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Autore: __Ila_    08/02/2012    2 recensioni
Una storia d'amore ostacolata dai pregiudizi, durante la seconda guerra mondiale.
Genere: Romantico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, io sono Ilaria è questa è la prima storia originale che ho scritto ed è anche la prima ad essere pubblicata su EFP. E' ambientata durante la seconda guerra mondiale e per questo tocca temi particolari come la deportazione. Detto questo, pero vi piaccia C:

Non posso essere amata

 

Memoria. Perchè ricordare? Non si può dimenticare. Non si deve dimenticare.

Ciò che è accaduto deve rimanere nei ricordi di tutti, non possiamo permetterci di scordarlo.

 

Aushwitz , 1 gennaio 1942

 

Ero lì solo da qualche giorno. Non trovavo più mia madre, pregavo per lei, perchè stesse bene. Nessuno riusciva a spiegarmi cosa ci facessimo là, ammassati nelle docce gelate, nudi e spaventati. Mi vergognavo, c'erano anche degli uomini. Da poco avevano rasato i miei bellissimi boccoli biondi; avevo il presentimento che sarebbe successo qualcosa di orribile, a tutti noi, quando d'un tratto alcune SS composte e serie irruppero nelle docce ordinandoci di uscire. Non potevo credere a quello che avevo appena sentito: volevano farci stare fuori, sulla neve e al freddo, nudi. Speravo di aver capito male, nonostante le spinte mi conducessero sempre più vicina alla porta. Mi sentivo violata, nel corpo e nell'anima. Non mi sentivo più una sedicenne, non mi sentivo più umana.

Dopo ore e ore infinite di attesa ci vennero consegnati degli stracci a righe. Ci dissero di indossarli e io non obiettai, avrebbe portato solo guai. Poi ci fecero marciare fino ad un laboratorio dove ci tatuarono un numero. 17'908. Ora io ero il numero 17'908. Il mio nome non era più Anja. Ero semplicemente un numero. Sentivo di aver perso la mia identità ma non avevo intenzione di lasciarmi andare.

All'improvviso vidi passare un giovane soldato, biondo e molto molto affascinante. Sentì il cuore battere forte ma non mi permisi di pensarci più di tanto, era solo un bel ragazzo in fondo.

-Fabian! Tieni il passo!- sentii gridare una donna, una SS. Era rivolta al soldato.

“Fabian. Sembra il nome del principe azzurro di qualche fiaba.” pensai.

Quella notte lo sognai. E anche le due notti seguenti. Era l'unico motivo per restare viva all'inferno. Mi dava la forza per svegliarmi, lavorare, sopportare il freddo e la fame. Non speravo che si accorgesse di me, mi sentivo ridicola, mi vergognavo del mio corpo ossuto e della testa rasata. Immaginavo che nessuno capisse che ero una ragazza, finchè una volta, esausta per la notte insonne mi addormentai mentre andavo alla latrina. Un soldato mi vide e iniziò ad abbaiare ordini in tedesco. Mi aveva chiamata “cagna”. Non mi stupii dell'insulto, bensì della “A” in fondo ad esso. Credevo che qualunque persona ridotta nel mio stato sarebbe stata irriconoscibile ma forse c'era ancora qualcosa di salvabile...

Ma mentre io mi crogiolavo nelle mie speranze, il soldato mi aveva condotto nell'ufficio di un generale che messo al corrente del mio errore mi disse che avrei dovuto lavorare sia nella fabbrica, che per una SS. “Come una schiava” disse così. Urlò un ordine in tedesco che io non capii e arrivò il soldato. Fabian. Mi sentii mancare.

-D'ora in avanti- iniziò il generale -questa....- mi guardò con disprezzo – questa ragazza farà tutto quello che le dirai. Anche le cose più umili. Chiedile quello che vuoi, sarà il tuo esame per entrare ufficialmente nelle SS.-

Fabian mi guardò e mi sorrise. Non era un sorriso cattivo, era dolce. Fece un cenno al generale e mi portò in un bungalow non lontano dalle baracche che dividevo con altri deportati. Chiuse la porta e mi si avvicinò.

-Sei ebrea?- mi chiese.

Risposi con un cenno del capo, senza alzare gli occhi per paura di una punizione.

-Non avere paura di me. Non ti farò nulla.-

Non mi spostai di un millimetro, ero terrorizzata.

-Guardami, ti prego. Non sopporto di intimorire le persone.- aveva il tono di una supplica. Alzai lo sguardo, lentamente, fino ad arrivare ai suoi occhi blu. Sorrise, ancora.

-Come ti chiami?-

Indicai il numero sul mio braccio facendo una smorfia di dolore.

-Il tuo vero nome...-

-Anja..- mormorai.

