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Autore: Claire Marie Blanchard    10/02/2012    6 recensioni
Questa che pubblicherò, è una storia nuova. Un avventura, un viaggio tutto nuovo, in cui Usagi avrà dei bisogni speciali e affronterà tante cose. Forse, la odierete o, forse, la amerete. Forse, invece, potrete immedesimarvi in questa Usagi stessa. Detto ciò, vi auguro una buona lettura.
[Dal capitolo 1]: Preferì, inoltre, sotto suggerimento-obbligo di sua madre, spogliarsi di quegli abiti che puzzavano di aereo, ma che profumavano di viaggio. Avevano il profumo del ritorno, quello che, appena torni a casa, si butta nel cesto della biancheria sporca. E a malincuore. Ma non perché si è troppo stanchi per allungarsi e farlo, ma perché si pensa “Diamine! Ho appena affrontato questo viaggio e voglia già buttarlo via così?”. Perché ogni viaggio ha il suo odore, il suo profumo. E Usagi aveva provato addosso tanti odori, tanti profumi. Ora, voleva sentirsi addosso un solo odore, un solo profumo: quello di casa sua, quello della sua vita.
Storia sospesa a tempo indeterminato.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Kiss the rain'
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Cap. 6 – “Tra voragini e scommesse”







Si era decisa ad alzarsi dal letto solo per una doccia veloce; anche se, sua madre ne fu contenta quando – passando fuori dal bagno – sentì dal corridoio lo scorrere dell’acqua. Almeno, era un passo avanti.
Le sembrava che sua figlia stesse reagendo, e questo le sembrò un fattore positivo, un pro, un aspetto favorevole.
Non pensava certo che da lì a poco avrebbe vissuto attimi di puro panico.



Era sera. Rei era stata con lei tutto il pomeriggio, e se ne era andata da un paio d’ore: doveva raggiungere Yuichiro.
Ripensò a quello che si erano dette, al suo atteggiamento, alla tranquillità anomala con cui stava vivendo quella assurda situazione. Iniziò a ripensare, sotto la doccia, a tutto ciò che le stava accadendo.

Non si sentiva più lei. Si sentiva come se qualcuno le stesse attorcendo lo stomaco. Si sentiva male. Si sentiva mancare il respiro. Sentiva che le sue pulsazioni diventavano sempre più irregolari, le faceva male il petto, le bruciava.
Aveva paura, respirava affannosamente,. Temeva che stesse morendo, e faceva male respirare.
Sentiva che il macigno che le gravava sul cuore, stesse pressando anche sul diaframma. Faceva fatica a respirare, non si reggeva in piedi… tant’è che scivolò sul piatto della doccia, facendo in tempo, però, ad aggrapparsi e scivolare piano; senza farsi male, senza ferirsi più di quanto lo fosse già internamente.
Non sentiva più nemmeno l’acqua cadergli – goccia dopo goccia – sul suo corpo nudo, stanco e teso. Sentiva semplicemente qualcosa che la trascinava giù… quasi fosse una voragine.



Suo fratello stava passando in corridoio. Non voleva disturbarla, ma voleva accertarsi che stesse bene. Per questo, entrò in camera sua. E, non trovandola, la cercò; chiedendo anche a sua madre.
<< Mamma, dov’è finita Usagi? >>
<< Sta facendo una doccia, credo… >>
<< Ah… >>
Shingo si avviò verso il bagno del piano di sopra, quello vicino alle camere.
Non appena vi fu davanti, bussò delicatamente, cercando di attirare la sua attenzione.
<< Oneechan… tutto bene? >>

Non sentì nessuna risposta. Sentì solo l’acqua scendere veloce.



Voleva rispondere, chiedergli aiuto, chiedergli di aiutarla a non sentirsi più come si stava sentendo. Non riusciva a respirare, né a parlare, non riusciva ad urlare… non riusciva a chiedere aiuto.
Si sentiva intrappolata. Si sentiva prigioniera nella doccia del suo stesso bagno.
In quella stanza, c’erano: lei, l’acqua e il suo malessere. Desiderava che Shingo riuscisse ad entrare, in modo da poter ricevere soccorso, ma non riusciva nemmeno a farsi sentire. Riusciva a malapena a muoversi.





<< Usagi, mi senti? >>
Riprovò a chiamarla con un tono un po’ più alto. Forse, stavolta, gli avrebbe aperto.
Ma non fu così… e, inoltre, la porta era chiusa a chiave.
<< Usagi!! Usagi, apri questa porta!! >>
Bussò ancora più forte e urlò più forte il suo nome, magari così l’avrebbe sentito.
E, invece, no. Non sentiva nulla, se non lo scorrere dell’acqua.
<< Shingo… che succede? >>
Sua madre era accorsa, appena sentì le urla dal piano di sotto.
Non voleva che si preoccupasse, ma sua sorella non dava nessun segno. Non poteva fare altrimenti.
Iniziò a dare delle spallate contro la porta, in modo da sfondarla.
Ci avrebbe pensato dopo di dire a suo padre di chiamare un falegname per la porta del bagno.
Ikuko si coprì la bocca, prima con la mano destra e poi con la mano sinistra, per poi unirle, come se stesse pregando e iniziare a piangere silenziosamente, temendo che fosse successo il peggio.



Voleva urlare a suo fratello, pregarlo di aiutarla. E quando suo fratello sfondò la porta, non provò altro che sollievo.
Non riusciva ancora a riprendersi. Stava davvero male. E di questo, suo fratello se ne accorse subito.
<< Oh mio Dio, Usagi!! ! >>
La soccorse immediatamente, mentre sua madre pensò a chiudere l’acqua della doccia.
Usagi guardò spaventata nella sua direzione attraverso il vetro delle ante della doccia, o meglio, terrorizzata. Nel frattempo, suo fratello – dopo averla coperta con degli asciugamani – le accarezzava la testa bagnata e la stringeva come se potesse scivolare via da un momento all’altro, ripetendole più volte: << Va tutto bene, oneechan… è tutto a posto. >>
Ikuko si volse, coprendosi la bocca con una mano, per piangere.
Aveva temuto il peggio. Se da una parte stava male nel vedere sua figlia così, dall’altra era sollevata perché era viva.
Shingo aveva capito cosa provava sua madre e, in un certo senso, lo aveva provato anche lui.
<< Mamma, senti… perché non chiami Ami? È pur sempre un medico. Ed è amica di Usagi… che ne dici? >>
Sua madre si volse di nuovo e gli annuì solamente, cercando di sorridergli, prima di allontanarsi e chiamare la dottoressa.
Il ragazzo, intanto, tornò a guardare sua sorella che, suo malgrado, lo fissava con degli occhi che mostravano il puro terrore.
Il suo affanno era sempre più intenso.
Le sue pulsazioni sempre più irregolari.
<< Usagi… stai tranquilla. Ci siamo noi qui… ci siamo noi… intesi? >>
La bionda annuì debolmente.
<< Respira… piano… così… >>
Shingo cercava di farla riprendere, respirando profondamente insieme a lei.
<< … bravissima… brava, così. >>
La giornalista cercava di seguire i consigli di suo fratello, fino a che il suo respiro non tornò calmo e le sue pulsazioni regolari.
<< Bene… va meglio, ora ? >>
La ragazza sorrise forzatamente, prima di iniziare a piangere, e suo fratello la strinse ulteriormente.
<< Ehi… oneechan, stai tranquilla. Non è niente… >>
Ma sua sorella iniziò a sfogarsi, a cacciare fuori – finalmente – un pianto liberatorio.
Urlando, piangendo, esprimendo a pieno tutto il suo dolore, tutto il suo malessere.
Shingo cercava di consolarla e di starle il più vicino possibile.
<< Sfogati… liberati, ti farà bene. >>

Usagi non se lo fece ripetere due volte. Iniziò ad urlare, tra un singhiozzo e l’altro. Iniziò a farsi sentire, tra una lacrima e l’altra. Iniziò a farsi sentire, dopo essere stata liberata dalla voragine.
Shingo la prese in braccio, portandola in camera sua. Come risposta, ricevette una stretta decisa da parte di sua sorella.





