becco, Babbano!” sputai,
decidendo che forse era il caso di piantarla con certe citazioni, almeno quando
parlavo con persone che non conoscevano la mia mente malata. “Pensa piuttosto a
ripagarmi per i danni subiti” consigliai, alzandomi in piedi.
“Ma quali danni?”
“Mi hai dato una ginocchiata mentre affogavi!”
gli ricordai, indecisa se ridere o essere indignata.
“Ah, be’, allora credo proprio che ti offrirò
da bere”.
“Ora sì che ragioniamo!”
Mezzora dopo ero seduta al bancone dell’angolo
bar con Matt e il suo amico impiccione. Avevamo fatto tappa negli spogliatoi
per tentare di asciugarci, ma poi eravamo tornati a schizzarci a colpi di
bottigliette d’acqua e tutto si era dimostrato inutile.
“Ma conosci la festeggiata?” me ne uscii ad un
tratto, sorseggiando una birra ghiacciata.
Matt si grattò i capelli ormai tristemente
afflosciati sulla sua testa –sembrava un barboncino bagnato. “L’ho sentita
nominare...”
“Anche tu sei imbucato, quindi?”
“Non propriamente. Il signorino qui presente
era un invitato e mi ha costretto a venire. Ha una stratosferica cotta per la
sign- ahia!” Steve gli aveva rifilato una poderosa gomitata, mentre con
naturalezza continuava ad osservare il barista preparare un cocktail. “Eh? Hai
detto qualcosa Matt?”
“Ma dico, sei scemo? Mi rompi una costola!”
“Ossa di pasta frolla, amico?” suggerì,
inarcando le sopracciglia.
Scoppiai a ridere come un’idiota bella e buona,
come se non avessi mai visto una scena più divertente. Sentivo un gran bisogno
di ridere e Steve e Matt avevano esaudito questo mio inespresso desiderio con
estrema tranquillità, senza che io chiedessi loro nulla. Dopo l’inquitudine
trasmessami da Jasmine, con la propria subdola irrisione nei confronti di chi
la considerava un’amica, quello che mi ci voleva era proprio un po’ di sano
divertimento in compagnia di chi non aveva altra aspirazione se non quella di
farsi due risate in compagnia.
Poi accadde una cosa che mi lasciò di stucco e,
devo ammettere, non compresi in un primo momento. Sentii Emily chiamare il mio
nome, quindi mi voltai verso di lei, ancora raggiante per via delle risate. Fui
stupita nel vederla esterrefatta, accanto a Jasmine, che guardava verso di noi.
Come mai quell’espressione?
Il suo sguardo si mosse da me a Matt e ritorno,
poi si riempì di delusione. E di lacrime.
Saltai giù dallo sgabello, pronta a correrle
incontro, a chiederle cosa avesse, ma lei fuggì verso gli spogliatoi coprendosi
il viso con le mani. Piangeva.
La seguii con lo sguardo, senza capire cosa
stesse esattamente succedendo, poi lanciai un’occhiata a Jasmine che abbozzò un
sorrisetto compassionevole e si incamminò rapida per raggiungere Emily.
“Comunque Matt non vedeva l’ora di incontrare
quella Lily, checché ne dica” disse Steve in quel momento.
Fu come un fulmine a ciel sereno quando
compresi l’enorme equivoco di cui dovevamo essere vittime: Lily credeva forse
che tra me e Matt ci fosse del tenero?
“Cavolo!” sussurrai, sconcertata.
“Hai detto qualcosa?”
Non risposi alla domanda di quell’idiota di un
commesso –il quale, poverino, non c’entrava poi nulla, ma solo il fatto che mi
rivolgesse la parola in quel momento era imputabile- e corsi a mia volta verso
gli spogliatoi.
Fu un’impresa piuttosto ardua orientarmi tra
tutti quei corridoi, come ci riuscivano gli svalvolati che frequentavano quel
posto? Ok, avevo un pessimo senso dell’orientamento, è vero.
La trovai nei bagni. O meglio, trovai Jasmine, che mi comunicò che Emily si era chiusa in una delle toilette e non voleva vedermi. Toilette. Doveva proprio essere una persona raffinata.
“Oh, avanti, che sciocchezze dici?” obiettai, superandola. “Lily?” chiamai, fissando le porte dei gabinetti come se potessi vedervi attraverso.