-Anja...Che bel nome.- disse sorridendo dolcemente.

La nostra “conversazione” venne interrotta da una donna in divisa, una S.S.

Mi indicò e notai che aveva una frusta rigida attaccata alla cintura. Mi fecero girare contro il muro, mi tolsero la camicia e dopo cinque frustate sulla schiena mi sentivo svenire. La donna se ne andò lasciandomi inerme sul pavimento. Non osavo muovermi.

Dopo quelle che mi sembrarono ore e ore Fabian mi prese in braccio e mi abbandonò sul letto. Mi baciò una spalla e mi addormentai.

Il giorno dopo fu quello peggiore. Fabian mi trattava come una schiava e ogni 3 ore un soldato veniva per punirmi per qualcosa che non sapevo di aver fatto. Avevo perso molto sangue e quella sera dopo aver servito la cena svenni davanti alla porta del bagno. Quando mi ripresi vidi Fabian armeggiare con garze e disinfettante e dalla mia posizione capii che stava cercando di aiutarmi.

Mi sciolsi letteralmente quando vidi che mi sorrideva.

-Come stai?- mi chiese premuroso.

-Potrei stare meglio.- sussurrai.

Mi si avvicinò e mi baciò sulle labbra. Lo allontanai confusa e spaesata.

-Co-cosa stai facendo?!?!-

-Ti bacio...- disse continuando a sfiorare la mia pelle con le labbra.

Gli abbracci e le carezze seguirono i baci, i gemiti di dolore lasciavano il posto a quelli di piacere e mi ritrovai nuda, sotto il soldatino tedesco.

Fu così per giorni e giorni, tra baci e carezze, sospiri e abbracci.

Un giorno però, qualcosa andò storto; la donna che veniva a punirmi decise di tradire il suo “collega” raccontando al generale della nostra storia; era innamorata di lui, mi disse Fabian.

Fu l'inizio della fine: le frustate erano sempre più frequenti, il soldato non lasciava Fabian un secondo da solo e lui non poteva fare altro che guardarmi soffrire.

Mi ammalai; un'infezione dovuta alle ferite non disinfettate.

Sarei finita all'inferno prima di quanto pensassi, mi diceva la donna sputando insulti.

Nonostante le ferite, il dolore e l'infezione continuavo a lavorare senza lamentarmi. Cercavo di farmi forza, dicendomi che sarebbe finito tutto molto presto e che sarei stata meglio...

Ma ovviamente non fu così. Iniziai a peggiorare e una sera Fabian insistette perchè rimanessi a letto per riposare.

Rimase accanto a me tutta la notte, tenendomi la mano e cercando di medicare le ferite. Era doloroso ma solo averlo accanto mi faceva sentire più forte.

Grazie alle sue cure riuscii a guarire quasi del tutto. Le ferite non scomparivano, ogni giorno se ne aggiungevano di nuove e di notte venivano curate.

Non dovevo fare parola con nessuno di quello che stava facendo Fabian, sacrificando notti di sonno per me.

Passarono i giorni, le notti.

“Me ne sono innamorata” pensavo “me ne sono innamorata e non posso essere amata. Tutto per colpa della diversità.”

Era il mio chiodo fisso mentre lavoravo, mentre sopportavo insulti e violenze. Mentre dormivo, mentre mi baciava di nascosto.

Quando morì.

Era una fredda notte quando accadde; come al solito mi stava medicando con pazienza e delicatezza e ogni tanto gli rubavo un bacio. All'improvviso entrò un soldato. Era la donna, la spia, la crudeltà fatta a persona. Aveva un fucile in mano.

-Se non ti posso avere io, non ti avrà nemmeno lei.- disse questo e sparò.

Non aveva mirato a me, ma al mio amato. Fabian si accasciò senza vita sul letto, sulle mie gambe. Qualche lacrima solcò il mio viso e quello della soldatessa. Ero disperata, svuotata, dolorante, senza il mio amore e quindi senza più una ragione di vita.

-Scappa!- mi urlò -Scappa se non vuoi che uccida anche te!-

Mi alzai dal letto ancora dolorante e, disperata, uscii da quella baracca. Corsi più che potevo, nella neve, al freddo, piangendo. Non mi vennero a cercare, stranamente e non capii mai come quella donna aveva fatto a scoprire la relazione segreta. Forse ci spiava. Ho sofferto anni e anni per la mia deportazione durata poco più di un paio di mesi.

E ora mi ritrovo qui, a ripensare a quella storia. Fa male ripensare a ciò che è stato fatto a me e a tutti gli ebrei, gli omosessuali e i politi nei campi di sterminio.

Ma fa più male pensare che l'amore è stato annientato da altro amore, un amore disperato, violento e senza pietà.

 

 

 

 

 

 

 

  
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