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Autore: Bloodred Ridin Hood    08/02/2012    2 recensioni
Tutto quello che successe dall'arrivo di Xiaoyu in Giappone, sino al Terzo Torneo di Tekken.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heihachi Mishima, Hwoarang, Jin Kazama, Ling Xiaoyu
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Finalmente la primavera era arrivata e gli abitanti di Tokyo ne sembravano entusiasti.
Quei giorni erano stati incredibilmente miti e sereni, e la gente aveva apprezzato il fatto di poter indossare di nuovo vestiti di cotone dalle tinte allegre e colorate.
Osservavo la moltitudine di persone che usciva dalle porte della stazione con un sorriso stampato sulle labbra.
Tokyo mi era mancata da morire. Anche se ci avevo vissuto solo qualche mese, sentivo che era diventata per me una nuova casa. Ormai era l’unica che mi era rimasta.
Il torneo era alle porte. Dopo duri mesi di allenamento avremo finalmente dovuto affrontare la sfida più importante e probabilmente più difficile della nostra vita.
Aspettavamo fuori dalla stazione. Io ero seduta sulla mia valigia e tenevo d’occhio l’orario. Mi accorsi per caso che inconsciamente avevo cominciato a rosicchiarmi le unghie.
Era una cosa che accadeva non troppo di rado nell’ultimo periodo, mi bloccai subito, e cercai di distrarmi.
- Ci vuole ancora molto? – chiesi alzando lo sguardo.
Hwoarang con le spalle appoggiate al muro, tirò una soffiata di fumo dalla bocca.
- Spero di no, marmocchia. – mi rispose – Tra poco dovrebbero essere qui. –
Tornai a guardare davanti a me.
Decine e decine di persone mi passavano davanti. Tutti frettolosi, seri e indaffarati.
Cercavo di scorgere tra di loro quei visi conosciuti che stavamo aspettando di vedere da un momento all’altro.
Era però un’impresa quasi impossibile. Dovevano esserci almeno duemila persone.
Per un attimo mi chiesi se Jin fosse già arrivato in città, e come al solito quella strana sensazione all’altezza dello stomaco si impossessò di me.
Per quanto ne sapevo poteva anche essere in mezzo a quella enorme folla. Magari neanche troppo lontano da me.
Decisi di non volerci pensare, mi voltai verso gli enormi schermi pubblicitari.
Era sera, il sole era tramontato da un pezzo, e le luci impazzite animavano le strade della città.
In uno degli schermi stava venendo pubblicizzato un favoloso fondotinta, e da un’altra parte un miracoloso paio di cuffie per walkman.
Julia era silenziosa da qualche giorno. In quel momento era seduta in disparte, china su un quaderno con degli appunti. Era concentrata e di tanto in tanto sembrava bisbigliare a bassa voce parole che leggeva.
Sapevo a cosa stava cercando.
Per tutta la nostra permanenza in Cina, aveva cercato di estrapolare più informazioni possibili su ogni qualsiasi avvistamento di Ogre. La situazione era critica e paradossale.
Julia era la più nervosa di noi, ma neanche noi ignoravamo il pericolo.
Più di una volta avevamo preso in considerazione l’idea di poter fuggire e metterci in salvo, lasciandoci questa storia alle spalle una volta per tutte.
Ma in un modo o nell’altro tutti e tre sapevamo che non ci sarebbe stato posto sicuro sulla terra. Se avesse voluto, Ogre… qualsiasi cosa esso sia… ci avrebbe trovato, così come era successo per i nostri maestri.
Probabilmente proprio il torneo, visto che potevamo essere uniti, sarebbe stato in un certo senso un passo più sicuro per noi.
Era passata poco più di mezz’ora da quando eravamo scesi dal treno, quando i due scimmioni finalmente fecero la loro comparsa.
Hwoarang li accolse con un tirato sorriso e gli disse qualcosa nella loro lingua.
Mi alzai, mi misi in spalla lo zaino e presi la valigia. Passai accanto a Ned e gli sorrisi, sussurrando poi un timido ciao.
Per quanto ormai mi sembrassero dei bravi ragazzoni, continuavano ad incutermi un po’ di timore, così grossi e silenziosi. Sorrisi anche all’altro scimmione, di cui non avevo ancora captato il nome.