La trovai nei bagni. O meglio, trovai Jasmine, che mi comunicò che Emily si era chiusa in una delle toilette e non voleva vedermi. Toilette. Doveva proprio essere una persona raffinata.
“Oh, avanti, che sciocchezze dici?” obiettai, superandola. “Lily?” chiamai, fissando le porte dei gabinetti come se potessi vedervi attraverso.
“È stata chiara in proposito” ripeté con
decisione.
“Be’, sii chiara anche tu allora: a che gioco
stai giocando?” sputai, stizzita, certa che fosse tutta colpa sua. Come avrebbe
potuto Emily pensare che a me interessasse Matt? Aveva sempre avuto fiducia in
me, come io ne avevo in lei. Qualcun doveva averle riempito la testa di
fesserie.
Normalmente non avrei mai immaginato che
qualcuno potesse ingannare Emily a quel modo, ma era cambiata fin troppo da
quando me ne ero andata e questo significava che era più fragile di quanto io
avessi mai pensato. L’avevano, o meglio: Jasmine l’aveva –potevo dirlo quasi
con certezza-, trasformata in una sorta di frivola ed egocentrica imitazione
della ragazza che conoscevo. Quanto sarebbe stato difficile per lei, se aveva
tanta influenza sulla mia migliore amica, farle credere che tra me e quello
zuccone di Matt ci fosse una storia? Magari aveva anche bevuto, quella sciocca,
e questo non faceva che destabilizzare la sua razionalità.
Jasmine si limitò a rivolgermi un falissimo
sorriso. “Io non sto giocando, lei non vuole vederti”.
La signorina non mi stava rendendo le cose
facili, ma forse qualcosa di positivo in tutto quello c’era: sarebbe stato
difficile chiarire con una persona momentalmente sconvolta e poco propensa ad
ascoltare. Avrei aspettato il giorno seguente, quando io avrei saputo cosa
dirle esattamente e lei, forse, avrebbe avuto la mente fredda e lucida.
Sospirai. “Va bene, allora, dille che io vado a
casa, ne parleremo domani”. Non aspettai risposte, perché ero certa che
Emily mi avesse udita benissimo.
Mi allontanai e proprio mentre stavo uscendo
dal bagno, Jasmine mi salutò con una delle migliori frasi ad effetto che le
avessi sentito pronunciare.
“Vai a casa con Matt?”
Le rivolsi uno sguardo truce, stizzito e
contemporaneamente esterrefatto. “No, perché dovrei? Chiamo mio padre”
specificai.
La serata non era decisamente andata nel
migliore dei modi, pensai mentre recuperavo le mie cose nell’armadietto in cui
Emily le aveva riposte. Effettivamente, però, sarebbe anche potuto andare
peggio. Matt e Steve erano state una boccata d’aria fresca, anche se
quell’ultima bella sorpresa fattami da Jasmine aveva sortito l’effetto di una
doccia fredda. Avevo un pessimo presentimo, sentivo che il giorno seguente non
avrei chiarito proprio nulla con Emily. Ma non era possibile, la nostra
amicizia non sarebbe finita per un malinteso, doloso che fosse. La nostra
unione era salda. Eravamo cambiate entrambe, forse, ma non sarebbe tutto finito
per colpa di Miss Perfezione. Non volevo. Non sarebbe successo. Non
poteva succedere.
Eppure avevo un enorme groppo in gola e
mi sentivo uno straccio.
A distanza di tempo seppi con certezza che la
supposizione che Jasmine volesse allontanarmi da Emily era corretta: era
popolare, bellissima ed intelligente, ma ciò che a quella ragazza mancava
davvero erano il sapersi accontentar e la capacità di accettare i difetti
altrui.
Nel gruppo con cui girava, Emily pareva essere
l’unica veramente degna della sua compagnia, dal suo punto di vista. Mariah era
popolare e assurdamente ricca, ma quell’aria stravagante che aveva stampata in
faccia si attineva fin troppo al suo essere semplice: tutto quello che le
importava era ridere, divertirsi, e fare in modo che gli altri facessero lo
stesso; non esitava a mettersi in ridicolo in mezzo alla strada solo per far
sorridere qualcuno e questo era decisamente imbarazzante per chi aspirava ad
essere vista come perfetta. Senza contare che era anche piuttosto sveglia ed
era l’unica in grado di tenerle testa durante una discussione. Non era un
genio, ma era determinata e sicura di sé: tanto bastava perché Mariah non
crollasse davanti ai subdoli giochetti di Jasmine.
