Vi ho lasciate con il capitolo del matrimonio,
tutto amore e felicità (o quasi).
Adesso riprendiamo con tutto il contrario, scusatemi davvero, vi ho fatte
avvicinare a Moe, imparando a “ volerle bene “…. Ma penso che in fondo in
fondo, anche voi sapevate che saremmo giunti qui.
Buona lettura.
Colonna sonora: Falling
– Yiruma http://www.youtube.com/watch?v=px9sM0C-hhQ&feature=related
Second Life
Capitolo XII - Falling
葵
–
Aoi
Morire
non sarebbe poi così male.
In
tutta la mia esistenza non ho mai evoluto un concetto simile, io Yuu Shiroyama,
che pensa di voler morire, assurdo.
Sono
stato fin dall’infanzia, un ragazzino vivace,
pieno di vita e allegro; quindi tutto ciò che era triste,
lo lasciavo fuori dalla mia vita, credo di essere stato fortunato fino ad ora.
Perché
è
di questo che si è trattato in realtà, al
contrario, pensavo che fosse il mio modo di propormi nella vita che faceva in
modo di non farmi soffrire; sciocco ecco cosa ero.
L’unica cosa
che mi permetteva di sentirmi felice, era solo la mancanza di una sofferenza
vera e propria.
Alzo
lo sguardo dall’album di fotografie, raccoglie le
migliaia di foto scattate durante il matrimonio e la luna di miele; che bei
giorni sono stati quelli, visitare l’Europa è stata un’esperienza
fantastica.
Tutti
i volti presenti in questi scatti sono sorridenti, raggianti e spensierati,
compreso il mio e quello di mia moglie.
Vorrei
tanto tornare a quei giorni.
Vorrei
veramente tanto, poter scrivere d’accapo la
trama della sua vita.
Vorrei
combattere il destino che c’è avverso e uscirne vincitore.
E
mi sento impotente, perché non posso esaudire nemmeno uno
di questi desideri; ho sempre combattuto per ciò che
volevo, raggiungere uno scopo non è sempre
facile, ma impegnandosi ci si riesce se davvero si vuole.
Davvero?
Ora non lo credo più.
Io
ora vorrei con tutte le mie forze poterla salvare, strapparla dalla morte che
ha allungato le dita scarnificate sulla sua flebile anima. Sarei disposto a
donare la mia vita per lei, non avrei nessun rimpianto, o ripensamento.
Invece
sono qui seduto su questa poltrona, il mio giaciglio da due settimane ormai,
senza poter far nient’altro che attendere.
Aspettare
che Moe si lasci andare, smettendo di combattere e allentare la sua ferrea
presa sulla vita.
Dovrei
sperare che muoia presto se davvero la amo, sta soffrendo moltissimo senza che
ci sia uno spiraglio di luce per lei. Tutto inutile quindi, sarebbe meglio per
lei che se ne andasse in un luogo migliore; un mondo di cui io non farò parte, ma
dove lei sarà finalmente libera dalla
sofferenza.
Invece
sono qui, sperando e pregando con tutte le mie forze che apra gli occhi, mi
sorrida e mi dica che mi ama; egoistico da parte mia, ne sono consapevole.
La
sua figura inerme, stesa nel letto della clinica dove è stata
ricoverata, è immobile, solo un leggero
movimento all’altezza del petto, respira e solo
questo, mi fa capire che è viva.
Chiudo
l’album
di fotografie e lo ripongo sopra il mobile al mio fianco, con la stessa mano
gli carezzo il braccio scoperto, quello, dove sono infilati gli aghi delle
flebo che la mantengono in forze.
Povera
amore mio, anima mia, lei così piena di vita, ridotta a non
potersi nemmeno alzare per andare in bagno.
Osservo
la sacca, dove sono raccolte le sue urine, tutto questo non è giusto.
« Yuu amore guarda! » la voce melodiosa ed
entusiasta di lei, gli fa battere il cuore.
Con il naso all’insù osserva la maestosa Torre
Eiffel, è
come quella a Tokyo ma Parigi la rende diversa, forse più romantica.