Ami l’aveva visitata in camera sua. Si era rifiutata di andare in ospedale.
La dottoressa si rivolse ai suoi genitori, per dichiarare la diagnosi.
<< Premetto che non è il mio campo, ma… credo che si sia trattato di un attacco di panico*. Potrebbe essere stato causato da uno stress; forse, è stato il rientro a Tokyo… >>
Tornò a guardare la sua amica sospettosa.
La giornalista la guardò abbassando lo sguardo, sentendosi colpevole. E la dottoressa si rivolse nuovamente alla famiglia Tsukino.
<< … Potete stare tranquilli. L’importante è che si riposi il più possibile. Ma, se dovesse succedere spesso, vi consiglio di consultare un bravo psicologo. A volte, la causa del nostro malessere non è organica, ma emotiva. Sono patologie psicosomatiche** queste… >>
<< Ami, sto bene! Davvero! >>
<< Sì… però, per stare più tranquilli, ti consiglio di non andare a lavoro, domani. >>
<< Cosa??!! >>
<< Usagi, è per il tuo bene! >>
<< Certo, perché voi tutti sapete cosa è meglio per me, mentre io no, vero??!! >>
<< Tesoro… >>
<< Ikuko-san, Shingo, Tsukino-san… potreste lasciarci da sole, per favore? >>
Shingo portò i suoi genitori fuori dalla stanza di Usagi, in modo da lasciare da sole le due ragazze.

<< Allora? Che volevi dirmi, Ami-chan ? >>
Il suo tono mostrava apatia, mancanza di forze.
<< Che voglio dirti, Usagi?? Sei tu quella che deve dirmi qualcosa, o sbaglio forse? ? >>
La bionda sospirò, nonostante sentiva dolore nel respirare. Infatti, fece un’espressione sofferente.
<< È da quando sei tornata che non ti riconosciamo più! Ora ci sono anche degli attacchi di panico… cosa succederà tra una settimana? Comincerai a bere, forse??? Farai uso di sostanze stupefacenti?? ? >>
La ginecologa aveva alzato la voce di poco.
<< Non lo capisci che non vogliamo vederti così? Perché non ne parli con qualcuno ? >>
La bionda ricominciò a piangere, e l’amica l’abbracciò dispiaciuta.
Tirava su con il naso e cercava di asciugarsi le lacrime, mentre Ami l’abbracciava.
<< Per qualsiasi cosa, puoi contare su di noi. Lo sai . >>
Usagi sapeva di poter contare sulle sue migliori amiche. E proprio per questo si lasciò andare, sfogandosi ancora di più, e stringendosi ad Ami come se fosse l’unico appiglio sicuro.
<< Sfogati. Sfogati pure >>
Mentre piangeva e urlava dal dolore, la ragazza trovò il coraggio di confessare tutto anche ad Ami.
< < Seiya… Seiya ha una figlia… >>
Ami rimase scioccata, sgranando gli occhi, cercando di staccarsi dalla sua amica nel modo più delicato possibile.
<< … me l’ha tenuto nascosto e… mi ha chiesto di sposarlo… e ci sono anche andata a letto >>
La dottoressa le accarezzò la testa e l’abbracciò di nuovo, stringendola ancora.
Più ricordava e più piangeva. Più piangeva e più urlava. Più urlava e più si sentiva alleggerirsi.
<< … l’ho lasciato… ma sto male lo stesso, Ami… fa molto male >>
<< Lo so >>
La ginecologa la stringeva, ancora un po’ incredula.
<< … cosa gli costava dirmelo??!! Io mi fidavo di lui! ! >>
< < Lo so… ma… è stato meglio così. >>






Era rimasto fuori la porta della sua camera, ad origliare, come quando Usagi andava al liceo.
Aveva sentito tutto, e dentro di sé cresceva forte la rabbia e la voglia di andare da quel ragazzo a spaccargli la faccia. Fu per questo che prese le chiavi, il cellulare ed uscì di corsa.





Usagi si era calmata, e Ami cercò di cambiare argomento, in modo da non agitarla ulteriormente.
< < Usagi… da medico, non posso mandarti a lavoro domani. Hai bisogno di rilassarti. >>
<<
Ami… per favore. Voi e il mio lavoro siete tutto ciò che mi è rimasto. Non posso non andare, lo sai… lo sai . >>
La bionda la guardò negli occhi. Il suo lavoro era importante. Aveva bisogno di lavorare, soprattutto dopo quello che le era appena successo.
Aveva bisogno di dedicare la sua mente ed il suo tempo a qualcosa che non riguardasse Seiya.
<< Va bene… ma ad una condizione . >>
<<
Tutto quello che vuoi . >>
<<
Che domani mattina andrai in ufficio solo per farti dare del lavoro che puoi svolgere qui a casa; e che domani sera vieni a cena da me. Ok ? >>
La bionda le sorrise forzatamente, e ancora con gli occhi gonfi.
< < D’accordo. >>
La ginecologa iniziò a scrivere qualcosa su di un foglio del suo ricettario; dopodiché, lo strappò e glielo porse.
<< Ecco… ti lascio due righe, così, il direttore del giornale non potrà fare storie . >>
<< Watanabe–san non farebbe mai storie, ma preferisco. Almeno, così, mi sentirò meno opportunista, dato che è un vecchio amico di papà . >>
< < Ancora con questa storia, Usagi? Lo sanno tutti i giornali di Tokyo che hai talento. Tutti i direttori invidiano lo Yomiuri Shinbun*** per averti! Smettila di sottovalutarti! A proposito… sai chi ho visto in aeroporto? >>
< <
No, chi? >>
<<
Motoki ! >>
<<
Motoki??! ! >>
<<
Sì! Aspettava una persona >>
<<
Aspetta, ma che facevi tu in aeroporto ? > >
Ecco. Beccata. Tipico di Ami farsi cogliere in flagrante.
< < Beh, ecco, io… diciamo che… poi ti spiegherò… >>
Ed era arrossita. Non riusciva a tenere un segreto, ma non poteva rovinarle la sorpresa. Per questo, cercò di sviare, felice però di aver fatto sorridere Usagi.
<< Piuttosto… cos’hai intenzione di fare ? >>
Ed era tornata seria. Era tornata la razionale e seria Ami.
<< Non ne ho la più pallida idea… so solo che ci sto male, ma che non posso continuare a stare con una persona che ha complottato alle mie spalle… una persona che, in realtà, non conosco >>
Nel frattempo, Usagi era tornata ad avere un tono apatico, spento. Ami capiva il motivo per cui questa lo aveva assnto, ma era inevitabile quella domanda.
<< Certo… è comprensibile! Sai cosa ci vorrebbe adesso ? >>
<<
No… cosa ? >>
Ami le sorrise in modo complice, per poi riprendere la sua borsa da medico e i suoi effetti personali.
<< Una bella dormita! Hai bisogno di riposare e, soprattutto, di stare serena. Perciò, meglio che vada. Sogni d’oro, Usa-chan… e, mi raccomando: per qualsiasi cosa, chiamami ! >>
<< D’accordo, dottoressa. Lo farò, nel caso in cui dovessi averne bisogno. Promesso. Sogni d’oro . >>
La bionda stava alzandosi per accompagnare l’amica, ma questa la bloccò.
<< No, no! Stai! Risposo assoluto, ricorda! So benissimo come raggiungere la porta . > >
Si sorrisero sinceramente. La mora tornò a dirigersi verso l’uscita, voltandosi solo per salutarla.
< < Buona notte, Usagi. >>
<< Buona notte, Ami. >>






