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Autore: StefanoReaper    12/02/2012    10 recensioni
Ma è vero che si vive per qualcosa? - Sì figliolo, si vive per morire.
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'D'Amore, Di Morte e D'Altre Sciocchezze.'
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"Tu sei destinato a un grande Lunedì! Ben detto, ma la Domenica non finisce mai"
F. Kafka

1. STEFANO CINETTI
Stefano Cinetti osservava attraverso le lenti nere dei suoi Persol nuovi di zecca il sole abbassarsi dietro ai palazzi, e le strade innevate ancora deserte che accompagnavano la sua ansiosa camminata.
Era proprio una bella giornata di merda, così aveva deciso di prendere iniziativa e concludere la faccenda.
Aveva atteso abbastanza. Aveva paura di quello che stava per fare, ma sentiva di doverlo a se stesso. Camminava pestando la neve chiuso nel suo giubbotto di pelle nera che non scaldava un cazzo tenendo nella destra una Marlboro rossa. Spenta.
Non aveva voluto accenderla, voleva mantenersele per dopo. Ma intanto quella fottuta mano gli si stava congelando, quasi non la sentiva più. Decise di non pensarci e accelerò il passo, stringendosi nel collo del giubbotto.
Vedeva confusamente le macchine passargli rapide accanto alzando schizzi di acqua e neve sporca tutt'intorno. Ciondolava leggermente, forse a causa dei due bicchieri di whiskey scolati appena prima di uscire di casa.
Sì, Stefano Cinetti aveva un problema con l'alcool. Ormai dopo tutti quei mesi passati a fare quegli stupidissimi incontri degli A.A. l'aveva capito. Ma non gliene fregava un cazzo. Se aveva un problema ormai ne era troppo invischiato per poterne uscire. Poi meglio una ciucca di una canna, o di una tirata di Special K, come ai vecchi tempi. Ma al momento aveva altro a cui pensare.

2.FOSCA FRANCESCHINI
Fosca Franceschini, mano sul mento e sguardo sul computer, faceva vagare silenziosamente i suoi pensieri. La sua vita in quel periodo faceva abbastanza schifo. Era indietro con lo studio, e quest'anno rischiava di vederla brutta. Aveva mandato a fanculo i pochi membri della famiglia che le erano rimasti. Aveva passato il compleanno da sola e aveva preso la non facile decisione di mollare il ragazzo, che era da quasi un mese che cercava di evitare. Ora doveva solo trovare la forza di parlargliene. Così sarebbe rimasta definitivamente sola come un cane.
Guardò fuori dalla finestra. Gli alberi erano carichi di neve bianchissima, che risaltava sul cielo plumbeo serale. Che tempo di merda - pensò.
Ripose lo sguardo sullo schermo del computer, a rileggere le ultime frasi appena scritte.
Fosca era una scrittrice, o almeno ci provava. Pochi mesi prima aveva pubblicato una raccolta di storie romantiche che aveva avuto un discreto successo. Ma ora si trovava a dover scrivere qualcos'altro, e in tempi rapidi. Altrimenti nessun editore l'avrebbe più considerata. Ma - guarda un po' la sfiga - nel suo cervello non riusciva ad entrare una singola idea, che fosse una. L'ispirazione, ecco cosa le mancava. Era facile quando riusciva a fuggire dalla vita reale immergendosi in quelle storie così idealizzate e meravigliose, fantasticando sulla possibilità che - prima o poi - si sarebbero realizzate. Ma ora gli ultimi mesi l'avevano portata a un livello di depressione che persino fantasticare sulla felicità la faceva stare male. Si sentiva presa in giro da se stessa. E quindi fissava quelle poche righe che da un'ora a questa parte era riuscita a buttare giù. Con un unico gesto ormai automatizzato chiuse il documento senza salvare. Si alzò e si buttò sul letto. Sono rovinata.