Lui sorride,
entusiasta come lei di essere lì
in viaggio di nozze, sono tanti i posti da visitare, ma hanno tutto il tempo
per farlo con calma. Niente corse, niente viaggi stressanti, dove non si vede l’ora di tornarsene a casa per
riposare.
Si avvicina di più a lei, ma solo dopo avergli
scattato almeno tre foto, quel sorriso da bambina la rende ancora più bella.
« ti piace amore? » anche se, per lui è la prima volta come per lei, non riesce a non guardare la sua amata, lei è mille volte più bella da osservare.
« è splendida, è proprio come quella da noi! » risponde entusiasta lei.
« sì, la nostra è leggermente più alta ma non si nota. Vuoi
vedere realmente cosa la rende diversa da quella di Tokyo? » chiede lui, senza smettere di
sorridere.
Da quando si sono sposati,
sembra che non riesca a fare altro, le sue labbra sono perennemente piegate all’insù.
« si » gli occhi di lei, dopo un
tempo che a lui sembrava un’eternità, tornano nei suoi.
Il contatto lo fa
sentire bene, completo e in pace con il mondo.
« andiamo allora » dice afferrandola per mano e
incamminandosi verso l’entrata
dell’ascensore.
Potrebbero salire
anche a piedi, ma le scale sono davvero tante e lui non vuole farla stancare più del dovuto.
Dopo aver pagato ciò che devono salgono su quell’ascensore che lascia la veduta
di tutta la città,
man mano che salgono, le persone e le macchine divengono sempre più piccole.
Il sole brilla alto
nel cielo, l’aria
è calda e molto diversa da
quella che sono abituati ad avere nella loro terra.
Arrivati in cima,
soffia una leggera brezza, ma la vista è
mozzafiato, tutta la città
si spande ai loro piedi, come ad attenderli.
I loro occhi
corrono da una parte all’altra
della veduta, i vari monumenti, le strade, le case e persino le auto sembrano
meravigliose da là
sopra.
« visto amore? » come al solito, lui non riesce
a non guardarla più
di qualche minuto.
Subito i suoi occhi
tornano a osservare l’espressione
disegnata sul volto della moglie, è
così bella da guardare che non farebbe
altro per il resto dei suoi giorni.
« Yuu è bellissimo, grazie » sussurra lei baciandogli le
labbra.
« non dire sciocchezze, perché mi ringrazi? » sorride lui carezzandogli la
schiena.
« perché senza di te, non avrei mai
visitato la Francia e tutti questi posti, mi sarei persa tantissime cose,
compreso l’amore
»
quelle parole sussurrate gli fanno dimenticare dove si trovavano, mentre la
guida, che non smette di spiegare le varie cose che i turisti devono sapere,
diviene un ricordo lontano; solo loro due così vicini al cielo da poterlo
toccare.
« mi chiedo come fai a lasciarmi
senza parole »
sorride lui, tenendola stretta a se.
Le labbra di lei si
stendono in un nuovo sorriso « perché sei sciocco »
« o sei tu, che sei davvero
troppo importante per me e te ne esci con queste cose che mi rendono felice
come non mai »
soggiunge lui.
« probabilmente anche quello » scoppia a ridere lei,
trascinando con sé
anche suo marito.
Non era raro, che
entrambi si soffermassero a guardare quelle fedi infilate ai loro anulari, erano
come se volessero avere la certezza che no, non era un sogno, il matrimonio.
È
tutto così
bello ed emozionante, l’amore
che li coinvolge così
potente, che nessuno dei due vuole pensare alla malattia che si nasconde dentro
di lei.
Quel sole, quei
profumi, il venticello fresco, la lingua francese, tutto fa in modo di
allontanare sempre di più
quella brutta malattia dalle loro vite.
« ti amo » sussurra lui, quasi a non
volersi far sentire da nessuno, quelle parole sono solo per la sua donna.
« ti amo anch’io amore mio, adesso e per
sempre »
risponde lei, alzandosi sulle punte dei piedi e baciando le labbra di lui.
