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Autore: bacinaru    11/02/2012    4 recensioni
"Guardò Irene ancora una volta, che per tutto il tempo non aveva distolto lo sguardo da lui.
Era un cubo dalle mille facce che non era ancora riuscito a risolvere del tutto e ciò lo infastidiva oltre ogni misura, ma era notte fonda e per quella volta avrebbe dovuto accontentarsi.
-Dormirò qui stanotte, se non ti dispiace-.
-C'è un solo letto-.
-Non è un problema-.
-Ne sono lusingata-.
-Non esserlo-.
Rimasero a fissarsi a lungo. Sherlock Holmes amava avere sempre l'ultima parola, ricordò vagamente divertita ciò che un tempo le aveva detto il povero John Waston."
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Irene Adler, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sherlock Fest Italia'
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Autore: bacinaru
Fandom: Sherlock BBC
Titolo: The Key to you Heart
Personaggi: Irene/Sherlock
Avvisi: Post "The Reichenbach Fall"
Note:
Scritta per il sesto giorno dellla Sherlock Week @ sherlockfest_it.


The key to your heart





I giornali dicono un sacco di cose, ma Irene non ci aveva mai creduto davvero.
Le pagine in bianco e in nero portavano spesso solo ciò che la gente voleva sapere, i dettagli, le verità nascoste, spesso venivano taciute, perché così era più semplice, più facile da accettare.
Lei, però, aveva visto oltre il velo dell'ignoranza comune e spesso questo le aveva procurato solo problemi, ma mai, neanche per un breve istante, aveva rifiutato la verità, per quanto pericolosa questa avrebbe potuto rivelarsi.
Non lo aveva fatto allora, quando il cuore aveva smesso di chinare il capo e restare in silenzio, costringendola ad ascoltarlo contro ogni sorta di ragione, per un codice inciso nel petto e in fondo all'anima, e non lo avrebbe fatto adesso, quando Sherlock, ferito nel cuore e nel corpo, le si era presentato davanti la porta di casa, chiedendo il suo aiuto.




