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Autore: Nene_chan    08/02/2012    1 recensioni
Storia nuova! :3 Non ricordo bene la causa della sua nascita nella mia mente, ma l'importante è che sia scritta!
Mi piace il fantasy perciò rimane sempre il genere fondamentale in quasi tutto ciò che scrivo.
Spero vi piaccia, intanto però accontentatevi di leggerla così... presto (spero) metterò anche qualche dettaglio in più sui personaggi principali.
- Saiph, ne sei sicuro? Vuoi davvero che ti marchi? - gli domandò in un soffio appena, sperando per l’ultima volta che desistesse.
- Non mi tirerò indietro. - le rispose lui, in tono altrettanto sommesso.

Buona lettura!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Premessa:
Esiste, nel mondo odierno, un luogo in cui accadono cose strane e il tempo pare essersi fermato in un’epoca indeterminata tra il Medioevo e il Rinascimento: un isola nel mezzo dell’oceano: Ghost Island.
Grande tanto da ospitare un intero Regno, senza re, con conti e contesse che aspirano al trono e un sacerdote ipocrita che potrà incoronarlo.
Quest’isola è raggiungibile solo da chi lo desidera davvero, da chi si sente fuori posto nel mondo attuale che si sta popolando di metropoli sempre più vaste e per chi, invece, è
speciale. Non giudicate chi la vive perché, inavvertitamente, potreste richiamare la morte e le tenebre eterne.

- Canie. -
Aprì piano gli occhi che, lucenti, brillarono nel buio della sala sotterranea.
- Che c’è? - chiese spostandoli lentamente verso il punto in cui si trovava il suo prediletto che parlava con voce debole.
- L’hanno preso. - disse piano, intimorito dal suo sguardo, mentre lei, sorrise nell’ombra, scoprendo i canini affilati.
- Bene, assicurati che riceva la giusta accoglienza. Ma lasciatelo a me. - gli raccomandò, leccandosi le labbra.
- Ovviamente, mia signora. - quando fece per chinare il capo ed andarsene, però, lei lo fermò con un gesto impercettibile.
- Saiph, aspetta. Vieni qui. - gli disse, chiamandolo con la mano tesa in avanti. Lui si avvicinò con cautela. La sua padrona non lo chiamava mai vicino a sé, le regole che si erano posti erano chiarissime: durante la loro occpupazione notturna, niente contatti privilegiati. - Avvicinati, stupido. Qui. - continuò a incitarlo così finchè lui non le fu accanto.
- Canie… -
- Zitto e chinati. - lui obbedì, ben consapevole che non avrebbe mai dovuto osare. Le labbra della ragazza si posarono leggere sulle sue in un bacio delicato che, tuttavia, lui sciolse subito, arretrando di qualche passo, intimorito.
- Canie. Canie, che fate? Voi… voi non… - balbettò continuando ad allontanarsi, fino a che non inciampò in un basso cesto di vimini in cui erano tenute le corde, accanto a una delle colonne che sorreggevano il soffitto. Cadde sul pavimento di schiena, un po’ stordito.
- Saiph! - si spaventò subito lei, apprensiva come sempre nei confronti del suo schiavo. Alzandosi dal suo scranno in legno pregiato gli si avvicinò e, inginocchiandosi a terra vicino a lui, lo prese per i gomiti tentando di alzarlo. Ma lui si divincolò di nuovo.
- P-Perché? Perché l’avete fatto? - le domandò allarmato con voce tremante.
- Ti ho donato un portafortuna. Ti servirà per il rito di domani sera e per il resto della tua vita. - gli rispose lapidaria, davanti alla sua reazione che le parve inutilmente esagerata. - Ed ora, vattene. - aggiunse. Era vagamente delusa, ma non lo lasciò trasparire.
Il giovane si alzò e se ne andò svelto senza voltarsi indietro, mentre lei, nel buio denso della sala, si domandò perché aveva deciso di baciarlo.

