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Autore: IrishBreeze    17/09/2006    5 recensioni
una Fic ambientata nel mondo della musica, dove il personaggio (la personaggia a dire il vero ^^'') si conoscerà attraverso uno strano personaggio... una specie di tributo al tanto (giustamente e non) osannato Sid Vicious.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera avrebbe organizzato una festa. Lo decise lì, sul momento, sdraiata sul letto. I suoi genitori al piano di sotto non avrebbero sentito niente, non sentivano mai niente. Chiuse gli occhi, e quando li riaprì la stanza era già stracolma di gente. Si guardò divertita e incuriosita in giro, nella sua stanza, così piena di curiosi personaggi… “I Duran Duran? Io non gli ho invitati i Duran Duran”. La divertì la vista di Simon Le Bon, che la pregava di farlo restare: “No, assolutamente no! Che razza di opinione si faranno di me, se invito alle mie feste i Duran Duran? Non se ne parla nemmeno!”

“Ehi, Bob! Ma…”

“Sinceramente, G., preferirei che mi chiamassi signor Zimmermann, te l’ho detto mille volte, ma tu non….”

“Preferisci signor Zimmermann a Bob Dylan? Tu non sei normale, Zimmermann… Comunque, hai invitato tu Johnny Cash?”

Arrossendo, Zimmermann annuì, e disse “Ti dà fastidio? No perché posso cacciarlo, se vuoi”

“Nessun problema, Bob. È l’occasione buona per conoscerlo, ho sempre desiderato conoscerlo.”

“Ancora? Ti ho detto e ripetuto che preferirei che…”

“Ciao, Bob. Devo andare, mi chiamano”

Bob era davvero noioso, a volte. “Signor Zimmermann”, ma da dove diavolo…

“Joe!! Joe!! Sei venuto!!” Si fece largo fra la calca e corse verso un giovanissimo Joe Strummer.

“Non sarei mai mancato, e lo sai. Solo tu riesci a tirarmi fuori dalla bocca certe mostruose banalità”

“Joe, tu non puoi immaginare, sono davvero contenta… Tu non ti fai mai sentire, gli altri vengono a trovarmi, tu non ti fai mai sentire! Con chi stai parlando?”

“G., non dirmi che non li riconosci?”

Li osservò bene. Tutt’a un tratto li riconobbe e arrossì violentemente: “Oh cavolo, che razza di figura ci ho fatto! Ma Joe parlava con loro? Qualcosa non andava…

“Joe, vieni un secondo, ti devo parlare in privato: Ecco, qua. Che cosa ti succede? Paul McCartney, Jim Morrison, Elvis Presley, Mick Jagger. Non sono esattamente i tuoi tipi. Cosa combini?

“Ma G., sono simpatici, sai? Abbiamo scoperto di avere anche un sacco di punti in comune, certo erano un po’ freddi le prime volte, poi ho presentato le scuse che il punk doveva loro e…

Parlò per un po’ con Joe, poi andò dagli altri ospiti. Salutò tutti, sorrise a tutti. Ma lui non c’era. Ecco Bruce Springsteen, Patti Smith, i Pink Floyd con Mr. Wish You were here, che aveva sempre desiderato conoscere, ma lui non c’era. I Ramones, Freddy Mercury, gli u2, Bob Marley, ma lui non c’era. Ecco i Deep Purple, i Led Zeppelin, Johnny Rotten, Tina Turner e lui non c’era. Come aveva previsto, d’altronde.

Uscì dalla camera. Aveva bisogno d’aria. E fuori, seduto sul pavimento accanto al termosifone, c’era. Tutto graffiato, i capelli neri sparati in aria, il volto scavato, rigido come il sapere (per dirla alla Pennac) e due enormi occhi gialli con le pupille dilatate, Sid si preparava l’ennesima dose.

Non poté fare a meno di commuoversi. Tutti quei graffi… e la siringa….

“Sid, lo sai che non dovresti. Non qui”

Sid per tutta risposta si piantò l’ago nelle vene. Tremava. Era così debole che non riusciva nemmeno a premere lo stantuffo della siringa.

Tutto questo bastò per far esplodere l’istinto materno di cui G. disponeva in abbondanza. Lo prese in braccio (“Mio Dio, il mio gatto pesa tre volte più di lui!”) e lo trascinò nella sua stanza, sul letto. La stanza era vuota.

Lo sistemò sul letto, e si mise accanto a lui. Lui si accoccolò accanto a lei, e cinque minuti dopo, già si era addormentato.

