"E' UNA PROMESSA"
"E
così, questa sarebbe la tua giustificazione?"
Mr. Clapp, il mio insegnante di educazione fisica, mi squadrava arcigno
dall'alto del suo metro e ottantacinque. Teneva in mano il foglietto che io
avevo diligentemente preparato la sera prima, eppure appariva scettico.
Molto scettico.
Nonostante le bugie che avevo imparato a raccontare negli ultimi mesi, non ero
ancora del tutto capace di mentire candidamente come avrei voluto.
Come avrei dovuto, in primo luogo.
Scostai una ciocca di capelli per metterla dietro l'orecchio. Cercai di guardare
il professore in viso il meno possibile, per non farlo insospettire più di
quanto già non fosse.
Maledizione.
"Ehm, sì, esatto"
Lui sembrò valutare per un momento la mia risposta, poi rilesse di nuovo il
foglietto che teneva con entrambe le mani. Dio, ma quanto ci vuole a leggere una
stupida giustificazione?
Mi sembrava di essere stata piuttosto brava a dissimulare la firma di Charlie.
E, credetemi, ce ne vuole di impegno per falsificare la firma di Charlie.
"Quindi" riprese Mr.Clapp senza troppa convinzione "per colpa di una piccola
ferita al braccio non potrai seguire le mie lezioni per un'intera settimana?"
Mio malgrado, formulai un'esclamazione di gioia nella mia mente molto
somigliante a un "Olè!"
"Già"
Cercai di mantenere il braccio sinistro il più rigido possibile... doveva
sembrare una ferita abbastanza grave da non farmi seguire educazione fisica, ma
non tanto grave da necessitare di una fasciatura... Forse non sarei mai
diventata un'attrice nella vita. Di sicuro, entrare nel mondo dello spettacolo
non era la mia priorità numero uno, al momento.
Speravo vivamente che quella tortura terminasse al più presto, e soprattutto che
non mi chiedesse di mostrargli alcun certificato medico.
Edward mi aveva assicurato che non l'avrebbe fatto, ma come potevo esserne
sicura? E non potevo certo andare da un medico chiedendogli un certificato
per... per cosa? Per la ferita-che-non-c'è?
Mentre un pallone sorvolava la mia testa seguendo una traiettoria non proprio
sicura, Mr.Clapp si schiarì la gola.
"D'accordo"
D'accordo.
D'accordo, aveva detto.
D'accordo??
D'ACCORDO??
Non potevo crederci, c'era cascato.
Nella mia immaginazione mi vidi ballare la samba circondata da un coro di
"D'accordo!".
Ovviamente, io che ballavo era una cosa concepibile solo nell'immaginazione,
vista la scarsa abilità del prodotto reale.
Dopo che la mia incredulità mista a gioia lasciò spazio a un pò di coscienza,
salutai Mr.Clapp e mi fiondai fuori dalla palestra evitando i palloni che
venivano lanciati da parte a parte dagli studenti, forse con un pò troppo
entusiasmo.
+*+*+*+*+*+*+*+*+*+
Uscii nell'aria umida tipica di Forks, alzando il colletto della maglia. Per
quel giorno risparmiai di maledire il freddo, che era comunque presente
nonostante s'intravedesse qualche vago raggio di sole, il massimo che potevo
pretendere da Forks, ma il mio piccolo alone di felicità mi impediva di farci
caso.
E così, era fatta.
Personalmente, ogni singolo secondo che potevo passare in più con
lui era causa di felicità.
E non me ne pentivo, tutt'altro.
Nelle ultime settimane mi ero accorta che dieci ore al giorno insieme non mi
bastavano.
Le lezioni che seguivamo assieme erano poche, con mio grande rammarico.
Perciò avevamo concordato una "strategia", come la chiamava Edward, "imbroglio",
come lo chiamavo io, per stare assieme qualche ora in più. Il fatto che questo
coinvolgesse le mie lezioni di educazione fisica,
non era assolutamente una casualità, ed
ero pronta ad ammetterlo.
Ma mentre a Edward era bastato presentare una giustificazione con la sua
calligrafia pressochè perfetta all'insegnante di chimica, io, non ancora
maggiorenne, ero stata costretta a falsificare quella di mio padre.
