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Autore: berlinene    10/02/2012    4 recensioni
Una raccolta di shot che hanno come protagonisti i Toho Boys e la “mia” Toho Girl Yasu Wakabayashi. Una serie di storielline ad ambientazione scolastica (e dintorni) che non hanno nessunissima pretesa, se non quella di strapparvi qualche sorriso e regalarvi un po’ di sano fluff - che non guasta mai... insomma per far tornare tutti al liceo... suvvia, alzi la mano chi non ha desiderato, almeno una volta, sedersi fra i banchi dell'Istituto Toho...
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Siamo sempre al primo anno e Yasu e Ken non stanno ancora insieme.

***ATTENZIONE***

Si avvisano le Genziane più suscettibili di saltare i primi paragraf i e cominciare da "Pensavo"... lol

*guarda amorevolmente Genzo e gli ricorda quanto bene gli vuole 

ma... si sa... son ragaaaazzi, ci vuol pazienza :P*


Happy Birthday

“Toh!” esclamò Sorimachi, smanettando con quella sua inutile agenda elettronica. “Domani è il compleanno di Wakabayashi”.
“E allora?” chiese Kojiro con un’alzata di spalle. “Cos’è? La Giornata Internazionale della Boria?”
“O il giorno in cui toglie il cappello e lo lava?” incalzò Ken, ridacchiando.
“Anzi no, la Giornata Mondiale delle Teste di Cazzo...”
“O San Genzo Goal Keeper protettore dei tiri da fuori area?”
“La Festa dell’Inviolabilità?”
“Il self-confidence day?”
Kazuki roteò gli occhi e incrociò le braccia, guardando con sufficienza i due compagni sghignazzare e sciorinare battute più o meno divertenti sull’SGGK. Alla fine si reggevano la pancia ridendo sguaiati.
“Posso?” chiese infine il numero nove del Toho.
“Mandargli un bigliettino di auguri?” ghignò Ken. “Sì, però, prima di imbustarlo, dammelo che dentro ci voglio-”
Pensavo...” lo sovrastò con la voce Kazuki, preferendo non sapere quale fluido corporeo del karate keeper sarebbe potuto volare in Germania insieme agli auguri. “… visto che Yasu è la sua sorella gemella, probabilmente è anche il suo compleanno e credevo vi potesse interessare!” urlò, stremato.
Kojiro smise di ridere all’istante scoccando al compagno uno sguardo torvo. Ken lo guardò con occhi spalancati e il volto pallido. Tendeva a resettare il pensiero che Genzo e quella che era diventata la sua migliore amica fossero fratelli gemelli.
“Dobbiamo farle un regalo” balbettò il portiere sconvolto.
Kazuki batté ironicamente le mani un paio di volte. Finalmente ci erano arrivati. “Il problema è: cosa si regala a una miliardaria?”
“Non solo... come facciamo?” Si intromise, pratico, Kojiro. “Oggi è tardi per uscire dal campus e domani fra lezioni e allenamenti non abbiamo tempo”.
“Magari possiamo ordinarle qualcosa per telefono...”
“Sì, una pizza... ma sei scemo, Sorimachi?” lo rimbrottò il capitano, allungandogli uno scappellotto.
“Ma sentiteli! E pensare che se non era per me manco ci arrivavate! E comunque, credo basterebbe che uno di voi si mettesse un bel fiocco di tulle in testa e...”
Hyuga gli scoccò un altro sguardo assassino chiedendogli cosa andasse blaterando, mentre il colore tornava con un certo impeto alle guance di Ken.
La tensione fu rotta dal rumore della porta che si apriva, azzittendoli. Tuttavia, non era l’oggetto delle loro discussioni, bensì Sawada.
“Ciao a tutti” salutò, solare come sempre, il piccolo centrocampista.
“Dove sei stato, Takeshi?”  chiese Ken, desideroso di cambiare argomento.
“A comprare un regalino per Ya-chan” disse pacato, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
“Che cosa?” ringhiarono all’unisono gli altri tre. “Tu lo sapevi?”
“Certo è scritto qui...” disse, sventolando un foglio, che gli altri riconobbero all’istante come quello consegnato loro mesi prima, il primo giorno del ritiro della Nazionale, con tutti i dati di ogni giocatore. D’istinto ognuno si domandò  dove fosse mai finita la propria copia e le ipotesi andarono dall’aeroplanino, alle palline di carta e saliva con cui bersagliare Ishizaki, da fungere da involto per chewing gum  da buttare a chissà cosa.
“E tu lo hai tenuto?” domandò Kazuki, storcendo la bocca e osservando il foglietto perfettamente piegato .
“Certo” annuì deciso Sawada. “Così posso fare a tutti gli auguri per il compleanno...”
Gli altri lo guardarono inorriditi.
“Persino a Ya-chan perché è nata lo stesso giorno di Genzo”. Rise, deliziato dalla straordinaria coincidenza, dall’imprevedibilità del destino o chissà cos’altro.
“E cosa le hai comprato?” chiese Ken, ostentando un’aria vaga.
“Una fascia per i capelli. Dice sempre che le danno fastidio quando corre, ma che ancora sono troppo corti per legarli. È blu e grigia come la divisa del Toho!” concluse entusiasta.
Gli altri lo guardarono con malcelata ammirazione.
“Ora lo vado a nascondere perché fra poco Ya-chan torna da lezione”.
L’espressione dei compagni da ammirata si fece sorpresa e poi allibita quando, giusto due minuti dopo, Yasu rientrò salutando col solito “Salve a tutti!”.

