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Autore: ma89vi    10/02/2012    4 recensioni
"Perchè l'hai fatto?
Perchè hai tradito la mia fiducia?"
Mamoru non gliela aveva semplicemente portata via. Si era preso tutto di lei: il suo corpo, il suo cuore... la sua anima.
E lui non era stato capace di impedirglielo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Seiya, Un po' tutti, Usagi/Bunny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Capitolo 14: Le verità nascoste.

“Questo è il mio pegno d’amore per te. Anche se non ci vedremo per un po’, sarai sempre l’unica per me. Ora devo andare Odango-chan. A presto.”

Ormai era una settimana che si svegliava con le parole del suo ragazzo nella mente. Queste le rimbombavano in testa come se fossero campane impazzite.

E facevano male, malissimo.

Come tutte le mattine di quella calda estate, il sole aveva fatto capolino molto presto nella sua stanza. Erano appena le sette e già i suoi raggi, timidamente, l’avevano riportata alla realtà da cui stava fuggendo.

Ormai era una settimana che lui non era più in Giappone.

“Ti amo, Usagi!”, le aveva detto con il cuore in mano.

Decise di alzarsi dal letto e avvicinarsi alla finestra del suo balcone per guardare il panorama estivo della sua città. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per non pensare.

Sospirò. Seiya, il suo Seiya era davvero innamorato di lei. Glielo dimostrava in tutti i modi. Ora che si trovava a Londra,ancora di più. La chiamava almeno cinque volte al giorno per rassicurarla, per raccontarle la sua esperienza nella città britannica.

Già, Londra. La grande capitale inglese. Era così lontana dalla sua vita, ma così vicina al suo ragazzo. Le aveva raccontato che si trovava bene lì. La city era bella e ospitale, forse un po' caotica, ma piena di sfavillanti sfaccettature. Il produttore della casa discografica, poi, si era dimostrato gentile con lui e i suoi fratelli, facendoli abitare al centro, vicino Piccadilly Circus. Avevano persino già inciso la loro prima canzone.

Ne era felice.

Lui era andato lì per realizzare il suo sogno e ce l’avrebbe fatta, anche se l’aveva lasciata sola. Sola in preda a sentimenti contrastanti, sola a prendere atto di quale fosse realmente la verità. Non poteva fargliene una colpa, non poteva essere egoista come sempre.

Sfiorò con un dito la superficie liscia del vetro della finestra e lo vide.

Lui era lì. Il pegno d’amore del suo ragazzo. Lo guardava attentamente. Brillava alla luce del sole. Splendeva, falsamente. Avrebbe dovuto significare amore eterno. Invece portarlo al dito era la cosa più sbagliata che stava facendo. Prendere in giro sé stessa... questo stava accadendo. Questo era successo.

Sentiva un gran peso sullo stomaco. Un forte macigno che le impediva perfino di stare in piedi. Si sedette sul letto e si lasciò andare, appoggiando la schiena sopra il materasso.

Guardava il soffitto. Era più pulito della sua coscienza.

Ormai era una settimana che l’aveva capito. Era innamorata di Mamoru. Pazzamente anche.

Sapeva che era sbagliato, ma che poteva farci? Ne aveva preso atto. Amava quel rude antipatico sincero e dolce Mamoru. L’aveva sempre amato, in realtà. Sin dal loro primo incontro, ma aveva fatto di tutto per respingere il suo sentimento.

Per Seiya. Lui non doveva sapere nulla. Non almeno in quel momento della sua carriera. Gliene avrebbe parlato al suo ritorno e lui l’avrebbe capita.

O almeno ci sperava.

“Uffa, uffa e ancora uffa! Mamoru ti odio!”, disse in un impeto di disperazione, mettendosi le mani sul volto.

Magari lo avesse detestato veramente. Sarebbe stato tutto più facile.

Toc toc!

Qualcuno aveva bussato alla sua porta, distogliendola dai suoi pensieri.

“Usa-chan, sei sveglia?”, le chiese la madre dall’altra parte.

“Sì, mamma! Entra pure.”, le disse e quasi si spaventò se non avesse saputo che si trattava della sua genitrice.

