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Autore: GlassOnion    11/02/2012    4 recensioni
"Spencer ha undici anni ma ne dimostra venti". Reid ricorda ancora con orrore quello che gli accadde alle scuole superiori, ma non l'aveva mai raccontato a nessuno. Ecco un excursus in quello che reputo uno degli episodi più toccanti del passato di Reid, accompagnato dall'aiuto di una canzone altrettanto toccante.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Spencer Reid
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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NdA#
Ecco finalmente il quarto capitolo! Siamo finalmente arrivati al punto cruciale della storia!
Non avrei mai pensato di scrivere così questo capitolo, visto che la storia era partita come song-fic ma, a quanto pare, sembra essere diventata qualcosa di più (almeno per me!).
Prima di tutto colgo l'occasione per ringraziare ancora tutti quelli che leggono e che recensiscono, grazie!
Poi vorrei chiedervi, in questo capitolo in particolare, di recensire se leggete, è un capitolo importante e vorrei sapere davvero cosa ne pensate.
Mi scuso se sono stata un po' cruda e volgare in alcune parti, spero non siate sensibili!
Ah, e aggiungo che ho inserito in questo capitolo una frase di un'altra canzone di Morgan!

Buona lettura!


«Freddo. L’aria gelida riempiva Las Vegas. Gli ultimi giorni di gennaio erano sempre i più freddi. Spencer l’aveva appena constatato.
In un attimo era diventato consapevole di quanto fosse freddo quel giorno. Nudo, in un campo di calcio, sotto gli occhi di almeno quindici ragazzi ridenti.
Spencer sposta lo sguardo da Alexa Lisbon e vede la sua maglietta, scaraventata lontano dall’energumeno che l’aveva spogliato, troppo distante per raggiungerla senza che fosse fermato.
I pantaloni. Rimasti sulle cosce, gli impedivano di camminare. Spencer li afferra e se li rimette su, cercando un modo per fuggire da lì.
Un secondo dopo i pantaloni ricadono a terra e Spencer viene spinto, giù, sull’erba bagnata e fredda. Un ragazzo torreggia su Spencer.
“Cosa cerchi di fare, sputo? Fuggire?” gli inveisce contro.
E poi un calcio alla gamba, forte. “Non provarci mai più, ti divertirai con noi, adesso.”
Spencer geme, il sangue che esce copioso per il calcio ricevuto.
Il ragazzo viene raggiunto dagli altri compagni di squadra, Alexa in prima fila, come chi non vuole perdere uno spettacolo per nessun motivo.
“Togligli quegli occhiali da sfigato, Alexa. Non vorrai che ci riconosca e vada a spifferare questa storia al preside” dice il capobanda.
“Non credo che avrà voglia di raccontare in giro qualcosa, dopo ciò che gli faremo, almeno” replica Alexa togliendo gli occhiali a Spencer e scaraventandoli lontano, “e sono altrettanto sicura che non vorrà che la gente sappia quanto ce l’ha piccolo, non è vero Reid?”
Spencer non sa cosa replicare. È nudo, sul prato e la sua gamba non vuole saperne di smettere di sanguinare.
Qualcuno cammina sugli occhiali di Spencer, rompendoli.

“Sapevo che non sarei dovuto andare, lo sapevo,” pensa Spencer,“aveva ragione la mamma”.
Ma ormai è troppo tardi. Alexa, aiutata dagli altri ragazzi, solleva il corpicino magro e piccolo di Spencer.
Nessuno dei suoi tentativi di difesa è utile per liberarsi dalla presa dei ragazzi.
Alcuni lo tengono fermo, altri lo cingono con qualcosa che gli stringe il petto.
Poi finalmente lasciano la presa.
Spencer si ritrova in alto, molto di più rispetto ai suoi aguzzini, si guarda intorno e poi capisce.
“Mi hanno legato al palo della porta.”

Un paio di mani grandi e ruvide iniziano a toccare le gambe scalcianti di Spencer, ne risalgono il profilo, ancora bambinesco, poi si fermano, in corrispondenza delle mutande. E poi, con uno strattone, giù, anche le mutande.
Spencer chiude gli occhi, riempitisi di lacrime.
Le risate aumentano. “Accidenti Reid, ce l’hai veramente piccolo!” lo prende in giro Alexa, provocando ulteriori risate.
“Queste le teniamo noi come trofeo, se non ti dispiace” dice un ragazzo.
“No … vi prego, farò tutto quello che volete, vi prego …!” dice Spencer.
Ma niente. Le risate aumentano. Così come le lacrime di Spencer.
“Che c’è genietto? Non c’è la tua mammina a cambiarti il pannolino?”
“Chi cerchi di commuovere?”
Quindici voci si sovrapponevano, in insulti, prese in giro e gesti volgari. “Vi prego, slegatemi, ridatemi i miei vestiti!”
Inutili le preghiere di Spencer, inutile qualsiasi supplica.
Spencer trattiene a stento lacrime e conati di vomito.
Com’è possibile che in dei ragazzi adolescenti possa esserci così tanta cattiveria? Cos’aveva mai fatto loro di male?
La corda che lo legava al palo era stretta, immobile.
Inutile qualsiasi tentativo di slegarsi, era impossibile.
Spencer cercava il nodo che lo legava, provando a scioglierlo con le sue mani ancora da bambino.
Quante probabilità aveva di riuscire a liberarsi? Le statistiche erano assolutamente inutili in momenti del genere.
Cosa se ne faceva della cultura, di un quoziente intellettivo pari a 187, della sua memoria eidetica in momenti del genere? Nulla.
Gli rimanevano solo le lacrime.
“Lasciatemi andare … vi prego …” riprova Spencer.
Il bambino è smarrito, il ragazzo è impreciso, l'uomo è sbagliato.
Lacrime. Risate. Il tramonto.
L’agonia di Spencer sembra non avere mai fine.
La fame di Alexa e dei ragazzi della squadra di football nemmeno.
Spencer cerca ancora di liberarsi, sente le gambe indolenzite, la ferita che brucia ancora, il sangue rappreso e maleodorante.
Poco lontano, gli occhiali, inesorabilmente rotti e irreparabili.
Le ore che passano, scandite dalle suppliche e dalle risate.

“Sarà passata l’ora di cena, la mamma sarà preoccupatissima, non voglio che sappia di questa storia. Non voglio.” pensa Spencer.
Il freddo. I brividi alle gambe e al petto nudi. Il dolore allucinante. Le lacrime. Le suppliche. Le risate.
“Ragazzi, direi che sia ora di tornare a casa, questo sputo ci ha fatto fare una bella risata oggi, ma è piuttosto tardi” dice ad un tratto uno dei ragazzi.
“Accidenti hai ragione, guardate che ora si è fatta!” replica un altro.
“Sì, ma cosa si fa con questo qui?” dice un altro ancora.
“Io direi di lasciarlo qui. Non neghiamo a qualcun'altro il diritto di farsi qualche risata” dice una voce, quasi sicuramente Alexa.
“No … vi prego, lasciatemi andare …” supplica ancora Spencer.
“Zitto, sei veramente noioso, lo sai?” risponde Alexa, “e se non ti è ancora chiaro, non mi piaci e, non mi piacerai mai.”
Detto questo, vanno via.
Spencer è solo, legato al palo, nudo, a contemplare il suo dolore.» 
   
 
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