3. ANDREA BARELLI
Andrea Barelli non poteva credere a quello che stava facendo. Non si considerava un criminale, anzi era sempre stato molto onesto e rispettoso della legge. Ma non aveva avuto altra scelta. Con 600 euro al mese in nero, la sicurezza di un calcio in culo al minimo sgarro e il no della banca aveva dovuto prendere una soluzione drastica. A mali estremi, estremi rimedi. Poi lui li odiava quelli là. Quei fottuti ricconi che vivono sugli allori e se ne vanno pure in vacanza a sciare. Se ne vanno in vacanza? Be’, troveranno una sorpresa al ritorno.
Andrea si trovava ora nell’ascensore che velocemente saliva, respirando lentamente. Arrivò al piano, si tolse lo zaino dalle spalle e si guardò intorno. Nessuno in vista. Estrasse dallo zaino i guanti in lattice comprati al supermercato e la pistola del padre. Non gli sarebbe servita, e non voleva servirsene, ma era meglio non rischiare. Poteva comunque usarla per spaventare.
Scese le scale di un piano e si ritrovò di fronte alla porta. “Martinelli e moglie” recitava il campanello.
Dando un'ultima occhiata intorno e aguzzando le orecchie prese il piede di porco dallo zaino e si mise al lavoro sulla porta.

4. STEFANO CINETTI
Qualche fiocco ancora cadeva, ma, appena raggiungeva il terreno, spariva.
Un po' come gli ultimi due mesi della mia vita, pensò. Qualche misero fiocco di culo gli capitava ancora, ma spariva subito. Andava solo ad aumentare lo strato di fango sopra il suo animo.
Ma tentò di non pensarci. Scacciò il pensiero e si fermò. Doveva essere concentrato, non poteva distrarsi con simili cazzate. Provò a ripassare a mente il discorso preparato, ma le parole gli sfuggivano di mente. Riusciva solo a ripetere sempre le stesse frasi, senza alcuna logica, senza arrivare a nessuna conclusione. Si sentiva un idiota, così perso nei suoi pensieri alcolici.
Al diavolo! Avrebbe improvvisato, come sempre. Se la cavava abbastanza bene con l'improvvisazione, soprattutto quando si trattava di questioni importanti. E questa era una questione molto importante. Oltre a rischiare di perdere il lavoro, non poter più pagare la casa e avere debiti da tutte le parti, la cosa che più lo premeva era non perdere lei. Quindi ecco che era sulla strada per casa sua, per poter finalmente chiarire e mettere a posto le cose.
Riprese a camminare, questa volta più lentamente. Pian piano l'ansia si fece sempre più pressante. I crampi gli attanagliavano lo stomaco e le gambe tremavano. E' solo il freddo - pensò, aggiungendo un 'cazzo' per autoconvincersi. Le strade erano pressoché deserte, a parte qualche silenzioso passante come lui e i barboni morti congelati. Mancava poco alla traversa, così fece un paio di respiri profondi, scacciò i pensieri e attraversò la strada.
I fari lo accecarono improvvisamente e la macchina lo sfiorò di pochissimo, sfrecciandogli accanto col clacson che squillava. L'aveva vista brutta. Per poco non ci rimaneva secco.
Porcaputtana, questa sì che è una giornata fortunata.
Un lieve sentore di sollievo entrò in lui e, anche se ancora scosso per il mancato incidente, un sorriso leggero gli apparve in viso.
Si fermò pochi passi dopo, guardando in cima a una breve strada in salita.
Bene, facciamolo - si disse. Accese la sigaretta incollata alle dita congelate e fece due lunghi tiri. Il fumo che gli entrava dai polmoni e usciva caldo dal naso, con il suo amaro sapore, lo rilassò ancora di più. Fece la strada in salita a lunghe falcate e in pochi secondi arrivò al portone.
Cercò con gli occhi, come aveva fatto centinaia di volte prima, il pulsante sul citofono. trovatolo lo fissò per un instante, poi lo premette, abbassando lo sguardo.
Lunghi secondi di silenzio passarono, cadenzati da lunghe boccate di fumo.

