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Autore: Yas Venice    11/02/2012    3 recensioni
Rei, durante la visita in un luogo "speciale", racconta a Makoto i suoi ricordi provenienti da una vita precedente: la quotidianità, l'amore e gli affetti che rischiano di essere distrutti per sempre dal seme della follia, scatenata da una strana fobia che diventa l'oscuro presagio di un'imminente apocalisse.
Prima classificata al contest "Nightmares become real" indetto da Kat Logan sul forum di Efp.
Vincitrice del premio extra "The Best Nightmare".

In memoria di tutte le vittime di ogni guerra e di ogni atrocità.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Makoto/Morea, Nuovo personaggio, Rei/Rea | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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memorie di un'ombra cap 2 Salve, ecco a voi il secondo capitolo dedicato interamente alle "Memorie" di Rei, che racconterà in prima persona alcuni eventi di questa sua famigerata vita precedente. Come nel primo capitolo, anche qui verranno celati alcuni particolari importanti che si sveleranno totalmente, come d'altronde tutto il resto, nel terzo ed ultimo capitolo.
Buona lettura!






Capitolo 2  -   Ombre dal passato

 Andare indietro nel tempo, ricordare ciò che eravamo per capire e confrontarci con ciò che siamo; lasciar vagare la propria mente tra i ricordi e constatare come un'intera vita fatta di migliaia di giorni, milioni di ore, miliardi di minuti, si riduca agli occhi della nostra mente a brevi frammenti che rimangono impressi nella memoria, per sempre.
A distanza di decenni, alcuni particolari sono ancora nitidi e perfetti nei miei ricordi, come il profumo delicato dei mandorli in fiore o le fresche e rilassanti carezze che l'aria di questi luoghi regalava alla mia pelle; come la voce calda ed il sorriso di mia madre; come Daiki e ciò che eravamo l'uno per l'altra; come la follia che è entrata con prepotenza nella mia vita.
Avevo 16 anni quando tutto ebbe inizio.
A quel tempo abitavo in un quartiere del centro, in una casa di modeste dimensioni che dividevo con mia madre. Non ricordo il volto di mio padre: ero troppo piccola quando è morto a causa di una grave malattia. Pur tra mille difficoltà, eravamo riuscite ad andare avanti, a convivere in qualche modo con quella dolorosa assenza grazie anche alla generosità di alcuni parenti che avevano fatto in modo che non ci mancasse nulla.
Tutto il mio mondo ruotava intorno a mia madre e a Daiki, il mio migliore amico, che costituivano la colonna portante sulla quale poggiavano tutte le mie certezze ma che avrebbero potuto fare ben poco contro quella che era a tutti gli effetti l'avanguardia di qualcosa che era insito dentro me sin dall'infanzia, come un fuoco che cova lento sotto un cumulo di paglia e che prima o poi è destinato a prendere vigore, divorando ogni cosa.
Sciofobia, o più semplicemente, paura delle ombre. Già in tenera età si erano verificate le prime avvisaglie e ricordo chiaramente che la loro vista mi suscitava un senso di fastidio misto a ribrezzo poiché, ai miei occhi, loro rappresentavano una sciocca imitazione della personalità altrui e se mai avessero posseduto un'intelligenza, avrebbero di certo desiderato un'unica cosa: essere al nostro posto.
Le consideravo "presenze" ostili ma non le temevo. Non potevo certo immaginare che la mia vita sarebbe drasticamente cambiata per causa loro; in pochi minuti, pari alla durata di un incubo, il mio mondo venne distrutto.
Ricordo che quella sera andai a letto presto poiché ero stanca. Fu un sonno profondo e appagante fino al momento in cui quel sogno fece ingresso nella mia mente. Il buio completo lasciò pian piano posto ad una strana luce che aumentava lentamente ma inesorabilmente, giungendo a circondarmi del tutto. Ad accompagnarla c'era uno strano suono, continuo, deprimente come un lamento meccanico. Intorno a me si intravedevano le sagome di innumerevoli edifici dagli indefiniti contorni; compresi così di trovarmi in una città interamente avvolta da quel sinistro bagliore.