Si era chiesta mille volte perché diavolo l’avessero soprannominato Sid il Cattivo. Sid non era Vicious, non con lei. Come Johnny non le sembrava così Rotten. Sid e Johnny non si parlavano quasi mai. Secondo lei Sid era invidiosissimo della vita di Johnny. O meglio, non della vita, ma del fatto di essere ancora in vita. Sid non era cattivo. Avevano passato tante notti insieme. Perché di giorno G. era impegnata a far finta di vivere, e Sid impegnato a far finta di essere morto. Ma la notte, nessuno fingeva. Tutti e due vivevano, e vivevano insieme. Parlavano, parlavano un sacco. Soprattutto Sid. Raccontava un sacco di storie, della sua vita, raccontava di come in vita non avesse mai vissuto realmente, e di come adesso viveva più di quando era in vita. Non parlava mai di droga, e a G. andava bene così. Anche G. parlava. Gli raccontava del suo futuro, o meglio, di quel futuro che sarebbe stato suo se non avesse preferito distruggersi. Gli parlava degli anni 80, che Sid insieme agli altri avevano praticamente creato. Parlava di musica. E se non sapevano più cosa dirsi, allora si prendevano per mano, o si abbracciavano, e dormivano. Al mattino Sid non era più lì, e per G. cominciava un altro giorno.

Quella notte G. sapeva che non avrebbero parlato. Sid “il cattivo”:ma dai! Se Sid era stato veramente cattivo, allora era una cattiveria di facciata. Un Punk non può essere buono. In realtà, e lei lo sapeva bene, i Punk sono dei bambini. In fondo, cos’è il Punk? Il Punk è solo un grido disperato e infantile, l’ultima spiaggia, il Punk è la morte delle speranze, è l’attimo esatto in cui capisci come va il mondo, è un disperato bisogno d’aiuto. Il Punk è il tuo sentirti disorientato, è il tuo non capire, il Punk grida. E si traveste. Si traveste da Duro.

E Sid rappresentava il Punk perfettamente.

Si voltò e guardo Sid. Vide la siringa piena al bordo del letto. Tentazione.


Il giorno dopo G. camminava verso la scuola chiacchierando con V.

“Oggi ho fatto un sogno strano. Pensa, davo un calcio e cacciavo Simon Le Bon!”

“Senti G., ti faccio un favore, eh? Ti metto in contatto con il mio dottore. È bravissimo, si chiama Sigmund…”


Sid si era ripreso. Era bellissimo come sempre. Era persino allegro. Guarda con attenzione la collinetta bianca nel palmo della sua mano, e ci sputa sopra. La polvere fa reazione e schiuma. G. mascherò la sua diffidenza e preoccupazione con un sorrisetto incerto. Quella roba sembrava soda caustica. Sid la fece sedere sulle sue ginocchia e con una mano le coprì gli occhi. Con l’altra (non con poche difficoltà, ma lui non l’avrebbe ammesso mai) infilò la siringa nel braccio di G. Niente, poi, ad un tratto, il paradiso. G. non avrebbe mai scordato quella sensazione. Il mondo che crollava, le bombe che esplodevano, i bambini che gioivano, i fiori che nascevano e lei, sulle spigolose ginocchia di Sid, le confortevoli e salde ginocchia di Sid. E Sid era con lei, volava anche lui. Volavano verso un mondo migliore, dove si poteva vivere di giorno, un mondo senza Dio, dove non si muore a ventun anni, un mondo fatto di oceano e cielo e musica, e loro, Sid e G., che dormivano abbracciati nel mare. Un mondo dove non bisogna autodistruggersi per viverlo.

Sid aveva una regola: una siringa a sera, se in presenza di G. Non voleva certo che lei finisse come lui. Ma non voleva nemmeno privarla dell’unica gioia che tutti e due avessero mai provato. Non era certo un egoista. Spesso si chiedeva se in vita sapeva a cosa stesse andando in contro. G. lo sapeva, sapeva che presto sarebbe arrivata la dipendenza dalla polvere magica, e, se non si fosse controllata, la morte. Ma lui, in vita, ne era al corrente? Non se lo ricordava. E allora si arrabbiava. Ventun anni e per giunta spesi male. E via, un'altra dose. Ma con lei non poteva, no. Anche G. era al corrente e rispettava la regola di Sid, l’unica vera regola che Sid avesse mai rispettato (e questo vale anche per quando era in vita), e lo aveva fatto per lei. Per questo la rispettava, ne era felice e orgogliosa.

