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Autore: Luce Lawliet    10/02/2012    8 recensioni
[ dedicata a Menhiteve ]
Fu debole, appena accennato, ma lei lo sentì.
Un rumore.
Come un fruscio, qualcosa che si muoveva.
Poi, un respiro ovattato, appena affannato.
Comprese immediatamente che c'era qualcuno dall'altra parte.
" Chi c'è? " sussurrò, gli occhi sgranati dall'orrore.
Il suo cuore batteva così in fretta che minacciava di spaccarle la cassa toracica da un momento all'altro.
" Chi sei? " ripetè, senza rendersi conto che stava urlando, ora.
L'ultima cosa che udì fu un click agghiacciante, segno che la telefonata era stata interrotta.
Questa storia riprende il periodo incentrato sulla morte di Quarter Queen, la seconda vittima di Beyond Birthday, tratta del desiderio della sorella Dakota  di uccidere il suo assassino, e del suo incontro con lo stesso BB.
Genere: Horror, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Beyond Birthday, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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                                                                                                        Strawberry gashes





                                                                                                         





                                                                                                                                           3.

                                                                                         
                                                                                                                       La filastrocca dell'assassino.







Come si chiama quello stato in cui una persona riesce in un certo senso a vedere ciò che accade attorno a lei, ma non riesce a rendersene conto perché il suo cervello si rifiuta di cogliere e plasmare le informazioni che gli occhi percepiscono?
Semicoscienza?
... Oppure semplice dormiveglia.
Le palpebre di Dakota tremolarono un paio di volte giusto per far sì che la ragazza notasse una fila ombrosa di alberi e di edifici sfrecciare di fianco a lei veloci come la luce e in qualche modo comprese di trovarsi all'interno di un'automobile che stava procedendo a velocità spedita.
E il motore faceva vibrare con forza il veicolo sotto le sue scarpe... una vibrazione dettata dalla rabbia... dalla furia... dallo sdegno di chi in quel momento si trovava al volante. 
Quando l'auto sobbalzò, avvertì una cruenta pressione alla testa, come se qualcuno stesse premendo con forza un dito contro l'abrasione che aveva dietro la nuca. Forse fu a causa del dolore lancinante che chiuse nuovamente gli occhi, senza avere idea che la vera paura si sarebbe presentata nel momento in cui li avrebbe riaperti.
 
 
A Dakota non erano mai piaciuti i thriller, che fossero libri o film.
Non tanto per gusto personale, quanto perché dal suo punto di vista erano da un lato il genere più scontato, dal momento che gli ingranaggi degli eventi venivano sempre messi in funzione dal killer. La cosa che non le piaceva, che trovava più che mai impietosa era che l'omicidio quasi mai si limitava a una sola vittima e i poveri sfortunati che capitavano nelle mani del killer per primi erano quelli che non si salvavano mai.
E su questo punto la trama non variava.
Fu questo il primo pensiero che prese forma nella sua testolina ammaccata dopo essersi svegliata su un freddissimo pavimento di metallo, la schiena semiappoggiata ad una parete dall'intonaco incrostato. Non poteva abbassare le braccia; i polsi sopra la sua testa erano stati ammanettati ad una delle tubature grigie più sottili che sporgevano dalla parete. 
Quasi come per dar voce ai suoi sospetti terrorizzati, c'era solo lei. Giovane, pateticamente indifesa creatura capitata nelle grinfie di un fato doviziosamente avido, che non si era accontentato della sua sorellina... ora reclamava anche lei. 
Lei, la prossima vittima che non si sarebbe salvata.
Rapida, indolore... che sia almeno una morte senza attesa, implorò il suo cervello, benché la ragazza fosse sola.
La raschiatura alla nuca pulsava.
E le braccia erano così intorpidite che quando Dakota provò a muovere le dita non fu in grado di capire se ci fosse riuscita del tutto. Deglutì a vuoto, mentre i suoi occhi soverchiati dalla confusione e dalla paura si mettevano a perlustrare con foga tutto ciò che la circondava, senza però riconoscere nulla.
Buio e odore di polvere, di ferro arruginito, di chiuso... e di qualcos'altro che non riconobbe.
Con uno scatto piegò le gambe abbandonate per terra, puntando i piedi sul pavimento gelato e cercando di raddrizzarsi il più possibile.
Perse l'equilibrio l'attimo dopo.
Dalle sue labbra sfuggì un lamento di dolore quando la testa strusciò contro la parete alle sue spalle, facendole venire le lacrime agli occhi. Oltre che pulsare, adesso bruciava.
Con sorprendente celerità, di punto in bianco la paura prese a scemare, trasformandosi in una scarica di adrenalina che colpì i suoi muscoli come una randellata di determinazione e furore; piantò nuovamente le scarpe per terra, sforzandosi di mettersi in piedi, ma il tubo a cui era legata si trovava troppo in basso e le braccia tirate su in quella posizione le impedivano di mettersi in equilibrio.
Fu allora che iniziò a scuotersi, prima solo con forza, poi con violenza. Tirava, abbassava il più possibile i polsi verso di sé, nella speranza che il peso e lo sforzo avessero la meglio sulle manette, o perlomeno sul tubo.