Il mio sguardo vagò alla ricerca di particolari che potessero aiutarmi a capire il significato di tutto ciò e solo allora mi resi conto di qualcosa a cui non avevo prestato attenzione: nei muri esterni delle case erano impresse delle immagini. Mi avvicinai lentamente alla parete esterna di un edificio che recava impresso qualcosa; mi resi conto che si trattava di una figura umana: mi trovavo dinanzi all'ombra di un uomo, priva del suo proprietario; essa era diversa da tutte quelle che avevo visto prima d'allora poiché essa possedeva un'espressione inorridita, come se fosse in grado di provare sentimenti, ma la cosa che mi turbò di più era il fatto che il suo sguardo terrorizzato era puntato nella direzione esatta in cui si trovava la fonte di quella luce onnipresente. A quel punto tornai a guardarmi intorno, a fissare quelle immagini che popolavano le facciate degli edifici e con orrore compresi che si trattava di centinaia di ombre. L'oscuro viso di quelle più vicine a me era rivolto verso la luce ma a quel punto ebbi la certezza che tutte quelle sagome inanimate "guardavano" nella stessa, identica direzione ed ero certa che ognuna di loro possedesse un'espressione deformata da un raggelante terrore del tutto simile a quella dell'ombra che stava alle mie spalle.
Cosa nascondeva quel bagliore? Perché ne erano terrorizzate?
Cercai di fissare la sorgente luminosa, incredibilmente forte ed ostile e solo allora mi accorsi  che stava accadendo qualcosa di strano al mio corpo: non riuscivo più a distinguere il colore  dei miei vestiti, né della mia pelle... Il mio corpo aveva assunto una colorazione scura,  divenendo in tutto e per tutto simile ad un'ombra.
-  Che mi succede?  -   esclamai incredula mentre in quel preciso istante qualcosa mi afferrò, trascinandomi verso la parete.
-  No! Lasciami! -
 Non riuscivo a vedere cos'era, potevo solo intuirlo poiché quel poco che intravidi era del mio stesso oscuro colore.
Urlavo e mi dimenavo ma la "cosa" era più forte di quanto pensassi. Le mie spalle toccarono il legno della parete esterna di quella casa ma l'entità non era ancora soddisfatta. Mi tirò ancora con forza, una forza sovrumana a cui non potevo oppormi. Con orrore sentii che qualcosa stava penetrando dentro la mia carne, percorrendo  tutto il mio corpo che si abbandonò a spasmi di atroce dolore.
La mia carne ed il legno si stavano mescolando, divenendo tutt'uno.
Urlai come mai avevo fatto prima d'allora e quando fui vicina a perdere i sensi, una voce asessuata mi parlò, dicendo: -  Questo è il tuo destino: divenire un'ombra, come tutti noi -
Solo in quel momento mi destai da quel sogno, madida di sudore e con il respiro affannoso. Per il resto della notte non riuscii a chiudere occhio; impaurita mi rannicchiai sotto le coperte ma fu tutto inutile, non  riuscivo a tranquillizzarmi. Solo allora decisi di fare  una cosa che non facevo oramai da molto tempo: mi alzai e andai nella stanza di mia madre.
- Mamma, sei sveglia? -
Dopo un po' udii la sua voce: -  Mmmh... Adesso si -   rispose lei con la voce impastata dal sonno.
- Scusami, non volevo svegliarti... o forse lo volevo perché altrimenti non avrei potuto chiederti quello che sto per chiederti... -
Mia madre, da donna meravigliosa quale era in qualche modo riuscì a comprendere la mia inquietudine e come se fosse davvero capace di leggermi nel pensiero scostò le coperte per farmi posto.
-  Allora?! Cosa fai lì impalata? Non sei venuta per questo? -   mi disse con dolcezza.
Non me lo feci ripetere due volte: mi coricai accanto a lei come facevo quando ero piccola e avevo paura di qualcosa. Mi strinsi forte al suo corpo il cui calore aveva la capacità di tranquillizzarmi e lei mi tenne stretta a sé, vegliando sulla mia fragile pace per tutta la notte.
E questo avvenne per molte altre notti.
Nelle settimane successive, le cose peggiorarono drasticamente: il timore che provavo nei confronti delle ombre aumentò a dismisura e ogni qualvolta i miei occhi ne intravedevano una, brividi freddi iniziavano a correre lungo la mia schiena poiché esse erano divenute dinanzi al mio sguardo "malato" delle entità viventi e pensanti capaci di interagire con il mondo che le cicondava e capaci, soprattutto, di far del male.
- Questo è il tuo destino: divenire un'ombra, come tutti noi -
Quella frase riecheggiava costantemente nella mia mente, concentrando il mio malessere interiore in un'unica domanda che non mi dava pace: come poteva un essere umano tramutarsi in un'ombra? Era qualcosa di totalmente assurdo, a tratti surreale, fuori da ogni legge della natura. Inevitabile che quel cambiamento che si era verificato in me anche a livello caratteriale, venisse  perfettamente notato da mia madre e da Daiki. Lo capivo dal modo in cui mi parlavano, dal loro tono di voce, dal fatto che spesso mi fissavano di sottecchi e dai loro sguardi diretti che analizzavano, interrogavano e  talvolta, condannavano.