Il sole tiepido di metà mattino già innondava la stanza, quando udì bussare piano.
- Entra. - disse a colui in attesa dall’altra parte con voce assonnata e pigra. La porta si schiuse lentamente, poi la sua testa apparve nella stanza a osservare Carnis. Quando la vide muoversi, entrò. Indossava la solita casacca nera di cotone, stretta appena in vita da una sottile fascia rossa. I capelli neri gli ricadevano, lunghi e lisci, fino alle scapole e aprendosi come l’acqua di una cascata lasciavano intravedere il viso pallido sul quale spiccavano due occhi un po’ allungati azzurro intenso. Notò che teneva tra le braccia un abito che, come accadeva puntualmente, l’aiutava ad indossare prima di andare a colazione.
- Sieta già sveglia questa mattina? - le domandò, abbassando gli occhi. Lei percepì perfettamente la circostanza di quella frase. Evidentemente non sapeva bene che cosa fare: si muoveva nervoso ancora sulla soglia, indeciso sul da farsi. Lo poteva capire, nemmeno lei sapeva bene come comportarsi dopo quello che aveva fatto la notte precedente, ma scelse l’indifferenza dopo appena qualche secondo di riflessione.
- Non avevo sonno. - rispose semplicemente, facendogli cenno di avvicinarsi per poi tirarsi a sedere sul grande letto che un tempo le fecero costruire i suoi genitori. Il ragazzo si avvicinò con cautela al capezzale, mentre la sua padrona si alzava, dirigendosi verso la sala adiacente alla sua stanza da letto. Là vi troneggiava un tinozza già riempita di acqua calda che rilasciava vapori nell’ambiente. Mentre la figura della ragazza avvolta nella sua consueta camicia da notte estiva scompariva oltre la porta, chiudendosela alle spalle, Saiph tirò un sospiro di sollievo. Adagiò il vestito sul letto e si lasciò cadere a sua volta su di esso.

Quando Carnis, avvolta in un’ampia vestaglia di stoffa spessa, aprì nuovamente la porta del bagno, dopo qualche tempo, ritrovò il suo schiavo addormentato sul letto, accanto al proprio abito accuratamente disteso. Sorrise dolcemente a quella vista, sentendosi tuttavia un po’ colpevole. Il ragazzo non doveva aver dormito molto la notte scorsa e probabilmente era colpa sua.
Avvicinandosi in punta di piedi per non destarlo dal sonno leggero, si sedette con cautela al suo fianco e rimase ad osservarlo per qualche attimo. Così assopito, rannicchiato a farsi piccolo piccolo e con un espressione beata in volto, appariva come un angelo ai suoi occhi: l’angelo custode cui gli dei l’avevano affidata. Quando gli fiorò la guancia però, sussultando si mise di colpo a sedere.
- Saiph, buono, buono! Sono io. Va tutto bene. - gli sorrise. Il ragazzo abbassò gli occhi a guardarsi le mani che teneva in grembo.
- Scusate, mia signora. Non ho dormito, la scorsa notte. - si scusò. - Sono mortificato, non accadrà più. -
- Ma che stai dicendo? Può succedere. - gli mormorò lei, comprensiva. Era sempre stata così, dolce e comprensiva nei suoi confronti. Ma la notte, da quando i suoi genitori e sua sorella erano scomparsi, mutava in tutt’altra persona: diventava la ragazza fredda e letale che suo padre avrebbe sempre voluto avere, inbattibile sul campo e spietata anche con i suoi sottoposti. Ma Saiph…
Durante il giorno, però, poteva permettersi di essere la fanciulla allegra e spensierata di un tempo, come avrebbe invece voluto sua madre.
Il moro ricambiò il suo sorriso, rilassandosi un poco. Poi, tornando serio sembrò riflettere appena.
- Mia signora, posso farvi una domanda? -
- Ma certo! -
- Perché l’avete fatto, ieri sera? Che senso ha avuto? - sussurrò con un tono così tormentato che lei non se la sentì di raccontargli qualche frottola inventata sul momento.