<< Mmmmh... aaahh!!! Maledizione!!! >> si lasciò sfuggire quando l'eccessiva pressione permise al metallo circolare che le avvolgeva il polso destro di inciderle la pelle. Dakota avvertì gocce di sangue bollente scivolare lungo l'epidermide e ciò parve risvegliare appena le sue braccia dall'intorpidimento.

<< Ehiii!!!!!!!!!! >> urlò più forte che potè << Aiutatemi, c'è qualcuno?! >>

La sua voce rimbombò in un'eco raccapricciante lungo l'iperbolico corridoio in cui si trovava.
Un lungo, lunghissimo corridoio... 
Che posto era, quello?
Pareti annerite e un'inquietante cisterna, lì, a pochi metri da lei. Enorme e dall'insolito color giallo-grigiastro, con un diametro di circa otto metri e alta almeno cinquanta. Circondata da un curioso cerchio di sbarre metalliche, quasi come un recinto; dalla posizione in cui si trovava Dakota si poteva scorgere una maniglia, il che significava che quel coso aveva un'apertura.
Dakota non sapeva cosa fosse, ma il pensiero di scoprirlo la atterriva ancor più che rimanere nell'ignoranza.
Fece un respiro profondo, lasciando cadere la testa sul petto, mentre il fiato si faceva più rapido e affaticato, a causa dell'astrusa posizione in cui era costretta a stare.
Le aveva preso il cellulare, anche se non avrebbe fatto alcuna differenza. Con le mani legate in quel modo non aveva alcuna possibilità di chiamare nessuno.
A meno che non riuscisse a liberarsi.
Gettò un'occhiata scoraggiata al taglio sul suo polso, da cui sgorgava ancora qualche goccia di sangue.
Un'altra fitta alla testa, un altro capogiro.
Poi gli occhi si chiusero nuovamente.
 

 


                                                                         
                                                                                 ۝۝۝ 




Nuvole nere.
Un antro oscuro e lontano, lampi di luce accecante.
E un fischio.
Saltando lentamente, con la grazia di una piuma candida quanto il sottile vestito di seta assolutamente insufficiente per proteggere la sua pelle dorata dalle furiose gocce di pioggia, Dakota seguiva l'eco del giovane fischio, guardandosi attorno, scrutando orizzonti che non avrebbe mai creduto esistessero.
 
La sua sorellina adorava fischiare. 
Non l'aveva mai entusiasmata ballare, cantare o truccarsi, non era mai stata come le sue coetanee, no, ma fischiare... il suono che produceva a volte superava la melodia di una ninna nanna, imitava svariati cinguettii nelle mattine primaverili, tanto che Dakota spesso si dimenticava volentieri di ciò che stava facendo per darle attenzione.
 
Il cinguettio continuava, rapido e brioso... la sua bellissima sorellina dai capelli dorati... il fischio era più forte adesso, era sempre uguale, sembrava quasi le stesse dicendo: << Mi senti? Vieni da me, raggiungimi! >>
Così, un passo dopo l'altro, la ragazza sfidava il temporale che le appesantiva i lunghi capelli castani, che contrariamente alle sue abitudini, ribalzavano delicatamente in onde sciolte, accarezzandole con grazia tutta la schiena, mentre il suo cuore scandiva un ritmo sempre più intenso, man mano che la distanza tra lei e il richiamo, tra lei e Quarter, diminuiva.
Si stava avvicinando all'antro oscuro, dov'era la sua piccola scimmietta?
Forse era quella figuretta incurvata, proprio in mezzo alla bocca nera dell'antro oscuro?
Mentre Dakota si interrogava, avvicinandosi sempre più, ascoltava la morbida voce della sorellina recitare una strana litania, che pian piano prendeva sempre più forma...