****

Yasu si sedette sul divano in attesa della canonica chiamata di Genzo. Anche se quello era ancora un giorno speciale, la routine rimaneva la stessa: i ragazzi andavano a letto e le lasciavano la privacy per parlare col fratello, che di solito chiamava, per via del fuso orario, attorno alla mezzanotte.
La ragazza aveva un sorriso beato stampato in faccia. I ragazzi potevano dire quello che volevano: era stato uno dei compleanni più belli della sua vita.
Eppure la giornata era cominciata male, malissimo... si era svegliata piangendo, pervasa da un senso di solitudine così totale, che solo chi non nasce da solo può capire. Era il primo compleanno che lei e Genzo trascorrevano separati e le sembrava così strano, brutto, ingiusto. Poi aveva recuperato la calma e la razionalità, affrontando quella giornata come tutte le altre. Certo, aveva sperato che qualcuno le facesse gli auguri… ma vabbè...
Terminate le lezioni, era andata a vedere l’allenamento e dopo era stata trattenuta per motivi futili un po’ da tutti i compagni di squadra, per concludere col mister che l’aveva fatta restare quasi un’ora nel suo ufficio a discutere di cose che avevano già deciso tempo prima. L’inutile riunione si era conclusa con uno strano risolino e un augurio di buon compleanno da parte dell’allenatore.
Era tornata verso l’alloggio imprecando: era tardi ed era il suo turno di fare le pulizie.
Ma quando era entrata in casa, l’aveva trovata pulitissima, dal soggiorno alla cucina, persino la sua stanza era riordinata e splendente.
Guardando meglio, aveva visto che sulla tavola troneggiavano un dolce e un mazzo di fiori, evidentemente molto, come dire, artigianali, ma che le erano sembrati meravigliosi. E dulcis in fundo, quando si era avvicinata, da dietro il muretto che separava l’angolo cottura, erano spuntati i suoi coinquilini gridando “Buon compleanno!”
Dopo si erano profusi in mille scuse per non averle fatto il regalo, se non quella fascia per capelli che, ci tennero a specificare, era da parte di tutti. Ma lei aveva risposto, ed era sincera, che nessun dono poteva valere quanto un turno di pulizie e una cenetta speciale come quella che era seguita.
E, soprattutto, le avevano regalato il sorriso che adesso le piegava le labbra e che quella stessa mattina le sembrava lontano anni luce...
I pensieri di Yasu furono interrotti dal telefono.

Ken sentì squillare il telefono, solo una volta: Yasu stava vicino all’apparecchio e rispondeva subito, per non disturbarli troppo. Controllò l’orologio: di solito la conversazione col fratello durava una decina di minuti, doveva calcolare bene i tempi per intercettarla.
Passati i canonici dieci minuti, Ken afferrò l’involto che aveva tirato fuori dal borsone, aprì piano la porta della propria stanza e si avviò lungo il corridoio. Sentì la voce sommessa di Yasu e ridacchiò: le poche volte che l’aveva sentita parlare al telefono col fratello, aveva constatato che la conversazione consisteva soprattutto in un monologo di Yasu cui Genzo rispondeva, probabilmente, solo a monosillabi*.
E anche ora era così: le stava raccontando della festicciola, anche se una versione un po’ modificata, visto che l’SGGK non era al corrente del fatto che la sorella convivesse con dei maschi. “Glielo dico quest’estate” prometteva sempre.
Rimase per qualche istante nel corridoio, poi la sentì dire quel buffo saluto in tedesco che suonava tipo “ciuss” e seppe che era il momento di andare in scena.