« Yuu » una mano si poggia sulla
mia spalla, richiamando la mia attenzione.
Apro lentamente gli occhi, la
luce che prima entrava fioca dalla finestra, ora è notevolmente più forte;
credo di essermi addormentato e di aver sognato il viaggio di nozze, almeno una
piccola parte di quello che è stato.
Vedo il volto stanco di mia
suocera, anche lei come me sta facendo le ore piccole, anche stando in casa,
nessuno di noi riesce a riposare come si deve. Nessuno ne parla ed io ho
vietato anche ai miei amici di accennarvi, ma tutti stiamo aspettando quel
momento.
Moe è dimagrita tantissimo e
dalle analisi e le ultime TAC, i dottori non hanno avuto nessuna buona notizia,
il tumore è esploso e non c’è più nulla da fare se non la terapia del dolore.
« buongiorno, che ora è? » sbiascico, cercando di vedere l’orario
sull’orologio da polso.
« le otto e trenta Yuu, è presto
ancora » sussurra lei, per non disturbare il sonno di mia moglie.
Ma tanto è tutto inutile, potrei
tenere un concerto con i miei compagni dentro questa stanza, senza riuscire a
svegliarla.
Le ore che passa sveglia sono
poche, il dolore è talmente forte che la morfina non le basta più, quindi i
dottori sono passati a una cura molto più forte. Non ho voglia di pensare a ciò
che le danno per alleviare ciò che la fa soffrire, quel fottuto bastardo che la
sta divorando dall’interno.
Soffermo i miei occhi sulla sua
figura, ancora immobile nella stessa posizione di prima, di ieri e così via. Le
medicine l’hanno gonfiata, del suo aspetto solare e vivace, non c’è quasi più
traccia, la malattia me la sta portando via pian piano sotto gli occhi, ancor
prima di toglierle la vita.
« perché non vai a fare
colazione, resto io con lei » mi dice sempre lei.
Anche se sono sempre restio ad
allontanarmi, perché potrei perdermi l’occasione dei suoi occhi che si aprono
per un breve lasso di tempo, so anche che lei ha bisogno di un po’ di tempo da
passare sola con la figlia. Io lo capisco e lo rispetto, per questo quando
arriva la lascio sola con lei, anche se poi mi siedo fuori nella sala di attesa
senza andarmene veramente.
Annuisco alzandomi dalla mia
postazione di fianco a Moe, infilo il cappotto ed esco dalla stanza senza
proferire parola, ormai tutti si sono abituati al mio mutismo.
Non che lo faccio perché sono
arrabbiato con loro, o perché non abbia voglia di scambiare qualche parola. È
l’ansia che me lo impedisce, perché ogni qualvolta apro bocca per parlare, si
può udire tutta l’ansia che provo, è difficile da spiegare e complicato da
capire per chi non ci è passato.
Non sono io che cammino, non sono
io che mangio o bevo, non sono io quello che parla o si lava, si veste o si
addormenta, è il mio fantasma, colui che ha preso le redini e conduce il gioco.
Io sono sempre da qualche altra
parte, al matrimonio, al viaggio di nozze, al primo giorno che l’ho incontrata,
alla prima volta che abbiamo suonato il pianoforte insieme o, a quel
meraviglioso giorno sulla panchina, quando lei ha deciso di aprirsi a me.
Percorro tutto il corridoio della
clinica, una boccata d’aria mi farà bene, in quest’ultimo periodo sento molto
la mancanza della nicotina e sto facendo una fatica immensa a resistere. Però
non posso cedere, l’ho promesso e una promessa, va mantenuta.
Apro l’anta della porta
d’ingresso dello stabile, il sole è basso ma ha tutta l’aria di voler salire
alto nel cielo e regalarci una bella giornata, inforco gli occhiali da sole che
avevo nella tasca del cappotto e mi dirigo al giardino posto qui di fronte.