Il campanello suonava insistentemente.
Sperava fosse lei.
Sperava che lei fosse tornata da lui.
Sperava che, aprendo quella porta, avessero potuto ricominciare tutto da capo, riprendendo anche in considerazione la sua proposta di matrimonio.
E, invece, no. Subito dopo aver aperto la porta di casa sua, realizzò che quelli erano desideri irrealizzabili; speranze vane.
<< Ehi! Che ci fate qui? Se state cercando Usagi… >>
Il colpo sulla guancia sinistra arrivò prima che potesse finire la frase.
<< Questo è per ricordarti che sei solo un gran figlio di puttana. Non ti azzardare mai più ad avvicinarti a mia sorella, o sarà peggio per te. Lo sai? Né io, né tantomeno mio padre ti abbiamo mai sopportato… >>
<< Vi ha mandato Usagi? >>
Seiya si massaggiava la guancia offesa, ancora un po’ stordito, mentre un Motoki sorridente osservava fiero Shingo, il quale – nel frattempo – tornò a guardare Seiya dritto negli occhi.
<< No, ma ci siamo tolti una gran bella soddisfazione. Ah… e un’ultima cosa. Congratulazioni per la tua paternità! Beh, spero che tua figlia capisca molto presto che razza di bastardo è suo padre. Addio. Spero di non vederti mai più, con quella faccia da culo che ti ritrovi. >>
Ora Motoki ne era certo: era orgoglioso di lui. Finalmente, tutti i suoi consigli e tutte le sue dritte furono messe in pratica dal ragazzo, dopo anni e anni di insegnamenti.
Pensò che, poteva succedere che l’allievo superasse il maestro, ma non poteva che esserne fiero in quel momento – nonostante i suoi tentativi di convincerlo a non mettere le mani addosso a quell’idiota… ma, dopotutto, avrebbe fatto un favore anche a lui.
Prese Shingo per il braccio e si avviarono verso casa.
Seiya non tentò di fermarli, né di contraccambiare il colpo. Anzi, si stupì del fatto che – quello che lui riteneva soltanto un ragazzino – lo avesse colpito per primo.




Usagi scese di sotto per guardare un po’ di tv sul divano, preoccupata perché suo fratello non fosse ancora tornato.
Aveva fatto partire il film, “La fabbrica di cioccolato” con Johnny Depp del 2005.
Amava quel film. Mai quanto quello con Gene Wilder del 1971; ma doveva ammettere che Tim Burton ci sapeva fare.
Sentì il rumore della sua Yamaha, mentre c’era la scena in cui Charlie trovava l’ultimo dei cinque biglietti d’oro.
Dal divano, si girò verso la porta d’ingresso, in modo istintivo.

Appena entrato, vide – con sua sorpresa – sua sorella aspettarlo sveglia sul divano, intenta a vedere un film. Ciò lo fece sorridere, e quando vide sua sorella ricambiare il sorriso, si avvicinò a lei.
<< Che ci fai ancora alzata? Ami ha detto che devi riposare, ricordi ? >>
<< E tu? Dove sei stato? Sembri sconvolto . > >
<< Che film stavi guardando, oneechan ? > >
Il ragazzo aveva cercato di sviare il discorso. Non gli andava di dire a sua sorella che aveva dato un pugno al suo ex-fidanzato.
E con questi pensieri, si avviò in cucina, ignaro del fatto che sua sorella lo stesse seguendo a ruota.
Prese il ghiaccio dal freezer, per posizionarlo sulla mano dolorante.
<< Che hai fatto alla mano ? >>
<< La mano… ah, no niente >>
<< Shingo! Ma stai sanguinando ! > >
<< Non è niente! Davvero… sto bene . >>
<< Dimmi la verità… hai preso a pugni qualcuno, non è così ? >>
< < Dimmela tu la verità. Ho sentito tutto quello che hai detto ad Ami. >>
<< Cosa??! ! >>
Il biondo l’aveva scansata per tornare in salotto e sedersi sul divano, con sua sorella c he lo seguiva di nuovo.
<< Hai origliato, non è vero?! >>
<< Scusa, ma le vecchie abitudini sono dure a morire… >>
Si era seduto vicino al bracciolo, e sua sorella accanto a lui.
<< Perché non mi hai detto subito di quel verme? >>
La stava guardando dispiaciuto, pensava che lei si fidasse di lui.

<< Sei andato da lui, vero? L’hai preso a pugni, non è così ? >>
<<
Tu rispondi. Perché non me ne hai parlato ? >>
Sentiva di avere di nuovo gli occhi lucidi, ma ormai non poteva più mentire a suo fratello. Lo guardò negli occhi, prima di fissare il vuoto e parlare.
<< Perché >>
Shingo la ascoltava attento.
<< … perché fa male, oniichan. Fa già molto, molto male. >>
E aveva ricominciato a piangere silenziosamente, prima che suo fratello l’abbracciasse e la stringesse con tutta la forza che aveva, mentre Johnny Depp mostrava ai cinque piccoli vincitori il suo impero di cioccolata.




Il lunedì era il giorno della settimana che Usagi preferiva. Semplicemente perché ricominciava la vita di tutti i giorni. La vita di tutti… compresa la sua.
Fu per questo che si svegliò all’alba, provvide alla colazione per tutti, compresa quella di Luna, si preparò e andò a fare un po’ di jogging per scaricare la tensione.
Le piaceva alzarsi presto il mattino e condurre una vita sana, regolare.
Si era alzata alle sei. Voleva correre un po’, prima di tornare alla sua vita di tutti i giorni; quella che aveva lasciato prima di partire.
Il jogging era un’attività ripresa – ogni tanto – mentre era a New York.
Aveva letto i quotidiani, si era informata di quello che stava accadendo nel suo stesso paese – a dire il vero, si era informata anche durante il suo soggiorno in America.
Le sembrava strano tornare in ufficio. Anche se, non vedeva l’ora.
La redazione dello Yomiuri Shinbun non aspettava altro che il suo ritorno: era l’evento dell’anno.
Ami le aveva detto di andare in ufficio solo per ritirare del lavoro che poteva benissimo svolgere a casa? E così fece.

Alle otto aveva chiamato il direttore, per informarlo della sua necessità specificando che se lui avesse ritenuto più opportuno, invece, la sua permanenza in ufficio, avrebbe obbedito. Ma, come immaginava, Tsuneo-san era un uomo, un padre comprensivo e – per suo dispiacere – amico di vecchia data di suo padre. Questo particolare le dispiaceva davvero, perché aveva sempre la sensazione di non avere mai un parere oggettivo, ogni volta che gli presentava un pezzo da pubblicare; ma tutti continuavano a dirle che non era così. Forse, era vero: erano solo sue paranoie.
Verso le otto e mezzo, iniziò ad avviarsi in ufficio.
Il traffico non era cambiato di una virgola dalla sua partenza, anzi, forse quel giorno era anche più intenso. Forse, perché era lunedì.
Come tutte le mattine prima di partire, aveva chiamato l’ascensore che – sempre come tutte le mattine prima di partire – non si sbrigava, facendole fare le scale; quindi, tornando a correre. Insomma, era tornata alla sua vecchia vita, alla vita che le piaceva.
Fuori la porta dell’ufficio del suo capo, la bionda faceva due passettini avanti e due indietro. Era nervosa: si sentiva come se avesse dovuto fare un colloquio di lavoro con il suo direttore – cosa che, invece, era avvenuta quattro anni prima.

