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Autore: PattyOnTheRollercoaster    12/02/2012    1 recensioni
Tess alzò lo sguardo e deglutì, mordicchiandosi un labbro, le mani giunte in grembo. «Devo dirti una cosa.»
«Sei sposata.»
«No.»
«Sei malata.»
«No.»
«Sei un uomo!»
«No!»
[...]Tess abbassò la voce e sussurrò: «Ho una figlia».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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VI Jet lag
Capitolo VI
Jet lag





   Quando Nandy era venuta a casa a dirmi cos’era successo quasi mi era venuto voglia di andare da sua sorella e spaccarle anche l’altro polso. Giusto una piccola vendetta. Avevo passato tre terribili ore nella disperazione più totale, e già mamma iniziava a dire frasi come “Sarà per un’altra volta” o “E’ troppo pericoloso andare in giro a New York da soli senza conoscere la città”. Ma cosa credeva? Che mi sarei ficcata in un ghetto pieno di mafiosi? Infine era giunta da parte di Nandika una flebile proposta: «Perché non lo chiedi a qualcun altro? Sono sicura che a Ben non dispiacerà troppo; era già organizzato a viaggiare con altre due persone». Mi ero voltata verso di lei come avendo un’illuminazione.
   «Hai assolutamente ragione.» Corsi verso il telefono e digitai il numero di Malachi. Da allora la storia è risaputa.
  Ci eravamo organizzati per la partenza di modo che Ben venisse a prendermi a casa prima di partire. Dovevamo essere all’aeroporto per le dieci, il che significava partire un paio d’ore prima, e il check in sarebbe stato circa un’ora dopo. Tutto era pronto. Avevo invitato Malachi a dormire da noi per non doversi alzare troppo presto; purtroppo Tess non aveva colto il significato del mio piano.
   «Sveglia ragazzi! Veloci! Fate subito colazione e poi cambiatevi!» Tess entrò in camera facendo un rumore della miseria, e per di più aprì le tende facendo entrare la luce fredda del mattino.
  Mi svegliai di soprassalto con la bocca impastata e gli occhi caccolosi (come li chiamavamo io e Nandy), boccheggiando per la sorpresa. «Che ore sono?» Affianco a me, nel letto estraibile che sbucava da sotto il mio, Malachi sbadigliò rumorosamente si girò con il sedere all’aria. I suoi boxer a quadretti blu e rosa erano qualcosa che non dimenticherò mai, molto inquietanti!
   «Sono le sei e mezza, e dovete muovervi. Controllare le valige, vestirvi, lavarvi, fare colazione, mettere a posto le ultime cose…»
   Tess parlava a voce troppo alta per me, ma mi rassegnai e scavalcai Malachi per sgranchirmi le gambe. «Perché ci hai svegliati così presto?»
  «E’ sempre meglio essere in anticipo Mel, non voglio far aspettare Ben. Ha detto che viene in Taxi, e quindi non possiamo far aspettare nemmeno il tassista! Il tassametro gira, non voglio che spenda una fortuna.»
   Mi stropicciai gli occhi mentre Tess andava in giro per la stanza a raccogliere vestiti e rimettere almeno un po’ in ordine. «Ma lui è ricco, sai cosa gliene frega?»
   «Ricco o non ricco non è giusto approfittarsi di lui. E non dovete essere in ritardo comunque, è una questione di rispetto.» Così dicendo Tess diede una manata a Malachi, che ancora non aveva dato segni di comprendere ciò che gli accadeva attorno, e uscì dalla stanza.
   Solo allora Malachi si tolse di faccia le coperte e vidi che il suo viso era tutt’altro che addormentato. Sorrise furbo e disse: «Tua mamma parla davvero a voce alta».
   «Hai visto? Immaginalo tutte le mattine dall’età di sei anni.»
   Malachi ridacchiò e scivolò giù dal letto. «Vuoi andare prima tu in bagno?»
   «No, no… come vuoi è uguale.»
  «Okay.» Malachi aprì la valigia e acchiappò un coso bianco dove aveva messo lo spazzolino e tutte quelle cose lì, poi si chiuse in bagno.