Ikuko Tsukino aveva gli occhi piccoli e rossi, le orecchie grandi e gonfie sorrette da una fascia legata sul capo e tossiva ripetutamente.

“M-mamma?”

Usagi era allibita. Le scappava anche da ridere, a dire il vero.

“Usa-chan... coff coff... ti prego... coff coff... vai in farmacia a comprarmi le medicine. Mi sono finite e tu sei l’unica che può andarci. Sam dorme ancora e tuo padre è a lavoro.”, la implorò, affaticata.

“Certo mamma che ci vado, ma come facciamo con il negozio?”

Ormai era una settimana che apriva e chiudeva lei il loro negozio di animali. Si era buttata a capofitto nel lavoro, proprio per non pensare a niente.

“Oggi rimarrà chiuso. Te lo puoi prendere un giorno di festa visto che mi stai aiutando con tanta costanza. Ora vestiti e cerca di tornare il prima possibile, non come al tuo solito!”, concluse la donna.

“Ok, mamma! Vado e torno in un baleno!” , rispose la giovane dando un leggero bacio sulla guancia alla madre, che si era poi dileguata velocemente.

Si tolse, così, il pigiama rosa con i coniglietti e decise di optare per una camicetta bianca e un paio di shorts visto la calura di quel giorno. Indossò il tutto rapidamente ed uscì a comperare i medicinali.

Nonostante facesse molto caldo, tirava una leggera brezza che faceva stare bene la ragazza. Camminava nei vialetti antistanti la sua abitazione, a passo lento per gustarsi quell’arietta che piano le riempiva i polmoni.

Che magica sensazione! Sentiva il profumo della salsedine entrarle nelle narici e invadere il suo corpo... provava un certo benessere e questo la metteva di buonumore!

Nonostante tutte le problematiche che la stavano travolgendo, si sentiva viva. Era così vitale che quel giorno se ci fosse stata una catastrofe naturale, sarebbe stata in grado di affrontarla.

Sorrise. Era così codarda che non ci sarebbe mai riuscita davvero, ma intanto le piaceva fantasticare sui suoi probabili grandi e invincibili super poteri.

Ben presto arrivò in farmacia e acquistò il cortisone e l’antibiotico che servivano a sua madre. Certo che era stata proprio sfortunata... prendersi gli orecchioni d’estate! Meno male che lei era vaccinata!

Drin drin! Drin drin!

Improvvisamente, mentre usciva dall’esercizio commerciale, le squillò il cellulare.

“Pronto?”, disse evitando di leggere il nome sul display.

“Solo pronto mi dici, amore? E io che speravo in un amore mio finalmente ti fai sentire... mi sei mancato tanto!”, la rimproverò Seiya dall’altra parte, scherzando.

Amava giocare in quel modo con lei.

“Oh, Seiya sei tu. Scusami non ho letto lo schermo del telefono. Come stai?”, gli domandò sforzandosi di sembrare il più naturale possibile.

Ogni volta che lui le telefonava, pativa le pene dell’inferno. Non perché avesse fastidio nel sentirlo, ma perché detestava prenderlo in giro con false moine.

Si odiava perché non riusciva ad amarlo.

Si odiava perché non le mancava come fidanzato, ma semplicemente come amico.

Si odiava perché non voleva lasciarlo ora che era lontano.

Si odiava e basta. Di motivi, ne aveva una marea.

“Io bene... tu piuttosto? Se non ti conoscessi, direi che non sei affatto felice di sentirmi!”, esclamò, continuando a prenderla in giro.

“Effettivamente era meglio se non mi avessi chiamato!”, pensò la ragazza tra sé e sé. Certo, questo non poteva mica dirglielo.

“Ma cosa dici, amore? Ah ah, scherzi sempre tu! A proposito, da te non è notte fonda? Cosa ci fai in piedi?”, chiese stupita, facendo finta di niente, mantenendo un tono calmo.

“Beh, sì... ma avevo troppa voglia di sentirti. Mi manchi da matti, Odango!”, le rivelò lui, molto dolcemente.

“Oh, no Seiya perché fai così? Mi rendi le cose ancor più difficili! Tu non mi manchi per niente.. anzi, a dir la verità, è qualcun altro a mancarmi!”

