Autore:
Only_
Titolo della fic: Il sangue, il cuore, il coraggio
Tipologia della fic: One-shot
Personaggi principali: Pansy Parkinson; Neville Paciock
Genere:
introspettivo
Avvertimenti: Missing
Moment
Rating: verde
Introduzione: “Pansy Parkinson era fiera di essere una
Purosangue; era sempre stata orgogliosa del suo sangue immacolato e
completamente magico, nonostante sin da bambina avesse assistito a
episodi duri
e torture sanguinosa che si svolgevano all’interno della sua
casa.”
Il
sangue, il cuore, il coraggio
Pansy
Parkinson era fiera di essere una Purosangue: era sempre stata
orgogliosa del
suo sangue immacolato e completamente magico, nonostante sin da bambina
avesse
assistito a episodi duri e torture sanguinosa che si svolgevano
all’interno
della sua casa. I Parkinson erano una delle famiglie da sempre agli
ordini
dell’Oscuro Signore, spesso la loro dimora era stata scelta
come rifugio dagli
altri Mangiamorte; solo negli ultimi anni, dopo la risurrezione di
Voldemort,
la roccaforte dei suoi seguaci era stata fissata a Villa Malfoy.
Pansy
era davvero convinta che ciò che le scorreva nelle vene
valesse più di quello
dei Nati Babbani, più di quello dei Mezzosangue: dopotutto,
chi mai
preferirebbe una cosa sporca e contaminata ad una completamente linda e
pura?
Nonostante
questo, Pansy non credeva giusto che le persone che considerava
inferiori fossero
torturate in quel modo. Disapprovava il regime del terrore
dell’Oscuro Signore
e dei suoi fedeli, ma era ben lontana dall’esporsi in prima
persona contro quella
tirannia.
Considerava
sciocco chiunque si schierasse contro i Carrow; tutti i Grifondoro che
l’avevano fatto erano stati piegati da Cruciatus e frustate,
tutti loro erano
stati stupidi.
Specialmente
quel folle di Paciock.
Negli
anni precedenti aveva disprezzato lui, prima di tutti gli altri,
perché
nonostante il suo sangue fosse puro lui era un completo incapace. Era
goffo,
ottuso, brutto, maldestro. Un inetto, che era buono solo a curar piante
e fiori
di dubbia provenienza.
Dopo
la presa di Hogwarts, dopo il suo ritorno nella scuola, era diventato
un altro.
Sfrontato,
insolente, aveva sfidato i Carrow e gli altri Mangiamorte a fronte
alta, a viso
scoperto, e più volte era stato per questo punito; ma
nonostante tutto,
nonostante le ferite e il dolore, aveva continuato a lottare.
Pansy
trovava irritante tutto quel coraggio, quel mettersi contro qualcosa
che si
reputava sbagliato, quella pazzia dell’opporsi apertamente ad
un sistema così
tanto più forte di lui.
Pansy
non era un’insensibile, come invece molti sostenevano.
Le
faceva male sentire tutte quelle urla di dolore, le faceva male vedere
tutti
quei visi deturpati da lividi e ferite. Solo che non aveva il coraggio
di
schierarsi dalla parte giusta, aveva troppa paura per farlo, aveva
paura di
sentire le proprie grida di
dolore,
di vedere il proprio viso
tumefatto
guardandosi allo specchio.
Quelli
che la additavano, che additavano lei e tutti quelli nella sua
condizione –
Draco, Theodore, Gregory, Vincent –, non capivano quanto
fosse difficile per
loro schierarsi manifestamente contro Voldemort. Voleva dire schierarsi
contro
le proprie famiglie, perdere tutto quello che si conosceva e che si
amava,
perdere l’affetto e la stima delle uniche persone a cui
tenevano. Pansy, come
tutti, non era nelle condizioni di fare una cosa simile; non aveva il coraggio di fare una cosa simile.
L’unica
cosa che poteva fare era disprezzare Paciock e tutti quelli come lui,
disprezzarli perché loro il coraggio di schierarsi contro il
regime l’avevano,
la possibilità di farlo l’avevano.
«Se
continui a pensare così intensamente ti uscirà
del fumo dalle orecchie,
Parkinson.»
Pansy
alzò gli occhi verso colui che le aveva parlato, incrociando
le iridi marroni
del ragazzo a cui stava pensando. Aggrottò le sopracciglia,
tirando le labbra
in una smorfia.
«Non
credo di averti mai dato il permesso di rivolgermi la parola,
Paciock», ribatté
acidamente socchiudendo le iridi in un’espressione tagliente,
«perciò non
farlo.»
Inaspettatamente,
il volto gonfio e pieno di ferite di Neville si aprì in un
ampio sorriso.
«Puoi
anche toglierti quella maschera da racchia inacidita, Parkinson, non me
la dai
a bere. I tuoi occhi sono troppo espressivi, non sei insensibile a
ciò che ti
sta intorno come vorresti far credere a tutti,»
proferì, con un tono pieno di
compassione; poi, senza aggiungere altro, si voltò e se ne
andò.
E
solo quando fu sicura di essere rimasta sola, in quel corridoio
secondario in
cui nessuno mai passava, la ragazza si lasciò andare ad un
pianto silenzioso,
pieno di commiserazione e paura, rabbia e dolore.