  Nel mentre scelsi i vestiti da indossare e mi cambiai, sperando ardentemente che Malachi non entrasse in quel momento. Ragionavo nel frattempo sul fatto che non mi aveva ancora fatto nessuna proposta sconcia, non me lo aveva né chiesto né fatto capire, e nemmeno aveva provato a fare qualcosa a parte baciarmi con trasporto e posarmi una mano sul seno. Era stato un po’ imbarazzante all’inizio, continuavo a pensare a quella mano che stava lì sulla mia tetta sinistra, ma alla fine ripetemmo l’esperimento un paio di volte e smisi di pensarci. In fondo lui aveva il permesso di farlo: era il mio ragazzo e a me non dava fastidio. L’unico problema era che mi sentivo estremamente timida nei confronti della mia fisicità. Avevo iniziato a pensare di non piacere molto a Malachi, almeno in quel senso; altrimenti mi avrebbe chiesto che voleva approfondire il nostro rapporto, o almeno avrebbe provato a… non so, a sperimentare! Non che volessi fare quello subito, volevo solo capire se Malachi era sì o no interessato a me anche in quel senso. Smisi di farmi problemi inesistenti quando Malachi rientrò dal bagno. Ero in reggiseno. «Wow, tornavo prima se lo sapevo», sghignazzò lui chinandosi sui suoi vestiti. Okay, era interessato.
   «Scemo», sibilai arrossendo. Mi vestii in fretta e andai in bagno a lavarmi. Quando aprii la porta per uscire trovai Malachi, con quei suoi adorabili capelli ricci che gli cadevano sul viso. Sorrideva e non appena mi vide mi cinse per la vita e mi baciò. Ridendo come idioti, andammo in cucina a fare colazione.
   «Cosa vuoi per colazione Malachi?», domandò Tess. «Ho fatto i pan cake, però ci sono anche i cereali, e il latte, e il caffè…»
   «I pan cake vanno bene, grazie Tess», disse lui sorridendo. E’ incredibile come diventi raffinato quando si trova in casa d’altri o in situazioni particolari, quando è a casa sua,  con me, o quando siamo fuori con gli amici, diventa… diventa un vero idiota: non fa che ridere tutto il tempo e dire cose cretine. Fa ridere un sacco, e lo adoro quando lo fa, però riesce anche a fare discorsi seri a volte. Sono cotta al punto giusto, ancora un po’ e sembrerò uno dei pan cake di Tess, pensai in quel momento rivolgendo la mia attenzione ai cereali.
   Dopo la colazione e il controllo delle borse da parte di mamma, che è davvero pignola per certe cose, eravamo pronti, e Ben suonò alla porta perfettamente puntuale. Mamma ci aiutò a portare giù due valigie, e anche Ben salì a dare una mano. Non c’era molto, in realtà, da portare: sia io che Malachi avevamo un trolley abbastanza grande (dentro c’erano quasi esclusivamente vestiti) e una borsa ognuno.
   «Ci siamo?», domandò Ben mentre il tassista caricava le cose nel bagagliaio. Salutò Tess con un bacio, poi lei salutò me e quando fummo dentro il taxi si affacciò ai sedili posteriori, dove c’eravamo io e Malachi.
   «Mi raccomando, chiama quando arrivi okay?»
   «Sì tranquilla ma’», la rassicurai.
   «D’accordo.» Diede un ultimo bacio a Ben e poi si ritrasse per lasciar partire l’autista.
  Una volta in aeroporto imbarcammo le valigie, io e Malachi comprammo alcune schifezze da mangiare e infine sedemmo ad aspettare dopo aver fatto il check in. «A che ora arriviamo?»
   «Alle tre, più o meno. Forse un po’ prima», disse Ben rispondendo ad un messaggio. «Perché?»
   «Per sapere se potevamo fare qualcosa. Si può salire sulla Statua della Libertà di notte?»