                             
Rossa era la coccinella,
                                                         volava su scaglie di numeri e suoni,
                                            fissava sempre la solita stella,
                                                                      godendo dei suoi unici e insoliti doni...

                                           Poi le giunse una gazzella,
                                                                     fra le tante rara e bella,
                                                        ma ahimé, fu proprio quella
                                                                                ad impigliarsi fra le gambe dei troni.
                                  

Dakota non seppe quando iniziò ad accorgersi che quella era la sua sorellina. La aspettava sul bordo di quell'entrata buia, salutandola e ridendo. Prese a fischiare.
E in quel momento si trasformò. Cominciò a perdere i capelli, le chiome dorate si staccavano dal suo cranio, svolazzando dolcemente, per poi cadere a terra, mentre la pioggia le faceva diventare nere, come i capelli che avevano preso il posto di quelli biondi della sorellina. La pelle divenne più pallida, gli occhi brillarono come rubini sotto la furia accecante dei lampi. Il fischio amorevole si ridusse ad uno stridio penetrante, che costrinse la ragazza a tapparsi le orecchie con i palmi delle mani.
Era lui, rideva mentre osservava la sua espressione disperata, rideva di lei. Dakota avrebbe voluto tornare indietro, ma il corpo non rispondeva più ai suoi comandi e mentre sentiva il terrore pervaderle il sangue, le pareti della caverna presero a sbriciolarsi, e grossi massi acuminati precipitarono sopra di lei.        
                      




                                                                                  
 ۝۝۝




Per prima cosa percepì il profumo, dolce e carezzevole, come un lungo mantello di velluto rosso.
Rosso... profumo di fragole.
Riaprì gli occhi di scatto, incontrando quelli neri e gonfi del ragazzo. La vicinanza dei loro volti era spaventosamente allarmante, a Dakota bastava per contargli le ciglia una ad una.
Senza quasi rendersene conto lanciò un grido strozzato, raddrizzandosi e cercando di allontanarsi il più possibile. Il suo scatto fece fare un balzo indietro al suo rapitore, che concentrò tutto il suo peso sulle piante dei piedi, per poi infilarsi un pollice tra le labbra sottili, mangiucchiandosi l'unghia e fissandola con discreto interesse.
Dakota non aveva mai visto occhi come quelli.
Se gli sguardi avessero realmente il potere di uccidere, il colore sarebbe indubbiamente stato quello. Tetri, conturbanti, non sarebbero bastate nemmeno delle lenti a contatto colorate a nascondere il nero che confondeva persino la pupilla, con venature porporine che si tuffavano direttamente nell'iride, dando l'impressione di una pellicola color amaranto che rendeva i suoi occhi infidi e mendaci, capaci di ucciderla con la sola forza della mente.
Già. Ucciderla.
Era venuto per questo?
E perché non diceva una parola?
Dakota tentò con un ultimo e inutile sforzo di far cedere le manette, poi si arrese, accartocciandosi alla parete e tirando le ginocchia al petto. Non abbassò la testa, però. Quello non lo avrebbe mai fatto, desiderava, pretendeva che quel bastardo intuisse chiaramente che era perfettamente in grado di sostenere il suo sguardo. Sarebbe morta guardando negli occhi l'assassino della sua sorellina, sentenziò a gran voce quel minimo di orgoglio che aveva insediato radici profonde nel suo animo di adolescente.
Anche se questo significava dare il colpo di grazia a sua madre. Come l'avrebbe presa, una volta saputo che anche lei era morta?
Sua madre era sempre stata un gancio indispensabile per rimanere aggrappata alla vita che aveva sempre desiderato, nonostante le numerose porte in faccia che aveva ricevuto, alcune difficilmente sopportabili. E non aveva mai dato alle sorelle meno di quanto meritassero, ma spesso più di quanto lei stessa avrebbe potuto permettersi. Aveva fatto dei sacrifici per il bene di entrambe e quel giorno, quel tragico 4 di agosto, quando erano state interrogate dalla polizia, la ragazza era certa di aver visto ostilità negli occhi della madre. Un'accusa indiretta, contro di lei. Perché avrebbe dovuto trovarsi con Quarter, a quell'ora.
Con gli occhi che minacciavano di tornare a lacrimare, si rese terribilmente conto che non era ancora riuscita a chiedere scusa a sua madre. Tutte quelle settimane dedicate a picchiare le pareti della sua stanza, ignorando tutto e tutti, e alla fine non aveva risolto niente.
Perciò, tenendo conto di questo, sul serio non faceva differenza per lei morire adesso?

