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Autore: hiromi_chan    12/02/2012    4 recensioni
Antoinette è una marionetta di legno dall'animo romantico. L'amore per suo padre la renderà prigioniera di una scatola; la passione disperata per il suo padroncino Pierre la farà prigioniera di se stessa.
La via che stai percorrendo non è ostacolata da barriere di alcuna sorta e mi basta questo pensiero per sentirmi appagata. Portami, portami con te lungo quella strada fino allo fine del mondo; il mio percorso è limitato dalle barriere dei tuoi occhi.
Mi va bene rimanere un lieve riflesso nella tua esistenza luminosa; mi va bene. Non conosco altro tipo di felicità, non riesco a pretendere altro né tanto meno riesco a immaginare altro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La marionetta





Il buio sa di polvere, mentre il legno che mi avvolge assapora il silenzio lentamente.
Sono anni ormai che ascolto paziente il suono del vuoto, qui, nella cassa dei ricordi del signor Raltique.
Ma non è sempre stato così. Non sono sempre stata immersa in un triste torpore, chiusa in uno scrigno coperto dalle ragnatele del tempo. Una volta davanti ai miei occhi scorrevano paesaggi variopinti e sempre nuovi, e anche se in realtà non mi era possibile allontanarmi dalla piccola bottega di Raltique, con la mente viaggiavo molto.
-Sei romantica, bambolina- mi sussurrava spesso lui da dietro le lenti opache degli occhiali, -hai il viso di una dolce sognatrice-.  
In realtà era lui che mi aveva voluta tale; e tanto era il suo desiderio di avere per sé una piccola donna con un cuore grande, che il mio cuore, per quanto di legno, prese a battere sul serio.
Tutt'ora al solo pensiero dell'uomo che mi ha dato la vita, batte contro le pareti di vimini che mi tengono rinchiusa.
Se le marionette potessero davvero avere un padre, allora l'uomo che chiamerei padre è il signor Raltique dagli occhi buoni.
Ricordo la cura con cui lavorò le mie piccole mani, l'impegno dolce che profuse nel dipingere per me lunghe ciglia, la tenerezza nell'illuminarmi la bocca di rosso, così come rossi furono i miei capelli per volontà sua soltanto.
Spesso, guardando la scintilla nelle sue pupille, mi piaceva pensare che mi avesse creato a immagine e somiglianza di una qualche donna importante della sua vita, inseguendo magari un sogno d'amore perduto. Piano piano mi convinsi di questo; d'altronde, non avrebbe mai potuto accendersi in me un'anima se non per merito di un qualche incantesimo d'amore.
Era ciò che amavo pensare quando lasciavo correre la mia mente lungo universi lontani; tutto era bello nel laboratorio del signor Raltique, e anche se lo spazio era angusto e disordinato, dietro ogni angolo immaginavo mondi nuovi e la mia esistenza si allargava.
Così i giorni trascorrevano felici uno dopo l'altro; dalla mia posizione privilegiata nell'angolo del suo tavolo da lavoro, lo guardavo ristrutturare antichi orologi e riportare alla vita preziosi carillon. Mi divertivo a inventare il loro passato, tratteggiando nella mia mente le signore a cui erano appartenuti quegli oggetti, e volavo alto sognando le loro storie così come facevo per la mia.
Durante la notte, quando papà Raltique si addormentava con il viso poggiato sul tavolo e gli incarichi terminati a metà, mi alzavo traballante dal mio posto.
Piano, le giunture sottili si snodavano e le braccia cigolavano rigide, mentre i fili allacciati alla croce di legno venivano trascinati sul banco da lavoro; l'unica occasione, quella, in cui ero io a muovere loro e non loro a muovere me. Arrivavo fino alla punta del lungo naso di quell'uomo che adoravo, e lì rimanevo, minuscola difronte a un gigante.
Sarebbe stato quello il rituale che avrei ripetuto ogni qual volta vedevo il riflesso della luna alla finestra. Notte dopo notte, per me era sempre una nuova dolce magia. Sentivo che avrei potuto continuare così all'infinito e sarei stata felice.
Ma per il mio padrone lo scorrere dei giorni aveva un significato diverso; i suoi capelli diventavano sempre più candidi e il viso si faceva più sciupato. Mi accorgevo che le sue mani tremavano ogni volta un po' di più.
Nel momento in cui il pennello gli scivolò tra le dita rovinandogli il restauro di una porcellana, si decise il destino di entrambi.
Papà Raltique chiuse la sua bottega e dentro di essa mise sotto chiave le sue creazioni e i lavori incompiuti. L'ultima volta che lo vidi fu quando mi afferrò dolcemente per la vita portandomi accanto al suo viso, forse per esaminarmi ancora prima di mettermi via. Allora gli lessi un timore triste e salato negli occhi buoni, e dopo quell'attimo fugace non vidi più nulla se non le pareti della cassettina in cui mi depositò.
Ed è così ancora adesso. Nemmeno la fantasia può aiutarmi; immaginare non serve se davanti a me non percepisco altro che solitudine.