   Ben si strinse nelle spalle. «Sì, non credo ci siano problemi. Certo, forse non fino alle tre del mattino, però immagino che ti basti il buio, no? E’ incredibile la città illuminata.» Sorrise e io annuii. In quel momento il suo telefono squillò e lui dovette rispondere. «Allyson!», salutò con un sorriso. Troppo felice per salutare un’altra donna? Indubbiamente sì. «Sì, sì, sono qui all’aeroporto, fra poco partiamo.» Fece una pausa. «Oh, non c’è problema. Sì per quell’ora dovrei già essere là. D’accordo, ciao.»
   «Chi era?», domandai curiosa.
   «Il mio agente.»
   «E che devi fare oggi?», chiese Malachi con sagacia.
   «Cena assieme a tutti gli altri della troupe. Quindi voi volete andare alla Statua della Libertà?» Annuii. «Hm. Avvisa tua madre non appena atterriamo.»
   «D’accordo.»
  Il volo durò più di sette ore, le passai ascoltando musica, litigando con Malachi perché barava a carte e guardando un film che passavano in un piccolo schermo posizionato dietro il sedile del passeggero che avevo davanti. Che sarebbe successo se quello avesse voluto stendere il suo sedile e dormire? Bah… non lo fece. Stavo seduta in mezzo a Malachi e Ben, che si era beccato il posto vicino al finestrino. Ben rimase per la maggior parte del tempo ad ascoltare musica e leggere un libro. Fece una partita a carte con noi, ma da parte sua non udii una parola fino a che Malachi non si addormentò nel bel mezzo del film, quello finì e io rimasi senza nulla da fare.
  Tolsi le cuffie per l’audio e decisi finalmente di aprire il pacchetto con il cibo che ci avevano portato le hostess. Era davvero terribile, un surrogato di carne di vitello con delle pallide patate al fianco e le salse spremute in un piccolo comparto del vassoio. Storsi il naso. «Ben tu mangi sempre queste cose quando viaggi?»
   Benjamin alzò gli occhi dal libro e diede un’occhiata al vassoio. «No, non mangio troppo la roba dell’aereo. Piuttosto se ho fame mangio quando arrivo.»
   Delusa, abbassai gli occhi sul mio cibo e piluccai una patata. Be’ non sapeva di niente, quindi non mi potevo lamentare. L’unico che aveva mangiato tutto era Malachi, uno stomaco di ferro come il suo era da elogiare in casi come questi. Ben aveva gentilmente declinato l’offerta dell’hostess e si era fatto portare una soda. «Non vuoi nemmeno assaggiare?»
   Ben chiuse il libro e mi osservò con un sopracciglio alzato. «Vuoi avvelenarmi?»
   «Ti sembra possibile?»
   «Certo.»
   «Invece non è possibile: il vassoio era chiuso quando me l’hanno portato, non c’era modo in cui lo aprissi per metterci del veleno senza che tu te ne accorgessi.»
   Ben rise di gusto e io lo seguii a ruota. «Scusa, ti sottovaluto.»
  «E poi…», boccheggiai riprendendomi, «non ti ucciderei mai in un luogo dove le persone che possono farlo sono così poche. Rischierei troppo.»
   «Mi ricordi Niccolò Machiavelli», osservò Benjamin sorseggiando la soda.
   «Non ho idea di chi sia ma… grazie.» Rimasi un attimo in silenzio. «Quindi… quando arriviamo andiamo in hotel, no? E poi devi… cosa devi fare? Hai detto che devi cenare con quelli della troupe. A che ora?»
   «Allyson mi ha detto che ci dobbiamo trovare alle sei nella hall dell’hotel. Voi volete fare qualcosa prima?»
   «Non lo so. Non hai tempo nemmeno per fare un giro?»
   Ben fece una smorfia. «Non credo.»
   «Dove andrete a girare? Ci sono degli studi?»
   «Sì certo.»
   «Chi è il regista?»
   «Un regista esordiente a quanto pare. Giapponese francese.»
   «Posso divulgare le notizie e diventare ricca?»
   Ben rise e commentò: «Non credo che diventerai ricca divulgando questo tipo di notizie».
  «Peccato», osservai stringendomi nelle spalle. Continuavo a mangiare nel frattempo e Ben mi fece segno di pulirmi dove mi ero sporcata. «Grazie», biascicai con la bocca piena passandomi il tovagliolo ruvido sulla bocca.