- Io… ecco, non lo so. Perdonami, mi è venuto spontaneo. -
- Io rimarrò il vostro schiavo e voi rimarrete sempre la mia padrona. - le disse sconsolato, con un tono che non permetteva ulteriori commenti. Quindi Carnis non ebbe alternativa che arrossire lievemente ed abbassare il capo.
- Coraggio! Vi devo preparare per la colazione! - esordì lui dopo qualche istante di silenzio imbarazzato, battendosi le mani sulle cosce ed allargando i lacci del corsetto in morbido tessuto. Gli fu grata per il cambio di discorso e, mettendosi in piedi, lasciò cadere la vestaglia e gli permise di vestirla.

≈   ● ◦ ● ◦ ● ◦ ●   ≈


La notte arrivò veloce, incalzata dal precoce apparire della luna, ma prima che potessero sorgere le stelle, quando tutto sommato era ancora giovane, Saiph bussò di nuovo alla porta della sua padrona. Che si limitò a mugugnare qualcosa, dicendogli d’entrare.
Quando apparve, Carnis, che si stava vestendo per l’investitura ufficiale del suo servo, si bloccò, senza parole. Non sembrava il solito di sempre: i capelli erano legati in una morbida coda che li lasciava pendere ancora ai lati del viso, la casacca era diventata di pelle, attillata e senza maniche e i calzoni di stoffa erano stati sostituiti da calzoni anch’essi di pelle. Così, rigorosamente vestito di nero, fatta unica eccezione per gli stivali marrone scuro, appariva quasi più alto e magro di quel che già era. Lo notò torturarsi le mani, nervoso per l’incarico che stava per assumere.
- Saiph… sei perfetto. - gli sussurrò, con un sorriso teso. Lui, forse per ingannare la snervante attesa, si concesse una breve battuta ironica.
- Non posso dire altrettanto di voi, mia signora. - indicò i suoi abiti, il corpetto allacciato malamente. - Vi aiuto, aspettate. - la rassicurò, avvicinandosi e togliendole pazientemente l’abito con tutti i lacci e i nastri che possedeva. E metre lasciava lavorare le sue mani che, veloci, sapevano perfettamente quale laccio prendere e in che asola infilarlo, si rese conto per la prima volta di quanto lui fosse essenziale per lei anche nelle cose più sciocche.
Quando ebbe finito, si spostò davanti al grande specchio posizionato da sempre nell’angolo della sua stanza più lontana dal letto. La ragazza che vi figurava non sembrava lei: portava un vestito di fattura estremamente semplice, nero, che scendeva morbido sul corpo, posizionato sui fianchi un corpetto di pelle anch’essa nera, con lacci da entrambi i lati e nastri decorativi sulla parte anteriore, le maniche di pizzo le avvolgevano le braccia delicatamente e i capelli –che per quell’occasione si era fatta cresciere– erano acconciati in una treccia rigorosa che aveva spostato di lato facendola scendere sul petto fino al seno.
Alzando lo sguardo all’ampia vetrata che illuminava la camera, vide le stelle fare capolino timidamente e la vide: la stella senza nome che la vegliava sempre, giorno e notte, estate e inverno. Era sempre lì, serena e splendente a osservarla da lassù.
- È l’ora. - disse voltandosi e aprendo la porta. Fece un gesto appena e il ragazzo la precedette per i lunghi corridoi del palazzo, scendendo le scale strette e fino nei sotterranei umidi. La prima parte della cerimonia d’investitura si sarebbe tenuta lì, la seconda, meno solenne, al lago davanti alla corte.
I sotterranei del palazzo erano costituiti da grandi sale adiacenti, la più grande, però, è quella che avrebbero usato. Misurava all’incirca un centinaio di braccia su i quattro lati, sulla parete di fondo, era appoggiato uno scranno di legno, uno più basso alla sua sinistra. Il resto della stanza era stata allestita con un apio tappeto rosso scuro che andava dalla porta al tronetto, al centro un tavolo tondo con un coltello e una ciotolina con della tintura scura: ciò che serviva a marchiare. Petali di rosa galleggiavano in una tinozza sul lato adiacente alla porta, insieme ad altre rose ancora fiorite. La sala era già gremita.