Entrai nel parcheggio della scuola, ed eccolo lì, in tutto il suo splendore.
Se ne stava appoggiato di schiena alla Volvo metalizzata, i capelli bronzei al
vento, la pelle diafana, il volto dai lineamenti regolari, un fisico statuario
che avrebbe potuto far girare la testa a qualunque essere umano di sesso
femminile nel raggio di un chilometro.
Portava dei jeans scuri, quasi neri e un pò scoloriti. Addosso a un ragazzo
qualunque, sarebbero stati dei semplici jeans. Ma addosso a lui diventavano
eleganti, gli conferivano un'aria da ragazzo senza però privarlo del suo tipico
fascino composto.
Sui jeans, una camicia chiara sbottonata sul collo e una giacca nera per
ripararsi da un freddo che non poteva percepire.
Mi avvicinai alla Volvo, cercando di non inciampare abbagliata da tutta quella
perfezione.
Lui alzò i suoi occhi mielati e mi scrutò per qualche istante.
Poi sorrise, uno di quei sorrisi da "te-lo-avevo-detto", beffardo e sicuro di sè.
Un sorriso così incredibilmente e
incondizionatamente sexy.
"Bentornata", mi disse.
La sua voce dolce e ironica mi risvegliò dal temporaneo torpore causato dalla
sua presenza. Sorrisi con un pò più di convinzione.
Lui avanzò verso di me di qualche passo fino ad avvicinare le labbra fredde al
mio viso. Tempo due secondi e sarei andata in iperventilazione, ne ero certa.
Sfiorò delicatamente la mia guancia sinistra, mentre il suo respiro fresco mi
accarezzava il viso...
Non si allontanò da me, ma restammo abbracciati lì, accanto alla sua Volvo e
alla portata degli sguardi di tutti. Le sue mani scesero ad accarezzarmi la
schiena, poi posò di nuovo il suo sguardo su di me.
"Allora, com'è andata?"
Cercai di mantenere il controllo. "E' andata" sospirai.
Mi studiò per qualche secondo.
"Te l'avevo detto che non c'era nulla di cui preoccuparsi"
"Sì, bè, hai avuto ragione anche questa volta, Mr.Sapientone". Sorrisi dandogli
un pugno scherzoso sul petto scolpito.
Fece una risatina, poi mi prese per mano e mi fece entrare nella sua auto.
Mentre saliva dalla parte del passeggero gli dissi:
"Ma cosa stai facendo?"
"Vedrai"
Accese il motore che con un rombo partì lasciandosi alle spalle un alone di gas.
Percorse mezzo perimetro della scuola e imboccò una via che non avevo mai visto.
Osservando la vegetazione che a mano a mano si addensava capii perchè mi era
nuovo, quel posto.
"Siamo nella parte posteriore del cortile". Non ci ero mai stata.
"Ehi, che occhio", mi apostrofò sarcastico.
Gli feci una linguaccia cercando di resistere a tutto quel fascino sfacciato.
"Ma non ci è concesso uscire dal limite della scuola, lo sai. Neanche nelle ore
di permesso"
Lui intercettò il mio sguardo nello specchietto. Le iridi calde dai riflessi
ambrati mi trafissero.
"Ascoltami, Bella. Ti fidi di me?"
Deglutii a fatica. Non me l'aveva mai chiesto prima. O, perlomeno, non così
apertamente.
"Ce-certo" sussurrai balbettando, ma sicura di ciò che dicevo.
"Bene. Allora fidati"
Durante la nostra breve chiacchierata non avevo notato il panorama attorno a
noi, che adesso era quello dell'autostrada. Sfrecciavamo a una velocità infinita
tra le auto, ma Edward teneva sicuro il volante.
Non avevo la più pallida idea di dove volesse portarmi.
Per quanto mi riguardava, poteva portarmi anche in capo al mondo, se ero con
lui.
"Allora sei riuscito ad ottenere il permesso?"
Mi osservò con le sopracciglia inarcate, poi la sua espressione fu sostituita da
un sorriso sicuro.