-Come hai fatto, allora?-.
Irene applicò un altro po' di disinfettante sulla ferita adesso pulita, prima di coprirla con della garza. Le bruciavano un po' gli occhi, avendo dovuto lavorare alla soffusa luce rossastra di una candela che giaceva tranquilla sul comodino, per non destare sospetto nei vicini, ma era piuttosto soddisfatta del proprio lavoro.
Sherlock, seduto sul bordo del letto, si lasciò sfuggire un sospiro sollevato, quasi impercettibile.
Era stato nel dolore per tutto il tempo della medicazione, dal momento che aveva rifiutato qualsiasi tipo di antidolorifico, perché avrebbe distorto le sue capacità di pensare a quanto diceva, ma non si era lasciato sfuggire un solo gemito di dolore. Poteva essere un uomo dalla mente straordinaria, ma era maledettamente orgoglioso come e più degli altri.
-Fatto cosa?- .
Distolse lo sguardo da quello di lei per mettersi addosso una camicia scura, che Irene gli aveva gentilmente prestato: la sua era ormai inutilizzabile.
Con la spalla destra ancora rigida nei movimenti, si sdraiò sul letto, chiuse gli occhi ed inspirò profondamente. Nonostante la sua capacità nel non dormire per giorni e forse anche settimane, era alquanto stanco: riuscire a trovare Irene era stato piuttosto faticoso, soprattutto con la ferita alla spalla che non aveva mai smesso di pulsare in modo così fastidioso. Era riuscito da solo ad arginare il flusso del sangue, ma non era mai stato molto attento a curarsi del proprio corpo, c'era sempre stato qualcuno a farlo per lui, e adesso che era un morto tra i vivi non aveva potuto recarsi in ospedale né chiedere a John di aiutarlo, quindi, per non rincorrere in un'infezione, aveva dovuto chiedere a lei. Si trovavano nella stessa situazione, dopotutto.
-A falsificare la tua morte-.
-Ti sei sistemata piuttosto bene, per essere morta-.
Ignorò volutamente la sua curiosità con un tono placido, disinteressato.
Irene gli sorrise dal bordo del letto, dove si era seduta dopo aver messo a posto garze e disinfettante.
-Il proprietario è una mia vecchia conoscenza... o meglio, so cosa gli piace-.
Sherlock socchiuse gli occhi un po' accigliato, non riuscendo proprio a capire come gli uomini potessero lasciarsi cadere in trappole così semplici. La cosa gli dava ancora più fastidio ben sapendo di esserci cascato in prima persona qualche tempo addietro, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
-E il taglio alla spalla? Un vecchio amico?-.
Domandò ancora la donna, pur sapendo che lui non gli avrebbe risposto per puro disinteresse.
-Irrilevante-.
Rispose, infatti.
Guardò Irene ancora una volta, che per tutto il tempo non aveva distolto lo sguardo da lui.
Era un cubo dalle mille facce che non era ancora riuscito a risolvere del tutto e ciò lo infastidiva oltre ogni misura, ma era notte fonda e per quella volta avrebbe dovuto accontentarsi.
-Dormirò qui stanotte, se non ti dispiace-
-C'è un solo letto-.
-Non è un problema-.
-Ne sono lusingata-.
-Non esserlo-.
Rimasero a fissarsi a lungo. Sherlock Holmes amava avere sempre l'ultima parola, ricordò vagamente divertita ciò che un tempo le aveva detto il povero John Waston.
Alzandosi con grazia, gli occhi che non osavano abbandonare quelli chiari e luminosi di Sherlock, Irene fece il giro per poter arrivare dall'altra parte del letto e sdraiarsi al fianco dell'uomo, che l'aveva seguita costantemente con lo sguardo vigile. Di cosa avesse paura, poi, Irene non riusciva a capirlo. Poteva vedere, però, come il corpo di lui fosse lievemente più rigido, qualcosa che nessuno avrebbe notato, ma lei certe cose le poteva quasi sentire a pelle.
Si voltò sul fianco sinistro, così da poter continuare a guardare gli occhi di Sherlock che non l'avevano ancora abbandonata. Quello sguardo non la metteva a disagio né la infastidiva, ma la incuriosiva in un modo particolare e le faceva battere il cuore come nessun altro era mai stato capace di fare.
-Perchè?-.
La domanda improvvisa la sorpresa, ma non lo lasciò vedere.
-Perchè cosa?-.
-Perchè mi stai aiutando?-.
-Perchè non dovrei?-.
Sherlock dischiuse le labbra per rispondere, ma in realtà gli mancavano le parole. Non che non avesse qualcosa da dire o non sapesse ciò che lui stesso voleva sapere, come il perché di quella fiducia infondata, che poteva leggere negli occhi e su tutto il corpo di Irene, il perché gli offriva rifugio e credeva in lui incondizionatamente, quando tutto il mondo lo reputava un bugiardo, ma lo sguardo di lei lo confondeva.
-Ho lavorato per Moriarty, so che era era reale-.
Irene poteva quasi leggere il dubbio in quegli occhi di cristallo e un sentimento strano le inumidì le labbra, forse era empatia, forse era solo istinto di protezione.
-Avrei potuto comunque organizzare il tutto-.
-Lo hai fatto?-.
-No-.
-Allora va bene-.
Sherlock stava per ribattere, accigliato e frustato davanti all'incapacità di darsi delle risposte razionali, ma Irene poggiò le proprie labbra sulle sue con un fruscio silenzioso.
Durò un attimo, ma bastò a farlo tacere.
Poteva sentire il respiro di lui che le accarezzava gentile le labbra, gli occhi lucidi a lume di candela che adesso la guardavano in attesa. Tutti hanno le loro debolezze e Irene poteva sentire quella di Sherlock battere con calma sotto il palmo della mano. Lì nel suo cuore erano celate tutte le risposte, ma per una volta Sherlock non era in grado di trovare la giusta combinazione.
-Lascia che te lo dimostri-.
E allora lei gli concesse la chiave, perché i giornali dicono un sacco di cose, ma Irene conosceva la verità meglio di chiunque altro.





  
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