Carnis, sparì e riapparì seduta sul trono, con un’azione naturale come respirare. Saiph continuò il suo cammino, arrestandosi al lato del tino e volgendosi in ginocchio a lei, che, camminando rapidamente attraversò l’intera sala. Non le piacevano le cerimonie con presenze tanto numerose, per questo le faceva sempre in modo che fossero sbrigative. Si muoveva senza prestare attenzione ad essere aggrazziata, eppure lo appariva comunque, avvolta nel cotone dell’abito. Il ragazzo si alzò in piedi, senza guardarla.
- Saiph, ne sei sicuro? Vuoi davvero che ti marchi? - gli domandò in un soffio appena, sperando per l’ultima volta che desistesse.
- Non mi tirerò indietro. - le rispose lui, in tono altrettanto sommesso. E lei, nella sua mente, maledisse ancora una volta il sacerdote che li aveva costretti a questo pur di denudare le sue cattiverie e i suoi inganni mascherati da buone azioni.
Prese la ciotola e intinse al punta dell’indice nella tintura nera e, con precisione, vi disegnò il simbolo della casata dei Casterwille che era diventato anche il simbolo di quella loro strana organizzazione: una prima riga orrizzontale che si mutò e andò delineandosi in una stella stilizzata a cinque punte, la quinta all’ingiù; un cerchio a racchiuderla e quattro triangoli sul suo contorno destro, con la base rivolta alla circonferenza, sull’altro lato, tre di dimensioni appena maggiori. Dove rimaneva lo spazio tra le due file, partivano due riccioli, il primo dava verso l’alto e si arricciava a destra, quello che dava all’ingiù, si sbilanciava a sinistra.
Con la velocità di chi voleva far terminare qualcosa al più presto, afferrò il coltello e passo la lama sulla pelle chiara dello schiavo nel pentagono al centro della stella, graffiandola appena, ma abbastanza perché potesse uscire un rivolo di sangue sul quale lei premette subito il palmo della mano, recitando una cupa litania. Quando la terminò e sollevò il palmo, la tintura era secca e, fino al contro incantesimo, indelebile. Con un muto sospiro, si sciacquò la mano nell’acqua e subito dopo , con le mani a coppa, la versò sulla spalla di Saiph fino a cancellare la precendente presenza di sangue che, dalla ferita già cicatrizzata non sgorgava più. Con ciò, la prima parte della cerimonia era finita.
- Diamo il benvenuto a un nuovo membro nella lotta contro le ingiustizie vestite a fede: Saiph. - proclamò fingendo entusiasmo. L’assemblea proruppe in un applauso fragoroso e lei attese semplicemente che cessasse, cosa che, dopo appena qualche istante successe, gradualmente, come accade con gli applausi di gruppo. Allora ne aproffittò e si avviò alla porta dove, fermandosi, si rivolse ancora alle persone accalcate lì dentro:
- Ritiratevi pure, auguro di passare una buona notte a tutti voi. - detto questo, uscì seguita da Saiph che doveva completare l’ultima parte della celebrazione della sua investitura.
- Canie, - la chiamò subito lui. - perchè avete fatto ritirare la gente? Non dovrebbero venire tutti anche al lago? -
- Voglio che non ci sia nessuno a parte noi. -
- Non è giusto, volevo una cerimonia normale. -
- Volevi che tutta quella gente ti vedesse nudo? - lo stuzzicò, sapendo già d’avergli fatto un grande favore.