Tutto stava cambiando in fretta. La mia oasi serena si era lentamente trasformata in una landa desolata e fredda. Ero  totalmente consapevole di ciò ma non riuscivo a dominare il cieco terrore che mi pervadeva al solo pensiero che quell'incubo potesse realizzarsi poiché ero convinta di aver visto qualcosa che prima o poi avrebbe fatto ingresso nella realtà di tutti i giorni, distruggendola per sempre.
Avevo paura di morire poiché, in fin dei conti, tutto si riduceva a questo: in quel sogno avevo visto la mia morte avvenuta per opera di un'entità sconosciuta.
Giunsi ad escogitare un espediente per tenere lontani i miei "demoni": quando la mia carne annegava nel freddo e la loro presenza diventava insopportabile, mi rifugiavo nella mia stanza e mi immergevo nella totale oscurità poiché senza nessuna forma di luce esse non potevano manifestarsi. Solo in quel modo riuscivo a tenerle lontane; poi, in un pomeriggio di fine Maggio, avvenne qualcosa che fece definitivamente traboccare l'acqua dal vaso.
Ricordo che mia madre era intenta a cucire dei sacchi di iuta mentre io sorseggiavo del the. La guardavo e mi sentivo terribilmente in colpa per il mio comportamento che aveva finito con il logolarla dentro. Sapevo quanto fosse doloroso per lei non riuscire ad essermi d'aiuto e mi sentivo tremendamente squallida ogni volta che non vista, la guardavo piangere silenziosamente, per me. Si accorse del mio sguardo  e sorridendo mi chiese: - Cosa c'è? -
Ricambiai il sorriso, rispondendo ironica: - Non avevo mai fatto caso a quanto sei bella mentre cuci i sacchi di iuta -
Lei rise. - Perché non vieni ad aiutarmi così diventi un po' più bella anche tu! -
- Dai, mamma... Ogni scusa è buona per rifilarmi qualcosa da fare! - protestai, mettendo il broncio.
- Il mio udito funziona molto bene e visto che a quanto pare hai la fortuna di avere una madre bellissima, adesso prenderai ago e filo e mi aiuterai a cucire! -
Ridemmo entrambe trovando così consolazione reciproca nella nostra complicità mai venuta meno sino a quel momento. Decisi di accontentarla quindi mi misi alla ricerca dell'occorrente per cucire ma quando tornai a guardare nella sua direzione vidi qualcosa che mi fece rabbrividire: una di quelle dannate ombre era accanto a lei. Cercai di far finta di nulla per non rovinare quel momento di serenità ma d'improvviso l'ombra fece qualcosa di inatteso: tese il suo braccio verso il corpo inerme di mia madre in un gesto che mi  sembrò minaccioso. D'istinto presi la tazza di terracotta dentro la quale si trovava ancora un po' di the e la scagliai con violenza contro quel demone impresso nella parete. Mia madre trasalì spaventata mentre veniva raggiunta da alcuni cocci e nello stesso istante una voce alle mie spalle urlò: - Che stai facendo? -
Mi girai di scatto. - Daiki...-
Lui mi fissò con un'espressione incredula mentre con tono severo esclamò: - Che cosa ti è saltato in mente? Si può sapere cosa ti sta succedendo? Spiegamelo perché io non capisco e neanche lei! -  riferendosi a mia madre che mi guardava con occhi gonfi di lacrime.
- Mamma... ho cercato solo di proteggerti, devi credermi -
Mi avvicinai ma lei inaspettatamente arretrò, ponendo le mani tra me e lei, in segno di difesa. Mio Dio... mia madre, la donna che mi aveva generato, aveva paura di me. A questo punto ero dunque arrivata?
- Mi dispiace -   sussurrai mentre uscivo da quella stanza e da quella casa.
Iniziai a vagare senza alcuna meta come un'anima in pena tra le fiamme del mio tormento, portandomi appresso tutti i miei demoni che solo per me intonarono un cupo concerto di beffarde risa che dai muri si propagavano per ogni dove.
Ero tormentata dall'immagine di mia madre che cercava di proteggersi da me; ero così avvilita che a malapena mi resi conto di camminare in mezzo alla strada nel bel centro di una curva a gomito. Udii un improvviso rumore molto vicino a me ma prima che potessi capire di cosa si trattasse, mi ritrovai a terra, sul ciglio della strada, lontana dalla traiettoria di quell'auto diplomatica che procedeva di gran carriera.
- Ti sei fatta male? -
Riconobbi la voce concitata di Daiki e mi resi conto di trovarmi a terra, avvolta dalle sue forti braccia. Mi strinsi forte a lui senza riuscire a frenare il mio pianto ed il nostro abbraccio è l'ultimo ricordo che possiedo di quell'orribile giorno, prima di perdere i sensi.

