Capitolo 14: Le
verità nascoste.
“Questo
è il mio pegno
d’amore per te. Anche se non ci vedremo per un po’,
sarai sempre l’unica per
me. Ora devo andare Odango-chan. A presto.”
Ormai era una
settimana che si svegliava con le parole del suo ragazzo nella mente.
Queste le
rimbombavano in testa come se fossero campane impazzite.
E facevano male,
malissimo.
Come tutte le
mattine di quella calda estate, il sole aveva
fatto capolino molto presto nella sua stanza. Erano appena le sette e
già i
suoi raggi, timidamente, l’avevano riportata alla
realtà da cui stava fuggendo.
Ormai era una
settimana che lui non era più in Giappone.
“Ti
amo, Usagi!”, le aveva detto
con il cuore in
mano.
Decise di
alzarsi dal letto e avvicinarsi alla finestra del
suo balcone per guardare il panorama estivo della sua città.
Avrebbe fatto
qualsiasi cosa per non pensare.
Sospirò.
Seiya, il suo Seiya era davvero innamorato di lei.
Glielo dimostrava in tutti i modi. Ora che si trovava a Londra,ancora
di più. La
chiamava almeno cinque volte al giorno per rassicurarla, per
raccontarle la sua
esperienza nella città britannica.
Già,
Londra. La grande capitale inglese. Era così lontana
dalla sua vita, ma così vicina al suo ragazzo. Le aveva
raccontato che si
trovava bene lì. La city
era bella e
ospitale, forse un po' caotica, ma piena di sfavillanti sfaccettature.
Il
produttore della casa discografica, poi, si era dimostrato gentile con
lui e i
suoi fratelli, facendoli abitare al centro, vicino Piccadilly
Circus. Avevano persino già inciso la loro prima
canzone.
Ne era felice.
Lui era andato
lì per realizzare il suo sogno e ce l’avrebbe
fatta, anche se l’aveva lasciata sola. Sola in preda a
sentimenti contrastanti,
sola a prendere atto di quale fosse realmente la verità. Non
poteva fargliene
una colpa, non poteva essere egoista come sempre.
Sfiorò
con un dito la superficie liscia del vetro della
finestra e lo vide.
Lui era
lì. Il pegno d’amore del suo ragazzo. Lo guardava
attentamente. Brillava alla luce del sole. Splendeva, falsamente.
Avrebbe
dovuto significare amore eterno. Invece portarlo al dito era la cosa
più
sbagliata che stava facendo. Prendere in giro sé stessa...
questo stava
accadendo. Questo era successo.
Sentiva un gran
peso sullo stomaco. Un forte macigno che le
impediva perfino di stare in piedi. Si sedette sul letto e si
lasciò andare, appoggiando
la schiena sopra il materasso.
Guardava il
soffitto. Era più pulito della sua coscienza.
Ormai era una
settimana che l’aveva capito. Era innamorata di
Mamoru. Pazzamente anche.
Sapeva che era
sbagliato, ma che poteva farci? Ne aveva preso
atto. Amava quel rude antipatico sincero e dolce Mamoru.
L’aveva sempre amato,
in realtà. Sin dal loro primo incontro, ma aveva fatto di
tutto per respingere
il suo sentimento.
Per Seiya. Lui
non doveva sapere nulla. Non almeno in quel
momento della sua carriera. Gliene avrebbe parlato al suo ritorno e lui
l’avrebbe capita.
O almeno ci
sperava.
“Uffa,
uffa e ancora uffa! Mamoru ti odio!”, disse in un
impeto di disperazione, mettendosi le mani sul volto.
Magari lo avesse
detestato veramente. Sarebbe stato tutto più
facile.
Toc
toc!
Qualcuno aveva
bussato alla sua porta, distogliendola dai
suoi pensieri.
“Usa-chan,
sei sveglia?”, le chiese la madre dall’altra
parte.
“Sì,
mamma! Entra pure.”, le disse e quasi si spaventò
se non
avesse saputo che si trattava della sua genitrice.
Ikuko Tsukino
aveva gli occhi piccoli e rossi, le orecchie
grandi e gonfie sorrette da una fascia legata sul capo e tossiva
ripetutamente.
“M-mamma?”
Usagi era
allibita. Le scappava anche da ridere, a dire il
vero.