   A quel punto Ben stava per ricominciare a leggere il suo libro, ma ad un tratto parve cambiare idea; lo richiuse per la seconda volta e mi guardò con occhi indagatori. «Come…», cominciò, «come va con…», e indicò Malachi.
  Gli gettai un’occhiata e lo vidi tanto addormentato da pensare che nemmeno se l’aereo fosse caduto si sarebbe svegliato. «Bene», dissi annuendo. «Perché?»
   Ben si strinse nelle spalle. «Così, per sapere. Come sono i suoi?»
  «Normali… molto impegnati… Sono spesso in giro, lui rimane da solo con sua sorella grande un sacco di tempo.» Mi zittii. Era qualcosa che a Malachi costava fatica raccontare, io lo sapevo perché lo conoscevo da un po’, lo sapevamo tutti -Seymour, Nandika e io- che a Malachi dava parecchio fastidio non vedere mai i suoi genitori, soprattutto perché quand’era piccolo erano una famiglia molto unita a quel che mi diceva. Lo avevo notato in particolare da quando ci eravamo messi assieme. Le prime volte che veniva a casa mia guardava me e mamma mentre parlavamo e sembrava quasi affascinato, si divertiva a stare con noi (cosa che credevo impossibile, suppongo perché io ero abituata a Tess e non la vedevo tanto divertente).
   «Ah… gli dà fastidio?» Ben sapeva essere molto sagace quando voleva. E molto stupido invece la maggior parte delle volte.
   Esitai. «S-sì, un po’. A volte.» Ben fece un verso incomprensibile. «Come hai detto?»
  «Niente.» Rimase per un po’ in silenzio. «Mel… e se ti rendessi conto che qualcuno che conosci è un vero stronzo? O una persona… poco raccomandabile?»
   Stava parlando di Tess? Voleva dire che pensava che Tess fosse una stronza? O magari parlava di lui. Aveva un segreto da dire a Tess, e aveva paura che lei lo considerasse uno stronzo. Sì, doveva essere così. Lo analizzai con lo sguardo, tentando di carpire qualcosa dal suo volto. «Cioè?»
  «Be’, se tu conoscessi una persona da un po’, e ti accorgessi che non è più una persona affidabile, cosa faresti? Smetteresti di vederla?» Voleva smettere di vedere Tess? Ma non aveva senso! Che ci facevo allora io lì con lui? Che modo di tagliare i ponti è quello di invitare in vacanza la figlia della tua ragazza? «Cioè, metti caso che comunque tu voglia molto bene a questa persona, ma che ti renda conto che ha dei problemi seri. Smetteresti di vederla? O le rimarresti vicino?»
   O mio Dio. Ben voleva lasciare Tess. E voleva che io gli dessi un consiglio. Ma che in mondo parallelo eravamo capitati?! Doveva essere l’ossigeno ad alta quota. E poi che razza di problemi poteva avere Tess? Intervenni velocemente: «No!». Lo gridai un po’ troppo forte. Mi ricomposi e mi guardai furtiva attorno, come se dovessi nascondermi da qualcuno. «No al contrario, gli starei vicina. Se è una persona a cui voglio bene…», dissi con fare ovvio.
   Ben fece una smorfia. «Ma se quella persona coinvolgesse anche te nei suoi problemi?»
   Primo: Tess non aveva problemi. Secondo: lo stava coinvolgendo in qualcosa? Non mi risultava… «Ma tu non farti coinvolgere… e poi in che senso?»
   «Non c’entro niente io», disse Ben frettolosamente. «E comunque, nel senso che poi anche tu potresti avere gli stessi problemi.»
   «Hai un problema?»
   «No.»
   «Qualcuno che conosci ha un problema?»
   «N-no.»
   «E allora qual è il problema?» Ritornai a sedere dritta e infilai gli auricolari.
 Accidenti! Speravo di aver capito male la situazione. Che voleva dire? Tess aveva un problema, secondo lui, e lo stava coinvolgendo? E forse Ben voleva lasciare mamma? Se lo faceva giuro che gli avrei staccato le palle!
