Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Willy Wonka    13/02/2012    2 recensioni
Allora allora allora... a dire il vero questa storia starebbe bene anche nel genere storico, ma visto il fatto che il nome di uno dei protagonisti (personaggio storico appunto, non il narratore ma l'altro che appare) non viene mai menzionato, almeno esplicitamente, ho preferito evitare... però ci sono molti indizzi sparsi nel racconto, quindi se vi va sta a voi indovinare chi è ;)
Intanto buona lettura, spero vi piaccia e spero sia scritta abbastanza bene da essere comprensibile! Besos!
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Silenzio. L'unica cosa che riesco a percepire, a parte il rumore di qualche grillo, è il mio respiro. Teso, insicuro, spaventato. La luce del giorno attraversa le foglie grandi di questa giungla, e io mi ritrovo nascosto fra i rami secchi e tanta terra a sperare che quei bastardi non mi trovino. Spesso ho pensato di essere troppo giovane per morire. La fame, la guerra e la difficoltà di contare il tempo mi hanno persino fatto dimenticare qual'è la mia età esatta, forse ho diciotto o diciannove anni, non ricordo proprio. Penso alla mia famiglia, alla ragazza che da qualche parte, dove la situazione è migliore, mi sta aspettando con una margherita in mano. Mi sono arruolato, sebbene con qualche difficoltà vista la mia giovane età, in questo conflitto perché suppongo di essere uno dei pochi a credere ancora in qualcosa, a pensare che in fin dei conti sia giusto lottare per qualcosa per cui si crede, poi se questa è la pace ancora meglio. Imbraccio un fucile per cercare di dare una speranza al mio popolo, e tanti altri sparsi per il mondo. Ma quando si è qui, a tremare perché non si sa se si riuscirà ancora a rivedere le stelle della sera, la lucidità è difficile da ritrovare. Ho paura. Ho tanta paura. Sento dei passi in lontananza e delle voci soffocate. Cazzo cazzo. Mi stringo alla canna del fucile, il mio unico punto di sicurezza in quel turbinio di sensazioni. Sono un semplice soldato, se così si può definire un giovane contadino con solo tre pesos in una tasca che un giorno ha avuto la brillante idea di indossare un uniforme, non ho mai sparato a nessuno. La morte mi fa rabbrividire, ecco qual'è la verità. Le voci e i passi si fanno sempre più vicini, cerco di essere il più silenzioso possibile ma oramai mi hanno scoperto, e sarò morto prima che il sole tramonti. Mi ritorna in mente il volto della donna che amo, ha dei lunghi capelli mossi che le circondano il viso, e due occhi scuri e bellissimi. Sento qualcosa attraversarmi il viso, qualcosa di bagnato che scende giù, giù fino a toccarmi il mento e cadere nella polvere. Non ho nemmeno il coraggio di caricare il fucile, che senso avrebbe? Sono praticamente a trenta centimetri di distanza da me. Guardo per un'ultima volta il cielo, che è terso, senza nemmeno una nuvola bianca. Qui di notte le stelle e la Luna si vedono talmente bene che ti ci puoi perdere nel blu scuro del cielo e ti senti davvero parte dell'Universo. Farfugliano qualcosa, sono in due. I loro stivali cadono pesanti sull'erba alta, esattamente sopra a dove sono nascosto io. La pietra dietro alla quale sono accucciato non mi proteggerà ancora a lungo. Chissà come diavolo deve essere morire, se il sangue che cola è caldo, o se proverò solo dei brividi e delle contrazioni. Vedrò quel famoso puntino di luce che tutti dicono? Improvvisamente, un grido sovrumano mi riporta a terra e mi fa capire che è finita.
Es un hijo de puta del Movimiento! Es un hijo de puta del Movimiento!”
La loro voce stridula mi rimbomba nelle orecchie, ma non faccio in tempo a ragionare che il calcio del fucile di uno dei due mi colpisce feroce la testa e mi ritrovo coricato con il cranio che pulsa e sanguina. Urlano qualcos'altro che però non riesco ad afferrare.
Uno mi afferra per un braccio, mi fa alzare con violenza e mi spacca lo stomaco con un sinistro micidiale. Mi contorco, urlo, sputo sangue, che mi ammazzino subito, non voglio le torture. Però non mi piego, non imploro pietà, perché un pizzico di orgoglio, da qualche parte dentro di me, è rimasto ancora. Ma mi sento solo, troppo solo. E non smetto di piangere perché è l'unica cosa che mi rimane.