Yasu riabbassò la cornetta con quel misto di nostalgia e allegria che le dava sempre parlare con suo fratello. Menomale che le vacanze di Natale erano vicine e presto lo avrebbe riabbracciato! Era sovrappensiero e l’ombra che si trovò davanti la fece sussultare.
“Ken” sospirò poi, mettendosi una mano sul petto. “Mi hai fatto paura.” Ridacchiò.
“Paura? Nientemeno...” sorrise a sua volta il portiere. “Non pensavo di essere tanto brutto...”
“Che scemo, sai che non è quello il... problema” rispose un po’ imbarazzata. “E’ che ti credevo a letto. Come mai ancora in piedi?”
Il portiere consultò l’orologio e bofonchiò qualcosa circa l’essere ancora in tempo, poi attaccò, incerto: “Ecco... Neanche questo è un vero regalo però...” le porse l’involto. “Mi piacerebbe che li avessi tu...”
“I tuoi guanti portafortuna!?!” esclamò lei riconoscendoli, non appena li intravide.
Ken aggrottò le sopracciglia e le labbra si arricciarono dandogli un’espressione contrariata. “Veramente... tu mi avevi detto che non era vero.”
Yasu rise fra sé, ricordando l’episodio: era stato durante una partita fuori casa, lui era andato nel panico totale perché diceva che se non aveva in borsa quei guanti non poteva giocare, che erano stati i suoi primi guanti eccetera eccetera. Dopo aver rivoltato le borse di tutti, appurato che non c’erano, Yasu si era giocata l’unica carta disponibile e gli aveva fatto un discorso serio e circostanziato sul fatto che la scaramanzia era una cavolata, che i portafortuna non esistevano e che tutto quello che facciamo è il risultato dei nostri sforzi e delle nostre capacità. Ken l’aveva guardata per tutto il tempo con quei suoi profondi occhi neri, le sopracciglia aggrottate e la bocca imbronciata, proprio come in quel momento. Poi aveva visto la fronte distendersi e lo sguardo farsi determinato. “E’ vero” le aveva detto, prendendola per le spalle e trapassandola con una delle sue occhiate taglienti. “Grazie”.
Yasu sorrise ripensando alla fiducia che aveva riposto in lei. Abbassò il capo e confessò: “Sai, lì per lì te l’ho detto solo perché li avevi persi e non volevi giocare senza averli con te...” rise dandogli un buffetto sul braccio.
“Allora - ” balbettò preoccupato.
“Ma credo che sia la verità,” lo interruppe, poggiandogli le mani sul petto e guardandolo dritto negli occhi. “In quella partita giocasti benissimo, no?”
Ken rilassò le spalle, sorrise e annuì.
“Ma anche se sono convinta che la loro presenza nel borsone non influisca sulle tue prestazioni,” proseguì lei, allontanandosi di qualche passo, “resta il fatto che a questi guanti ci tieni, sono un ricordo... non posso accettare...”.
“Ma va’, non mi entrano più da anni. E poi, a scanso di equivoci, puoi sempre portarli tu alle partite.” E così dicendo glieli mise fra le mani.
“Grazie” mormorò lei, tirandoli con attenzione fuori dal sacchetto e guardandoli.
“Provali” la incoraggiò.
Li fece scivolare lungo le mani con sorprendente facilità, li allacciò e vide che le calzavano benissimo. “Grazie” ripeté ancora.
“Sono sempre in discrete condizioni, si meritano di fare qualche altra parata...” sorrise, prendendole le mani per stringerli meglio attorno ai polsi.
“Allora forse non sono la persona più adatta... però, se vuoi, durante le partite li indosserò: sono così comodi...” esclamò allegra, sventolandogli le mani davanti. “Se vuoi che vengano usati dovresti darli al tuo secondo, il portiere della squadra delle medie...”
“Ecco!” fece Ken, battendosi il palmo sulla fronte, come se si fosse scordato qualcosa, ma il lampo che gli passò negli occhi suggeriva che era tutta scena. “La prossima settimana facciamo una partita di allenamento contro la squadra delle medie, ma il loro portiere non c’è... ora, io giocherò nella loro porta per avere contro Hyuga e gli altri, ma ci vuole qualcuno fra i pali della nostra porta... Non è che ti andrebbe...”
“Io?!?” balbettò incredula, puntandosi un dito al petto.
Ken annuì, contento.
Yasu lo fissò per qualche istante, poi gridò “Sììììì!!!” e gli saltò al collo, stringendolo forte.
Era felice, felice per quella giornata, felice per i guanti, felice perché avrebbe giocato insieme ai suoi amici, felice perché aveva i suoi amici, felice perché aveva Ken e lo stava abbracciando, felice perché lui ricambiava, timidamente, l’abbraccio.
Difficile dire quale fosse il regalo più bello.

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Note:

* Un credito doveroso: questo, lo ammetto, l'ho ripreso da Jeans di WYHY (che consiglio vivissimamente). E' un dettaglio che ho adorato, spero non me ne voglia per averglielo "rubato".

Una dedica speciale a sissi, che aveva bisogno di sorridere un po'.

Un grazie alla mia beta rediviva rel, che mi era mancata assai!!!

bacini sparsi a tutti

   
 
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