Alcuni pazienti sono qui fuori
con i parenti, non tutti stanno così male da non poter uscire. Con un cenno
della mano saluto un ragazzo di trent’anni, anche lui è malato ma forse
guarirà, sono felice per lui.
Mi siedo a una delle panchine
libere alzando la testa verso il cielo, solo una soffice nuvola bianca solca
tutto quell’immenso azzurro.
Ora riusciva a capire, perché tutti dicessero che Roma era una
delle città più belle al mondo.
Anche vedendo i video in televisione, cosa che era successa
milioni di volte, non aveva mai compreso la motivazione.
Era qualcosa d’indescrivibile, i monumenti antichi ti
riportavano al passato, vederli così maestosi al sole splendente era qualcosa
di davvero emozionante.
E poi, c’era la gente, forte come se ne andavano in giro facendo
casino, vederli tutti allegri e pronti a fare baldoria, contagiavano tutti
nella loro allegria.
Si avvicinarono di più a quello che si chiamava “ Colosseo “,
nella guida che aveva portato con sé, diceva che quello, al tempo del Sacro
Romano Impero, lo usavano per le lotte tra Gladiatori e non solo! Anche i leoni
avevano la loro parte!
Immaginare quei tempi lontani e camminarci sopra con i propri
piedi erano bellissimo, un’emozione forte.
Alzò il naso all’insù per vedere meglio la struttura, era
immenso, grandioso come quel popolo antico, dovevano essere fieri dei loro
antenati che erano riusciti a conquistare tutte quelle terre.
« amore guarda! » uno strattone da parte di Moe lo face quasi
cadere a terra, quelle grosse pietre che sostituivano l'asfalto, non erano
proprio quello che si poteva chiamare una superficie stabile.
Guardò verso la direzione che indicava sua moglie, poco distante
da loro un uomo vestito come un Romano antico si faceva scattare delle foto dai
turisti.
Era buffo ma divertente!
« vuoi andare anche tu? » gli chiese ridendo.
« si amore ti prego, facciamo anche noi le foto! » Moe
saltellava sul posto come una bambina.
« va bene, andiamo » disse con entusiasmo, cominciando ad
avviarsi verso quell’uomo.
La mano di sua moglie non lasciava la sua, questo perché il
giorno prima per poco non si era persa, di fronte alla fontana di Trevi.
Avevano anche espresso un desiderio gettando una monetina
nell’acqua, rigorosamente con le spalle verso di essa.
Si avvicinarono a quell’uomo sorridente che subito li notò, con
un Inglese stentato, sia da una parte sia dall’altra, riuscirono a comunicare e
finalmente a scattare delle foto divertentissime.
Prima il Gladiatore aveva preso in braccio Moe, dicendo anche
che era leggera come una piuma, poi Moe, aveva afferrato la sua spada e l’aveva
brandita con la bocca aperta come se urlasse. Il ragazzo stette a tutti i loro
scherzi ridendo, si vedeva che era abituato a cose simili.
Una volta finito di fare le foto si allontanarono augurandogli
una buona giornata, cosa che fu ricambiata anche da lui nei loro confronti.
Sospiro ricordando i giorni
passati insieme in Italia, è stato bello visitare quella città, come tutte le
altre, ma quella ci è rimasta nel cuore.
Avevo detto a Moe di volerci
tornare un giorno, come uno stupido non avevo fatto i conti con la realtà che
ci attendeva; ma ora so che era solo un modo per esorcizzare la paura.
A volte la paura è talmente forte
e potente che riesce a paralizzarmi, come adesso per esempio, me ne starei per
sempre qui ad attendere, cosa poi non lo so. Forse solo che qualcuno mi venga a
prendere, mi porti via con sé dondolandomi tra le proprie braccia e mi dica che
è stato solo un brutto sogno.
Un po’ come faceva mia madre
quando ero piccolo, quando mi svegliavo nel cuore della notte sudato e urlante,
piangendo perché sotto il mio letto c’era un brutto mostro che voleva portarmi
via. Lei arrivava puntualmente con un sorriso sulle labbra, nonostante l’ora
tarda e il brusco risveglio, tutto avrebbe fatto purché il suo piccolo ometto
stesse bene.