“Usa-chan...
coff coff...
ti prego... coff coff... vai in
farmacia a comprarmi le medicine. Mi sono finite e tu sei
l’unica che può
andarci. Sam dorme ancora e tuo padre è a
lavoro.”, la implorò, affaticata.
“Certo
mamma che ci vado, ma come facciamo con il negozio?”
Ormai era una
settimana che apriva e chiudeva lei il loro
negozio di animali. Si era buttata a capofitto nel lavoro, proprio per
non
pensare a niente.
“Oggi
rimarrà chiuso. Te lo puoi prendere un giorno di festa
visto che mi stai aiutando con tanta costanza. Ora vestiti e cerca di
tornare
il prima possibile, non come al tuo solito!”, concluse la
donna.
“Ok,
mamma! Vado e torno in un baleno!” , rispose la giovane
dando un leggero bacio sulla guancia alla madre, che si era poi
dileguata
velocemente.
Si tolse,
così, il pigiama rosa con i coniglietti e decise di
optare per una camicetta bianca e un paio di shorts visto la calura di
quel
giorno. Indossò il tutto rapidamente ed uscì a
comperare i medicinali.
Nonostante
facesse molto caldo, tirava una leggera brezza che
faceva stare bene la ragazza. Camminava nei vialetti antistanti la sua
abitazione, a passo lento per gustarsi quell’arietta che
piano le riempiva i
polmoni.
Che magica
sensazione! Sentiva il profumo della salsedine
entrarle nelle narici e invadere il suo corpo... provava un certo
benessere e
questo la metteva di buonumore!
Nonostante tutte
le problematiche che la stavano travolgendo,
si sentiva viva. Era così vitale che quel giorno se ci fosse
stata una catastrofe
naturale, sarebbe stata in grado di affrontarla.
Sorrise. Era
così codarda che non ci sarebbe mai riuscita
davvero, ma intanto le piaceva fantasticare sui suoi probabili grandi e
invincibili super poteri.
Ben presto
arrivò in farmacia e acquistò il cortisone e
l’antibiotico
che servivano a sua madre. Certo che era stata proprio sfortunata...
prendersi gli
orecchioni d’estate! Meno male che lei era vaccinata!
Drin
drin! Drin drin!
Improvvisamente,
mentre usciva dall’esercizio commerciale, le
squillò il cellulare.
“Pronto?”,
disse evitando di leggere il nome sul display.
“Solo
pronto mi dici, amore? E io che speravo in un amore
mio finalmente ti fai sentire... mi
sei mancato tanto!”, la rimproverò Seiya
dall’altra parte, scherzando.
Amava giocare in
quel modo con lei.
“Oh,
Seiya sei tu. Scusami non ho letto lo schermo del
telefono. Come stai?”, gli domandò sforzandosi di
sembrare il più naturale
possibile.
Ogni volta che
lui le telefonava, pativa le pene dell’inferno.
Non perché avesse fastidio nel sentirlo, ma
perché detestava prenderlo in giro
con false moine.
Si odiava
perché non riusciva ad amarlo.
Si odiava
perché non le mancava come fidanzato, ma
semplicemente come amico.
Si odiava
perché non voleva lasciarlo ora che era lontano.
Si odiava e
basta. Di motivi, ne aveva una marea.
“Io
bene... tu piuttosto? Se non ti conoscessi, direi che non
sei affatto felice di sentirmi!”, esclamò,
continuando a prenderla in giro.
“Effettivamente
era meglio se non mi avessi chiamato!”, pensò
la ragazza tra sé e sé. Certo, questo non poteva
mica dirglielo.
“Ma
cosa dici, amore? Ah ah, scherzi sempre tu! A proposito,
da te non è notte fonda? Cosa ci fai in piedi?”,
chiese stupita, facendo finta
di niente, mantenendo un tono calmo.
“Beh,
sì... ma avevo troppa voglia di sentirti. Mi manchi da
matti, Odango!”, le rivelò lui, molto dolcemente.
“Oh,
no Seiya perché fai così? Mi rendi le cose ancor
più
difficili! Tu non mi manchi per niente.. anzi, a dir la
verità, è qualcun altro
a mancarmi!”