* * *

I raggi del sole che trapassavano lo Shoji, furono la prima cosa che vidi quando mi svegliai dal profondo sonno in cui ero sprofondata. Riconobbi subito la mia stanza e subito cercai di spingermi facendo leva sui gomiti ma una mano si posò sul mio petto e mi spinse giù con delicatezza: - Stai giù, hai la febbre alta -
Ancora lui ed ancora accanto a me, come sempre. Aveva ragione, non ero nelle condizioni di abbandonare il futon, visto che fui costretta a chiudere gli occhi per non vedere la stanza girarmi intorno. Sospirai e poi chiesi l'unica cosa che più mi premeva sapere in quel momento:
- Dov'è mia madre? Come sta? -
- Tranquilla, lei sta bene, ti sta preparando una zuppa -   mi rassicurò Daiki.
Non conoscevo ancora l'entità dello strappo che era venuto a crearsi nel nostro rapporto; di certo era stata lesa la complicità che stava alla base del nostro forte legame. Iniziai a tremare al solo pensiero di trovarmi di fronte ad un muro di silenzio e di tacita condanna. Il rumore della fusuma che scorreva attirò la mia attenzione: la vidi ferma sulla soglia, con una scodella tra le mani, immobile mentre mi fissava. Deglutii e poi distolsi lo sguardo da lei, puntandolo sulle lenzuola; avrei voluto dirle tante cose ma temevo che ogni parola che fosse uscita dalla mia bocca sarebbe stata inutile. La sentii mentre si avvicinava e poggiava la scodella accanto al futon; lunghi attimi di silenzio che mi sembrarono eterni e poi, finalmente, un calore familiare mi sfiorò la guancia. Alzai lo sguardo pronta a vedere con i miei occhi le conseguenze che la mia "follia" aveva avuto sulla persona più importante della mia vita. Con stupore rividi lo sguardo comprensivo ed infinitamente dolce di sempre.
- Mamma... -   sussurrai con un filo di voce mentre mi sospinsi nuovamente senza che stavolta Daiki intervenisse. Lei non disse nulla, mi attirò a sé stringendomi forte.
Piansi sulla sua spalla, conscia del significato di quel suo gesto: mi era stata concessa la possibilità di rimediare al male che le avevo fatto durante quel lungo periodo di smarrimento.
Una dolce risata uscì dalle sue labbra mentre rivolta a Daiki, diceva: - Vieni qui -  invitandolo di fatto ad unirsi al nostro abbraccio. Lui si avvicinò imbarazzato: non era abituato a quel genere di situazione, si sentiva impacciato e fuori luogo ma non riuscì a sfuggire a mia madre che non appena lo ebbe a tiro, lo prese per una mano, attirandolo dentro il nostro abbraccio.
Rimanemmo così, stretti l'uno all'altra e per la prima volta dopo tanto tempo, le mie ombre furono davvero lontane.



Note

Shoji -  
porta scorrevole che separa l'interno dall'esterno delle case tradizionali giapponesi.
Fusuma -  
porta scorrevole che separa i locali interni della casa.
Futon -  
materasso tradizionale che può fungere da letto.
Daiki -  
il significato di questo nome è "grande bagliore".


To be continued...

   
 
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