<< Guarda che mio padre non mangia! >>
La voce di Kunzite, suo amatissimo collega e figlio del direttore, la stava incoraggiando ad entrare.
<< Kunzite! Ciao ! >>
Ed andò verso di lui per salutarlo, abbracciandolo.
Nonostante fosse il figlio del suo capo, era simpatico. Si conoscevano da una vita, ma erano diventati buoni amici solo subito dopo la sua assunzione; prima non riuscivano a sopportarsi.
<< Ben tornata! >>
Il ragazzo ricambiò l’abbraccio, guardando l’orologio e staccandosi per poterle rivolgere di nuovo la parola.
<< Scommetto che papà non vede l’ora di vederti. Forza! Entra! >>
<< Lo so, ma… sembra… >>
<< Strano? Lo so, ci sono passato anch’io. Vedrai, appena entrerai, ti sentirai di nuovo a casa. >>
La bionda gli sorrise sospirando.
Respirò profondamente e tornò davanti la porta dell’ufficio del suo capo.



Watanabe Tsuneo la stava aspettando nel suo ufficio, e non per il certificato.
La aspettava per fare due chiacchiere, prima di farla tornare ufficialmente al suo lavoro.
Osservava il mondo esterno dalle vetrate del suo ufficio; aveva uno sguardo attento.
Sentì qualcuno bussare piano alla sua porta.
<< Avanti. >>
Usagi aveva aperto la porta timidamente, per poi richiuderla piano, guardando un Kunzite incoraggiante – ciò la fece sorridere.
<< Buon giorno, Watanabe- s an. >>
<< Usagi! Ben tornata! >>
<< Grazie. Parto subito dicendole che mi dispiace di essere stata male ieri sera… mi chiedo ancora come sia potuto accadere, ma non è questo il punto… mi spiace di non poter tornare subito in ufficio, davvero. Se lei ritiene che debba rimanere qui, io… >>
<< Tsukino… frena. >>
Usagi si fermò di colpo. Era come quando si frena con la propria auto inchiodando.
<< Non c’è problema, davvero. Anche perché, il lavoro che devi svolgere, puoi farlo benissimo anche a casa. Devi solo finire di sistemare i tuoi ultimi pezzi. A proposito, sono fenomenali! Gli articoli sulle differenze e le usanze dei vari Stati è una vera bomba! Sono sicuro che la gente divorerà i tuoi lavori! Brava, Tsukino. Lo sapevo che non mi avresti deluso. >>
<< G-grazie, signore… oh, quasi me ne dimenticavo! Il mio certificato… >>
<< Oh, no… non è necessario. >>
<< Ma Tsuneo-san… è necessario per me! La prego, faccia come se fossi qualcun altro. Non voglio approfittare dell’amicizia che lo lega a mio padre. >>
<< Dopo quattro anni, ancora non ti sei decisa a darmi del tu, eh? E pensare che ti conosco da quando sei nata… >>
Era vero. Suo padre e erano stati compagni di liceo e poi di Università. Si conoscevano molto bene. Per lei, non era solo il suo capo, ma non voleva approfittarne.
<< Fuori dal giornale, potrei anche darle del tu, ma in questa redazione lei è il mio direttore e basta. Voglio avere un perfetto atteggiamento professionale. >>
<< E questo non può che farti onore, davvero. Solo che… mi sembra un po’ eccessivo, tutto qui. >>
La ragazza sorrise per qualche istante, prima di tornare seria e tornarlo a guardare con uno sguardo rispettoso.
<< Beh… io, quindi, posso tornare a casa a svolgere il mio lavoro. A domani, -san! >>
<< A domani, Tsukino! >>
Si stava dirigendo verso la porta, quando si girò verso il suo principale.
<< Grazie. >>

Watanabe Tsuneo le sorrise dolcemente, per poi tornare dietro la sua scrivania.



Una volta uscita, si ritrovò Kunzite, Zoisite e Nephrite – due fratelli – e Naru, la fidanzata di quest’ultimo. Tutti suoi colleghi e amici d’ufficio.
Come ogni mattina, a rotazione, uno della banda andava a prendere la colazione e la portava tutti i membri del gruppo. Di fatti, stavano mangiando ciambelle e bevendo caffè, aspettando che lei uscisse.
<< Non sei nemmeno arrivata e già te ne vai. E… ah, a proposito! Ciao! Non ci hai nemmeno salutati! >>
Zoisite, a volte, sapeva sembrare una donna tanto era isterico.
<< Buon giorno anche a te, Zoisite! Non ti chiedo nemmeno come fai a sapere che sto tornando a casa, perché so già cosa mi risponderesti; perciò, lascia che ti dica una cosa: esiste una cosa chiamata privacy! >>
<< Su, Usagi… >>
Naru si era avvicinata a lei per salutarla e riabbracciarla.
<< … lo sai che questo è il modo di Zoisite per dirti ‘Ben tornata, Usagi!’. A proposito, ben tornata! >>
<< Grazie! Lo so che mi ama, in fondo. Non vuole ammetterlo, ma mi adora! Vero, Zoisite? >>
Questo perlustrava l’interno del suo caffè, prima di berne un sorso e alzare il bicchiere verso Usagi.
<< Certamente! E ti amerò ancora di più se e quando riuscirai a convincere Ami ad uscire a cena con me. >>
<< Vedrai, prima o poi, cederà! >>
Nephrite la stava riabbracciando, quando Naru gli lanciò un’occhiata complice, ciò gli ricordò doverle dare un annuncio.
<< Ah, ragazzi… dovete sapere una cosa… >>
Il castano batté le mani unendole, guardando prima Naru – che nel frattempo, prese la parola – poi gli altri tre.
<< Io e Nephrite… ci siamo fidanzati! >>
<< Ma va? >>

Zoisite strinse prima l’amico e poi la futura sposa – che, intanto, sfoggiava l’anello – porgendo loro loro le sue congratulazioni. Stessa cosa che fece Kunzite.
Usagi, invece, rimase dove era. Immobile ed impassibile. Ma, soprattutto, sofferente.
Era un fulmine a ciel sereno. Si era convinta che poteva fare finta di niente anche a lavoro, almeno per un po’.
Invece, si sbagliava. Sentì come una fitta allo stomaco, come se qualcuno l’avesse ferita.
Fu lì che realizzò che era sofferente; perché, anche lei doveva sposarsi, fino a meno di quarantotto ore prima.
<< Usagi… tutto bene? >>
La rossa le fece una domanda a cui non poteva rispondere. Iniziava a sentire un magone, un nodo difficile da sciogliere. Quei nodi che impediscono alla parola di fuoriuscire.
<< Non dici niente? >>
Nephrite cercava di sbloccarla, come se lei fosse rimasta semplicemente stupita.
Usagi, nel frattempo, cercava di ricacciare indietro le lacrime, cercando di mostrare solo serenità e felicità per la coppia.
<< Io… vi faccio… i miei più sinceri auguri, ragazzi. Davvero. >>
Naru notò il suo tono spento e iniziò a preoccuparsi.
<< Stai bene? >>
<< Uhm… Sì! Sì… io… devo andare a casa… ieri non sono stata bene e… ci vediamo domani! >>
<< Quindi, non pranzerai nemmeno con noi? >>
<< No… mi spiace… ma… domani! Domani ci sarò! Promesso. >>
Detto questo, li salutò, e corse verso l’ascensore che – almeno per una volta – l’accolse subito. In modo che i suoi colleghi non potessero vederla piangere.



La neofidanzata fissò l’ascensore un po’ delusa. Sperava che la bionda si fermasse a mangiare un boccone per raccontare loro delle sue avventure.
Poi, riflettendoci, si chiese come mai potesse aver assunto un atteggiamento così.