Il suo pensiero
volò su Mamoru. Non lo vedeva da prima che il
suo ragazzo partisse. Chissà come aveva condotto la sua vita
in quella
settimana. Non l’aveva più incontrato. Come
poteva? Era stata sempre barricata
in negozio per tutto il tempo!
Le mancava, le
mancava molto. Ma forse per il bene di tutti
era meglio che non lo avesse visto. Dimenticarlo, era l’unica
soluzione per non
far soffrire nessuno. Se solo fosse stato semplice.
“Usa,
ci sei?!”, la interpellò Seiya non ricevendo
risposta.
“Uhm,
sì scusa. Pensavo a quanto mi manchi anche tu...”,
mentì spudorata e una lacrima le rigò il viso.
Non sarebbe mai riuscita a
mentirgli per tutti quei mesi.
“Tranquilla,
ci vediamo presto! Ora vado a dormire che domani
mi aspetta una giornataccia molto pesante! Ci sentiamo più
tardi. Ti amo!”
“Ciao...”
E detto questo
riattaccò.
Usagi
tirò un sospiro di sollievo. L’agonia era appena
finita, ma sarebbe ricomparsa presto.
Dio, come si
sentiva in colpa! Era priva addirittura del
respiro. In quel momento aveva tanto bisogno di una persona amica. Non
si era
confidata più nemmeno con Makoto... non se l’era
proprio sentita perché non
voleva essere giudicata. Né tantomeno voleva consigli.
Questa volta
però aveva necessità di aprire il suo cuore e
visto che si trovava nelle vicinanze del Crown, decise di dirigersi
lì. Magari avrebbe
trovato la sua amica al lavoro e le avrebbe rubato cinque minuti.
Ma
sì, avrebbe fatto così.
Si diresse
allora di buon passo verso il locale di Motoki,
dimenticandosi per un po' che sua madre la stava aspettando impaziente
a casa.
Crown
mezz’ora prima.
Mamoru si era
alzato di buon’ora quel giorno. Aveva, per sua
sfortuna, il turno di mattina. Odiava andare in ospedale di
buon’ora perché la
notte dormiva sempre troppo poco. E sempre per lo stesso motivo: Usagi.
Una cosa
positiva c’era: da quando Seiya era partito, non
l’aveva
più vista.
Già,
forse era meglio così. Gli avrebbe fatto troppo male.
Eppure sembrava
tutto un controsenso.
Doveva
controllarla, ma non l’aveva fatto. L’aveva
assicurato
a Seiya, ma sapeva che non sarebbe stato in grado di mantenere quella
sua
promessa. Forse era stato troppo affrettato a dirgli di sì.
Ormai
però era troppo tardi per tornare indietro.
Doveva vivere la
sua vita così come questa gli si presentava
davanti e anche se quella testolina buffa lo faceva impazzire doveva
non
pensarci. Non doveva pensare nemmeno a Seiya, altrimenti sarebbe uscito
fuori
di testa. E questo non poteva proprio permetterselo. Gli dispiaceva, ma
non
poteva proprio stare appresso a Usagi.
Quel giorno,
prima di andare in ospedale, dopo una doccia
veloce e dopo essersi sbarbato, era uscito di casa con un jeans e una
maglietta
nera per recarsi al Crown a prendere un caffè dal suo amico
Motoki. Aveva bisogno
di scambiarci due parole.
“Buongiorno
Motoki!”, disse una volta entrato all’interno del
locale e sedutosi al bancone.
“Buongiorno
Mamo! Vedo che sei mattiniero oggi!”, gli rispose
il biondino, sempre con i suoi soliti modi gentili, intento ad
asciugare un
bicchiere.
“Già,
oggi ho il tanto odiato turno di mattina. Moto, ti
prendo fammi un caffè che fa resuscitare pure i morti! Ho
avuto una
nottataccia!”
Sbadigliò.
Aveva davvero dormito poco.
“Ahi,
ahi. Qualcosa mi dice che c’entra una ragazza
bionda!”,
lo stuzzicò l’amico.
Mamoru
arrossì. Erano vere le sue parole, anche se non voleva
ammetterlo.
“Già,
hai indovinato. Contento, ora?”, rispose leggermente
infastidito.
Motoki gli
sorrise, porgendogli la bevanda che gli aveva
chiesto.
“Sai
come la penso riguardo Usagi.”