  Ci rimuginai su finché Malachi non si svegliò. Allora iniziammo il nostro secondo giro a carte e poi mi addormentai anch’io. Quando mi svegliai sentivo dei bisbigli attorno a me. Non aprii gli occhi finché non capii di chi erano. «No, fermo, faccio io», disse Ben.
   «Ma perché? Io sono più vicino.» Malachi.
  «Non sai nemmeno come si lega una cintura di sicurezza. E poi non puoi cercarla lì…» In quel momento realizzai che avevo la cintura esattamente sotto il sedere.
   «Come no? Preferisci farlo tu?», sibilò rabbiosamente Malachi. «Sei un maniaco.»
   «Non ti permetterò di palpare Melany quando è affidata a me», disse Ben.
   «E’ abbastanza grande per essere palpata, primo. Secondo: sono il suo ragazzo, credi che non l’abbia già palpata?» Questo andava assolutamente a favore di Malachi, e a quanto pare anche Ben parve pensarla allo stesso modo, perché si zittì. In quel momento aprii gli occhi e nessuno dei due profferì parola o mi palpò – anche se per motivi di sicurezza. Mi guardai a destra e a sinistra finché Malachi non disse: «Allacciati le cinture, stiamo per arrivare». Ma non potevano solo svegliarmi? In quali abissi di perversione capita la mente maschile!
   «D’accordo.»
   Inspiegabilmente, in un impeto di passione, mi passò un braccio sopra le spalle e mi appicciò a lui. Ero abbastanza soddisfatta della mia sistemazione sulla spalla, ma ero anche sicura che lo avesse fatto solo per dare fastidio a Ben. Eppure credevo che non gli stesse tanto antipatico... O forse faceva così con lui solo per riflesso, perché lo facevo anch’io. Mi ripromisi di dirgli di comportarsi bene con lui, in fondo non era male.
   Scendere dall’aereo, recuperare le valigie e andare in taxi fino all’hotel fu niente meno che noioso e terribilmente lungo. Un’attesa che aveva dell’incredibile. In tutto non ci vollero più di due ore o poco più, ma a me parve un tempo infinito. Mentre il tassista sfrecciava per le vie stavo con il naso incollato al finestrino e non volevo perdermi una sola cosa di tutta quella città. Gli edifici, le persone, i colori, tutto mi sembrava unico, inimitabile: nessun’altro posto al mondo avrebbe mai potuto essere così. Era bellissimo.
   Una volta in hotel ci condussero nella nostra stanza e diedero ad ognuno di noi un pass. Quando entrammo ci si spalancò davanti il paradiso terrestre, doveva essere quello il luogo dove erano stati Adamo ed Eva: 25°esimo piano, camera 87G.
   La stanza era enorme, era formata da due aree divise da un muro e il bagno. Nella prima non appena si entrava c’erano due divani con un tavolino tondo in mezzo, oltre che una finestra alta come tutta la parete che si affacciava su una vista spettacolare. Diversi pouf erano disposti lungo tutta la lunghezza della finestra, e formavano una specie di lungo divanetto, perfetto per guardare fuori e godersi il tramonto, lo avrei fatto di certo. C’erano un frigo bar e una piccola scrivania con tanto di sedia girevole. Nell’area notte invece c’erano un letto a due piazze, un grosso armadio a specchi e il bagno. Sarà scontato ma: sì, anche quello era favoloso.
  «Ragazzi io faccio una doccia e poi vado. Facciamo una cosa: Mel tu hai il mio numero, tornate prima di mezzanotte, anch’io tenterò di tornare per quell’ora. Faccio portare un altro letto qui e…»
   «Noi dormiamo in quello», disse velocemente Malachi indicando il lettone a due piazze.
   «D’accordo», fece Ben piattamente. «Allora ci sentiamo, Mel, mi raccomando
   «Non ti preoccupare, non ci succede niente!», esclamai tirando fuori dalla borsa tutto ciò che mi ero portata per il viaggio che non mi serviva e lanciandolo su un divanetto. «Allora ci vediamo… stasera. Ho i soldi, ho il telefono… ho… ho Malachi, lui sa come orientarsi.» Ben alzò un sopracciglio ma non disse nulla. Ci salutammo e uscimmo per le strade di New York.