Invece ora non può far nulla,
proprio come me deve assistere alla tragedia in atto, so che sta soffrendo, sia
per Moe sia per me. Mi rendo conto di essere dimagrito almeno cinque chili, di
essere pallido ed esausto, di non parlare quasi mai se non per le cose
essenziali, ma davvero non riesco a fare di meglio.
Il cellulare che ho nella tasca
dei jeans vibra avvertendomi di una chiamata, non ho la suoneria da tanto tempo
ormai, questo per non disturbare all’interno della clinica. Lo afferro e sul
display ci leggo scritto il nome di Akira, subito premo il tasto verde per
accettare la chiamata.
« moshi moshi »
« ciao Yuu, come va? » la voce
tranquilla del mio amico, quieta un po' la mia anima.
« bene, tu? » ormai tutti sanno
cosa vuol dire il mio ‘ bene ‘: nessuna
novità in vista.
« abbastanza bene, che dici
possiamo venire da voi? » mi chiede, nonostante vengano quasi tutti i giorni.
« certo, magari oggi Moe riuscirà
anche a svegliarsi e a riconoscervi » mi urto da solo nel sentire questo tono
di voce che uso, vorrei modificarlo e tenerlo meno angosciato.
« perfetto, allora ci vediamo tra
un po’, il tempo di prepararci » risponde, senza accennare a nulla che riguarda
la mia frase appena pronunciata.
L’altra settimana c’erano tutti,
la mia famiglia e quella di Moe, i ragazzi e anche Peter, quando Moe si è
svegliata e li ha osservati uno a uno non li ha riconosciuti, si è voltata
verso di me e mi ha chiesto chi fossero.
Ho sentito in quel momento il mio
cuore spezzarsi in mille pezzi, la mia anima morire sotto il tocco delle sue
parole, ho pregato fino allo stremo che non succedesse con me, con tutti, ma
non con me; non potrei sopportare che non si ricordasse chi io sia.
Non so, dove ho trovato la forza
di sorriderle, di carezzargli la fronte e spiegargli chi loro fossero, a ogni
persona la sua espressione mutava, aggrottando le sopracciglia cercando di
ricordare; questo è solo uno degli effetti collaterali della cura anti-dolore.
« Yuu, ci sei? » la voce di Akira
mi riscuote.
« sì, scusa.. non ti sentivo più,
ci deve essere un’interferenza » mento, lui lo sa e come al solito, lascia
correre.
« mannaggia a questi apparecchi »
scherza, cercando di sentire la mia risata.
Sorrido artificialmente soffiando
nella cornetta, spero di accontentarlo almeno un po’.
« già, sono il male del mondo »
continuo.
« sì, ci vediamo dopo allora »
« ok, vi aspetto a dopo »
Aggancio la chiamata e ripongo il
telefono sulle mie gambe, lo osservo mentre la luce del display diviene sempre
più fioca fino a spengersi del tutto. Dopodiché, schiaccio uno dei tasti per
farlo illuminare di nuovo, l’immagine che ho usato per lo sfondo mi piace
tanto. Siamo io e Moe che ci baciamo, la foto è tutta storta perché l’ha
scattata lei allungando un po’ il braccio, ridevamo come scemi nell’albergo a
Parigi, sono momenti che non dimenticherò mai.
« amore sta fermo » lei ride come una matta, accompagnata dalla
risata del suo uomo.
« ma come faccio se mi fai ridere? » chiede lui senza riuscire a
riprendersi.
« ma se io non ho fatto nulla! » sostiene giustamente lei.
« ma hai scattato la foto malissimo prima » continua a ridere
lui tenendosi la pancia.
« questo perché fai lo scemo e non stai fermo un secondo » mette
su un finto broncio lei, sapendo che in questo modo riuscirà ad averla vinta.
È così facile per lei ottenere ciò che vuole dal marito, che se
avesse voluto si sarebbe fatta comprare anche il mondo intero; ma lei non ha
bisogno di tutto quello, ha solo l’estrema necessità di averlo al suo fianco.