Già
lo conosceva benissimo il suo parere. Ma questo non
poteva fargli dimenticare da un momento all’altro
l’amore che provava per
Usagi. Gli serviva del tempo.
“Lo
so.”
Aveva iniziato a
sorseggiare il suo caffè. Rigorosamente amaro.
“Seiya
mi ha chiesto di te. A quanto pare sei irraggiungibile
al cellulare.”
Motoki era
passato da un tono divertito a uno preoccupato.
“Sembra
strano, secondo te?”, gli disse il dottore
sfidandolo.
Motoki sorrise.
“Certo
che no.”
“È
difficile per me parlare con Seiya, dopo tutto quello che
è successo. Lo sai. Preferisco così. Digli che
è tutto ok e che anche Usagi sta
bene.”, concluse velocemente.
“Cosa
c’entra Usa--”
Motoki non
riuscì a concludere la frase quando la vide sulla
porta, mentre entrava frettolosamente.
“Buongiorno
Motoki! Cercavo Mako. È qui?”, disse la ragazza
in maniera concitata, senza guardare il suo interlocutore.
Quando si
accorse di Mamoru era ormai troppo tardi. Non poteva
mica uscire dal locale così, senza motivo.
Lui era
lì, lo vedeva di schiena, ma era lì, a pochi
centimetri da lei. Il cuore le batteva così forte che
pensò che l’infarto
sarebbe stato imminente. Le gambe le tremavano, ma decise lo stesso di
avvicinarsi al bancone.
Motoki la
guardava stupito ed era in ansia per Mamoru. Non aveva
minimamente idea di come avrebbe potuto reagire alla vista della
ragazza.
“Buongiorno
Usagi!”
Mamoru aveva
spiazzato entrambi, girandosi e salutando la
biondina. Non immaginava di trovarla ancora più bella di
come l’aveva lasciata.
Il cuore gli faceva strani movimenti nel petto, anche se stava facendo
finta di
niente.
Usagi era
rimasta di sasso. Lui, anche se le aveva dato il
buongiorno, non l’aveva chiamata Usako come al suo solito.
Perché? Perché era
così freddo?
“B-buongiorno
anche a te.”, aveva detto con la voce che
tremava.
Motoki avvertiva
molta tensione tra i due. E mentre stava per
dire qualcosa per rompere il ghiaccio, il medico lo precedette.
“Ora
devo andare in ospedale. Grazie del caffè, Moto.”
Si
alzò e rimase fermo, guardando Usagi dritta negli occhi. Era
bellissima, con quello sguardo triste e sofferente che le dipingeva il
viso. Era
così indifesa e lui l’amava profondamente. Ma no,
non poteva.
“Ciao.”,
pronunciò passandole affianco.
Un brivido
percorse la schiena di entrambi. Usagi sentiva il
cuore impazzirle e si girò a guardarlo, mentre lentamente
l’uomo che amava si
stava allontanando.
Non voleva che
se ne andasse. Le era mancato troppo per
lasciarlo andare in quel modo.
“A-Aspetta!”,
gli disse correndogli dietro.
Mamoru rimase
sbigottito dal comportamento della ragazza.
“Cosa
vuoi?”
Perché
era così freddo con lei?
“Perché
Usagi?”, le aveva detto la giovane con quella
ingenuità che da sempre la caratterizzava.
“Perché mi hai chiamata Usagi?”
Già,
perché non l’aveva chiamata Usako?
Perché?
“Perché
voglio dimenticarti!”, pensò il medico, affranto.
Voleva
tanto rivelarglielo, ma furono altre le parole che proferì.
“È
quello il tuo nome, no? Ora scusami, ma non posso perdere
tempo!”
Usagi era
rimasta immobile, pietrificata. Perché Mamoru si
era comportato in quel modo gelido con lei?
Sentì
un nodo stringerle la gola. Adesso più che mai aveva
bisogno di qualcuno con cui sfogarsi.
Tornò
dentro il locale. Trovò Motoki, stupito. Non sapeva
come comportarsi.
“Usagi,
vedi Makoto è al ristorante e quindi...”
Non
finì di articolare la frase. Usagi stava piangendo,
impalata davanti a lui. Piangeva disperata e lui non poteva aiutarla in
nessun
modo.