Non ne poteva più di stare davanti al suo notebook, ma doveva farlo.
Aveva mangiato solo un’insalata e un po’ di frutta: non aveva molta fame. Il cellulare, appoggiato sul comodino, iniziò a squillare.
Sul display compariva il nome di Ami, con il suo numero sotto.
Sorrise e rispose senza pensarci due volte.
<< Se ti dicessi che sono in ufficio, mi ammazzeresti o mi risparmieresti? >>
<< Direi la prima opzione. >>
<< Ok, sono a casa. >>
<< Sei a casa davvero, o sei in ufficio? >>
<< Beh, puoi verificare tu stessa. Se mi chiami sul telefono di casa, ti risponderei da casa, altrimenti, ti risponderei dall’ufficio. >>
<< Ok, dammi solo un secondo. >>
E aveva riattaccato.
Stava contando mentalmente “Cinque, quattro, tre, due, uno…”.
Ed ecco che sentiva squillare il cordless di casa.
<< Te l’avevo detto che ero a casa. >>
<< Per questa volta, sei salva. Volevo solo verificare. Piuttosto, come stai? >>
<< Fisicamente, bene… >>
Aveva assunto di nuovo quel tono spento, apatico.
<< Capisco... >>
<< Stai chiamando dall’ospedale? >>
<< Sì, perché? >>
<< A che ora stacchi? >>
<< Stasera. Ah, a proposito… hai promesso di venire da me a cena, ricordi? Verranno anche Rei e Mako. >>

<< Ah… un po’ come ai vecchi tempi. Sole solette, senza uomini. >>
<< Esatto… >>
<< Anche se, ne mancherà una all’appello… >>
<< Comunque… pizza o cinese? >>
<< Mmhh… non saprei. >>
<< Magari ad alcune andrà la pizza e ad altre il cinese. Tra queste ingorde potresti esserci tu, perciò… vada per entrambe! >>
<< L’ho sempre detto che sei un tipo sveglio! >>
<< Ora devo andare, Usa-chan… a stasera! Mi raccomando, puntuale alle otto. >>
<< Ok, Svizzera! Buon lavoro! >>
<< Anche a te. >>





Aveva lavorato per tutto il pomeriggio. Era un po’ stanca; aveva concentrato la mente sui suoi pezzi, cercando di non pensare ad altro.
Ogni tanto, i suoi pensieri ricadevano, però, a quella che era la sua situazione. Quando accadeva, apriva iTunes dal suo portatile e faceva partire della musica; canzoni che la rilassavano, canzoni che la distraevano; canzoni che non c’entravano con la situazione, ma che la aiutavano a non pensare a Seiya, a quello che le aveva fatto, a quello che lei aveva – inevitabilmente – deciso.
Aveva pensato, ad un certo momento, di chiamare Ami e rimandare la cena.
Ma poi pensò che l’avrebbero rimproverata.
Non poteva dare loro buca così, all’ultimo. E, soprattutto, aveva bisogno di stare con loro, di pensare ad altro, di divertirsi, di trovare un patteggiamento e cercare di convivere serenamente con quel dolore che quella delusione le aveva provocato.
Fu per questo che si fece una doccia veloce, si cambiò indossando un paio di pantaloncini in jeans e una canottiera nera con scarpe sportive.
Sua madre era salita in camera per vedere se andava tutto bene, trovandola impegnata a ripiegare i vestiti che aveva tirato fuori dall’armadio e rimetterli a posto.
<< Amore… esci? >>
La bionda si girò verso sua madre, la fissò per qualche secondo e annuì debolmente.
<< Vado da Ami a cena… ci saranno tutte le altre. Mi terranno occupati mente e corpo, credo. >>
Sorrise a quell’ultima frase e sua madre la imitò, prima di sedersi e osservarla in silenzio.
Usagi si fermò, sedendosi accanto a lei e lasciando un bacio sulla guancia morbida e vellutata di sua madre.
<< Cosa c’è, mamma? >> , le chiese dolcemente. Sua madre sorrise prima di risponderle: << Potrei farti la stessa domanda, Usagi. Ma non credo che sia adesso il momento giusto per parlarne. Immagino che tu debba andare… >>
La giornalista la guardò attenta e annuì.
Ikuko si alzò dal letto e fece per tornare alle sue faccende.
<< Mamma… >>
La donna si voltò lentamente, sorridendole e facendosi più attenta per ascoltare quello che sua figlia voleva dirle.

<< Niente. >> sua madre le sorrise ancora di più e le rispose: << Quando vorrai, me lo racconterai. Buona serata, tesoro. >>
Dopo che sua madre ebbe chiuso la porta, la bionda mormorò tra sé e sé “Lo stesso vale per te, mamma.”.




Sette e cinquantasette.
Altro che puntualità, Ami avrebbe dovuto elogiarla per le successive ventiquattro ore: era arrivata con tre minuti di anticipo.
Aveva suonato il campanello insistentemente, dato che non si decidevano ad aprirle.
Finalmente, dopo tre scampanellate, una Ami un po’ agitata e nervosa.
<< Ciao, Usa-chan! Come mai così puntuale? >>
Usagi corrugò la fronte per la perplessità. Non era stata proprio lei a dirle di essere puntuale quella sera?
<< Ami, sei stata tu a dirmi di essere puntuale, ricordi? >>
La dottoressa la guardava come se fosse stata colta in flagrante a rubare il barattolo di marmellata.
La bionda si chiese come mai tutta quell’agitazione.
<< Uhm… sì, beh… non credevo saresti stata davvero puntuale. Usa-chan!! Che bello vederti!! >>
E aveva alzato la voce in modo che la sentisse tutto il quartiere.
Usagi pensò che, dunque, non fosse da sola.
Infatti, una Rei euforica raggiunse le due all’ingresso dell’appartamento di Ami.
<< Oh! Eccoti qui! >> , disse con entusiasmo.
La giornalista la guardò confusa, prima di sentire le sue braccia spingerla verso il salotto, ignara di cosa avessero in mente le sue folli amiche.
Ami e Rei la fecero accomodare sul divano, in mezzo a loro.
La giornalista le guardava pensando che fossero impazzite.
<< Mako, noi siamo pronte!! Quando volete, possiamo iniziare! >>
‘Quando volete’?? Perché? Chi c’era a parte loro? Era convinta che fossero solo loro quattro. Chi poteva essersi aggiunto alla loro cena?
La bruna arrivò di corsa e premette un tasto dell’iPod collegato allo stereo e un paio di note suonate al pianoforte iniziarono a riempire la stanza.
La ragazza riconobbe in quella musica qualcosa di familiare… finché non entrò nel salotto una certa bionda – con uno strano costume da musical – che iniziò a cantare in playback.

Start spreading the news,
I'm leaving today.


Ecco che cos’era: “New York, New York” *(4).
Sentì pizzicare gli occhi e sorrise emozionata, guardando poi le sue amiche incredula. Le quali la guardarono sorridendo per poi annuirle e indicarle col capo la star che desiderava essere guardata.
Notò, durante l’esibizione un paio di occhiolini rivolti solo a lei, e non poté fare a meno di ridere assistendo alla scena di Minako che imitava la Minnelli cantando e ballando, con tanto di cappello e di bastone.
La sua Mina era tornata. Era lì a ballare e “cantare” per lei. Non poteva che essere felice.
Aveva affondato il viso tra le mani più volte durante lo show: non ci credeva. Le sembrava un sogno.
Non si aspettava che tornasse così presto; e dovette ammettere a tutte, ma prima di tutto a se stessa, che era stata una meravigliosa sorpresa quella che le sue amiche – compresa la star che, solitamente, le sorprese le rovinava – le avevano riservato.
Nel frattempo che qualche lacrimuccia di emozione usciva spontanea sul viso felice, ammirava la bravura di Minako nei musical.
Doveva aver studiato molto per ottenere risultati così.
Durante la coreografia, si muoveva in modo agile e nel modo di chi aveva sudato molto per ottenere quello che si avvicinava alla perfezione.