"Ovvio. Sono maggiorenne, io". Il suo
tono era ironico.
"Già," sospirai "immagino che non ci sia voluto poi molto per la signorina
Johnson a darti il permesso. Visto l'effetto che le fai. Visto l'effetto che fai
a tutte le ragazze di quella scuola"
Solo dopo aver parlato mi accorsi di quello che avevo detto. Ops. Troppo tardi,
Bella.
Edward non rispose subito, continuò a mantenere la velocità costante. Poi
imboccò un'uscita dell'autostrada e percorse qualche metro su una via isolata,
fino ad inoltrarsi in una strada sterrata costeggiata da una folta chioma di
alberi. Dovevamo aver percorso come minimo qualche chilometro, pensai. Arrivammo
ad un punto morto in cui la strada tutt'altro che lineare raggiungeva il
capolinea.
Edward spense il motore e sollevò il viso, senza guardarmi, un'espressione seria
sul viso d'avorio.
"Credimi, Bella" disse, riprendendo le mie ultime parole "sei l'unica che vorrei
mai sedurre. Te e nessun'altra. Non m'importa di quelle ragazze, non m'importa
di nessuna di loro. Sei l'unica persona che abbia mai amato sul serio. E non mi
rendo conto dell'effetto che faccio alle altre perchè... semplicemente perchè
non m'importa"
Sbattei le palpebre un paio di volte, mentre cercavo di contenere l'emozione che
quelle parole avevano suscitato in me.
"Ti credo" sussurrai.
Lui mi mostrò ancora quel sorriso sghembo da capogiro, poi mi fece scendere
dalla Volvo.
Prese la mia mano e oltrepassammo un arco che gli alberi formavano con i loro
rami. Non mi ero accorta che ci fosse un'uscita, ma di certo lì la Volvo non
avrebbe mai potuto passare, vista la scarsità di spazio a disposizione.
"Allora, me lo dici dove siamo diretti?"
"E' una sorpresa"
Cercavo di non inciampare nella moltitudine di radici sul terreno, ma la sua
mano stringeva salda la mia.
Dopo qualche secondo, ecco riemergerci alla luce.
E...
Rimasi letteralmente pietrificata
davanti a tanto splendore.
Il mare si stendeva davanti a noi, baciato da quei pochi raggi di sole che
filtravano attraverso la coltre di nuvole addensatasi in cielo.
Eravamo su un'altura, uno sperone ricoperto da soffice erba, circondato da una
mezzaluna di alberi, quella da cui eravamo appena emersi.
Era uno spettacolo stupefacente.
Se quello che avevo davanti era davvero il mare e non qualche fervido,
realistico prodotto della mia immaginazione, voleva dire che avevamo davvero
percorso parecchia strada... non eravamo più entro i confini di Forks.
Edward mi accompagnò al centro dell'altura, proprio di fronte la vista
dell'orizzonte. Ci sedemmo per terra, lui dietro di me e io con la testa
appoggiata al suo petto.
"E'... bellissimo" sussurai.
Lo sentii sorridere.
"Volevo condividerlo con te..." disse delicatamente, accarezzandomi una spalla
con un dito "Ti sembra banale?"
"No!" risposi, forse un pò troppo di fretta. "E' magnifico... dolce"
Restammo così, per un pò di tempo, a guardare il sole che a mano a mano
raggiungeva l'orizzonte.
Poi qualcosa mi tornò in mente.
"Edward... se siamo qui allora non siamo più a scuola" dissi "E, se non siamo
più a scuola, sbaglio o abbiamo contravvenuto a qualche regola che ci impedisce
di uscire nelle ore di permesso?"
Lui rise sommessamente, una risata lieve e melodiosa.
"Non siamo fuori dal confine della scuola. O perlomeno, non teoricamente" rise
di nuovo "Avrai notato che non c'era nessun limite che segnava la separazione
tra il cortile e l'uscita. Quindi è come se fossimo ancora entro i limiti della
scuola. Inoltre" aggiunse ironico "non vorrei che l'ispettore Swan pensasse che
ti ho rapita".
Mi trattenni dal confessargli che poteva anche farlo, per quanto mi riguardava.