- Uhm… ecco… - arrossì, raggiungendola e camminandole a fianco. - …ehm, perché lo fate? -
- Perché tu sei il mio stupido schiavo e decido io chi deve vedere il tuo corpo. -
- Sicura? Nient’altro? -
- Cosa vorresti sentirti dire? Che ti voglio tutto per me? Ebbene, ti voglio tutto per me. -
- No, non intendevo questo. - si rabbuiò, non apprezzando l’ironia. - Volevo sapere… no, niente. Lasciate stare, va bene? - le rispose, accelerando il passo. Lei rise piano, aggrappandosi al suo braccio.
- Se lascio perdere potrò ammirarti? - gli chiese, le gote più rosee, continuando a ridere.
- Siete voi a decidere, no, Canie? -
- Volevo solo scherzare! Non prendertela. - si lamentò, fingendo d’essere arrabbiata. Quando era sola con lui, quando stava così… non poteva evitare di essere allegra, né di comportarsi un po’ come una bambina. Era più forte di lei.
- Carnis, non siete spiritosa. - le rispose ancora, voltandosi dall’altra parte e facendo scivolare via il braccio dalla sua presa. Era una delle poche volte che la chiamava per nome.
- Oh, Saiph, su! Che ho detto? - allargò le braccia.
- Niente di male, accidenti! -
- E allora che ti prende? - lui si voltò per guardarla, torvo. Alla luce della luna le parve veramente l’essere spietato che, d’ora in poi, la notte avrebbe dovuto diventare e per un momento ne ebbe paura. Il ragazzo intanto, si era fermato e, continuando a guardarla, si tolse la casacca e la lanciò a terra. Non riusciva a staccare gli occhi da quel corpo così pallido da sembrare diafano, non lo fece nemmeno quando accennò a togliersi i calzoni di pelle. Rimase seplicemente così, attendendo una risposta che ancora non arrivava.
Dovette aspettare che il servo finisse di spogliarsi e, quando fu nudo davanti a lei, parlò.
- Ecco, che mi prende. - le disse avvicinandosi a lei. - A voi non sta battendo? - le chiese, poggiandole una mano sul cuore.
- C-Che stai dicendo? - gli domandò, guardandolo senza capire. Mentre lui, per la prima volta, si rendeva conto che la sua padrona non era più una bambina. Lei, Cranis, era una donna. Ora la percepiva come tale. E questo lo addolorò profondamente.
- Sapete cosa sto dicendo. -
- No… non capisco. - fece un passo indietro, sottraendosi al suo tocco.
- Non siamo più bambini. Voi setei diventata una donna… - sospirò, lasciando scorrere lo sguardo sul suo corpo, stretto nella pelle e nel cotone che accentuavano le sue forme. - Non avete pensato che avrebbe potuto essere pericoloso rimanere soli in una situazione tale? -
- Che vai blaterando, Saiph? - gli chiese ancora, disorientata da tutto il suo discorso e con la paura di sapere già dove volesse arrivare. Lui sbuffò, esausto del tentativo di farle capire ciò che pensava senza usare torminologie forti e girandoci attorno.
- L-lasciate stare. - mormorò infine, avviandosi verso le acque fredde del lago per nascondere tutto il suo imbarazzo. Si immerse piano, prima i piedi, poi man mano  avanzava, fino alle spalle e, finalmente, si tuffò.

≈   ● ◦ ● ◦ ● ◦ ●   ≈


Quando riemerse, guardandosi attorno non scorse altro che alberi e muta oscurità. Non era più lì: Carnis se ne era andata. Rimase a domandarsene la ragione immerso nelle acque fredde fino a quando non percepì i muscoli intorpidirsi e solo allora decise di uscire e rimettersi i vestiti.
Ancora un poco gocciolante, entrò nel castello dove regnava la quiete più assoluta. Salì fino al secondo piano e, lentamente, dischiuse la porta della camera della sua padrona. Giaceva prona sul letto, scossa da lievi sussulti. Lui seppe che stava piangendo, l’aveva vista poche volte e si era ben impresso nella mente il suo modo di voler nascondere lacrime e singhiozzi. Le si avvicinò poggiando lentamente i piedi sul pavimento lucido, cercando di fare meno rumore possibile e, quando arrivò al suo capezzale, allungò una mano, già asciutta, e le accarezzò i capelli leggermente. Appena lei sentì il suo tocco, gli farfugliò inutilmente di andarsene. Saiph continuò ad accarezzarla, anche mentre lei cercava di spingergli via la mano.