Come on, Come though, New York, New York.

Batterono le mani tutte e quattro, e in modo forte; tanto forte da far sentire la star più emozionata.
Minako, nel frattempo, regalò un elegante inchino al suo piccolo e amato pubblico.
<< Brava! Bravissima!! >>
Usagi le urlava quanto fosse stata brava, mentre Makoto emetteva fischi di gradimento e Rei urlava.
L’unica che rimaneva pacata, ma che batteva le mani più forte – più di tutte loro – era Ami.
Minako regalò un secondo inchino, avvicinandosi alle sue amiche.
Usagi si alzò d’istinto e corse ad abbracciarla, piangendo, e stringendola talmente forte da strozzarla.
<< Ehi… Usa-chan… soffoco… >>
<< Scusa. >> , disse diminuendo la forza con cui la stringeva, << È che… sono così felice di rivederti! >>
<< Beh, vorrei anche vedere! Non ci vediamo da un bel pezzo, a parte l’episodio dell’aeroporto… >>
Usagi si mise a ridere, prima di sussurrarle all’orecchio << Non potevate farmi una sorpresa più bella. >>
A sentire quelle parole, Minako sorrise e la strinse ancora di più.
Le altre, intanto, erano sedute sul divano a godersi quel magico momento di ritrovo.
Finché Ami, non riprese la parola.
<< Bene! Ora che vi siete salutate, direi che possiamo anche lasciare che Minako si cambi, prima che arrivi la pizza. >>
Alla parola ‘pizza’, Minako si staccò dall’affettuoso abbraccio, prendendo sotto braccio Usagi e urlando: << Pizza!!! Ok! Vado immediatamente a cambiarmi. >>
E scandì per bene le lettere della parola ‘immediatamente’, prima di aggiungere: << Ricordatevi sempre: ‘Chi male arriva, male alloggia!’ >>
Le quattro risero su quest’ultima frase, con l’inevitabile stupore della bionda.
<< Che c’è? Che ho detto? >>
Makoto prese fiato e le prese una mano stringendola, e dirle dolcemente << Bentornata, Mina-chan. Ci sei mancata da morire. >>
La bionda sorrise e rispose << Lo so, senza di me non sapete stare! >>
Rei, Ami e Makoto si avviarono in cucina, mentre Usagi e Minako in camera di Ami.
Fu mentre si separarono dalle altre che la giornalista la corresse << E comunque, Mina, si dice ‘Chi tardi arriva, male alloggia!’
>>
<< Uffa!!! Come siete pignole! >>




La cena passò velocemente e piacevolmente, tanto da non rendersi conto che ora si era fatta.
Quando Usagi volle andare a casa, Minako decise di seguirla, così da fare due chiacchiere con lei, mentre si avviavano verso le rispettive auto.
<< È stata una bella serata, vero ? >>
<< Sì! Era da tanto che non eravamo di nuovo tutte e cinque. Stavolta, sei stata brava! Non hai rovinato la sorpresa. >>
Minako rise piano all’espressione felice di Usagi, contenta del risultato ottenuto.
<< Sono davvero contenta di essere tornata. >>
<< Un po’ ci speravo, sai? >>
La giornalista abbassò lo sguardo, mentre l’attrice annuì, fingendo di non sapere cosa stesse succedendo.
Le altre tre l’avevano messa al corrente della storia di Seiya, del fatto che aveva una figlia e che l’aveva nascosta ad Usagi sino a due giorni prima, ma voleva fingere di non sapere nulla; non voleva che la sua amica si sentisse peggio di come già si sentiva.
<< Scommetto che saprai già tutto, ormai… >>
La bionda si voltò di scatto verso l’amica. Non sapeva come, ma era stata beccata.
<< A cosa ti riferisci, esattamente? >>
<< Andiamo, Mina… non sono nata ieri. Lo so che ti hanno chiamata loro. E, sinceramente, preferisco così. Almeno, mi hanno risparmiato di raccontarti tutto. E, poi, tra di noi non devono esserci segreti, ricordi? >>
Minako la guardò dispiaciuta. Sia per il fatto che non fosse stata messa al corrente da lei, sia della situazione stessa.
<< Mi dispiace, Usa-chan. Mi dispiace davvero tanto. >>
Usagi la guardava, sorridendo forzatamente, per poi cercare di sdrammatizzare la cosa << Com’è che diresti tu, in questi casi? >>
<<
L’amore fa schifo! >> le rispose annuendo.
Usagi la imitò, cercando di autoconvincersi che la sua amica non poteva che avere ragione.
<< Avevi ragione tu, Mina. L’amore non esiste. È solo una… è sola una ridicola illusione. >>
Minako notò il tono malinconico, quasi nostalgico.
<< Io non ho mai detto che l’amore non esiste. Ho semplicemente detto che esiste, certo… ma che non fa per me. >> le sorrise in un modo tale che potesse essere contagiata anche lei. E così fu.
<< Allora, non farà nemmeno per me. >>
<< Ne sei sicura, Tsukino? >>
<< Credo di sì, Aino. Credo proprio di sì. >>
Si chiamavano per cognome ogni qual volta che volevano sfidarsi.
<< Bene! Allora, chiamami quando avrai trovato un altro principe azzurro pronto a salvarti la vita in qualsiasi momento. >>
L’amica si mise a ridere.
<< Mina, dico sul serio. Io credo che l’amore non sia nel mio destino. >>
<< Parli così solo perché hai appena ricevuto una grossa delusione. Delusione comprensibile, certo… ma questo non significa che l’amore non sia nel tuo destino. >>
<< Io so soltanto che con gli uomini ho chiuso. >>
<< Scommettiamo, Tsukino? 5000*(5) yen se ti innamori di nuovo da qui entro i prossimi tre mesi. >>
<< Ci sto, Aino. 5000 yen, affare fatto. E se dovessi innamorarti anche tu, saranno altri 5000. >>
<< Quindi, se dovessi innamorarmi anch’io, saremmo pari. Giusto? >>
<< Giusto!
>>
<< Quindi, se tu dovessi innamorarti e io no, sarebbero 10000 yen. Dico bene? >>
<< Esatto! E viceversa, se dovessi essere tu e io no. Da qui entro i prossimi tre mesi. >>
Minako rise di gusto. Lei non voleva nessun legame sentimentale. Aveva già sofferto troppo, in passato. Non voleva soffrire più. non voleva cascare di nuovo nella stessa voragine in cui era appena cascata una delle sue migliori amiche. Rise compiaciuta, per poi posare il suo sguardo sul volto dell’amica che, invece, era seria. Ciò la costrinse a tornare anche lei tale.
<< Fai sul serio?? Io che trovo l’amore?? Ma dai… >>
<< Allora, oggi è il 13 giugno… quindi, la scadenza è al 13 settembre. >>
Minako la guardava scettica. Aveva appena realizzato che l’altra bionda non stava scherzando, ma che faceva sul serio. Poi pensò che, dopotutto, non aveva nulla da perdere. Anzi, forse, ci avrebbe anche guadagnato. E non solo denaro, ma anche una soddisfazione, qualche risata, e la guarigione della ferita riportata sul cuore di Usagi. Perché ne era sicura: quella scommessa l’avrebbe vinta ad occhi chiusi. Quale uomo non si sarebbe innamorato di una bella ragazza bionda, occhi azzurri, intelligente, spiritosa e allegra qual’era Usagi?
<< Affare fatto! Ci sto! >>
Si strinsero la mano, come se avessero appena stipulato un contratto; come se avessero costituito una società.