"Perchè proprio il mare?" chiesi curiosa.
"Bè, pensavo che fosse bello... non ti piace?"
"No!" esclamai "Cioè, sì... è solo una curiosità. Tutto qui"
"Capisco. Bè, è uno dei pochi posti che conosco dove posso essere me stesso. E
poi pensavo che il sole ti mancasse. Qui ce n'è molto di più, rispetto a Forks,
e splende sul mare. Bè, splendere è una parola grossa" rise ammaliante "direi
che... illumina lievemente l'orizzonte".
Cercai di ricacciare indietro le lacrime.
Cosa diavolo avevo fatto per meritare un angelo così?
"Grazie" riuscii a sussurrare con un groppo in gola.
Lui mi strinse ancora di più a sè, cullandomi e baciandomi i capelli.
Per il tempo restante osservammo il sole tramontare, accarezzati dal vento della
sera. Poi mi sembrò di riemergere da un sonno profondo.
Volevo chiederglielo.
Ma no, non potevo, non era il momento. Perchè rovinare quegli istanti così
perfetti?
Però sentivo un bisogno incessante, inspiegabile... Formulai le parole ancora
prima di pensarci.
"Perchè non vuoi che diventi come te?"
Ops. Troppo tardi.
Mi aspettavo un'espressione arrabbiata, o perlomeno severa.
Ma non si arrabbiò. Certo, non sorrise neppure. Divenne... serio.
Ed era malinconia quella che scorgevo nei suoi occhi?
"Bella... ne abbiamo già parlato"
"Non mi basta. Parliamone ora"
Cominciava ad esasperarsi, e lo sentivo.
"Cosa c'è da dire? Non ti ho portato fin qui per discutere di una cosa che non
accadrà mai"
"Perchè?" chesi, impaziente. Mi stavo addentrando in territorio minato, e lo
sapevo. Ma, in quel momento, il proverbio: "Hai voluto la bicicletta? Ora
pedala!" mi calzava a pennello. "Perchè non accadrà mai?"
"Perchè..." cominciò. Poi si interruppe e volse il viso dalla bellezza
stupefacente verso l'orizzonte. I riflessi del tramonto giocavano sulla sua
pelle che, a seconda dell'illuminazione del sole, splendeva di una luce
iridescente e cangiante.
Sospirò.
"Bella, non parliamone più, ti prego. Tu hai una vita tua, non è giusto buttarla
via solo perchè vuoi stare con me per sempre"
I miei occhi si riempirono inaspettatamente di lacrime.
"Edward, ma non capisci? Sei tu la mia
vita. Non m'importa di nulla, se non posso stare con te... e sai che un giorno
morirò. Prima o poi... accadrà"
Non parlò, anzi continuò a non guardarmi, immobile come una statua di marmo.
Quanto lo amavo. Non se ne rendeva conto?
Non capiva che potevo rinunciare a tutto, ma non a lui?
Poi feci una cosa inaspettata. Mi sollevai sulle ginocchia e presi il suo viso
tra le mani.
E, così velocemente da coglierlo alla sprovvista, lo
baciai.
Non era un bacio delicato. Ma un bacio forte, pieno di desiderio. Mi cinse la
vita con le braccia e schiuse leggermente le labbra.
Quando mi staccai avevo il fiato corto, le lacrime che mi rigavano le guance.
Sorrise asciugandomi il viso umido.
"Ti... ti prometto che un giorno lo farò"
"Farai cosa?" sussurrai. Non capivo cosa intendeva dire.
"Ti prometto che un giorno sarò degno del tuo amore"
"Lo sei già". Nessuno poteva essere più degno di lui, per me.
Scosse il capo sorridendo.
"No, non lo sono. Ma... ti prometto che un giorno lo sarò"
Mi appoggiai intenerita e confusa al suo petto. Ma sorridevo.
"E' una promessa, eh?" lo avvertii, come per sancire un patto. E forse in
qualche modo lo era.
"E' una promessa" rispose.
Per degli istanti lontani dal tempo e dallo spazio mi persi nel dolce cullare
delle sue braccia, il pensiero rivolto ad una promessa sospesa tra presente e
futuro.