Scambiarono qualche parola con Hwoarang e fu così strano ricordare di nuovo che avevano una voce. Subito dopo cominciarono ad camminare in mezzo alla folla facendoci strada.
Non conoscevo quella zona della città, camminavamo da quella che mi sembrava un’eternità, quando, ormai completamente disorientata, i due scimmioni svoltarono in un vicoletto semi buio.
Era lontano il caos metropolitano di luci e colori. Questo vicolo era deserto, silenzioso e un po’ inquietante.
C’era uno strano odore, come di frutta guasta. Le finestre che davano sulla strada erano tutte sbarrate. C’era un'unica luce in fondo alla via. E sembrava che fosse proprio in quella direzione che ci stavamo dirigendo.
 - Un… dojo? – domandai incredula quando fummo abbastanza vicini.
L’insegna fuori era una delle cose più ridicole che ricordo di aver visto in tutta la mia vita!
Un maxi-ritratto di un omaccione di mezz’età, con tanto di baffoni neri, ritratto in posizione da karateka e con un pollice alzato.
E quella doveva essere una pubblicità? Persino Heiachi non avrebbe potuto fare di meglio per mettere in fuga i clienti!
Julia sembrava incredula quanto me.
- Cosa sarebbe questa storia? – chiese aggrottando le sopracciglia.
Hwoarang si schiarì la voce.
- Come avrete potuto notare ultimamente… - iniziò lui con un tono di quasi indifferenza – siamo praticamente al verde… -
Né io, né Julia osammo dissentire.
Degli ultimi soldi che avevamo messo da parte con vari risparmi personali e lavoretti part time che avevamo svolto in Cina nell’ultimo periodo era rimasto poco e niente, dopo il viaggio per arrivare a Tokyo.
- Ho chiesto a loro di cercarci oltre che un alloggio, un posto di lavoro. – continuò a spiegare Hwoarang – Ed è veramente un caso che questi due in qualche modo… coincidano. -
Julia sospirò.
- Aiuteremo Yasu-san con i suoi affari al dojo. Non sarà difficile per noi. E nel mentre ci permetterà  di abitare nell’appartamento al piano di sopra. Un’ottima sistemazione. -
- Ya… Yasu-san? – ripetei guardando il faccione dell’uomo sull’insegna.
Non feci in tempo ad aggiungere altro, che la porta del dojo si aprì.
Abbassai lo sguardo dall’immagine dell’insegna a quella dello stesso uomo, in carne ed ossa però, che faceva capolino dall’ingresso.
Yasu-san ci osservava con occhi severi e superbi.
- Io sono Yasuhiro Saitou e sarò il vostro capo. – tuonò con il suo vocione – Faccio io le regole, voi obbedite. – precisò, nel caso non fosse stato implicito.
Era vestito in abito tradizionale, dava un po’ l’idea di vivere in un’epoca tutta sua.
Quando parlava, i baffoni vibravano. Non potevo fare a meno di pensare che dal vivo fosse un personaggio ancora più buffo.
- Seguitemi. -
Entrò dentro la palestra. Si diresse verso una porta laterale, la aprì e ci mostrò una rampa di scale. In cima alla rampa c’era una porta. La porta del nostro appartamento.
Tirò fuori una chiave e la porse a Hwoarang.
- Niente chiasso dopo le nove di sera. – disse solamente – Ci vediamo domani mattina alle nove in punto. -
Annuimmo, senza aggiungere altro. Yasu-san voltò le spalle e se ne andò verso un’altra porta nel lato opposto della palestra.
A primo impatto di certo era sembrato un uomo di poche parole, oltre che un po’ burbero.
In meno di un minuto eravamo già dentro alla nostra nuova casa.
L’appartamento era decisamente piccolo e funzionale, con una sola camera, una cucina e un bagno. Non era il massimo, ma poteva andare decisamente peggio.
Non sapevo ancora per quanto tempo gli scimmioni si sarebbero trattenuti con noi. La loro presenza mi dava un certo senso di sicurezza, ci avevano salvato la vita già una volta dopo tutto.