Esto es para su casa! Die! Die!” mi sento sputare in faccia, ma non ho la forza per rispondere, i loro calci mi interrompono il respiro e sento solo un dolore acuto. L'ultima cosa che i miei occhi scorgono a malapena è la mia sporca uniforme che piano piano si tinge di un rosso scuro, le mie narici vengono travolte da un odore acre di morte, e poi tutto nero, prima che me ne accorga. Silenzio. L'unica cosa che riesco a percepire non è più nemmeno il mio respiro. E' la fine.









Mi sento scuotere. Qualcuno ha ripreso ad urlare. Mugugno qualcosa ma non oso riaprire gli occhi. Qualcuno chiama il mio nome, continua a muovere il mio braccio, e non capisco se sembri preoccupato o solo un po' stizzito. Così, non capendo niente di quello che mi sta succedendo, riacquisto lentamente la vista, metto a fuoco quello che ho davanti a me, e non è più il verde della giungla, non sono più i raggi del sole, non è più il sangue che esce dal mio stomaco, ma è un telo scuro squarciato e ricucito in alcuni punti. Devo essere in una tenda o qualcosa di simile. Mi sveglio completamente respirando a singhiozzi e tirando fuori dalla mia gola un grido soffocato, spalanco gli occhi e percepisco una mano appoggiarsi al mio petto pieno di bende per invitarmi a non alzarmi ma a rimanere steso in quello che è un letto rudimentale. Riaccomodo la testa nel magro cuscino e mi volto di lato, giusto per accorgermi di una figura più grande di me con del filo chirurgico in mano e un tappino di sughero fra le labbra. Non faccio in tempo a riconoscerlo che mi versa addosso un liquido che puzza di alcool e brucia da morire, cominciò a urlare come un posseduto ma lui mi fa stringere fra i denti uno spesso pezzo di garza. E mentre strozzo i miei gemiti lo sento premere sulla mia ferita che si sta richiudendo e pulirmi con del cotone. Mi fascia con delle bende e mi leva finalmente la garza dalla bocca. Lo guardo confuso come se non avessi mai visto un essere umano in vita mia.
Sei fortunato che sono un medico ragazzo” mi dice con aria non direi altezzosa, ma quasi paternalistica. L'ho riconosciuto e... e mi trovo come uno stupido a farsi curare mica da uno qualsiasi. Sgrano gli occhi e farfuglio qualcosa in preda all'agitazione più totale. Lui se ne accorge ma non accenna un sorriso, anzi, corruga le sopracciglia in segno di preoccupazione per la mia salute e lo vedo farsi più attento.
Cerca di riposarti, non voglio un morto in più” le sue pupille brillano “eri vicino a farti ammazzare là fuori. Se non hai le forze per affrontare la guerra, direi che dovresti lasciare questa battaglia”
C-comandant-”
Sta calmo. E non muoverti, i punti ti si potrebbero staccare”
Sento che sta per andarsene, così faccio quello che un soldato, per orgoglio, non dovrebbe mai osare fare. Allungo il braccio per quanto posso e stringo le sue dita fra le mie. Lui mi guarda sorpreso, e io non so che dire se non un “grazie...”
Il suo viso sporco si tira in un sorriso comprensivo che mi riscalda subito, stare con lui è un po' come sentirsi a casa, è quello che dicono tutti e ora lo capisco più che mai. Solo ora noto che possiede un lungo taglio giù per il collo, deve essersi ferito con delle pietre. Lo lascio andare. Il suo sguardo mi esprime abilità, mistero, profondità, sensibilità, un dolore nascosto.
Si alza a fatica e vedo la sua ombra mettersi un pugno davanti alla bocca mentre è in preda ad una tosse che lo scuote appena. All'inizio credevo fosse un fattore nervoso, un qualche strano tic amplificato dalla durezza e dalla polvere della guerra, ma un giorno un compagno mi ha rivelato che ha sempre sofferto d'asma. Un filo di luce mi colpisce il volto, ma poi sparisce non appena se ne esce dalla tenda e lascia ricadere il telo scuro.
Quanti punti avrò addosso? Dieci, venti? Chi lo sa. So solo che se non fosse stato per l'aiuto di quell'uomo, ora sarei morto chissà dove. Non ricordo come mi sono salvato, non so nemmeno se sia stato tutto un sogno. Lo sento parlare al di fuori della tenda. Si è avvicinato ad altri due o tre soldati, li sta rassicurando dicendo loro che sto bene e dà loro una pacca sulla spalla.