« e va bene amore, dai proviamo di nuovo » si riprende un poco
lui.
Entrambi si sistemano meglio a sedere sulle candide coperte del
letto, avvicinando i loro volti si mettono in posa di fronte al telefonino, poi
un click e la foto è fatta.
Lei gira il cellulare in modo che possano osservare il display e
la foto appena scattata, questa volta è venuta bene e anche se storta, li
ritrae perfettamente uniti in un bacio.
« visto, che quando fai il bravo bambino, le cose riescono bene?
» dice sorridente lei.
« è vero mamma » scherza di nuovo lui, incapace di restare
serio.
Decido di riporre il cellulare in
tasca, tutti questi ricordi mi fanno male e anche se, non smetteranno di
tormentarmi l’anima, ciò che sono in grado di fare lo faccio.
Più volte ho pensato di lasciare
l’album delle foto a casa, però questo non posso farlo, perché anche a Moe
piace vederle e ricordare quei momenti.
Mi alzo dalla panchina, incapace
di rimanervi oltre e torno sui miei passi, mi avvio verso la stanza della mia
amata e la raggiungo a breve; busso alla porta prima di entrare.
La quiete che aleggia in questi
luoghi e sovrannaturale, nemmeno in un monastero o un tempio ci sarebbe tanta
pace; tutti i pazienti presenti tra queste mura hanno bisogno di riposare, c’è
un rispetto senza pari qui dentro.
Tutto questo ti fa dimenticare di
come sia in realtà la vita fuori, vivere qui, è come vivere in un altro
pianeta, ci si abitua a quest’andamento che difficilmente, si concepisce il
ritorno alla vita normale.
Entrando nella stanza, i miei
occhi per prima cosa, come sempre d’altronde, si posano su mia moglie che dorme
ancora, poi sul letto che occupo io la notte e in fine sulla figura di mia
suocera, che occupa la poltrona vicino al letto.
Non dico nulla e nemmeno lei
accenna a parlare, mi avvicino al letto e afferro una delle sedie portandola
con me, per poi sedermi sopra di essa.
Solo i macchinari attaccati a Moe
continuano il loro chiacchiericcio, ignari del bisogno di silenzio che abbiamo,
odio queste macchine e il rumore che fanno, odio questo posto, questa stanza, perché
saranno le ultime cose che mia moglie vedrà.
Avevo provato a portarla a casa
ma Moe si è rifiutata, mi sono infuriato come una bestia fuori controllo, mi
sembravo un licantropo con gli occhi iniettati di sangue in cerca di una preda
da sbranare.
Ovviamente non ho riversato tutta
quella rabbia su Moe, impossibile per me concepire una cosa simile; purtroppo
per lui, è stato Akira a subirmi per tutto il tempo.
Se n’è stato in silenzio ad
ascoltare le mie grida infuriate, perché era una cocciuta, perché voleva
salvarmi dalla visione di lei che moriva nel nostro letto, perché io, nemmeno in quel caso, ero riuscito a
impormi.
Quindi la lasciavo morire, in un
posto a noi estraneo.
Porto una mano al volto
strofinandolo, è un tormento senza sosta, un continuo grattare dall’interno del
mio cranio, non credo che l’inferno sia peggiore di questo.
Un leggero bussare ci fa voltare
verso la porta, quando essa si apre i miei quattro amici, con Peter e Nobu
fanno il loro ingresso.
Ci salutano piano, anche loro, beffati
dal sonno di Moe.
Vorrei gridare che non si
sveglierà, nemmeno se cominciassero a gridare, quindi tanto vale parlare
normalmente; ma questa è solo la mia rabbia che me lo fa pensare, quindi
taccio.
Non permetterò a quella stronza
bastarda di prevalere su di me, facendomi compiere atti che non ho la minima
intenzione di fare.
Sorrido in loro direzione
alzandomi dalla sedia e avvicinandomi, uno a uno mi salutano stringendomi, mi
piace il contatto, mi piace la sensazione che ne ricavo.