  Mezzanotte meno venti. La metropolitana passò proprio di fronte a noi, giusto per farsi beffe. Mezzanotte meno un quarto. Correvamo tenendoci per mano e ridendo come pazzi, mentre Malachi urlava: «Mi sento come Cenerentola lesbica!», «Lesbica?», «Non mi piacciono gli uomini!». Mezzanotte meno dieci. Le gambe iniziavano a cedere, ma non volevo dare a Ben ragione di preoccuparsi dopo nemmeno ventiquattr’ore. Mezzanotte meno cinque. «Buona sera», disse la receptionist dell’hotel. Mezzanotte meno quattro. Premevo convulsamente il bottoncino dell’ascensore. Mezzanotte meno tre. «Muoviti, muoviti, muoviti.» Pregavo. Mezzanotte meno due. Pregavo ancora. Mezzanotte meno uno. «Eccoci!», esultai aprendo la porta della stanza, trionfante.
  La luce era accesa, le coperte si mossero all’improvviso rivelando un Benjamin alquanto sconvolto avvinghiato nelle lenzuola, ancora vestito e con gli occhi gonfi.
   «Oh scusa, non credevo di svegliarti», mi giustificai.
   Lui si passò una mano sul viso e fece cenno che non importava. «Che ore sono?», domandò con voce roca e stanca.
   «Mezzanotte in punto», annunciò Malachi fiero.
   Ben si alzò e sbadigliò. «Ma come fate? Lo sapete che ore sono in Inghilterra adesso?»
   «No ho una vaga idea.»
  Effettivamente mi sentivo stanca morta, così mentre Ben andava in bagno a cambiarsi e lavarsi io frugai nella mia valigia e indossai il pigiama. A turno andammo in bagno. Ormai ficcata sotto le coperte, con il letto di Ben sistemato affianco a quello di me e Malachi, guardavo il ‘grande attore’ semi svenuto con la testa riversa sul cuscino. Sarebbe stato un perfetto Romeo morto. Me la vedevo Tess come Giulietta. Drammaticità teatrale, le si addiceva. «Ben?», chiamai incerta. Lui fece un verso per dimostrarmi che era sveglio, o forse che non lo era ancora per molto. «Che fai domani?»
   «Ah già…», biascicò lui. Fece una lunga pausa, e quasi pensavo che si fosse di nuovo addormentato, invece, contro tutte le mie previsioni, parlò. «Devo alzarmi presto domani, chiamami quando vi alzate e ditemi dove andate.» Pausa. «La colazione c’è fino alle dieci giù… al ristorante. La prenotazione è a nome mio.»
   «Okay… grazie. Mille. Davvero.»
   «Domani mi racconti che avete fatto, okay?»
   «Sì!», dissi raggiante.
   «Posso dormire ora?»
   «Sì», dissi più pacatamente.
   «’Notte.»
   «’Notte Ben.»




















Buona Domenica a tutti =)
Allora, per prima cosa vorrei dirvi che il prossimo capitolo sarà quello più carico di phatos! O almeno si spera... io spero di averlo scritto per bene. Be', mi direte voi.
Ma parliamo di questo, di capitolo! Allora, Melany è ancora piccola, ha quattordici anni (quasi quindici), perciò ho ritenuto che il discorso "fare l'amore con il proprio ragazzo" dovesse essere affrontato in maniera un po' cervellotica. Vi dico subito che non lo farà, anche perché la cosa perderà d'importanza dal prossimo capitolo, però pensavo che il ragionamento ci stesse bene. Io il ragazzo a quattordici anni non ce l'avevo, quindi non mi facevo problemi di questo tipo, però le pippe mentali sono sempre molto divertenti da scrivere, e ancor di più se provengono da adolescenti!
Poi, che altro? Hm, basta così direi, per oggi.
Vi auguro una buona settimana e ci vediamo Domenica prossima!
Patrizia
   
 
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