Era passata una settimana dall’amara scoperta.
Era da una settimana usciva poco – e, se usciva, andava solo a casa di una delle sue amiche. Era da una settimana che Seiya le telefonava senza ricevere una risposta.
Il giovedì se l’era ritrovato anche sotto la redazione del giornale, e se l’era cavata risalendo in ufficio con l’ascensore.
Ma nulla. Non aveva intenzione di vederlo, né tantomeno di parlargli.
La ferita bruciava ancora. Forse, si sarebbe sanata difficilmente.
Aveva smesso anche di andare al Crown, da Motoki: temeva che lui l’avesse cercata anche lì.
Credette che, dopo il pugno di Shingo, avrebbe evitato di presentarsi a casa sua.
Non aveva detto nulla ai suoi genitori, se non che le nozze erano state annullate.
Suo padre non aveva fatto domande, ma sua madre iniziò a studiarla, ad osservarla…
Una sera le chiese se per caso, ci fosse di mezzo una terza persona, qualcuno che ostacolava la coppia.
Ed effettivamente, c’era qualcuno che aveva ostacolato la coppia, ma… non era un’amante o un ragazzo per cui si era presa una cotta, ma bensì una bambina di cinque anni.
Come poteva dire a sua madre che il suo fidanzato le aveva omesso l’esistenza di una figlia, senza che lei urlasse o andasse fuori di testa?
No, non poteva dirlo. Non ai suoi genitori. Shingo sapeva, perciò bastava per tutta la famiglia Tsukino. Per non parlare di suo padre… avrebbe preso qualche attrezzo da giardino in garage e sarebbe andato a cercarlo in capo al mondo pur di fargliela pagare.
Perciò, pensò che suo padre non si meritava certo una condanna per una cosa così stupida.
Le sue amiche la chiamavano in continuazione per convincerla ad uscire e andare in qualche locale, o al cinema e lei, puntualmente, rifiutava.
Ma, ad un tratto, le arrivò un messaggio da parte di Minako che la convinse ad uscire.

Senti, io questa scommessa la voglio vincere! Perciò, alza quelle chiappe da quel divano e vieni da me. u_u
Stasera si va in giro a rimorchiare, e niente obiezioni! Voglio quei 10000 yen, bionda! Quindi, preparati: vestiti, truccati e atteggiati come sai fare solo tu quando sei single, perché stasera voglio vederti cacciare una nuova preda. u_u


Usagi non poté fare a meno di sorridere leggendo il messaggio, arricciando un po’ le labbra e osservando il suo Blackberry con aria da sfida, iniziando a digitare la risposta sulla tastiera qwerty.

Scordatelo! Quei 10000 yen saranno miei! D’accordo: stasera si esce. Ma non cantare vittoria troppo presto, perché ride bene chi ride ultimo! :P

Lei e Minako avevano un primato che era unico: riuscivano a scrivere poemi sul cellulare in pochi secondi. Di fatti, la risposta della sua amica non tardò ad arrivare.

‘-.- quella era, forse, una frecciatina per il mio modo di esprimere i modi di dire??

Si mise a ridere divertita e a risponderle ridendo.

Può darsi… ;) dai, dammi mezz’ora e sono da te. A dopo!






Osservava tutte le stanze del suo appartamento; dopo il suo ritorno, non ci aveva passato molto tempo. Voleva godersi quel momento, voleva rivivere la sua casa. Voleva sentirsi di nuovo a casa.
Stava rimettendo in ordine alcuni scaffali. Preferiva l’ordine al disordine.
Aveva tredici messaggi in segreteria, ma non aveva neanche la voglia di sentirli.
Sentì squillare il cellulare e, sperando che non si trattasse di lavoro, si avvicinò titubante al tavolino del salotto. Solo quando seppe chi era rispose senza esitare.
<< Ehi, dimmi tutto. >>
<< Che ci fai ancora a casa? È sabato sera! >>

<< Sì, ma… a me non va molto di uscire. >>
Motoki sbuffò a quella risposta.
<< Sei il solito orso. Perché non cambi quel brutto carattere burbero che hai? >>
Quando si dice che è bello avere degli amici sinceri… Mamoru pensò che avrebbe preferito un amico bugiardo; almeno, in quel momento.
<< Grazie, Motoki. Molto gentile da parte tua. >>
<< E dai… scherzavo! >>
<< Freud diceva che le cose dette per scherzo sono, in realtà, la verità che noi non diremmo mai. So benissimo com’è il mio carattere, Motoki. >>
L’amico notò immediatamente il suo tono infastidito, per questo mise dell’altra carne sul fuoco. Voleva vedere la sua reazione, voleva spingerlo ad uscire, a vedere e – perché no? – conoscere gente nuova… insomma: divertirsi. Era da tanto che non gli accadeva.
<< Ecco, visto? Riconoscere di avere un problema è già un passo verso la guarigione. >>
Scherzava Motoki.
Scherzava sapendo benissimo di aver messo il dito nella piaga.
Scherzava sapendo perfettamente cosa significava irritare Mamoru Chiba.
Fu per questo che il moro, ancora paziente, gli chiese semplicemente: << Che vuoi, Motoki?? Vuoi che venga lì? Vuoi che usciamo? Cosa vuoi? >>
Il biondo la prese come una sfida. Infatti, assunse un’espressione seria, rispondendogli poi << Vorrei solo che il mio migliore amico avesse un minimo di vita sociale. Non mi sembra di chiedere troppo. >>
Mamoru sospirò pesantemente, cercando di non perdere la pazienza e rispondere in maniera educata, amichevole. Non voleva essere scortese con il suo migliore amico.
<< Forse, per me, lo è. >>
Il biondo non sapeva cosa dire.
<< Senti, se dovessi cambiare idea, potresti venire qui… anche solo per un caffè. >>
Il medico si avvicinò davanti alla finestra e, appena poté osservare le luci che illuminavano la città, annuì ripetendo << Se dovessi cambiare idea, potrei venire lì, certo. >>
<< Fatti vivo, qualche volta. D’accordo? >>
<< Sicuro. Ciao, Motoki. >>
Aveva riagganciato senza nemmeno aspettare la risposta del suo amico. Si voltò, dirigendosi in cucina.
Voleva un caffè, ma ripensandoci, forse avrebbe dovuto seguire il consiglio di Motoki.
In fondo, lui aveva detto che poteva raggiungerlo al locale anche solo per un caffè.
Quindi, perché non dargli retta?
Prese chiavi, portafogli e cellulare, prima di aprire la porta, spegnere le luci, e richiuderla alle sue spalle.
Forse, aveva ragione il suo migliore amico: doveva cambiare il suo carattere.
Ma non ci sarebbe mai riuscito se fosse rimasto chiuso in casa di sabato sera.






La serata era risultata divertente, ma per chiudere in gran bellezza, ci voleva un buon caffè da Motoki.
Minako si era pettinata facendosi due trecce: era convinta che, così, non avrebbe rimorchiato; così da avere un minimo di vantaggio sulla loro scommessa.
Lei, invece, aveva raccolto i lunghi capelli biondi con un bastoncino, alla geisha, e indossando un vestito rosso e un po’ largo, credendo di non essere attraente.