Ma proprio quando la mente è annebbiata da questi pensieri, proprio ora che mi perdo nei ricordi e decido di seppellirmi lì per sempre, arrivi tu.
Tu, creatura strana, che apri la mia scatola e mi regali un sorriso allegro come non ne ho mai visti prima; tu, che hai gli occhi buoni di papà. Senza esitazioni mi prendi tra le tue mani giovani e morbide, così diverse da quelle piene di calli del mio creatore, e mi porti in alto contro la luce; pieghi la testa, strizzi un occhio e mi fissi contento. Sei un bambino... un sole appena sorto, ma già caldo e splendente.
-Mamma, ho trovato una marionetta!- gridi all'improvviso, e scuoti il braccio con cui mi hai afferrato, facendo ondeggiare anche me, i miei fili, la mia anima.
-Qui è pieno di cianfrusaglie... Papà non si è mai degnato di fare piazza pulita di tutta questa porcheria. Attento alla polvere, Pierre!- dice una voce di donna che arriva dalla stanza accanto.
Con un ghigno da monello ignori l'ammonimento della mamma. Mi infili rapido nella tracolla e senza pensarci nemmeno per un attimo mi porti via da quello che era stato tutto il mio mondo sin da quando sono nata.
E io, io che mi lascio portare via da te, sento il mio cuore di legno riprendere a battere forte.


Non so come sia stato possibile affogare così rapidamente in te.
La novità della tua presenza è presto diventata consuetudine, e la consuetudine nuova felicità.
I tuoi spazi sono immediatamente divenuti i miei, i tuoi giocattoli un gruppo di cui io ero la privilegiata, la tua camera il regno della principessa Antoinette.
Antoinette... mi hai dato un nome! Nemmeno papà l'aveva mai fatto per me. Forse perché per lui ero uno spettro del passato, mentre per te sono la compagna di avventure del presente.
La tua vita è brillante, e spesso penso che lo sia ancora di più perché sei giovane. La via che stai percorrendo non è ostacolata da barriere di alcuna sorta e mi basta questo pensiero per sentirmi appagata. Portami, portami con te lungo quella strada fino allo fine del mondo; il mio percorso è limitato dalle barriere dei tuoi occhi.
Mi va bene rimanere un lieve riflesso nella tua esistenza luminosa; mi va bene. Non conosco altro tipo di felicità, non riesco a pretendere altro né tanto meno riesco a immaginare altro.
Curioso come la mia fantasia si sia fermata a questo punto. Tu mi blocchi; il tuo sorriso mi assale, mi sconvolge, occupa la mia mente e lì rimane, e nient'altro conta più.
Confesso che ogni tanto penso che il mio affetto per te mi abbia annichilita. Qualche volta ho persino sentito la mia essenza tremare allo stimolo della paura: e se tutto questo fosse troppo grande per una bambola così piccola? Una cosa talmente immensa da essere impossibile da contenere per me, qualcosa che defluisce fuori da me e nel processo paralizza i miei arti.
Pure, le giunture continuano a conservare la forza di spostarsi quel tanto che basta per restarti accanto la notte.
Portare a compimento il mio rituale non è mai stato così dolce e spaventoso; quando appare il riflesso della luna alla finestra, sospiro. Ai miei spostamenti il pavimento scricchiola e scricchiolano le mie ossa di legno. Silenziosa, mi bagno nel buio della tua stanza mentre dalla mensola mi calo piano piano fino al comodino, dondolandomi nel vuoto con l'aiuto dei miei fili. Nei momenti in cui resto sospesa, mi sento morire d'amore. Il pensiero che potrei cadere e rompermi mi sfiora appena, se accanto a me vedo il tuo profilo morbido semi nascosto dalle lenzuola. Così i miei piedi toccano il letto, e ti rimango abbandonata accanto, respirando il tuo respiro.
Allora mi addormento e sento che potrei anche non riuscire a svegliarmi più. Sebbene io desideri rimanere con te fino alla fine dei miei giorni, il tarlo dell'idea che anche tu possa prima o poi chiudermi in una scatola mi stravolge.
Ma è solo una piccola voce dentro di me che protesta per un attimo appena.
E io non la ascolto.
No, tu non potresti mai farlo, lo so. Ne sono sicura perché, semplicemente, io sono tua. Mi hai dato un nome, e sono tua. Ti appartengo così come tu appartieni a me senza nemmeno saperlo.
Sono una marionetta nelle tue mani.
Smuovi i fili della mia essenza, pizzica le corde del mio cuore.
Portami con te in tutti i posti che visiterai o, se preferisci, tienimi per tutta la vita nella tua stanza, dove ogni giorno continuerò ad aspettare il tuo ritorno. Vivrò per te ogni mio istante; ogni volta sempre di più, morirò quando te ne andrai e rinascerò quando ritroverò il tuo sorriso.
Disposta a tutto per te, sarò se vorrai la tua compagna muta, la tua ombra sempre presente ma nascosta agli occhi di chi non sa vedere. Ogni tuo capriccio da bambino sarà per me il gioco più soave: se un giorno mi dirai “Antoinette, tocca le nuvole”, io lo farò per te.
Mi avvolgerai per l'ultima volta tra le mani giovani e io mi squaglierò nel loro calore; ignorerò il cuore di legno pieno di paura mentre tu proverai il movimento giusto per lanciarmi in aria, brucerò nei tuoi tentativi piegandomi solo alla tua risata, e alla fine mi lancerai verso l'alto e io, io mi staccherò da te.
Nel folle tentativo di toccare le nuvole per te, ricadrò frantumandomi sul cemento perché tu non mi avrai preso in tempo. Braccia e gambe voleranno via, via rotolerà anche la testa, mi romperò irrimediabilmente in mille pezzi e di me non resteranno che mille scaglie irregolari.
Così morirò.
Io morirò soltanto perché tu, ridendo, mi darai in pasto al cielo, dopo aver riservato per me come addio distratto un “vola, Antoinette”.
   
 
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