- Canie… - si lamentò quando lei, come ultima alternativa, iniziò a spingergli sul ventre con i piedi in modo che si allontanasse, continuando a ripetere “vattene”.
- Vattene, accidenti! Va’ via, stupido schiavo! - gli urlò alla fine, stanca della sua tenacia, tirandosi a sedere di colpo. Lui la strinse in un abbraccio, premendo la sua testa contro il proprio petto.
- Perché ve ne siete andata? - le domandò con una voce che la fece fremere per un istante, colma di una disperazione che non avrebbe mai pensato potesse avere, proveniente da un angolo del cuore che nessuno aveva mai esplorato.
Senza dire nulla, Carnis strinse tra le dita la pelle morbida della casacca, facendola gemere appena, mentre le lacrime iniziavano a scorrere lungo la superficie impermeabile e scendevano giù, a bagnare le lenzuola.
- Saiph… Saiph… - mormorò tra i singhiozzi. - E tu perché mi hia messa in difficoltà? -
- Non volevo… scusatemi. Era solo… preoccupazione. -
- E di cosa ti preoccupi? Che sciocchezza… -
- Non è una sciocchezza. Non avete mai pensato che qualcuno potrebbe farvi del male? -
- Saprei come difendermi. -
- Da me, ad esempio, non vi difendereste mai. -
- Cosa..? Dove vuoi arrivare? - gli domandò staccandosi da lui e guardandolo seria.
- Se mi venisse in mente di farvi del male, voi non vi difendereste mai pur di non farne a me. Dovreste temere per la vostra incolumità, dunque. -
- Tu non mi faresti mai nulla. Non sei un melintenzionato. -
- Ce ne sono molti, però. Spero abbiate capito dove voglio arrivare. -
- No. - replicò dopo un attimo di silenzio.
- Maledizione… - sospirò lui passandosi una mano sulla fronte. - Va bene, seguitemi. - trasse un profondo respiro per iniziare a parlare. - Non voglio che vi facciano del male. Nessuno si deve permettere. Ora… d’ora in poi potrò seguirvi davvero ovunque, quindi vi prego: non andatevene mai senza di me. - le disse, prendendole il viso tra le mani.
- E questo che c’entra? N-non è collegato a quello che mi hai detto al… al lago. -
- Sì invece, sciocca padrona. Io… sono lieto non abbiate pensato che potessi in qualche modo aprofittare di voi, mia signora. - le sorrise, arrossendo un po’.
Non avrebbe mai pensato di arrivare al punto di doverle parlare di queste cose un giorno, ma purtroppo, la sua padrona non aveva più nessuno che potesse spiegarle cose del genere. Solitamente è la madre a spiegarle alla figlia che diventa donna, ma… quando la madre viene a mancare? Nel caso di Carnis era toccato a lui.
Piano, posò ancora le labbra su quelle del ragazzo che, di nuovo, arretrò allarmato mettendosi una mano sulla bocca.
- Idiota, vieni qui. - gli ordinò lei, puntando con un dito un punto indefinito accanto a sé e, con l’altra mano, ascigandosi le lacrime di poco prima.
Saiph fece un timido passo poi, mandando al diavolo tutte le regole tra padrone e servitore, si posizionò dove la ragazza indicava. Lei sorrise soddisfatta e trionfante.
Facendogli un semplice cenno con la mano lo fece chinare in sua direzione e le loro labbra si incontrarono di nuovo, questa volta indisturbate, si sfiorarono con dolcezza.
- Mia signora, è sbagliato, lo sapete. - sussurrò contro le sue labbra per sfiorarle di nuovo.
- Lo so, stupido schiavo. - sorrise lei.

  
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