<< Non sei stata poi così veloce. >>

E fu allora che decise. Sì, pensò, fa eccome la differenza.
Lui aveva parlato con un tono che l'aveva ironicamente presa contropiede. Si aspettava una voce cavernosa, o leggermente graffiante, da folle, da killer... insomma, qualcosa di impressionante; minacciosa, come lo era stata nel momento in cui la ragazza era quasi riuscita a farli scoprire dalla coppietta che passeggiava nel parco.
Costrinse il suo cervello a tornare nel presente e si sforzò di ricordare ciò che l'uomo davanti a lei aveva appena detto.
Lo aveva visto muovere le labbra, ma non era riuscita ad udire alcun suono, da quella bocca ghignante. Questo però non aveva senso. Se non era riuscita a sentire cos'aveva detto, come aveva fatto ad accorgersi del suo strano timbro di voce?
Il killer sembrava così tranquillo, curioso come un bambino mentre si succhia il pollice, chiedendosi cosa siano gli insetti che strisciano nel terreno morbido, come si chiamino quelli con più di dodici zampe e se siano commestibili.
Dakota spalancò gli occhi.
Ecco come la stava guardando. Con brama, desiderio. Con fame.
L'assassino parve comprendere da solo che la ragazza non aveva udito una sola parola e continuando a mordicchiarsi l'unghia del pollice sinistro, tolse il braccio destro da dietro la schiena, la mano che stringeva saldamente due barattolini contenenti qualcosa di rosso.
Non appena svitò il primo coperchio, le narici di Dakota vennero investite da un profumo quasi nauseante, ma che le fece intuire immediatamente che l'odore avvertito prima non era stato affatto un'impressione. Profumo di fragole.

<< La corsa >> specificò il killer, senza smettere di guardarla in modo inquietante durante il suo grottesco pasto a mani nude << Sei una piccola atleta, no? Ho visto tre medaglie d'oro appese sopra il tuo letto. Per un attimo avevo pensato davvero che fossi riuscita a sfuggirmi. E ti dirò di più, ci saresti riuscita perfettamente, avendo dalla tua parte un buon 71 % di possibilità. Ma hai gettato al vento l'occasione di avvertire la prima persona che avresti incontrato per nasconderti. Una come te deve avere per forza polmoni allenati e ottima resistenza, quindi me la sento di escludere che la fregatura sia stata la stanchezza. Allora perché ti sei fermata? >>

Sebbene ci avesse messo solo una ventina di secondi, a Dakota quel discorso sembrò durare una vita, forse perché il terrore che le attanagliava i muscoli e la mente cercava in tutti i modi di impedirle di assimilare quelle parole crudeli con semplicità, inducendola a disperarsi ancora di più.
Polmoni allenati, resistenza.
Che altro aveva detto?
Inaspettatamente, l'uomo diminuì la distanza fra loro, avanzando di due passi, ma mantenendo sempre il peso sulle piante dei piedi. Fu allora che al posto del terrore, in Dakota cominciò a prendere forma la tensione. Si era avvicinato troppo.
Senza farsi notare, strinse tenacemente il tubo sul quale l'assassino aveva avvolto le manette che le bloccavano le braccia, poi, equilibrando i battiti del suo cuore al respiro, si concentrò per mantenere il corretto bilanciamento tra i reni e la punta delle sue scarpe; le costava un grosso sforzo mantenere quella posizione all'apparenza normale, ma presto le sarebbe servita.

<< Coraggio, rispondimi. Prometto che non ti mangerò >> la incoraggiò ironicamente, incurvando quelle labbra sottili in un sorriso di scherno, che tanto bastò a far rabbrividire la ragazza.

Quasi come per farsi beffe di lei, quasi come se le avesse letto nel pensiero, mentre lei valutava il modo in cui la stava osservando poco fa... ma no, si decise a pensare, non può aver capito cosa stavo pensando, sarebbe... impossibile.
Lui allungò un braccio verso di lei, ma prima che Dakota si mettesse a gridare, le appoggiò davanti il secondo barattolo, il coperchio svitato, per poi ritirare la mano.

