Capitolo 14
Il
fuoristrada
rallentò e Sarah si chiese se si trattasse di un’altra sosta oppure se
erano
giunti alla fine del loro viaggio.
Erano in auto da quasi
due giorni e lei si sentiva a pezzi, benché avessero fatto qualche
breve sosta per la benzina. Aveva provato a dormire un po’,
per recuperare le forze, tuttavia si sentiva completamente distrutta,
probabilmente anche per via della gravidanza; inoltre le
doleva la schiena, a causa
delle ore trascorse sempre nella stessa posizione.
L’auto
si fermò e
sentì l’uomo scendere.
Chissà
dov’erano?
Doveva essere un posto molto assolato, perché aveva davvero tanto
caldo.
Sentiva il calore del sole sul corpo da ore, fin dal mattino presto,
anche se in quel momento la sensazione era diventata quasi
insopportabile. Aveva la gola e le labbra
secche... sarebbe stata capace di uccidere, pur di avere
dell’acqua e un letto in cui stendersi e riposare.
La
portiera dalla sua
parte si spalancò e Sarah si sentì afferrare senza delicatezza e tirare
giù
dall’auto.
“Scendi!
Siamo
arrivati…” le ordinò il suo carceriere.
Lei
obbedì senza fiatare.
Ormai aveva adottato quella tattica, per evitare di innervosire
ulteriormente
l’uomo che l’aveva sequestrata. Voleva lasciargli credere di avere il
controllo
della situazione. Se si fosse mostrata docile e non lo avesse fatto
infuriare,
magari si sarebbe fatto scappare qualche dettaglio che poteva tornarle
utile.
L’atteggiamento che aveva usato all’inizio della sua brutta avventura,
non le
aveva giovato molto. Se n’era accorta subito. Se si ribellava, l’uomo
diventava
immediatamente più guardingo, più nervoso e la trattava male. E,
soprattutto,
non proferiva parola. Invece lei aveva bisogno di farlo rilassare,
affinché
parlasse e, magari, si lasciasse sfuggire qualcosa.
Strattonandola
per un
braccio, l’obbligò a seguirlo. Il terreno sotto ai suoi piedi era
accidentato e
polveroso e Sarah, con gli occhiali oscurati che le impedivano di
vedere,
faceva fatica a muoversi.
“Sbrigati!”
la
rimproverò l’uomo impaziente.
“Perché
non mi togli
gli occhiali, così riesco a camminare meglio” chiese Sarah,
gentilmente. Voleva
fargli credere di sottostare al suo volere. Invece la sua unica
preoccupazione
era di capire dove la stesse portando. L’uomo sembrò pensarci
qualche secondo, infine prese una decisione e le sfilò gli
occhiali. La luce improvvisa e
molto forte accecò per qualche attimo Sarah. Poi, pian piano che i suoi
occhi
si abituarono, misero a fuoco un volto che riconobbe immediatamente,
anche se
lo aveva visto solo una volta.
Il
sorriso beffardo di
Clark Palmer comparve sul viso dell’uomo che la teneva prigioniera
appena si
rese conto che lo aveva riconosciuto. E tutto, nella mente di Sarah,
iniziò ad avere una spiegazione: la voce che le
sembrava di aver già sentito si accoppiò al volto e tutti i discorsi
che lui le
aveva fatto parvero avere un senso. Un senso molto tragico, ma
finalmente un
senso.
“Tu…”
sospirò
sconvolta.
“Salve,
colonnello
MacKenzie!” la salutò, divertito, Palmer.
Clark
Palmer. Era
nelle mani di Clark Palmer! L’uomo che odiava Harm da anni. Fin dalla
volta in
cui il capitano di corvetta Harmon Rabb lo aveva battuto sul suo stesso
territorio, alla sede della Bradenhurst Corporation. Era accaduto
mentre
seguiva il caso di un aereo fatto precipitare dalla collisione con un
“oggetto
volante non identificato”, in seguito risultato essere il prototipo di
una nuova
arma segreta. Lei non aveva partecipato all’indagine, ma ricordava che
Bud
aveva lavorato al caso con Harm per capire la causa dell’incidente. Era
successo anni
addietro, poco prima che lei commettesse il grave errore di lasciare il
Jag per
lavorare in uno studio privato con il suo ex, Dalton Lowne… Harm e Bud
si erano
anche fatti arrestare, durante quella missione.