Quella sera parlarono della musica. Parlavano spesso di musica. Sid diceva che lui era la vergogna della musica, e soprattutto, la vergogna dei bassisti. Diceva anche che era terribile che venisse ricordato come musicista, che era una cosa davvero scandalosa. Anzi, non sapeva nemmeno perché veniva ricordato. Cioè, lo sapeva sì, ma non… e cambiava discorso. Ogni tanto cantavano la sua My Way, e G. si divertiva e rideva come non mai. Ah, sì, era certo: Sid era la vergogna della musica.


G. stava aspettando Sid nel buio della camera. Quella sera avrebbe tanto desiderato una seconda dose, ma Sid non glielo avrebbe permesso mai. Dalla finestra si sentivano spari e grida. Qualcuno gridava slogan contro la polizia, e la polizia rispondeva con il suo personale codice, pallottole da 9 mm. Il mondo era pieno di tanti Jack e di pochi Piggy. Sid apparve nella stanza. Ma invece che sedersi accanto a lei sul letto, come al solito, stette lì fermo, appoggiato allo stipite della porta. Si mordeva il labbro inferiore, e guardava G.

“Allora?”

“Allora non ho la roba” (eggià, si esprimeva così Sid, “la roba”).

sguardo interrogativo e preoccupato di G.

“G., ti… ti devo dire… delle cose. Vieni qua”

G. si alzò e andò verso Sid, sempre più curiosa, e lui le prese le mani.

“È tanto tempo che ci conosciamo, ormai. Io ho passato tante belle notti con te. Io non… non avevo mai passato una notte intera con una ragazza senza, ehm, far niente, capisci? Ma tu sei… sei mia sorella. Sei mia madre e mia sorella. Sei la mia linea di rotta, sei un percorso, no, una sosta, una piacevole sosta in un percorso inutile, obbligatorio, e noioso. (pensato:ma cosa diavolo sto dicendo? Cosa diavolo sto dicendo?) Io vorrei, vorrei sempre darti il meglio. Ci tengo a te, ci tengo, veramente. E per questo, vorrei dirti che… vorrei…che…mh. Tu lo sai, vero, che io, non sono più quello di una volta. La morte ti rende maturo.”

Era la prima volta che Sid parlava esplicitamente della sua morte. G. lo guardava preoccupata. Avrebbe pianto, lo sapeva, si profilava qualcosa di brutto.

“Una volta io ero… cattivo, proprio cattivo. Ma era una facciata, e tu lo sai, l’hai sempre saputo, no? Tutta la musica è una facciata, la musica è bugiarda. La musica è una truffa. Noi siamo quello che diventiamo dopo la morte.”

“Sid, vieni al punto”

“Va bene. Va bene. Senti G. io ti… ti..”

Quel “ti” fu illuminante. G. cacciò via tutte le sue paure e si illuminò. Aveva capito. Sid “la” in fondo anche lei “lo”. Capiva, certo che capiva. Doveva essere difficile. Decise di aiutarlo.

“Vuoi dirmi che sono la tua…Nancy?”

Stupore. Era persino la prima volta che nominavano Nancy.

Sid la guardò a bocca aperta e sorrise. SORRISE. G. si sentì morire, era la prima volta che Sid sorrideva. Ma era un sorriso strano. Gli occhi di Sid mandavano bagliori da Rivelazione.

Sid disse: “Sì, sì! Esattamente così…”

La abbracciò e la baciò. Mentre erano ancora abbracciati, tirò fuori il coltello. G. lo vide, e non disse niente. Sorrideva, era felice come non era mai stata. Si staccarono. Sid le si avvinghiò da dietro la schiena. Lei voltò di un poco il capo per vedere negli occhi Sid. Sapeva cosa sarebbe successo. Lui infilò lentamente il coltello nel petto di G., che sorrideva. Si fermò solo quando sentì il corpo di G. accasciarsi senza forze sul suo. La mise sul letto. Presto l’avrebbe rivista di nuovo e sarebbero andati ad abitare quel suo mondo fantastico. “Eh, sì, G. sei la mia Nancy… in fondo, ti amo.”


I suoi genitori l’avrebbero trovata il mattino dopo, sul letto, sorridente e con un coltello piantato nel cuore. Avevano pianto. Avevano stoicamente resistito davanti alla tortura del rapporto del medico legale, il quale aveva per giunta riferito che la loro figlia era tossicodipendente. Avevano passato ore torturandosi con la domanda: Chissà cosa deve aver pensato prima di morire. Per loro fortuna non l’avrebbero mai saputo. “Presto mi conoscerò finalmente, presto, con Sid mi sentirò…Gioia.”

  
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