<< Hai fame? >>

Nessuna risposta.

<< Mi chiamo Ryuzaki >>

<< Onnipresente zucchero >> sussurrò d'un tratto Dakota, incapace di interrompersi << è la causa, parlando in percentuali, di un buon 80% di tutti i nostri conseguenti stati depressivi; tendenza allo stress, attacchi di panico, pensieri ossessivi, scatti d'ira, violenza immotivata, perdita di energia, pigrizia, repentini cambi d'umore, obesità, problemi ormonali, diabete e dipendenze. Tu sei dipendente dallo zucchero, ti fai così tante overdosi che tutto quel veleno ti ha annacquato il cervello, facendoti diventare il mostro che sei >>

Era una solfa che il suo allenatore le aveva cantato per mesi, facendole quasi il lavaggio del cervello per tenerla lontana dalla Nutella.

<< Oh bene, sai ancora parlare >> approvò << Ora fammi il favore di mangiare qualcosa, prima di collassare di nuovo >>

Con gli occhi le indicò il barattolino ai suoi piedi e allora scattò l'impeto di collera. Quella maledetta carogna, come si permetteva di parlarle in quel modo così superficiale e zuccheroso, dopo che le aveva massacrato la sorella?!
L'immagine di ciò che era rimasto del suo cadavere nel momento in cui aveva sollevato il telo dalla barella era ormai diventata la diapositiva principale di tutte le sue catene di incubi.
La sua gamba partì da sola, accanendosi sul vasetto aperto di marmellata con velocità tale che Dakota quasi non vide il suo stesso movimento, ma seguì con malcelata soddisfazione la traiettoria volteggiante del contenitore di vetro un attimo prima di fracassarsi con uno schianto cristallino contro le pareti della strana cisterna poco lontana da lei. Imbrattò la struttura cilindrica di un rosso viscido e gocciolante; sangue fresco e fragole calpestate.
Ma Dakota non aveva ancora finito.
Approfittando della momentanea distrazione del suo aggressore, la ragazza si sollevò con l'altra gamba per scaricare un calcio ancora più volento e diretto sul suo collo, ma con grande sgomento, il killer riuscì a bloccarle la scarpa, imprigionandola fra le sue stesse mani, e abbracciando la sua caviglia in una stretta che in meno di due secondi divenne preoccupantemente dolorosa.

<< Non mi toccare!! >>

Ryuzaki la costrinse ad abbassare la scarpa a terra, poi con uno scatto si alzò in piedi e la calpestò con la propria. Dakota avvertì diversi scricchiolii partire dalle dita del piede e non potè evitare di liberare un acuto lamento di dolore.

<< Questa mattina la mia presunta collaboratrice di indagini mi ha sferrato un calcio abbastanza preciso da farmi slogare il collo. Sai, non mi faccio fregare due volte allo stesso modo* >>

<< Hai ucciso mia sorella!!! >> gli urlò contro Dakota, il respiro affannato e gli occhi lucidissimi.

<< Sì, e se adesso ti metti a frignare giuro che ciò che ho fatto a lei ti sembrerà una tiratina d'orecchie in confronto a quello che succederà a te >>