Mi feci subito una doccia. L’acqua era un po’ fredda, di certo non era niente che poteva competere con la vasca idromassaggio di villa Mishima, ma dopo tanti mesi allo sbaraglio non mi importava più.
Poco più tardi mangiammo qualcosa che avevamo comprato prima alla stazione.
La cena fu piacevole. Parlavamo del più e del meno, come un gruppo di amici che si ritrova per passare un po’ di tempo insieme.
Non una parola sul torneo, non una parola su Ogre e tutto il resto.
Persino i due scimmioni tentarono di partecipare al dialogo, spiccicando ogni tanto qualche parola azzardata.
D’altro canto Julia era quella che sembrava meno serena. Per tutto il tempo parlò poco, mangiava in silenzio, immersa nei suoi pensieri.
Dopo cena decisi che era finalmente ora di andare a riposare, dopo quasi un giorno e mezzo di viaggio.
Julia mi seguì in camera, mentre gli altri rimasero in cucina.
La stanza era piccola, fredda e scomoda, e le pareti in comunicazione con la cucina erano estremamente sottili, potevo sentire con chiarezza le voci dei ragazzi che dialogavano.
Ma tutto questo non mi dava fastidio, non mi importava minimamente in quel momento. Ero veramente troppo stanca.
Mi infilai in un futon, lo stesi vicino a quello di Julia e mi ci infilai al suo interno. La sensazione di calore e morbidezza era qualcosa di sublime.
Mi stavo per addormentare, quando Julia disse qualcosa.
- Come fai a sopportare tutto questo? -
In un primo momento non capii.
Cercai di risvegliare i sensi che si erano intorpiditi per via del sonno.
- Di che parli? – borbottai sfregandomi gli occhi.
Lei aspettò.
- Non ti viene mai paura di… poter morire? Non ti dà alla testa il pensiero? -
Sembrava davvero scossa. Mi trovai spiazzata, non sapevo bene cosa rispondere, né tantomeno quello era il momento più giusto per fare un ragionamento sensato.
- Julia, ne abbiamo già parlato… – dissi soltanto con quello che sembrò più che altro un lamento.
Non aggiunse più niente.

Non so dopo quanto tempo l’improvviso cambiamento di tono di quelle voci mi risvegliò.
In un primo momento non capii subito cosa mi aveva disturbato. Fu solo dopo, quando mi misi a sedere e a prestare attenzione, che capii che qualcosa non andava e cominciai ad innervosirmi.
Insomma! Per un motivo o per l’altro sembravano non volermi fare dormire.
Feci attenzione per capire cosa stava accadendo.
Hwoarang sembrava seccato. Estremamente seccato.
Sembrava stessero litigando.
Mi voltai a guardare il futon di Julia. Dormiva profondamente.
Che stava succedendo?
Mi avvicinai a gattoni verso la porta. Non era del tutto chiusa, la spinsi un pochino. Un rettangolo di luce entrò nella stanza.
Hwoarang era ancora seduto a tavola, con i due scimmioni. Le loro espressioni visibilmente irritate non lasciavano alcun dubbio. Stavano discutendo.
Non so perché, ma discutevano. Animatamente.
Normalmente non mi sarei messa in mezzo ad una questione che non mi riguardava, ma le loro facce, i loro toni e i loro gesti non mi piacevano. Sembravano un po’ troppo seri.
Stavo per decidermi ad entrare nella stanza e a cercare di fermare il litigio, quando vidi qualcosa che mi fece raggelare il sangue nelle vene.
Ned estrasse dalla giacca una pistola.
In quel momento mi ricordai di colpo di come avessi già assistito ad una simile scena la notte di capodanno a villa Mishima.
Sobbalzai e mi dovetti mettere una mano davanti alla bocca per bloccare il mugolio di sorpresa che non riuscii ad evitare.
Hwoarang non sembrava spaventato, piuttosto ancora più seccato.
Non disse niente, incrociò le braccia sul petto e guardò in basso.
Ned posò poi la pistola sul tavolo, fissava Hwoarang con un’espressione tesissima.
Disse qualcosa a labbra strette. Sembrava una domanda.