5. FOSCA FRANCESCHINI
Fosca stava quasi per addormentarsi quando il citofono suonò. Chi cazzo è a quest’ora? – si disse, per poi realizzare che non era poi un orario così strano. Ma chi cazzo è comunque.
Si alzò e con passo lento percorreva il corridoio fino al citofono accanto al portone.
Quando sollevò la cornetta realizzò. Era lui. Non poteva che essere lui. Indecisa sul da farsi si posò l’apparecchio sull’orecchio, rimanendo in silenzio. Non sentiva niente.
- Chi è? – disse con voce flebile
- Sono io, posso salire?
Distinse subito la sua voce.
- Che vuoi? – non sapeva bene come comportarsi.
- Lo sai, mi fai salire?
Oh cazzo. Che faccio?
- No. – disse, quasi sussurrando.
- Be', allora scendi te.
Quell’ultima affermazione la lasciò un attimo sconvolta. Riagganciò, senza dare risposta.
Che faccio, scendo? Tanto lui non se ne andrà, cocciuto com’è..

6. ANDREA BARELLI
Andrea sentiva i suoi pensieri correre a mille e trapanargli il cervello.
Veloce. Veloce. L’argenteria, i gioielli.. la camera da letto? Il salone l’ho già girato..
Lo zaino era traboccante di refurtiva e Andrea sentiva che era giunto il momento di darsela. Stava per entrare nel panico, quindi doveva andarsene, e di corsa. Arrivò alla porta col fiatone, raccolse il piede di porco lasciato là davanti, abbassò la maniglia appoggiando l’orecchio al legno della porta e l’aprì. Velocemente se la richiuse delicatamente alle spalle, facendo pochissimo rumore. Allora sentì delle voci provenire dalle scale, e dei passi. Cazzo! Stanno salendo! Lunghi istanti passarono finché si ricordò dell’ascensore. Che imbecille – pensò. Due lunghe falcate e premette con il pugno sinistro il pulsante dell’ascensore, la pistola ancora nella destra. E andiamo.. su, su! Sbrigati cazzo!
Le voci si facevano sempre più forti. Cazzo ma proprio qui dovevano venire questi? E proprio ora?
L’ascensore arrivò, pacato, e Andrea aprì con foga le porte, se le richiuse alle spalle e diede un cazzotto al pulsante “T”.
Ce l’aveva fatta, era finita.

7. STEFANO CINETTI
Dopo un lungo attimo lei riagganciò. Bene, è fatta.
Tirò ancora dalla sigaretta, facendo uscire lentamente il denso fumo dal naso.
Chiuse gli occhi e riordinò le idee. Ecco che arrivava l’ora della verità. Devo mettercela tutta, non posso perderla, non di nuovo. Non così.
Dopo nemmeno un minuto sentì sbattere forte le porte dell'ascensore, e qualcuno che correva. Non può essere già lei, pensò.
Non era lei infatti. Un uomo, o meglio un ragazzo sulla trentina gli stava correndo incontro, verso il portone, con uno zaino in mano e una pistola nell'altra. Il panico per un attimo lo prese. Chi era? Un rapinatore, un assassino? Non lo sapeva, ma, anzi, il ragazzo sembrava aver avuto più paura di lui dopo averlo notato. Stefano era imbambolato davanti al portone e stava per spostarsi, quando il ragazzo spinse con il calcio della pistola il pulsante per l'apertura del portone.

Fu un attimo. L'esplosione, il vetro davanti a lui che si rompeva in mille pezzi volanti e la fitta allo stomaco. Si portò istintivamente una mano al dolore e prima di poter abbassare lo sguardo si sentì le gambe molli, e cadde a terra. Sentì i passi veloci del ragazzo risuonargli accanto e il portone chiudersi sbattendo.
La vista gli si oscurava velocemente, e un sapore metallico gli invadeva la bocca.
Riuscì solo a sentire l'urlo disperato di una ragazza.
Poi, nulla.
   
 
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