Dakota non provò neanche a rispondere, quale vantaggio le avrebbe riservato continuare a provocarlo ragionando come una bambina isterica? Nessuno. E se voleva davvero cavarsela, doveva iniziare a ragionare diversamente. Ma come?
La sua testa era già impazzita, preda della paura e dai crampi della fame - non aveva la minima idea di quanto tempo aveva trascorso in quel posto, forse un'intera giornata; impossibie capirlo a causa della mancanza di finestre, l'unica luce proveniva dalle polverose lampade al neon dall'aria antica quanto quel posto che, dopo vari dubbi, Dakota aveva avuto ragione di credere fosse una vecchia ferriera - e per il momento la sua possibilità di sopravvivenza dipendeva dal suo sequestratore.
Poi ricordò una cosa.
A maggio aveva compiuto diciannove anni e Quarter le aveva regalato un libro. Dakota non era mai stata un'amante della lettura, anche se sua sorella aveva sempre cercato di farle cambiare idea, regalandole appunto ad ogni suo compleanno un libro diverso, nella tenace speranza che un giorno quella testona si decidesse ad aprirne uno, invece di sistemarli tutti sullo scaffale a riempirsi di polvere. Non seppe mai se era stata la copertina o la trama ad incuriosirla, ma Dakota l'aveva aperto. E le era piaciuto.
In quella situazione ormai sembrava quasi comico... lei detestava i thriller e aveva sempre pensato che i gialli non fossero poi tanto diversi, ma quella povera donna, Alex, era stata rapita per le vie di Parigi per colpe che nemmeno aveva. Tuttavia quel romanzo non si era rivelato il solito cliché, poiché alla fine non c'era voluto molto tempo perché la donna passasse da vittima a carnefice.
Le situazioni in quel libro si erano ribaltate nello scorrersi delle pagine e a Dakota in un certo senso la cosa aveva appassionato, finché non era stata costretta ad interrompere la lettura per altri impegni.
Aveva letto solo un terzo di quello splendido libro. Solo ora non riuscì a descrivere quanto avrebbe desiderato averlo concluso.
Ryuzaki sollevò dolcemente la scarpa da quella della ragazza.
Fu allora che Dakota vide per se stessa un orizzonte opaco che avrebbe esaltato una possibilità, vide una via di salvezza.
Il pompare del suo cuore, adesso più regolare e vigoroso, le infondeva un calore animato ancor più dal pensiero che avrebbe avuto la precedenza su qualsiasi altra cosa: io non voglio morire.
Non poteva permetterselo.
Per se stessa, per sua madre e soprattutto per Quarter.
Per questo risollevò lo sguardo su quell'assassino, osservandolo con occhi diversi. Lo temeva irrimediabilmente; ora come ora non era in grado di opporglisi, anche perché non aveva idea di chi questo Ryuzaki fosse in realtà, ma una cosa era innegabile: non era stupido, né ingenuo. Perfino lei poteva vedere come gli occhi di quel ragazzo brillassero d'intelligenza... ma anche di follia.
Ne valeva la pena. Da quel momento avrebbe tentato il tutto per tutto, se ciò significava preservare la sua vita.

<< Ero venuto da te convinto che avessi fame, ma evidentemente mi sono sbagliato. Allora facciamo così, visto che per qualche giorno dovremo convivere, ti propongo un gioco. Ma prima di cominciare devi dirmi se sei disposta a partecipare >>

Dakota deglutì un paio di volte.

<< Non capisco. Perché non mi uccidi senza stupidi giochetti? >>

<< Perché ho un ultimo delitto da compiere, ma per farlo devono passare ancora tre giorni. Visto che sei con me, perché non cogliere la palla al balzo? E' una tale noia, qui... in alternativa, il cilindro che guardi con tanto timore, sai cos'è? Un altoforno, lo usavano per produrre la ghisa e pensa un po', pur rimanendo spento per un sacco di tempo, ho scoperto giusto ieri che funziona ancora >>

Non c'era bisogno che continuasse, Dakota aveva già assaporato l'intera minaccia.
Dunque, avrebbe dovuto vederlo come un gioco?
Esistevano diversi tipi di giochi, quasi tutti intesi come gare, in effetti. Gare di velocità, delle quali lei si intendeva molto, poi c'erano le gare di tempo... come avrebbe dovuto classificare questa?
Gara di astuzia? O di sopravvivenza?
Già, perché se non muoio io ti prometto che lo farai tu, assassino.
Va bene, ci sto. Accetto la sfida e in questi tre giorni i ruoli si invertiranno; la morte mi raggiunga se non riuscirò a vendicare Quarter, ma almeno sarò in pace con la mia coscienza. Dopotutto adoro giocare, sento che posso vincere, sento che posso superarti!
 
 
 




      

                                               [ continua ]








* Per chi ha letto Another Note, B si riferisce al momento in cui aveva aggredito Naomi e lei era riuscita a difendersi perfettamente, dimostrandogli di conoscere la capoeira.

Non so come la penserete dopo aver letto questo capitolo, ma personalmente già fatico a stare in pari con gli aggiornamenti, in seguito a questa decisione sullo svolgersi dei fatti ho capito di essere una grande masochista!!! T.T
Insomma, in quale vita ultraterrena una normale adolescente di provincia potrebbe riuscire a superare uno come Beyond?
Misteri della vita.

Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando ;) ci tengo, dato che ormai abbiamo raggiunto metà storia!!!

Buona serata, 
Luce Lawliet.


   
 
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