Hwoarang scosse la testa, poi si voltò a guardare prima Ned, poi l’altro uomo. Era furibondo. Sibilò qualcosa in tono minaccioso.
Ned accompagnò allora la pistola con la mano verso Hwoarang, come se gliela stesse porgendo.
Lui, d’altra parte, la guardò sprezzante. Sul suo volto notai uno sguardo indignato, colmo di umiliazione, poi due semplici, fredde parole.
Gli altri due uomini sembrarono coglierle. Con un primo attimo di esitazione, si prepararono a lasciare la stanza.
Ero ammutolita, talmente scossa che non mi spostai neanche quando notai che Ned si voltò  verso la mia direzione. Non feci niente per impedire che mi vedesse.
Per un momento mi fissò negli occhi, fu una specie di addio.
I due uomini presero le loro cose e lasciarono l’appartamento, con la pistola abbandonata sul tavolo.
Quella fu l’ultima volta che li vidi.
La porta si chiuse e il mio cuore ancora non accennava a rallentare.
Hwoarang si accese frettolosamente un’altra sigaretta. Inspirò una lunga boccata di fumo senza staccare gli occhi dalla pistola, ancora furibondo.
Soffiò poi il fumo da un minuscolo angolo aperto della bocca e schiacciò sul posacenere ancora fumante la sigaretta appena accesa, spegnendola.
Si alzò in piedi, prese la pistola in mano e se la infilò nei pantaloni, poi prese una felpa e si diresse verso la porta di ingresso. Si fermò a pochi passi da essa e mi parlò, dandomi le spalle.
- Va a dormire, domani ci aspetta una giornata intensa. – il suo tono suonò molto più dolce di quanto mai potessi aspettarmi.
- Dove… dove stai andando? – domandai con decisione – Che cosa è successo? E cos’è quella? -
Lui si voltò e mi guardò. Rimasi sorpresa dall’espressione sul suo volto. Non era più arrabbiato, per niente, sembrava in colpa, sembrava per qualche motivo… triste.
- Xiaoyu, per favore, per una volta… ti chiedo di… non fare domande. –
E per la prima volta dal nostro primo incontro, ebbi l’impressione che Hwoarang mi avesse parlato considerandomi un’adulta.
Erano le tre di notte, ed ero meno disposta a dormire che mai.
Guardavo il soffitto con occhi sbarrati, immobile, dentro al mio futon. Aspettavo che Hwoarang tornasse. Gli avrei parlato. Dovevo parlargli!
Cosa diavolo era successo? E perché quella pistola? Perché aveva litigato con gli scimmioni? Perché se n’erano andati?
Le domande mi frullavano nella testa senza un ordine preciso. Hwoarang si sarebbe rifiutato di rispondermi, così stavo cercando di organizzare un discorso che l’avrebbe spiazzato.
D’altronde io mi stavo fidando di lui, ma sapevo ben poco sui suoi conti.
Sapevo che odiava parlare di sé, era sempre molto attento a non lasciarsi sfuggire niente sul suo passato, ma dopo tutto io non lo conoscevo. Dovevo pur sapere qualcosa per potermi fidare di lui.
Sì, decisi che gli avrei parlato in questi termini.
Finalmente udii la porta di casa cigolare.
Il mio cuore sobbalzò di nuovo. Era tornato.
Mi misi a sedere ed uscii allo scoperto.
Uscii dalla stanza e lo vidi. Era appena entrato e si stava togliendo la felpa. Si voltò come mi sentì arrivare, mi vide e sospirò.
- Cosa ci fai in piedi? -
- Lo sai perfettamente! – ribattei accigliata – Cosa è succ.. -
- Dove eri? -
Mi voltai e vidi che anche Julia era uscita dalla stanza e si stringeva in una vestaglia. Era confusa, si guardava intorno facendo fatica a tenere gli occhi aperti alla luce.
- Dove… sono i ragazzi? – chiese poi.
Hwoarang non rispose.
Julia analizzò il volto del ragazzo.
- Hwoarang, dove sono i ragazzi? – chiese più forte.
Poi guardò me, la felpa di Hwoarang. Cominciava ad avvertire che ci fosse qualcosa di anomalo nell’aria.
- Cosa diavolo è successo? – continuò.