Si sbagliarono entrambe: Minako, non solo stava bene con le trecce, ma i ragazzi che le si erano avvicinati le avevano confessato che sembrava particolarmente tenera con quell’acconciatura, oltre che fintamente ingenua.
E Usagi… lei aveva rimorchiato un paio di ragazzi che cercavano di immaginare cosa c’era nel sotto di quella ragazza… e con “sotto” intendevano sotto il vestito…
Morale della favola: avrebbero finito in parità.
<< Non è giusto, però… quel tale, credo si chiamasse Izumo, ci teneva a ad avere il tuo numero. >>
<< Se è per questo, anche quel certo Teruo desiderava tanto ballare con te! >>
<< Usa-chan, sei ingiusta! >>
<< No! Sei tu che sei sleale! Buttarmi tra le braccia del primo idiota disponibile solo per 5000 yen. Dovresti vergognarti! >>
<< Sono 10000 yen, prego. >>
<< Beh, stasera potresti aver conosciuto il grande amore della tua vita grazie a me, quindi sarebbero stati 5000. Anzi, saremmo andate in parità. >>
Minako aveva fatto una di quelle smorfie di delusione che la facevano sembrare una bambina; e Usagi sorrideva, mentre la smascherava.
Stavano dirigendosi verso il Crown, per la ciliegina sulla torta; o meglio, il caffè di Motoki.
Ci voleva dopo quei drink bevuti insieme a quei ragazzi sconosciuti.
Non erano ubriache… erano soltanto un po’… allegre. Sorridevano molto, ma non erano ubriache fradicie.
Minako perlustrava la sua borsetta cercando il suo cellulare, mentre Usagi sentì una strana sensazione; come quando si ha la sensazione di essere nel posto giusto, ma al momento sbagliato.
Sì, era proprio quella la sensazione che provava la ragazza. Rivolse il suo sguardo verso l’amica, guardandola come se avesse visto un alieno; poi, tornò a guardare la porta del locale di Motoki.
<< Trovato! >>
La voce di Minako la risvegliò da quello stato catalettico, costringendola a girarsi verso di lei.
<< Usa-chan? Va tutto bene? >>
<< Io… credo che… siano stati i drink. >>
<< Non preoccuparti. Ora noi entriamo e ci penseranno il nostro Motoki e la nostra Mako a farci riprendere. >>
<< Sì. Sì, ci penseranno loro. >>






Era arrivato al pianerottolo del suo appartamento. Aveva fatto qualche passo avanti, prima di fermarsi. Si girò prima verso le scale e poi di nuovo in direzione della porta di casa sua, sentendo però una spiccata voglia di tornare al locale.
Aveva avuto una strana sensazione. Quella di essere nel posto sbagliato, al momento giusto.
Come quando nuotava in mare aperto e finiva la sua scorta di ossigeno nei polmoni: ne necessitava sempre di più.
Si sentiva come un orso attratto dal miele.
Poi si voltò di nuovo, verso la direzione la porta di quell’appartamento, e pensò che sarebbe stato meglio rientrare, buttarsi sotto la doccia e farsi, poi, una bella dormita. Magari, ripensando alla chiacchierata appena avuta con Motoki riguardo al loro gruppo preferito, i Coldplay, e alla possibilità di andare ad un loro concerto.
Sì, perché… per quanto potesse essere un orso, alla fine, cedeva sempre davanti alle insistenze di Motoki.
Ecco perché riusciva ad aprirsi con lui. Ecco perché lo capiva. Ecco perché gli permetteva di capirlo.




<< Quindi, se una delle due perde, deve sganciare 5000 o 10000 yen, a seconda della perdita. Ho capito bene? >>
<< Esatto! >>
Risposero all’unisono alla domanda del loro amico ancora un po’ sorpreso.
<< Non credevo che poteste essere così competitive. >> Makoto era ancora più sorpresa del suo fidanzato.
<< Oh, Mako-chan… credimi, io me la sarei anche risparmiata, ma Usagi ha insistito così tanto con questa storia della scommessa… >>
<< Beh, non sono certo io quella che crede di vincere sempre le sfide! >>
<< Questo è vero. >>
Minako lanciò un’occhiataccia a Motoki; il quale, subito dopo averla notata, si girò prima verso la fidanzata, poi verso la macchina del caffè.
<< Ma bisogna anche ammettere che sono molto astuta, quando si tratta di sfide. >>
<< Anche questo è vero. >>
Motoki si rigirò senza nemmeno guardarle. Anzi, tutta la sua attenzione era riposta al bicchiere che stava asciugando. Solo dopo tornò a guardare le due bionde.
<< Ma tu da che parte stai? >> Usagi aveva rivolto al biondo quella domanda, con un tono un po’ irritato.
Il ragazzo fece spallucce.
Makoto, nel frattempo, cercava di cambiare argomento << Sapete che ho fatto un esperimento? Ho creato un nuovo dolce. Vi va di assaggiarne un po’? >>









Note:


* = L’attacco di panico è un insieme di sintomi manifestati in momenti di forte ansia. I sintomi più comuni sono: l’affanno e difficoltà respiratoria, pulsazioni irregolari, forte tremore. Sono improvvisi, e a volte, la causa non è poi così scontata. Si possono curare attraverso un percorso psicoterapeutico. (nda, non sono piacevoli, ve lo posso assicurare)

** = le malattie psicosomatiche sono tutte quelle malattie che non hanno origine organica, ma psicologica (causati da stress, forti traumi, emozioni forti, ecc…) e che si manifestano fisicamente (gastrite nervosa, gravidanza nervosa, emicrania nervosa, ecc..)

*** = È il quotidiano più letto e più venduto in Giappone, soprattutto a Tokyo. Il suo direttore è realmente Tsuneo Watanabe.

*(4) = Questa canzone è nell’omonimo film diretto da Martin Scorsese del 1977 con Robert De Niro e Liza Minnelli. Tuttavia, non ho diritti a riguardo.

*(5) = 5000 yen sarebbero circa €50. (€1 = circa 100 yen, varia a seconda della valuta. Stamane il rapporto euro/yen era 102,52)






I miei pensieri:

Eccomi! Purtroppo, alcuni eventi non mi hanno permesso di pubblicare il giorno del mio compleanno, mercoledì. Devo ringraziare Trenitalia (2 ore e mezzo per tornare a casa ieri e mercoledì), per questo. Ma devo anche ringraziare le mie amiche della vita reale, perché dovete sapere che mercoledì sera, dopo aver sofferto fame freddo e stanchezza fino alle sei e mezzo di sera dalle sei mezzo di mattina, mi hanno fatto una bellissima sorpresa: mi sono venute a prendere fuori la stazione di Reggio senza che io sapessi nulla e mi hanno letteralmente sequestrata. Tutto per festeggiare i miei vent’anni.
Mi dispiace solo non aver festeggiato con le mie dolcissime amiche di EFP e di Facebook. E, per questo, mi farò perdonare! ;)

Ci tengo a ringraziarvi tutti, intanto. Perché il vero regalo di compleanno me lo fate avere ogni giorno, seguendomi e consigliandomi, oltre che mostrarmi il vostro affetto che, credetemi, è già moltissimo per me.

Confesso che dire: “Ho vent’anni.” Mi fa ancora uno strano effetto, non posso nasconderlo.
Ma se c’è una cosa che ho imparato, è che bisogna vivere ogni giorno come fosse l’ultimo, ma con la speranza che non lo sia; con la voglia di continuare a vivere sempre.
E, credetemi, la voglia di vivere è una delle poche cose che non mi manca.

Mi rivolgo alle mie amiche (voi sapete chi siete, a buon intenditor poche parole ;) ) non posso ritenermi una ragazza infelice. Perché, anche grazie a voi, lo sono.
Non potrò mai ringraziarvi abbastanza per quello che, ogni giorno, fate per me.
Spero di potervi vedere in faccia, un giorno, e dirvi:
“Vi voglio bene.
Vi voglio bene perché ci siete sempre e comunque; vi voglio bene perché mi sapete ascoltare e consigliare; vi voglio bene perché cercate, ogni giorno, di farmi capire che su di voi posso e potrò sempre contare; vi voglio bene perché senza di voi, forse, non sarei nemmeno qui.
Vi voglio bene e siete delle amiche che farebbe invidia a chiunque. Dico davvero.”
Grazie di tutto, ragazze. Di cuore.

Vi abbraccio tutte e vi mando un bacio.

La vostra Manu/Pallina/Minako/Spank. ;)



Per chi volesse seguirmi, venite a trovarmi sulla mia pagina *La stanza di Manu*. Vi aspetto! ;)
   
 
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