Palmer,
a quei tempi,
era un agente del dipartimento di sicurezza della Difesa, e aveva
cercato con
tutti i mezzi di fermare l’indagine di Harm. Ma il capitano Rabb, come
al suo
solito, non si era arreso ed era riuscito ad averla vinta su Palmer.
Ricordava
ancora l’espressione divertita e ammirata di Bud quando le aveva
raccontato del
pugno che Harm era riuscito a restituire a Palmer, proprio sotto gli
occhi
esterrefatti del colonnello che aveva voluto l’inchiesta!
In
seguito Palmer era
diventato l’incubo di Harm: ogni volta che non si trovava in carcere,
cercava
di fargli del male. Ma Harm era sempre riuscito a cavarsela. Anche ora
Palmer
avrebbe dovuto trovarsi rinchiuso nella prigione di Leavenworth,
proprio a
causa di un’altra brillante intuizione di Harm. Invece era
lei, in quel momento, a
trovarsi nelle mani di quel pazzo.
“Sorpresa
di vedermi,
colonnello MacKenzie?” L’uomo sembrava divertirsi un mondo a beffarsi
di lei.
“Come
hai fatto ad
evadere da Leavenworth?” gli chiese, seguendolo.
“Trucchi
del mestiere”
rispose divertito lui.
Intanto
si stavano
dirigendo verso un luogo ben preciso, che le sembrò familiare. Cominciò
a
prestare più attenzione a dove la stava conducendo e si guardò attorno.
“Dove
siamo?” chiese,
quando realizzò che si trovavano in una zona completamente sperduta.
Solo delle
rocce qua e là, interrompevano un paesaggio che le ricordava molto il
deserto
dell’Arizona, dove era stata una volta in missione con Harm. Per la
precisione,
durante la loro prima missione insieme.
“Non
serve che tu lo
sappia…” rispose Palmer, invitandola a seguirlo in una specie di grotta
ricavata dentro ad una roccia più grande delle altre.
Anche
quell’entrata le
ricordò immediatamente il luogo dove suo zio Matt, anni prima, si era
rifugiato
con i suoi Marines, quando aveva rubato la Dichiarazione
d’Indipendenza…
Possibile cha Palmer l’avesse condotta nel vecchio nascondiglio di zio
Matt? A
Red Rock Mesa? Eppure, non poteva sbagliarsi… quel luogo così
particolare le
era rimasto impresso fin dalla prima volta che l’aveva visto in
compagnia di
Harm. Appena fu all’interno
della grotta, non ebbe più dubbi: l’aspetto del luogo era troppo
singolare
perché potessero essercene due identici al mondo!
“Lo
hai riconosciuto,
vero?” le domandò Palmer, divertito.
Sarah lo osservò
attentamente. Quell’uomo era
più furbo del diavolo e sapeva più cose di lei e Harm di quanto loro
stessi
riuscissero a ricordare… Come faceva ad avere tutte quelle
informazioni? Non li
conosceva neppure, a quei tempi!
Istintivamente capì
quale sarebbe stato il gioco di Palmer con Harm. Ricordò quello che le
aveva
detto quando ancora la teneva prigioniera a Washington o nei dintorni,
e
dovette riconoscere la furbizia sadica di quell’uomo. Le aveva
assicurato
che avrebbe fatto impazzire Harm a cercarla, mettendolo su false piste.
“Sei
molto furbo…”
cercò di lusingarlo.
“Hai
capito, vero?
Complimenti, colonnello, sei molto sveglia anche tu. Mi sono sempre
piaciute le
donne sveglie! Capisco come tu possa piacere al nostro caro Harm. Devo
ammettere che ha dimostrato, finalmente, buon gusto! Certamente di più
di
quando stava con la bionda regista…”
Palmer
le diede da
bere e le indicò un letto molto spartano.
“Riposati,
ora…
Ritorno più tardi e mi servirà la tua completa collaborazione, per far
divertire un po’ il nostro caro ragazzo!” e dicendo questo la legò alla
testata
e uscì dalla grotta.
Sarah
si domandò dove
potesse andare, in quel luogo sperduto, ma decise di non pensarci e
approfittarne per riposarsi. Se voleva tener testa a Palmer, avrebbe
dovuto
ricorrere a tutte le sue energie.