Per quanto riguardava Asja, Jasmine la trovava
decisamente stolta e non era riuscita a liverarsi di lei solo perché a Mariah
piaceva molto e, in fondo, era divertente osservarla mentre insultava da sola
la propria intelligenza.
Chanel era quella che più di tutte poteva
sembrarle amica, ma non lo era: a Jasmine non piaceva che lei si credesse alla
sua altezza, visto e considerato che la sua intelligenza non era di molto
superiore a quella di un canarino.
Emily invece era umile, simpatica e
disponibile. Intelligente, ma non secchiona, carina, ma non meravigliosa. Era
abbastanza, ma non troppo. La giusta misura per stare a fianco di Miss
Perfezione senza farla sfigurare.
Poteva scordarselo, se pensava che io avrei mai
mollato l’osso.
DubbiDomandeDelucidazioni:
(*) i credits per il nome vanno a M.F., che
durante il pomeriggio in compagnia degli esercizi di fisica se ne è uscita con
un “Equilibrio Instabile. Però! Sarebbe un bel nome per un locale”. Detto
fatto! :D
(**) Principessa degli gnomi è l’appellativo
con cui Dean chiamava Pan nei primi capitoli.
(***) La canzone è I just wanna live dei Good
Charlotte. Qui il video!
(****) In realtà non so perché dovrei inserire
una nota a questo proposito, comunque: frase tratta dal film Harry Potter e Il
prigioniero di Azkaban (ho dato una letta veloce anche nel libro, lì non mi
pare ci sia, ma potrei sbagliare), pronunciata da Gary Oldman (Sirius Black!:3).
In der Ecke – Nell’angolo:
In realtà, ci tengo a sottolinearlo, la Jasmine della Disney è una delle mie principesse preferite. u.u Quella che proprio non
sopporto è Biancaneve, l’unica principessa più inutile dell’inutilità stessa.
Tanto di cappello anche a lei solo ed esclusivamente perché è stata la prima. :3
(Apro e chiudo una parentesi –letteralmente:
oh, lo ammetto, ho seriamente pensato alla coppia Matt/Pan. Non so voi, ma io,
mentre scrivevo, per un attimo ci ho pensato sul serio. ^^")
Ed è così che, con un ultimo ringraziamento a Bob, la mia beta, che nonostante l'influenza ha corretto questo capitolo.
Ed è così che, con un ultimo ringraziamento a Bob, la mia beta, che nonostante l'influenza ha corretto questo capitolo.
Ah, come promesso, per tutti i coraggiosi che sono arrivati fino a qui ci sarà un premio -immaginario! Su, su, ragazze, non siate materialiste, è il pensiero che conta! :D
Però, ecco, ci tenevo a mostrarvi un'altra opera d'arte di Mary_. Questa volta è toccato a Emily essere ritratta, se fossi in lei ne sarei onorata -a dire il vero lo sono anche se non sono lei: http://marybleis.deviantart.com/art/Emily-Gregor-282686254
Propongo di brindare a Mary_! ^^ Naturalmente offro io. xD
Bene, gente, credo sia tutto.
Quante di voi sono (state) sommerse dalla neve come me? :O Noi in Romagna siamo ancora a casa da scuola per un paio di giorni. Potreste anche aver visto la mia Cesena al TG, siamo diventati famosi con tutta questa neve. u.u
Sono curiosa di sapere cosa pensate di questo capitolo. È pesante? Noioso? Scontato? (Molto probabile).
A voi la parola! :D
Propongo di brindare a Mary_! ^^ Naturalmente offro io. xD
Bene, gente, credo sia tutto.
Quante di voi sono (state) sommerse dalla neve come me? :O Noi in Romagna siamo ancora a casa da scuola per un paio di giorni. Potreste anche aver visto la mia Cesena al TG, siamo diventati famosi con tutta questa neve. u.u
Sono curiosa di sapere cosa pensate di questo capitolo. È pesante? Noioso? Scontato? (Molto probabile).
A voi la parola! :D