« hai dormito di nuovo sulla
poltrona? » la domanda arriva dalle labbra di Takanori.
Mi volto verso il letto riservato
a me e lo trovo intatto, dovrei imparare a disfarlo, anche se non lo uso.
Annuisco, tanto sarebbe inutile
mentire.
« però ho dormito lo stesso »
aggiungo, cercando di discolparmi.
Si preoccupano per me, è normale.
Questo me lo ripeto sempre, non
devo mai scordarlo.
Lui mi dona una carezza
sorridendo, niente ramanzina per fortuna.
« hai dolore alla schiena? » mi
chiede sempre con tono dolce.
Vorrei rispondergli che sì, mi fa
male la schiena, così come la testa, il cuore e ogni fibra del mio corpo.
« un pochino, ma non tantissimo »
rispondo invece.
« vuoi un analgesico? Ne ho uno
nella borsa » mi avverte lui premuroso.
« no, grazie Taka, ma se peggiora,
te lo chiedo ok? »
« va bene » si arrende infine.
In tutto questo, Akira e Kouyou
sono andati vicino a Moe per salutarla, così come Peter e Manabu; Yutaka invece
è vicino a me e non si scansa, la mia roccia di sostegno.
Grazie amico, di tutto, anche del tuo
silenzio.
« ciao » appena, la flebile voce
di Moe si alza nell’aria, mi porto al suo fianco.
Finalmente si è svegliata,
finalmente posso udire la sua voce e godere, della vista dei suoi meravigliosi
occhi; che nonostante tutto, non hanno perso quella luce che li
contraddistingue da tutto il resto del mondo.
萌 – Moe
Non appena apro gli occhi, trovo
le figure dei miei amici, mio fratello e mia madre intorno a me.
Sorrido vedendoli tutti, mi fa
piacere quando mi vengono a trovare, è bello averli tutti qui e poterci
parlare.
« ciao » saluto tutti, anche se
la voce esce flebile dalle mie labbra.
Subito Yuu fa la sua comparsa e
mi afferra la mano, mai una volta, da quando sono stata ricoverata qui, mi sono
svegliata senza che lui fosse presente.
« amore » mi sussurra baciandomi
la mano.
« amore mio » sorrido ancora.
Sono stanca di tutto, anche
tenere le palpebre alzate richiede uno sforzo incredibile, so che non durerò a
lungo perché non ce la faccio più.
Guardo tutti i volti dei miei
amici e cari, mi mancheranno ma saperli uniti e vicini, mi fa sentire meglio;
forse posso andarmene in pace.
« vi voglio bene, a tutti tranne
uno »
Vedere le loro facce in questo
momento mi fa ridere, ma uno spasmo di dolore blocca ogni tentativo di farlo.
« piano amore » mi avverte Yuu.
Mi volto proprio verso di lui,
alzando una mano vado a toccare le sue morbide labbra.
« perché a te ti amo amore mio,
quindi non posso dire che ti voglio bene » sussurro.
Le sue labbra si piegano in un
sorriso e la stanza, viene inondata da fievoli risate, niente a che vedere con
quelle risa vere di qualche tempo fa, ma credo che vista la situazione debba
accontentarmi.
« mi avete regalato tanto, ognuno
di voi mi ha reso felice, grazie »
Sui loro volti leggo la
sofferenza, vedo le lacrime lottare per uscire ma sono forti e nessuno lo farà,
tranne la mia povera mamma che viene stretta nell’abbraccio del mio fratellino.
Yuu si siede al mio fianco poggiando
la schiena alla spalliera, passa un braccio intorno a me facendolo divenire il
mio cuscino.
« anche noi ti vogliamo bene, ci
hai donato tanto amore e non ti sei mai tirata indietro » è Peter che parla, ma
è solo il portavoce del pensiero di tutti i presenti.
Yuu mi dona un bacio sulla testa
« ti amo amore mio »
Sento le forze venire meno, in
fin dei conti ho lottato talmente tanto, che ora sono esausta.