Il suo pensiero volò su Mamoru. Non lo vedeva da prima che il suo ragazzo partisse. Chissà come aveva condotto la sua vita in quella settimana. Non l’aveva più incontrato. Come poteva? Era stata sempre barricata in negozio per tutto il tempo!

Le mancava, le mancava molto. Ma forse per il bene di tutti era meglio che non lo avesse visto. Dimenticarlo, era l’unica soluzione per non far soffrire nessuno. Se solo fosse stato semplice.

“Usa, ci sei?!”, la interpellò Seiya non ricevendo risposta.

“Uhm, sì scusa. Pensavo a quanto mi manchi anche tu...”, mentì spudorata e una lacrima le rigò il viso. Non sarebbe mai riuscita a mentirgli per tutti quei mesi.

“Tranquilla, ci vediamo presto! Ora vado a dormire che domani mi aspetta una giornataccia molto pesante! Ci sentiamo più tardi. Ti amo!”

“Ciao...”

E detto questo riattaccò.

Usagi tirò un sospiro di sollievo. L’agonia era appena finita, ma sarebbe ricomparsa presto.

Dio, come si sentiva in colpa! Era priva addirittura del respiro. In quel momento aveva tanto bisogno di una persona amica. Non si era confidata più nemmeno con Makoto... non se l’era proprio sentita perché non voleva essere giudicata. Né tantomeno voleva consigli.

Questa volta però aveva necessità di aprire il suo cuore e visto che si trovava nelle vicinanze del Crown, decise di dirigersi lì. Magari avrebbe trovato la sua amica al lavoro e le avrebbe rubato cinque minuti.

Ma sì, avrebbe fatto così.

Si diresse allora di buon passo verso il locale di Motoki, dimenticandosi per un po' che sua madre la stava aspettando impaziente a casa.

 

Crown mezz’ora prima.

Mamoru si era alzato di buon’ora quel giorno. Aveva, per sua sfortuna, il turno di mattina. Odiava andare in ospedale di buon’ora perché la notte dormiva sempre troppo poco. E sempre per lo stesso motivo: Usagi.

Una cosa positiva c’era: da quando Seiya era partito, non l’aveva più vista.

Già, forse era meglio così. Gli avrebbe fatto troppo male.

Eppure sembrava tutto un controsenso.

Doveva controllarla, ma non l’aveva fatto. L’aveva assicurato a Seiya, ma sapeva che non sarebbe stato in grado di mantenere quella sua promessa. Forse era stato troppo affrettato a dirgli di sì.

Ormai però era troppo tardi per tornare indietro.

Doveva vivere la sua vita così come questa gli si presentava davanti e anche se quella testolina buffa lo faceva impazzire doveva non pensarci. Non doveva pensare nemmeno a Seiya, altrimenti sarebbe uscito fuori di testa. E questo non poteva proprio permetterselo. Gli dispiaceva, ma non poteva proprio stare appresso a Usagi.

Quel giorno, prima di andare in ospedale, dopo una doccia veloce e dopo essersi sbarbato, era uscito di casa con un jeans e una maglietta nera per recarsi al Crown a prendere un caffè dal suo amico Motoki. Aveva bisogno di scambiarci due parole.

“Buongiorno Motoki!”, disse una volta entrato all’interno del locale e sedutosi al bancone.

“Buongiorno Mamo! Vedo che sei mattiniero oggi!”, gli rispose il biondino, sempre con i suoi soliti modi gentili, intento ad asciugare un bicchiere.

“Già, oggi ho il tanto odiato turno di mattina. Moto, ti prendo fammi un caffè che fa resuscitare pure i morti! Ho avuto una nottataccia!”

Sbadigliò. Aveva davvero dormito poco.

“Ahi, ahi. Qualcosa mi dice che c’entra una ragazza bionda!”, lo stuzzicò l’amico.

Mamoru arrossì. Erano vere le sue parole, anche se non voleva ammetterlo.

“Già, hai indovinato. Contento, ora?”, rispose leggermente infastidito.

Motoki gli sorrise, porgendogli la bevanda che gli aveva chiesto.