Lui sollevò lo sguardo lentamente.
- Se ne sono andati. – disse serissimo.
- Cosa… cosa significa? – domandò subito Julia.
Hwoarang guardò me, poi esitò un attimo.
- Ricordi che qualche anno fa avevo avuto… qualche problema con… -
Julia sgranò gli occhi.
- Ancora quella gente? – chiese cercando di mantenere una finta calma – È sempre per uno dei tuoi stupidi combattimenti clandestini? -
Lui fece una pausa.
- Mi avevano chiesto di perdere, e io non l’ho fatto. – spiegò – Da allora mi danno la caccia. -
Julia sembrava sconvolta dalla rabbia. Le tremava la bocca e gli occhi spalancati cominciavano a divenirle lucidi.
- Sanno che parteciperò al torneo. – continuò Hwoarang – Abbiamo litigato su questo, e perché insistevano sul fatto che dovessi rinunciare al torneo. Ma io ho giurato che mai più… -
Julia scosse la testa.
- Tu sei pazzo. – lo interruppe – Avevi giurato che non avevi più niente a che vedere con quella gente. -
Sembrava scossa e incredibilmente delusa.
Si passò una mano tra i capelli, le mani le tremavano.
- Per tutto questo tempo ci siamo fidate di te, mentre tu ci hai esposto a questo pericolo… -
- Oh andiamo! – fece lui alzando le braccia – Non ho avrei mai coinvolto nessuno in una situazione pericolosa, e tu lo sai! -
- Sei senza speranza! – disse sprezzante – Ogni volta mi illudo che tu possa cambiare! Ma è chiaro che questo non accadrà mai. Avrei dovuto capirlo tanto tempo fa! -
- Non è così… - cercò di giustificarsi.
- No! Io e Xiao ce ne andiamo. – annunciò Julia mettendo i palmi delle mani avanti, come per bloccare lì la comunicazione.
Poi mi guardò.
Io ero impietrita.
Non avevo idea di che cosa stessero dicendo.
- Oh fate pure! – ironizzò Hwoarang – Non so quanto fuori possiate essere più al sicuro che qua. -
Julia non rispose, e andò in camera. Cominciò a sistemare le sue cose e a prepararsi.
- E poi… - continuava Hwoarang – Dove andreste? -
- Troveremo una sistemazione! – sbottò lei.
Io non mi mossi. Julia mi chiamò.
Non le risposi.
- Cosa… hai combinato? –chiesi a Hwoarang visibilmente confusa – Chi è che ti dà la caccia? -
Lui sollevò un angolo della bocca in una specie di strano sorriso disperato.
Supposi che non sapeva davvero che dirmi.
- Xiao, andiamocene. – Julia mi chiamava dalla camera.
Mi voltai verso di lei. Stava sistemando le sue cose.
Poi tornai a guardare Hwoarang.
- Io resto qua. – annunciai poco dopo – Non credo che dividerci sia la cosa più intelligente da fare in questo momento. -
Julia si fermò.
- Xiao, quest’uomo è pazzo! – sbraitò puntando un dito verso Hwoarang – Tu non hai idea dei casini nei quali è capace di infilarsi. -
- Io resto qua. – ripetei decisa – Sono stanca di andare avanti e indietro e… - guardai Hwoarang un po’ imbarazzata – Io mi fido se dice che non corriamo alcun pericolo. -
Hwoarang sembrò positivamente sorpreso. Poi annuì piano, come per confermare la mia affermazione.
- Xiao, tu vieni con me. -
Sospirai.
Ne avevo veramente abbastanza. Feci un grande respiro, cercai di calmarmi.
- Per una volta… - cominciai cauta - smettetela di trattarmi come se fossi la vostra bambina! – finii strillando.
Tornai in camera e mi infilai dentro il futon ancora una volta.
Sarei rimasta, ma avrei preteso delle spiegazioni da Hwoarang, questo era certo.
- Xiao… stai facendo un grosso errore. – disse Julia prima di uscire dalla stanza.
Sentii che Hwoarang la seguì fino alla porta.
- Ci sarai al torneo vero? – lo sentii chiedere.
Nessuna risposta. La porta si chiuse.


 
 
  
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