Non so molto sul suo conto. Non ho mai avuto l'occasione di parlarci insieme, perché io sono un semplice contadino e la mia timidezza e senso del rispetto non mi hanno mai permesso di chiedergli di fare due chiacchiere. Inoltre ha molto da fare, un sacco di cose a cui pensare, specie quando sul posto arriva l'altra squadra che lo scombussola sempre un po'. Lo conosco solo rimettendo insieme qualche informazione che ho strappato dai miei compagni, so che non è di qui ma viene da più giù, dove corrono i puma, so che gli piace la musica spagnola perché una volta l'ho sentito per sbaglio fischiettare un motivetto noto dalle mie parti e so che inizialmente ha partecipato al nostro addestramento militare sebbene dovesse essere un semplice medico.
Sbuffo e tamburello le dita contro un lenzuolo sistemato alla ben e meglio sotto al mio corpo ferito, non riesco proprio a starmene fermo ad aspettare chissà cosa. Però lui ha detto che se mi muovo i punti potrebbero saltarmi. Così, combattendo fra l'idea di starmene lì impalato a fissare il nulla e la folle iniziativa di provare ad alzarmi, abbasso le palpebre e mi addormento quanto basta per far scendere la sera. Quando mi risveglio, la luce è sparita e sento i grilli cantare ancora. Provo un forte bruciore allo stomaco che mi fa contorcere e gemere come un matto, spero nel profondo del mio cuore che qualcuno possa venire e farmi fermare quel dolore atroce. Mi sento debole, più di prima, e impotente. Quando improvvisamente sembra che le mie preghiere siano state esaudite.
Qualcuno entra e mi si avvicina: roba da non crederci, è ritornato, forse ha sentito le mie grida.
Quant'è bello quando c'è chi segue i miei consigli” esclama con un sorrisetto furbo. Prende di nuovo dell'ago da un cassetto e del cotone che teneva in una tasca. “Questo farà male”
Non faccio in tempo a realizzare che sento un dolore ancora più forte alla ferita e cerco con tutte le mie forze di darmi un minimo di contegno. Mi sono saltati due punti da quanto posso capire, devo essermi mosso involontariamente durante il sonno. Tremo e senza accorgermene commetto un grave errore. Davanti a lui, proprio lui, non riesco più a trattenermi.
Il mio superiore mi guarda piangere, piangere come un bambino. Ma non riesco a smettere, è come se fosse liberatorio. “M-morirò signore?” gli sussurro. Sul mio volto si può leggere chiaramente un “ho tanta paura di morire”.
Lui scuote la testa muovendo i suoi ciuffi scuri. Sembra indeciso se andarsene o restare, e con mia grande sorpresa, decide di sedersi vicino a me per qualche istante ancora. “Sei giovane ragazzo” se ne esce con voce sicura “Questa ti piacerà”. Solitamente se qualcun'altro si fosse rivolto a me con quelle parole gli avrei tirato un pugno, detesto quando si sottolinea troppo il fatto che sono più giovane degli altri, ma qualcosa nella sua voce non mi fa nemmeno lontanamente pensare alla rabbia. Mi incuriosisco mentre si toglie il cappello, se lo rigira fra le mani e lo rovescia frugandoci dentro. Quel cappello deve nascondere una tasca cucita, o qualcosa del genere. Fatto sta che ne tira fuori qualcosa di quadrato e sottile. Aguzzo lo sguardo e mi accorgo che è una piccola fotografia in bianco e nero rovinata in un angolino. Non so davvero che dire.
Ti presento la mia ragazza” mi dice soddisfatto porgendomi la foto, così io curioso con le poche forze che ho la prendo e me la porto al viso. Quando la osservo per bene non posso fare a meno di sorridere. E' davvero bella.
Per questa notte te la lascio ma bada bene, è solo perché sei moribondo” conclude facendomi l'occhiolino “non te ne innamorare troppo” posa le mani a terra e facendo forza si rialza e dopo un altro piccolo sguardo d'intesa se ne va via diretto ad ispezionare ancora un po' la zona, a mettersi d'accordo con le guardie notturne ed infine a chiudersi nel suo piccolo rifugio.
Stringo la fotografia nella mia mano, sono ancora lì che sorrido e che lo ringrazio nel profondo del mio cuore, la appoggio sul cuscino vicino al mio volto e richiudo gli occhi per riaddormentarmi dimenticandomi del male. Quella notte, per la prima volta dopo tanto, tantissimo tempo, non mi sento solo. C'è una splendida motocicletta sul mio cuscino a farmi compagnia.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Willy Wonka