“Sai come la penso riguardo Usagi.”

Già lo conosceva benissimo il suo parere. Ma questo non poteva fargli dimenticare da un momento all’altro l’amore che provava per Usagi. Gli serviva del tempo.

“Lo so.”

Aveva iniziato a sorseggiare il suo caffè. Rigorosamente amaro.

“Seiya mi ha chiesto di te. A quanto pare sei irraggiungibile al cellulare.”

Motoki era passato da un tono divertito a uno preoccupato.

“Sembra strano, secondo te?”, gli disse il dottore sfidandolo.

Motoki sorrise.

“Certo che no.”

“È difficile per me parlare con Seiya, dopo tutto quello che è successo. Lo sai. Preferisco così. Digli che è tutto ok e che anche Usagi sta bene.”, concluse velocemente.

“Cosa c’entra Usa--”

Motoki non riuscì a concludere la frase quando la vide sulla porta, mentre entrava frettolosamente.

“Buongiorno Motoki! Cercavo Mako. È qui?”, disse la ragazza in maniera concitata, senza guardare il suo interlocutore.

Quando si accorse di Mamoru era ormai troppo tardi. Non poteva mica uscire dal locale così, senza motivo.

Lui era lì, lo vedeva di schiena, ma era lì, a pochi centimetri da lei. Il cuore le batteva così forte che pensò che l’infarto sarebbe stato imminente. Le gambe le tremavano, ma decise lo stesso di avvicinarsi al bancone.

Motoki la guardava stupito ed era in ansia per Mamoru. Non aveva minimamente idea di come avrebbe potuto reagire alla vista della ragazza.

“Buongiorno Usagi!”

Mamoru aveva spiazzato entrambi, girandosi e salutando la biondina. Non immaginava di trovarla ancora più bella di come l’aveva lasciata. Il cuore gli faceva strani movimenti nel petto, anche se stava facendo finta di niente.

Usagi era rimasta di sasso. Lui, anche se le aveva dato il buongiorno, non l’aveva chiamata Usako come al suo solito. Perché? Perché era così freddo?

“B-buongiorno anche a te.”, aveva detto con la voce che tremava.

Motoki avvertiva molta tensione tra i due. E mentre stava per dire qualcosa per rompere il ghiaccio, il medico lo precedette.

“Ora devo andare in ospedale. Grazie del caffè, Moto.”

Si alzò e rimase fermo, guardando Usagi dritta negli occhi. Era bellissima, con quello sguardo triste e sofferente che le dipingeva il viso. Era così indifesa e lui l’amava profondamente. Ma no, non poteva.

“Ciao.”, pronunciò passandole affianco.

Un brivido percorse la schiena di entrambi. Usagi sentiva il cuore impazzirle e si girò a guardarlo, mentre lentamente l’uomo che amava si stava allontanando.

Non voleva che se ne andasse. Le era mancato troppo per lasciarlo andare in quel modo.

“A-Aspetta!”, gli disse correndogli dietro.

Mamoru rimase sbigottito dal comportamento della ragazza.

“Cosa vuoi?”

Perché era così freddo con lei?

“Perché Usagi?”, le aveva detto la giovane con quella ingenuità che da sempre la caratterizzava. “Perché mi hai chiamata Usagi?”

Già, perché non l’aveva chiamata Usako? Perché?

“Perché voglio dimenticarti!”, pensò il medico, affranto. Voleva tanto rivelarglielo, ma furono altre le parole che proferì.

“È quello il tuo nome, no? Ora scusami, ma non posso perdere tempo!”

Usagi era rimasta immobile, pietrificata. Perché Mamoru si era comportato in quel modo gelido con lei?

Sentì un nodo stringerle la gola. Adesso più che mai aveva bisogno di qualcuno con cui sfogarsi.

Tornò dentro il locale. Trovò Motoki, stupito. Non sapeva come comportarsi.

“Usagi, vedi Makoto è al ristorante e quindi...”

Non finì di articolare la frase. Usagi stava piangendo, impalata davanti a lui. Piangeva disperata e lui non poteva aiutarla in nessun modo.

 

  
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