« posso vedere le foto? » chiedo.
Subito Takanori mi passa il
pesante album e lo poggia proprio sulle mie gambe, Yuu con la mano libera
sfoglia le pagine, dove sono raffigurati i nostri momenti più belli.
Ricordo le risa, le voci, la
spensieratezza e l’allegria che hanno contraddistinto quei momenti andati; sono
felice di tutte le mie scelte, ognuna di esse mi ha reso completa.
Sorrido guardando tutte quelle
foto e ascoltando la voce soave di mio marito, che racconta gli aneddoti dietro
quegli scatti.
Porto una mano ad accarezzare la
sua, è calda e confortevole.
« ti amo » sussurro prima di
chiudere gli occhi, sopraffatta dalla stanchezza.
葵
–
Aoi
« ti amo » sento sussurrare da
Moe.
Poi la macchina che monitorizza
il suo cuore, emette un suono fisso, un lunghissimo ‘bip ‘ che non muterà mai
più.
Chiudo gli occhi non potendo
ancora ammettere la cruda realtà, Moe ci ha lasciati, ora ha intrapreso quella
via che a noi è proibita, dove io non potrò seguirla.
Delle lacrime silenziose scendono
sul mio volto, è tutto finito come volevamo che finisse, con lei serena e felice.
La stringo a me, non voglio
lasciarla andare ancora, le bacio la fronte e la testa dondolandola avanti e
indietro; sarò forte per te amore mio, lo giuro, te l’ho promesso quando eri in
vita e lo faccio di nuovo, ora che ci hai lasciati.
Apro gli occhi e vedo tutti i
presenti in lacrime, Nobu abbracciato alla madre piange la sua disperazione,
così come tutti gli altri.
La porta si apre rivelandoci la
presenza di due infermieri che conosciamo bene, restano in silenzio e in
disparte, nessuno muoverà un solo dito per riportarla in vita.
Passano secondi, minuti, li sento
passare sulla mia pelle bruciando come lava, che ne sarà di me?
Una mano si posa sulla mia
spalla, Akira è venuto a reclamare la mia attenzione.
« devi lasciarla Yuu.. » i suoi
occhi sono rossi, ma comunque decisi.
Scuoto la testa, non possono
separarmi da lei.
« lo so che è difficile.. ma devi
lasciarla andare » sussurra piano.
Lo guardo negli occhi, le lacrime
che ho versato sono talmente poche, che si sono asciugate sul mio volto.
Guardo di nuovo Moe prima di
muovermi, lasciarla adagiata sul letto e coprirla bene fino al collo; le lascio
un bacio sulla fronte prima che, con un po’ di forza, Akira mi trascini
indietro.
Ora tocca a loro salutarla ed io,
mi devo fare da parte.
« ridatemela… » imploro qualcuno
che non c’è, un presunto Dio che dovrebbe fare il miracolo di restituirmi mia
moglie.
Le forti braccia di Akira si
chiudono intorno a me ed io, posso lasciarmi andare a quello che sarà il pianto
più disperato e lungo che farò in vita mia.
Note: Non ho molto da dire, no al contrario, le cose sono tante
ma non so come esprimerle. Mi dispiace tanto per Moe e per Yuu, erano così
belli insieme che si meritavano un’altra fine; ma la storia è così…
C’è tanto di mio nei pensieri di Aoi, ho provato tutte quelle
emozioni che prova lui, anche se in un contesto leggermente diverso; è
difficile metterle per iscritto e non so se arrivino a chi legge, spero
vivamente di sì.
L’unica cosa bella è che sono stati felici insieme, è stato
bello scrivere i ricordi di Yuu, perché danno un senso di pace, perché la loro
vita insieme è stata breve ma intensa e piana di amore.
Manca un ultimo capitolo all’appello, in verità potevo anche
finirla qui la storia, ma non so se ricordate il fatto che proprio l’ultimo capitolo,
l’ho scritto prima di tutti questi.
Quindi per l’ultima volta, vi dico, ci vediamo al prossimo
capitolo ^_^
Ja ne! <3